Libertà di culto pubblico

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Libertà di culto pubblico Edifici di culto - Moschee

Art. 19 Cost. (estratto) Tutti hanno diritto… di esercitarne in privato o in pubblico il culto… L’esercizio del culto pubblico necessita di luoghi Gli edifici di culto

Art. 831, II co., c.c. Gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che li riguardano

Accordo 1984 Art. 5 Gli edifici aperti al culto non possono essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con la competente autorità ecclesiastica. Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l’esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica. L’autorità civile terrà conto delle esigenze religiose delle popolazioni, fatte presenti dalla competente autorità ecclesiastica, per quanto concerne la costruzione di nuovi edifici di culto cattolico e delle pertinenti opere parrocchiali

Intesa A.D.I. Art 11. 1. Gli edifici aperti al culto pubblico delle chiese associate alle ADI non possono essere occupati, requisiti, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con il presidente delle ADI.  2. La forza pubblica, salvo casi di urgente necessità, non può entrare negli edifici aperti al culto pubblico per l'esercizio delle proprie funzioni, senza previo avviso ai ministri delle singole chiese.

Intesa Avventisti Art. 16. 1. Gli edifici aperti al culto pubblico avventista non possono essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con l'Unione delle Chiese cristiane avventiste.  2. Salvi i casi di urgente necessità, la forza pubblica non può entrare, per l'esercizio delle sue funzioni, in tali edifici senza averne dato previo avviso e preso accordi con il ministro di culto responsabile dell'edificio.  3. L'autorità civile tiene conto delle esigenze religiose delle popolazioni fatte presenti dall'Unione per quanto concerne la costruzione di nuovi edifici di culto avventisti.

Intesa Ebrei Art 15. 1. Gli edifici destinati all'esercizio pubblico del culto ebraico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione, neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata con il consenso della Comunità competente o dell'Unione.  2. Tali edifici non possono essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con l'Unione.  3. Salvi i casi di urgente necessità, la forza pubblica non può entrare per l'esercizio delle sue funzioni in tali edifici senza previo avviso e presi accordi con la Comunità competente.

Intesa Battisti Art 17. Tutela degli edifici di culto. 1. Gli edifici aperti al culto pubblico da parte delle Chiese aventi parte nell'UCEBI non possono essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con l'UCEBI.  2. Salvi i casi di urgente necessità, la forza pubblica non può entrare, per l'esercizio delle sue funzioni, in tali edifici senza aver preso accordi con i ministri delle singole Chiese.

Intesa Luterani Art. 14. Tutela degli edifici di culto. 1. Gli edifici aperti al culto pubblico della CELI e delle sue Comunità, nonché le loro pertinenze, non possono essere occupati, requisiti, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo del decano della CELI e dell'organo responsabile della sua Comunità interessata.  2. Salvi i casi di urgente necessità, la forza pubblica non può entrare, per l'esercizio delle sue funzioni, in tali edifici senza averne dato previo avviso e preso accordi con il ministro di culto responsabile dell'edificio.  3. Lo Stato italiano prende atto che le attività di culto della CELI possono svolgersi anche al di fuori delle chiese della CELI e delle Comunità.

Intesa Ortodossi Art. 11 Edifici di culto 1. Gli edifici aperti al culto pubblico dell'Arcidiocesi non possono essere occupati, requisiti, espropriati o demoliti se non per gravi motivi e previo accordo con la medesima Arcidiocesi. 2. Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non può entrare per l'esercizio delle sue funzioni negli edifici aperti al culto pubblico, senza avere dato previo avviso e preso accordi con l'Arcidiocesi. 3. Agli edifici di culto e alle relative pertinenze si applicano le norme vigenti in materia di esenzioni, agevolazioni tributarie, contributi e concessioni. 4. L'autorità civile tiene conto delle esigenze religiose fatte presenti dall'Arcidiocesi per quanto concerne la costruzione di nuovi edifici di culto. 5. Ove possibile, possono essere previste nei cimiteri aree riservate ai sensi della vigente normativa.

Intesa Mormoni Art. 15 Tutela degli edifici di culto 1. Gli edifici aperti al culto pubblico della Chiesa, nonche' le loro pertinenze, non possono essere occupati, requisiti, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con la competente autorita' della Chiesa. 2. Salvi i casi di urgente necessita', la forza pubblica non puo' entrare negli edifici di cui al comma 1 per l'esercizio delle sue funzioni, senza averne dato previo avviso e preso accordi con il ministro della Chiesa responsabile dell'edificio. 3. Lo Stato prende atto che le attivita' di culto della Chiesa possono svolgersi anche al di fuori degli edifici di culto della Chiesa. 4. L'autorita' civile tiene conto delle esigenze religiose delle popolazioni fatte presenti dalla Chiesa per quanto concerne la costruzione di nuovi edifici di culto. Ad essi e alle relative pertinenze si applicano l'articolo 17, comma 3, lettera c), del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, nonche' le norme vigenti in materia di esenzioni, agevolazioni anche tributarie, contributi e concessioni.

