Le rivoluzioni del 1848.

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Transcript della presentazione:

Le rivoluzioni del 1848

Prime Costituzioni Costituzioni della Restaurazione: la Costituzione non può essere l’atto di volontà del costituente, perché se così fosse sarebbe un dato artificiale. Di solito deriva o trae legittimazione da Dio: se ne evidenzia il carattere non transeunte, opposto a una volontà affidata a un testo scritto, che per natura è fragile. Anche dove la Costituzione è un atto solenne: è concessa dal sovrano (costituzione octroyée) o è pattuita fra assemblee rappresentative e sovrano. Non si chiamano formalmente Costituzioni, ma «carte» (Francia 1814), «statuti» (Spagna 1834 e Piemonte 1848), o «leggi fondamentali» (Francia 1875): il concetto di Costituzione è troppo compromesso perché evocatore della ideologia rivoluzionaria.

Costituzioni liberali Hanno il loro punto di riferimento nelle Costituzioni della Francia del 1830 (carta di Luigi Filippo) e del Belgio del 1831, le quali influenzarono la Costituzione spagnola del 1837, lo Statuto albertino del 1848, la Costituzione austriaca del 4 marzo 1848, e comunque gran parte di quelle del 1848 e la Costituzione prussiana del 1850. Esse si caratterizzavano per la fine del legittimismo, il primato del sovrano (da cui dipendeva l’esecutivo), l’importanza del Parlamento, il riconoscimento della Costituzione come patto (Luigi Filippo non è designato per grazia di Dio e si chiama re di francesi e non – come i Borboni – re di Francia e di Navarra), l’affermarsi dell’indipendenza del potere giudiziario. Nel Regno delle Due Sicilie, a Palermo, un’insurrezione spinge il re Ferdinando II di Borbone a concedere una costituzione Concedono la costituzione anche Il Granducato di Toscana, lo Stato Pontificio e il Regno di Sardegna

Costituzione siciliana Emanata dal parlamento siciliano, quindi non ottriata, resta in vigore come statuto costituzionale nel nuovo Regno di Sicilia (proclamato nel febbraio 1848) fino al maggio 1849, quando l’isola viene riconquistata dall’esercito napoletano. Per la prima volta entrambe le Camere sono elettive. Sono elettori tutti i cittadini che abbiano compiuto 21 anni e che sappiano leggere e scrivere. Per ogni comune di 6.000 abitanti sarà scelto un deputato mentre i senatori saranno 120. La legge emanata dal parlamento deve essere promulgata dal re entro trenta giorni, o rinviata con osservazioni. Il potere esecutivo è esercitato dal re per mezzo dei ministri responsabili, scelti da lui. Nessun ordine del re sarà eseguito se non sottoscritto da un ministro. La parola e la stampa sono libere. Il pubblico insegnamento è gratuito e regolato da apposita legge. Nessuna norma dello statuto può essere modificata senza il concorso di due terzi dei votanti presenti di ciascuna Camera.

Lo Statuto albertino (i poteri del re) Art. 5. Il potere esecutivo non è nelle mani del governo ma del re. Per la Camera si vota per censo, 1,5 per cento della popolazione (solo nel 1912 ci sarà il suffragio universale maschile). I senatori sono nominati direttamente dal re. Art. 7. Il re ha diritto di sanzione (veto) sulle leggi non di suo gradimento.

I princìpi dello Statuto (i diritti dei sudditi) Art. 24. Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge. Tutti godono di diritti civili e politici. salvo le eccezioni determinate dalle leggi. Art. 26. La libertà individuale è garantita. Art. 27. il domicilio è inviolabile. Art. 28. La stampa sarà libera ma una legge ne reprime gli abusi. Art. 29. Tutte le proprietà sono inviolabili. Art. 32. È riconosciuto il diritto di adunarsi.

I princìpi dello Statuto (il parlamento) Le prime elezioni si svolgono il 27 aprile 1848, dopo la promulgazione dello Statuto da parte del re Carlo Alberto (4 marzo) e l'emanazione del Regio editto sulla legge elettorale del 17 marzo 1848. L’elettorato poteva essere esercitato solamente dai maschi in possesso di una serie di requisiti: età non inferiore ai 25 anni, saper leggere e scrivere, pagamento di un censo di 40 lire. Al voto erano ammessi, anche non pagando l’imposta stabilita, i cittadini che rientravano in determinate categorie: magistrati, professori, ufficiali. I deputati, in numero di 204, erano eletti in altrettanti collegi uninominali. Questa normativa elettorale, parzialmente modificata nel 1859, rimane più o meno inalterata dal 1848 al 1882. Nel 1853 viene attribuito al parlamento anche la funzione ispettiva finanziaria, fondata sul riscontro di ogni spesa, determinando la conseguente responsabilità ministeriale.

Il bicameralismo, previsto perfetto, si sviluppa in realtà come «zoppo», con prevalenza politica della camera bassa. I progetti di legge potevano essere promossi dai ministri, dal governo, dai parlamentari, oltre che dal Re. Per diventare legge dovevano essere approvati nello stesso testo da entrambe le Camere, senza ordine di precedenza (a parte quelle tributarie e di bilancio che dovevano passare prima per la Camera dei deputati) e dovevano essere munite di sanzione regia. Le due Camere ed il Re rappresentavano perciò per lo Statuto i «tre poteri legislativi»: bastava che uno di essi fosse contrario e per quella sessione il progetto non poteva più essere riprodotto. Se Carlo Alberto con lo Statuto istituiva una monarchia costituzionale pura, nella quale, cioè, il governo era nominato dal re e rispondeva solo a lui, con Cavour il governo sarà indotto a cercare il sostegno politico della Camera dei deputati. Tale processo evolutivo segna il passaggio ad una monarchia costituzionale di tipo parlamentare, fondata sull'istituto della fiducia. Il delicato gioco di equilibri tra il re, il governo e il parlamento darà luogo anche a episodi di forte contrasto tra la Camera e il Senato, visto che quest'ultimo assunse un ruolo decisamente conservatore, in difesa delle prerogative reali.