Giovanni Pascoli
La vita Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna. All’età di dieci anni entrò in collegio per continuare gli studi; qui lo raggiunse la notizia della morte del padre. Il fratello maggiore si prese cura della famiglia e Giovanni, con molti sacrifici, poté terminare gli studi liceali e iscriversi alla facoltà di Lettere a Bologna. Dopo la laurea, si dedicò all’insegnamento e iniziò a pubblicare le sue poesie. Divenuto professore universitario, si riunì alle sorelle minori Maria e Ida nel tentativo di ricostruire il nido familiare, ma, dopo il matrimonio della seconda, Pascoli decise di ritirarsi a Castelvecchio con solo la sorella Maria, unica a restargli fedele fino all’ultimo.
La poetica il fanciullino La poetica di Pascoli non è affidata ad un unico saggio; un ruolo centrale è svolto dal saggio intitolato “Il fanciullino”, che è formato da venti brevi capitoli in cui Pascoli dichiara la sua idea di poesia. Tipicamente pascoliana è l’immagine dell’infanzia come momento intatto, non toccato dal male, immune dalle sofferenze, come età della perfetta innocenza, un paradiso perduto. 3
Carattere alogico della poesia Il poeta coincide con il fanciullo che è in ognuno di noi. Però quando noi cresciamo lui resta piccolo e noi non lo ascoltiamo più. Il poeta è quindi solo chi sa ascoltare il fanciullino che è in lui. È grazie a lui che vediamo cose a cui non badiamo di solito. Inevitabilmente la poesia deve risultare alogica: gli stupori, le meraviglie, le paure, il parlare ai sassi, alle stelle, alle nuvole, qui sta il segreto della poesia. 4
La scoperta degli oggetti e nuovi soggetti Il poeta oltre che un fanciullo ingenuo che diventa piccolo per vedere, cresce per poter ammirare, creare certe analogie e associazioni di immagini. Il termine “scoprire” è un verbo chiave nella poetica di Pascoli, per lui la poesia non si inventa ma la scopre il fanciullino. «Non averla trovata fu difetto non di poesia nelle cose, ma di vista negli occhi», poiché «poesia è trovare nelle cose […] il loro sorriso e la loro lacrima». Questo comporta ciò che è stato definito un “allargamento del poetabile”. I protagonisti delle poesie sono la campagna con le sue umili fatiche, gli attrezzi di lavoro.
La negazione della retorica Pascoli identifica il poeta come un uomo ingenuo che segue il fanciullino che è in lui, quindi il poeta non può essere un retore che indirizza la sua poesia a un fine preciso. Viene ripudiata la tradizionale alleanza con la retorica. Per Pascoli, il poeta è definito dal suo sentimento e dalla sua visione, piuttosto che dal modo in cui vengono trasmessi l’uno e l’altro. Deve essere capace di dire le parole che tutti hanno nel cuore e in cui tutti si riconoscono. La poetica impressionistica Il poeta non deve far altro che osservare scrupolosamente la realtà e limitarsi a scriverla. «Vedere e udire: altro non deve il poeta». Critica Leopardi nella poesia Sabato del villaggio per aver messo nello stesso mazzolino di fiori viole e rose che fioriscono rispettivamente a marzo e a maggio. 6
La poetica simbolista Nel Fanciullino non è ben affrontato il trema del simbolismo, ma si nota in tutte le opere di Pascoli la fitta rete di simboli e allegorie presenti. Definisce Dante «poeta del mistero», e sostiene che nel poema dantesco vi siano «due idee per ogni parola e due rappresentazioni per ogni immagine – una presso e avanti gli occhi, l’altra più lontana, coma la ripetizione nera d’un disegno candido che abbiamo fissato a lungo». Oltre al riferimento a Dante, in queste parole c’è un rimando anche alla propria poesia, anch’essa caratterizzata dalla polisemia, dalla dialettica tra determinato e indeterminato, dal visibile e dall’invisibile. 7
Myricae Il titolo dalla prima raccolta di Pascoli Myricae, ovvero “tamerici”, si può ricavare l’idea di una poesia campagnola, che tratta temi modesti e quotidiani, legati ai lavori nei campi; è anche una poesia di lutto e di memoria, a ricordo del padre e del nido familiare. L’universo poetico di Pascoli è piuttosto povero di figure umane: o c’è l’ ”io” del poeta, oppure c’è una sorta di umanità senza uomini. I temi delle poesie costituiscono un nucleo che resta immutato mentre evolvono le strutture e i modi che lo esprimono. 8
Un’ingannevole semplicità La poesia di Myricae si propone come una poesia per l’infanzia,caratterizzata da un linguaggio comprensibile e dalla presenza di oggetti d’uso comune, di uccelli, fiori, campane. Ma analizzando le poesie più a fondo, sia sul piano del significato che su quello del significante, si capisce ciò che realmente Pascoli intendeva comunicare. La descrizione della natura non è fine a se stessa, è lo scenario su cui il poeta proietta le proprie angosce e le inquietudini, i ricordi e le paure. Gli aspetti della realtà descritti si caricano di significati simbolici.