Chiesa Apostolica Art. 14 Tutela degli edifici di culto 1. Gli edifici aperti al culto pubblico della Chiesa apostolica in Italia non possono essere occupati, requisiti, espropriati o demoliti, se non per gravi ragioni, e previo accordo col Consiglio nazionale della Chiesa apostolica in Italia. 2. Salvi i casi di urgente necessita', la forza pubblica non puo' entrare, per l'esercizio delle sue funzioni, negli edifici di cui al comma 1 senza aver preso accordi con i ministri delle singole chiese. 3. Agli edifici di culto e alle rispettive pertinenze si applicano le norme vigenti in materia di esenzioni, agevolazioni tributarie, contributi e concessioni.

Intesa Buddisti Art. 16 Tutela degli edifici di culto 1. Gli edifici aperti al culto pubblico buddhista, di cui l'UBI tiene apposito elenco trasmesso alle competenti autorita', non possono essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni, previo accordo con l'UBI. 2. Salvi i casi di urgente necessita', la forza pubblica non puo' entrare, per l'esercizio delle sue funzioni, in tali edifici senza averne dato previo avviso e aver preso accordi con il legale rappresentante responsabile del centro cui appartiene l'edificio.

Intesa Induisti Art. 17 Tutela degli edifici di culto 1. Gli edifici aperti al culto pubblico induista, di cui l'UII tiene apposito elenco trasmesso alle competenti autorita', non possono essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni, previo accordo con l'UII. 2. Salvi i casi di urgente necessita', la forza pubblica non puo' entrare, per l'esercizio delle sue funzioni, negli edifici di cui al comma 1 senza averne dato previo avviso ed aver preso accordi con il legale rappresentante responsabile del centro cui appartiene l'edificio.

Intesa Soka Gakkai Art. 8 Edifici di culto 1. Gli edifici dell'IBISG aperti al culto pubblico non possono essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con l'Istituto. 2. Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non può entrare, per l'esercizio delle sue funzioni, negli edifici di cui al comma 1, senza averne dato previo avviso e preso accordi con il ministro di culto responsabile dell'edificio. 3. Le affissioni e la distribuzione di pubblicazioni e stampati relativi alla vita religiosa e alla missione dell'IBISG, effettuate all'interno e all'ingresso degli edifici di culto di cui al comma 1 e delle loro pertinenze, nonché le collette raccolte nei predetti luoghi, continuano ad essere effettuate senza autorizzazione ne' ingerenza da parte degli organi dello Stato e ad essere esenti da qualsiasi tributo. 4. Le competenti autorità dell'IBISG informano la Prefettura - Ufficio territoriale del Governo competente dell'esistenza di edifici di culto dell'Istituto medesimo nel territorio provinciale, indicando gli spazi specificamente dedicati al culto ed eventuali variazioni che si determinino. 5. L'autorità civile tiene conto delle esigenze religiose delle popolazioni fatte presenti dall'IBISG per quanto concerne la costruzione di nuovi edifici di culto dell'Istituto.

Pertinenze Cosa sono le «pertinenze» dei luoghi di culto? Per quanto riguarda le chiese cattoliche, sono considerate pertinenze il campanile, la sacrestia, la casa del parroco, tutti i locali funzionali all’attività di culto come l’oratorio, le sale per catechismo, riunioni, attività culturali, anche le palestre… Quali sono le pertinenze degli edifici di culto acattolici?

Esigenze religiose della popolazione Art. 117, II co., c) Cost.: Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: ….. c) Rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose L’urbanistica e l’edilizia sono materie di competenza regionale L’edilizia di culto è perciò materia di competenza regionale

Edilizia religiosa e conflitto I cambiamenti religiosi avvengono in contesti che in passato si caratterizzavano per una certa omogeneità culturale e religiosa, determinando anche modificazioni al panorama architettonico Talvolta anche solo la richiesta di poter edificare un luogo di culto di una religione considerata estranea al patrimonio culturale di una determinata realtà diventa motivo di diffidenza e ostilità, che nel caso dell’islam spesso sfocia nel conflitto. In particolar modo, suscita ostilità la richiesta dei fedeli musulmani di costruire moschee o minareti. Chi si oppone lo fa in nome di una identità culturale che nelle città europee si sarebbe costruita intorno alla chiesa e al campanile

Qual è l’identità culturale italiana?

