L’intenzionalità, trovando espressione nell’assunzione di modelli di azione volontaria, non si può considerare come qualcosa di insito nell’essere umano, né il risultato della semplice interazione con l’ambiente
è l’esito di processi relazionali che rendono possibile o inibiscono l’emancipazione dalla duplice prigionia dell’imprinting naturale - connesso alla costruzione della struttura neuronale sulla base delle esperienze - e culturale - esito delle imposizioni culturali
Imposizioni culturali/memi Dawkins definisce le imposizioni culturali memi, replicatori della cultura analoghi ai geni, ai quali è connessa la nostra “conoscenza disposizionale” esito della trasmissione di alcuni comportamenti da una generazione all’altra.
A partire da questa trasmissione si genera il cosiddetto “senso comune”, ovvero “l’insieme di ciò che ognuno considera ovvio, all’interno di una certa comunità, e in un dato momento della storia”, una conoscenza pratica che si manifesta nelle azioni irriflesse della vita quotidiana e nelle interpretazioni immediate della realtà e delle persone che ci circondano
Senso comune I suoi contenuti sono “definiti dalla tradizione esistente entro i confini di una comunità data” e “trasmessi da una generazione all’altra”, i presupposti sono dati per scontati in quanto coincide con “quello che ciascuno pensa che tutti gli altri pensano”.
Il senso comune generato dai memi è, dunque, una sorta di routine cognitiva, un’abitudine socialmente condivisa, un automatismo derivante su un accordo circa gli aspetti rilevanti in una data situazione, “e dunque di intendere il significato che è consono a un contesto.”
Specularità Nel confrontarsi con una nuova situazione l’essere umano inoltre non costruisce modelli solo in funzione di ciò che osserva e di ciò che esperisce, ma anche in funzione del modo in cui pensa che l’altro modellizzerebbe nella stessa situazione.
Tale capacità trova riscontro nell’attivazione di specifici circuiti di neuroni, i neuroni specchio, i quali, quando i soggetti interagiscono con gli altri, consentono, a livello elementare, di correlare i movimenti osservati a quelli propri e di riconoscerne il significato, a livello più complesso, di comprendere le intenzioni e le emozioni dell’altro a partire dal nostro patrimonio motorio
mentre in un ambiente culturale “chiuso” i modelli formativi (memi) a cui guardare in maniera speculare e sui quali riflettere criticamente sono riconducibili ad un’unica matrice teorica, nel momento in cui ci si trova in un contesto culturale connotato da una pluralità di punti di vista e prese di posizione, il rischio è quello di favorire operazioni di tipo sincretistico tra posizioni contrastanti, dando vita ad interventi disorganizzati e poco coerenti.
A partire da queste riflessioni si può affermare che incidono in maniera determinante sulla pedagogia implicita del formatore non tanto e soltanto le esperienze di vita, le quali generano una graduale costruzione di circuiti neuronali preferenziali che rappresentano il fondamento biologico della generazione dei comportamenti volontari, ma soprattutto i modelli di formazione fruiti nell’ambito dei percorsi formativi formali, ai quali guardare in maniera speculare nella costruzione di strategie per l’azione.
Se la libertà associata ai valori consiste nella possibilità di esercitare scelte responsabili tra una pluralità di possibilità, è necessario che il sistema mente-cervello costruisca una pluralità di percorsi di scelta possibili nella costruzione di una azione
A questo proposito Daniel C. Dennett in L’evoluzione della libertà mette in guardia dal pericolo che i processi educativi si traducano in una “ingegneria dei valori” che “aggira la capacità della gente di controllare le proprie attività mentali”
Si tratta, in altri termini, di fornire ai formatori strumenti scientificamente fondati di revisione del proprio “agire educativo spontaneo” piuttosto che fornire quadri teorico-pratici prescrittivi e direttivi