La struttura poetica Le poesie sono brevi, come per esempio il lampo e il tuono; questa brevità inedita ci conduce a un’idea di poesia che abbandonato ogni intento di spiegare, dimostrare e raccontare, si pone come un’illuminazione, come epifania. La struttura della descrizione o narrazione di Myricae non risponde a un ordine logico, non segue scansioni temporali nette, ma procede per accostamenti, il narratore procede per analogie. Il discorso organizzato razionalmente finisce per essere sostituito dal ritmo, vale a dire la musicalità, la trama fonica. 10
Costituito da onomatopee: I linguaggi ♦ grammaticale ♦ fonosimbolico Proprio della lingua come istituto, la lingua disciplinata da un codice che si utilizza normalmente per la comunicazione Costituito da onomatopee: a cui viene dato un intento descrittivo della vita animale (gre-gre) o dei suoni dell’esperienza umana (toc-toc) semantizzate (che hanno un significato e usate con l’articolo indeterminativo o con un sostantivo qualsiasi come «un fru fru» per “fruscio”) ricavate da elementi del linguaggio e privati del loro valore grammaticale ( come «anch’io anch’io chio chio chio») ♦ Linguaggi speciali Formato da termini tecnici, attinti alle lingue speciali, ai gerghi. Utilizzati per conferire un colore locale. (per esempio linguaggi americani storpiati come business diventa «bisini».)
La metrica Pascoli ne rispetta e utilizza tutti gli istituti, che tuttavia sono resi irriconoscibili. Attraverso cesure, enjambements, puntini di sospensione, parentesi, assonanze, allitterazioni il poeta svuota e spezza il verso tradizionale. Pascoli, in produzione più tarda, non disdegna di cimentarsi nello sperimentalismo da un lato ricalcando le orme di Carducci, dall’altro riproducendo l’antico metro francese; fornendo in entrambi i casi figure metriche alternative e inedite nella tradizione italiana, ma sempre ancorate a regole fisse obbedienti a una formula rigorosamente predeterminata.
Lavandare Nel campo mezzo grigio e mezzo nero resta un aratro senza buoi che pare dimenticato, tra il vapor leggero. E cadenzato dalla gora viene lo sciabordare delle lavandare con tonfi spessi e lunghe cantilene: Il vento soffia e nevica la frasca, e tu non torni ancora al tuo paese! quando partisti, come son rimasta! come l’aratro in mezzo alla maggese 5 10
X Agosto San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade, perché si gran pianto nel concavo cielo sfavilla. Ritornava una rondine al tetto: l'uccisero: cadde tra i spini; ella aveva nel becco un insetto: la cena dei suoi rondinini. Ora è là, come in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e il suo nido è nell'ombra, che attende, che pigola sempre più piano. Anche un uomo tornava al suo nido: l'uccisero: disse: Perdono; e restò negli aperti occhi un grido: portava due bambole in dono. Ora là, nella casa romita, lo aspettano, aspettano in vano: egli immobile, attonito, addita le bambole al cielo lontano. E tu, Cielo, dall'alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh! d'un pianto di stelle lo inondi quest'atomo opaco del Male!
