La variazione diafasica REGISTRI LINGUISTICI E USO DEL CONGIUNTIVO
Variazione diafasica È il differente modo di costruire un messaggio linguistico in base alla situazione comunicativa 3 fattori determinano la variazione diafasica: Il campo: ovvero la natura dell’attività svolta in una situazione e il contenuto del discorso: chiacchierare al bar, tenere un’arringa in tribunale, svolgere una lezione, telefonare ad un amico Il tenore: ovvero il rapporto (di estraneità, di familiarità di amicizia, ecc.) che si instaura tra gli interlocutori e il loro status sociale: studente/studente; studente/professore; professore/rettore Il modo: ovvero il canale fisico attraverso cui passa la comunicazione (oralità o scrittura)
DALLA VARIAZIONE DIAFASICA DIPENDONO: REGISTRI LINGUISTICI “Modo di parlare o scrivere, livello espressivo proprio di una data situazione comunicativa” (GDG 2008) I LINGUAGGI SETTORIALI (O SOTTOCODICI) «linguaggio utilizzato in determinati settori specialistici e caratterizzato da una terminologia tecnica che spesso si discosta dal lessico comune o lo usa in accezioni particolari» (T. De Mauro, GRADIT)
Tipi di registro Aulico (o ricercato) Colto Formale (o ufficiale) I registri si dispongono in una successione che, semplificando, possiamo rappresentare così: Aulico (o ricercato) Colto Formale (o ufficiale) Medio (varietà standard) Colloquiale Informale Popolare Familiare
Variazione stilistica Un mutamento di registro produce una variazione di stile Mediante i registri si ottengono i cosiddetti stili del discorso che possono riguardare ciascun sottocodice Esempio: È consentita l’integrazione della documentazione già prodotta (sottocodice burocratico – registro formale) È possibile integrare la documentazione già presentata (sottocodice burocratico – registro informale)
Registri e uso del congiuntivo Le differenze tra registro formale e registro informale della lingua sono particolarmente evidenti nell’uso del congiuntivo. Ricordiamo che l’uso del congiuntivo è obbligatorio, a prescindere dal registro scelto, nei seguenti casi: Dopo alcune congiunzioni subordinanti (affinché, benché, sebbene, nonostante, qualora) Dopo alcune espressioni impersonali (è facile, è difficile, bisogna che, è bene, è necessario, può darsi che, è meglio che) Dopo alcuni verbi che esprimono desiderio, augurio, speranza, permesso (voglio che, chiedo che, desidero che, spero che) Dopo alcuni aggettivi e pronomi indefiniti (qualunque, chiunque)
Nei periodi ipotetici dell’irrealtà: se studiavo era meglio È tollerato l’uso dell’indicativo in alternativa al congiuntivo, all’interno di un discorso informale, nei seguenti casi: Dopo le seguenti espressioni impersonali: è bello che, è brutto che, è strano che, è naturale che, è peccato Nei periodi ipotetici dell’irrealtà: se studiavo era meglio Nelle frasi interrogative indirette: mi chiedo chi sei veramente Nelle espressioni comparative, superlative: è la persona più generosa che conosco Con verbi che esprimono opinione: credo che, sembra che, pare che, ritengo che
Negli ultimi anni si registra una tendenziale prevalenza dell’uso dell’indicativo, preferito al congiuntivo. Ciò è dovuto a una crescente esigenza di semplificazione e rapidità della comunicazione, soprattutto orale