La struttura e le decorazioni La casa dei romani La struttura e le decorazioni
La casa rispecchia la società In latino “casa” si dice domus Le case dei romani seguivano una tipologia abbastanza fissa in tutta Italia, tanto che viene detta “casa italica” Le stanze, infatti, seguivano sempre la stessa successione: ATRIO – TABLINO – PERISTILIO (quest’ultimo aggiunto in un secondo momento, dopo l’arrivo delle mode greche) In particolare l’atrio era la stanza più importante, perché qui si raccoglievano i clientes del dominus (ossia il padrone), che venivano quotidianamente per dimostrare la propria fedeltà e per ottenere una ricompensa. Più un uomo aveva “clienti” più era importante, per questo l’atrio era l’unica stanza della casa visibile dalla strada.
La casa ad ATRIO – TABLINO - PERISTILIO
Atrio e impluvium visto dalla porta d’ingresso
Spaccato di una domus
E le case del popolo? Le domus, come suggerisce il nome, erano le case del dominus, ossia del padrone, del nobile. Ma sappiamo che Roma era molto popolata e non tutti potevano permettersi una casa come quelle che abbiamo appena visto. Il popolo abitava quindi in grandi condomini, detti insulae, lo stesso termine che si usava per gli isolati, i quartieri che dividevano la città. Erano alti anche 6 o 7 piani, con molte parti in legno. Spesso infatti bruciavano, anche se c’erano leggi che proibivano di accendere fuochi dentro casa. Per questo le taverne, una sorta di fast foods andavano molto di moda.
Domus, insulae e edifici misti
Come venivano decorate le domus? Le domus erano vivacemente colorate, i muri affrescati, i pavimenti decorati con mosaici ed altri tipi di piastrellature. Solitamente, se le pareti erano molto colorate, i pavimenti a mosaico avevano motivi in bianco e nero: i romani non erano privi di gusto e non piaceva loro eccedere (almeno durante la Repubblica e se non erano degli imperatori particolarmente originali…) Il mosaico è costituito da tessere (ossia frammenti che possono essere a forma di piccoli cubi o anche irregolari) di pietre o vetro, “incassate” nella malta quando è ancora fresca. Vediamo alcuni motivi per i pavimenti:
Alcuni “quadretti” a mosaico
Un motivo piuttosto originale: l’Asàrotos oìkos
Un asarotos oikos (o, semplicemente ASAROTON) è la rappresentazione di un pavimento non spazzato, realizzata a mosaico proprio al posto del pavimento vero. L’idea di avere un’opera del genere nasceva dal desiderio, per il ricco committente (prima greco, poi romano), di vantare il suo benessere esibendo sul pavimento gli scarti dei suoi pasti… per la serie fammi vedere la tua spazzatura e ti dirò chi sei!
L’inventore di questo genere (considerato un lontanissimo antenato della natura morta) sarebbe l’artista greco Sosos. Questo particolare soggetto è visibile anche in alcuni mosaici di Roma e Aquileia. Il primo, proveniente da Vigna Lupi, Roma, e risalente al II sec. a.C. (oggi ai Musei Vaticani), mostra rifiuti sparsi sul pavimento rappresentati in maniera molto realistica, in cui ogni scarto alimentare (si riconoscono zampe di pollo, ricci di mare, gusci di frutta secca e foglie di verdura) è realizzato con grande cura e con un’ombra perfetta.
L’esempio di Aquileia, databile al I sec. a. C L’esempio di Aquileia, databile al I sec. a.C., mostra lische di pesce, molluschi, frutta ed elementi vegetali. Anche in questo caso la fattura è di altissimo livello e la precisione del dettaglio quasi fotorealistica!
Forse la riproduzione di un quadro greco?
Opus sectile Chi era VERAMENTE RICCO aveva tuttavia pavimenti realizzati interamente con grossi frammenti di marmo pregiato, incastonati a formare dei motivi anche molto complicati come questi:
Opus sectile
E le pareti? I romani amavano molto anche i dipinti su muro, che realizzavano con una tecnica particolare, diversa da quella cui siamo abituati. Noi infatti chiamiamo i dipinti su muro “affreschi”, perché sono realizzati “a fresco”, ossia prima che l’intonaco asciughi. I romani non conoscevano questa tecnica, ma facevano aderire il colore al muro mescolando insieme al colore stesso la cera calda: tale tecnica si chiama ”encausto”. A volte passavano anche la cera liquida sul dipinto finito in modo che diventasse lucido: questa tecnica si chiama “encausticare”. Tutte le pitture parietali romane sono state classificate (un po’ a forza, a dire il vero) in quattro stili, basandosi sui rinvenimenti di Pompei.
Primo stile: finti marmi (200-90 a.C.)
Secondo stile: finte architetture (90 a.C.-20 d.C.)
Terzo stile: ornamentale (20 a.C.-50 d.C.)
Quarto stile: “fantastico” (50 d.C. - fine I sec. d.C.)
Nature morte e ritratti del Fayyum
La Villa dei Misteri, Pompei
La Villa dei Misteri, Pompei
La Villa dei Misteri, Pompei