I poemetti Di carattere narrativo, con il metro narrativo del poema dantesco: terzina a rima incatenata. I singoli componimenti sono divisi in sezioni, indicate con numeri romani, di diversa estensione, per scandire i diversi momenti della narrativa. I temi restano la campagna e la vita a agricola, ma al paesaggio della Romagna subentra ora quella della Garfagnana in cui è ambientato una sorta di “romanzo georgico”. Diverso da Myricae è l’intento del poeta di nobilitare attività e personaggi dell’umile realtà campestre trasferendoli in una dimensione epica che in qualche modo li trasfigura. Omero, Esiodo e Virgilio vengono citati con le loro formule, impiegate per gli antichi eroi, a indicare semplici fanciulle o modesti oggetti di un mondo rurale. Tra i Poemetti non mancano quelli che esulano dal mondo campestre per affrontare temi più inquietanti: dal senso del mistero e di smarrimento nel cosmo ai presagi di morte, o al recupero dell’infanzia con i ricordi.
invisibile, là, come il pensiero... Il libro I I Sopra il leggìo di quercia è nell'altana, aperto, il libro. Quella quercia ancora, esercitata dalla tramontana, viveva nella sua selva sonora; e quel libro era antico. Eccolo: aperto, sembra che ascolti il tarlo che lavora. E sembra ch'uno (donde mai? non, certo, dal tremulo uscio, cui tentenna il vento delle montagne e il vento del deserto, sorti d'un tratto...) sia venuto, e lento sfogli - se n'ode il crepitar leggiero - le carte. E l'uomo non vedo io: lo sento, invisibile, là, come il pensiero...
pagine, e torna ad inseguire il vero. II Un uomo è là, che sfoglia dalla prima carta all'estrema, rapido, e pian piano va, dall'estrema, a ritrovar la prima. E poi nell'ira del cercar suo vano volta i fragili fogli a venti, a trenta, a cento, con l'impazïente mano. E poi li volge a uno a uno, lenta- mente, esitando; ma via via più forte, più presto, i fogli contro i fogli avventa. Sosta... Trovò? Non gemono le porte più, tutto oscilla in un silenzio austero. Legge?... Un istante; e volta le contorte pagine, e torna ad inseguire il vero.
sotto le stelle, il libro del mistero. III E sfoglia ancora; al vespro, che da nere nubi rosseggia; tra un errar di tuoni, tra un alïare come di chimere. E sfoglia ancora, mentre i padiglioni tumidi al vento l'ombra tende, e viene con le deserte costellazïoni la sacra notte. Ancora e sempre: bene io n'odo il crepito arido tra canti lunghi nel cielo come di sirene. Sempre. Io lo sento, tra le voci erranti, invisibile, là, come il pensiero, che sfoglia, avanti indietro, indietro avanti, sotto le stelle, il libro del mistero.
I canti di Castelvecchio I canti di Castelvecchio sono in continuità con la prima raccolta: «Crescano e fioriscano intorno all’antica tomba della mia giovine madre queste myricae […] autunnali» Con la formula che si ripete identica a quella dedicata al padre: «E sulla tomba di mia madre rimangono questi altri canti! Canti d’uccelli anche questi». Anche i temi non differiscono: sono presenti ancora le immagini della vita di campagna, gli uccelli con i loro canti, gli alberi, i fiori e il suono delle campane.
Un accentuato simbolismo Nei canti di Castelvecchio si intensifica il simbolismo e si accentua il fonosimbolismo. Si acuisce il senso angoscioso dell’ignoto e si fanno ossessivi il motivo della tragedia familiare e quindi il tema del “nido”, cari morti, delle memorie. Sul tema del mondo esterno che minaccia il microcosmo del poeta e il suo “nido”, i Canti presentano il rifugio campestre come un territorio rassicurante e protetto. L’ordine con cui sono disposte le poesie è legato al succedersi delle stagioni.
La mia sera Il giorno fu pieno di lampi; ma ora verranno le stelle, le tacite stelle. Nei campi c'è un breve gre gre di ranelle. Le tremule foglie dei pioppi trascorre una gioia leggiera. Nel giorno, che lampi! che scoppi! Che pace, la sera! Si devono aprire le stelle nel cielo sì tenero e vivo. Là, presso le allegre ranelle, singhiozza monotono un rivo. Di tutto quel cupo tumulto, di tutta quell'aspra bufera, non resta che un dolce singulto nell'umida sera.
