LE DISCRIMINAZIONI.
Max Weber e i fattori che determinano la disuguaglianza. Weber ritiene che le fonti delle diseguaglianze e i principi fondamentali della stratificazione sociale vadano ricercati non solo nell'ambito dell'economia, ma anche nella sfera della cultura e in quella della politica. Mentre nella sfera economica gli individui si uniscono sulla base di interessi materiali comuni, formando le classi sociali, nella sfera della cultura essi seguono comuni interessi ideali e danno origine ai ceti; nella sfera politica, infine, gli individui si associano in partiti o in gruppi di potere per il controllo dell'apparato di dominio. Dunque, secondo Weber non solo la classe, ma anche il ceto e il gruppo di dominio sono fattori essenziali per la comprensione dei processi di stratificazione. Un ceto è composto da individui che hanno in comune un medesimo stile di vita (parlano in modo simile, scelgono lo stesso tipo di abbigliamento, frequentano le stesse feste, passano, per esempio, il fine settimana in barca a vela o davanti al televisore, o bevono lo stesso tipo di liquori ecc.) ed è quindi espressione del grado di partecipazione individuale al "prestigio" sociale. Secondo Weber, solo la condizione di ceto può assicurare una comune base all'agire. L'attenzione va quindi posta sui fattori anche psicologici, che determinano sia le condizioni dell'agire individuale, sia la suddivisione stessa delle persone in gruppi sociali di diverso rango e prestigio; ciò, beninteso, senza trascurare la struttura economica, che resta pur sempre la base per la comprensione della stratificazione sociale. L'elemento costitutivo dell'essere sociale non è insomma per Weber semplicemente l'appartenenza di classe, quanto piuttosto l'insieme di tradizioni, abitudini e idee che ogni individuo, quale appartenente a un ceto, si vede indicate come fondamento del proprio agire. Ciò, d'altra parte, non significa che la condizione di ceto vada pensata come indipendente da quella di classe, giacché condizione di ceto e condizione di classe stanno fra loro in un rapporto che si gioca a più livelli.
Le discriminazioni sugli anziani. Il motivo di discriminazione in base all’età riguarda le differenze di trattamento o di godimento dei diritti in ragione dell’età di una persona. Sebbene la discriminazione fondata sull’età di per sé non rientri nell’àmbito di un particolare diritto riconosciuto nella Convenzione Europea dei diritti, questioni legate alla discriminazione fondata sull’età possono emergere nel contesto di diversi diritti. Nel 2000 l’Unione Europea ha adottato una Direttiva che proibisce le discriminazioni sul posto di lavoro basate sull’origine etnica e sulla razza, sulla religione o credenza, sulla disabilità, sull’età o sull’orientamento sessuale. La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (articolo 21) ha impresso un impulso importante verso la qualificazione del principio di discriminazione in base all’età, quale vero e proprio diritto fondamentale. Le discriminazioni in base all’età riguardano principalmente i giovani e gli anziani. Il processo di invecchiamento è in progressivo aumento e ciò sta cambiando la struttura della società italiana, per cui le politiche di pari opportunità devono necessariamente tener in debita considerazione questo aspetto, poiché gli anziani costituiscono una fetta rilevante della società italiana non solo dal punto di vista numerico, ma anche da quello del grande contributo che essi possono ancora apportare alla crescita economica e sociale del Paese. Gli anziani e i giovani rappresentano per il nostro Paese un patrimonio di risorse umane e professionali da valorizzare per lo sviluppo della società italiana. È compito delle Istituzioni rimuovere ogni fattore strutturale che possa determinare una loro esclusione o discriminazione, sia diretta che indiretta, dovuta alla condizione di maggiore vulnerabilità in cui si trovano a causa dell’età. Sinora il dibattito politico si è concentrato sul prolungamento della vita lavorativa dei lavoratori anziani, al fine di metterli in condizione di raggiungere l’età pensionabile. Al momento prevale l’approccio che estendere l’età lavorativa significa mantenere lo status quo di questa categoria di lavoratori. Si profila invece la necessità di attuare politiche del lavoro che siano centrate sulla realizzazione di sistemi innovativi nell’organizzazione aziendale, capaci di costruire un sistema di opportunità per tutti: giovani e anziani. Le discriminazioni indirette obbligano invece il datore di lavoro a ignorare le differenze, anche attinenti al contenuto della prestazione, che non sono connesse immediatamente, ma soltanto indirettamente con discriminazioni dirette (come, ad esempio, le promozioni automatiche dopo un determinato periodo di lavoro effettivo che penalizzano gli eventuali periodi di astensione dal lavoro della donna per maternità). A differenza della parità di trattamento, il divieto di discriminazioni viene sancito dall’ordinamento legislativo, che rende nulle quelle clausole della contrattazione collettiva che violano tale principio.