E', quella infinita tempesta, finita in un rivo canoro E', quella infinita tempesta, finita in un rivo canoro. Dei fulmini fragili restano cirri di porpora e d'oro. O stanco dolore, riposa! La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa nell'ultima sera. Che voli di rondini intorno! Che gridi nell'aria serena! La fame del povero giorno prolunga la garrula cena. La parte, sì piccola, i nidi nel giorno non l'ebbero intera. Nè io ... che voli, che gridi, mia limpida sera! Don ... Don ... E mi dicono, Dormi! mi cantano, Dormi! sussurrano, Dormi! bisbigliano, Dormi! là, voci di tenebra azzurra ... Mi sembrano canti di culla, che fanno ch'io torni com'era ... sentivo mia madre ... poi nulla ... sul far della sera.
I poemi conviviali Raccolta di venti poemetti, quasi sempre in endecasillabi sciolti, di argomento classico e mitologico e di elaborata lavorazione. Non si è più nello stesso ambito di Myricae come ci fa notare il motto prescelto per questa raccolta: «non a tutti piacciono gli arbusti» Gli spunti tematici derivano della letteratura greca e latina: Omero, Esiodo e Platone sono gli autori richiamati più spesso nei poemetti. La descrizione degli ambienti o di certe scene di vita antica è decorativa, i nomi nella loro lingua originaria e non in quella comune. Il mito antico viene rivisitato con spirito moderno: quello di un uomo del novecento che si serve del passato, da Odisseo a Calipso, da Alessandro a Achille, per parlare di sé e del proprio rapporto critico e conflittuale con la realtà, con gli altri e con il proprio tempo.
Altre raccolte poetiche Celebrazione del rinascimento e del patriottismo in Odi e inni (1906), Poemi italici (1911), Poemi del risorgimento (1906-incompiti) dove Pascoli propone figure ed episodi eroici, esaltando Mazzini e Garibaldi accanto a grandi musicisti (Rossini), sovrani (Umberto I), nell’intento di mitizzare la storia. Meno autentico nell’uso della retorica e nell’intento celebrativo; la debolezza e l’estraneità dell’ispirazione epica che avrebbero dovuto sostenere queste poesie risulta poco convincente. I Carmina, comprendono trenta poemetti e settantuno componimenti più brevi. Tutti di argomento romano; scritti tra il 1885 e il 1911. Scritti in latino, richiamano l’attrazione di Pascoli «per una lingua già registrata in qualche luogo ideale ma sottratta all’uso quotidiano», «una lingua che più non sia», che non è altro che un lingua morta: il problema della morte delle parole angoscia il poeta come la morte delle creature. Si rivolge a un pubblico colto in grado di apprezzare l’intera conoscenza del mondo classico.
Gli scritti in prosa l'esegesi dantesca L’attività di insegnante universitario e di studioso di Pascoli si è tradotta in una serie di saggi critici su temi, autori della letteratura raccolti con altre prose in Miei pensieri di varia umanità (1903) e in Pensieri e discorsi (1907). l'esegesi dantesca Pascoli scrive tre volumi di esegesi dantesca: Minerva oscura (1898), Sotto il velame (1900), La mirabile visione (1902), in cui propone la sua interpretazione allegorica della Commedia come un processo di ricerca e di riacquisizione della libertà interiore e della giustizia in una società malvagia. Pascoli interpreta il testo dantesco come una parabola di vita, morte e rinascita.
I saggi politici e civili Saggi legati a interventi politici e civili: l’era nuova (1899): discorso è rivolto ai “poeti dell’avvenire” a cui è affidato il compito di stabilire la religione dell’umanità. La grande proletaria si è mossa (1911): accanto al tema della nazione compare il lessico di ascendenza socialista. Nel discorso è riconoscibile una sorta di allargamento del “nido” familiare alla nazione la cui lacerazione è prodotta dall’emigrazione. Le antologie Le antologie scolastiche mirate a un insegnamento più vivo della letteratura. Lyra romana (1895) ed Epos (1897) sono due antologie della letteratura latina, una dedicata alla poesia lirica, l’altra a quella epica. Sul limitare (1899) e Fior fiore (1900) sono due antologie italiane che non hanno solo un impiego scolastico ma anche quello della critica letteraria.