Roma – Il foro romano Basiliche cristiane accanto ai monumenti «pagani»

ROMA Isola Tiberina. Basilica di San Bartolomeo e Cupola del Tempio Maggiore

ROMA La grande moschea

La possibilità di edificare uno spazio nel quale esercitare liberamente il culto, in forma collettiva o individuale, è strettamente legata all’esercizio della libertà religiosa, come leggiamo anche all’art. 9 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, e come è stato ricordato dalla Corte di Strasburgo, con la sentenza Mannousakis ed altri c. Grecia del 1996. Eppure la legislazione di alcuni Paesi limita fortemente tale libertà. Caso Svizzero, dove con un referendum del 2009, approvato da quasi il 60% dei votanti, si è introdotta nella costituzione federale una norma che vieta la costruzione di minareti

Swiss Federal Constitution Art. 72 Church and state 1. The regulation of the relationship between the church and the state is the responsibility of the Cantons. 2. The Confederation and the Cantons may within the scope of their powers take measures to preserve public peace between the members of different religious communities. 3. The construction of minarets is prohibited

Le leggi regionali in materia di edilizia di culto Alcune Regioni hanno previsto dei criteri discriminatori per l’individuazione dei soggetti confessionali destinatari dei contributi regionali per la costruzione di edifici di culto. La L.R. Abruzzo n. 29 del 1988 riservava tali contributi solo alla Chiesa Cattolica e alle confessioni che avessero stipulato un’intesa con lo Stato Legge dichiarata incostituzionale con la sentenza 27/4/1993, n. 195

Sent. Corte Cost. n. 195/1993 L’intervento dei pubblici poteri nel campo dell’edilizia di culto è giustificato dal principio di laicità che  "implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale" (cfr. sent. n. 203 del 1989).  La posizione delle confessioni religiose va presa in considerazione in quanto preordinata alla soddisfazione dei bisogni religiosi dei cittadini,  In questa prospettiva tutte le confessioni religiose sono idonee a rappresentare gli interessi religiosi dei loro appartenenti. L'aver stipulato l'intesa prevista dall'art. 8, terzo comma, della Costituzione per regolare in modo speciale i rapporti con lo Stato non può quindi costituire l'elemento di discriminazione nell'applicazione di una disciplina, posta da una legge comune, volta ad agevolare l'esercizio di un diritto di libertà dei cittadini.

Resta fermo che per l'ammissione ai benefici sopra descritti non può bastare che il richiedente si autoqualifichi come confessione religiosa. Nulla quaestio quando sussista un'intesa con lo Stato. In mancanza di questa, la natura di confessione potrà risultare anche da precedenti riconoscimenti pubblici, dallo statuto che ne esprima chiaramente i caratteri, o comunque dalla comune considerazione.  Ferma restando quindi la natura di confessione religiosa, l'attribuzione dei contributi previsti dalla legge per gli edifici destinati al culto rimane condizionata soltanto alla consistenza ed incidenza sociale della confessione richiedente e all'accettazione da parte della medesima delle relative condizioni e vincoli di destinazione.

Nuovi interventi della Corte L.R. Lombardia n. 20 del 1992 Anche questa legge, nonostante la sentenza n. 195/1993, limitava l’erogazione dei contributi regionali per l’edilizia di culto alle confessioni religiose con intesa Nuovo intervento della Corte Costituzionale: sentenza n. 346 del 2002

Sent. Corte Cost. n. 346 del 2002 Le intese di cui all’art. 8, terzo comma, sono infatti lo strumento previsto dalla Costituzione per la regolazione dei rapporti delle confessioni religiose con lo Stato per gli aspetti che si collegano alle specificità delle singole confessioni o che richiedono deroghe al diritto comune: non sono e non possono essere, invece, una condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni per usufruire della libertà di organizzazione e di azione, loro garantita dal primo e dal secondo comma dello stesso art. 8, né per usufruire di norme di favore riguardanti le confessioni religiose.

Le norme regionali e le moschee L.R. Lombardia n. 12/2005, modificata da L. n.2/2015 La legge all’art. 70 individua tre tipi di destinatari dei contributi regionali: enti della Chiesa Cattolica, enti delle confessioni con intesa, enti delle confessioni senza intesa. Per questi ultimi è previsto però un controllo ulteriore

solo a condizione che sussistano i seguenti requisiti: «a) presenza diffusa, organizzata e consistente a livello territoriale e un significativo insediamento nell’ambito del comune nel quale vengono effettuati gli interventi disciplinati dal presente capo; b) i relativi statuti esprim[a]no il carattere religioso delle loro finalità istituzionali e il rispetto dei principi e dei valori della Costituzione» (art. 70, comma 2 bis). In virtù del comma 2-quater dell’art. 70, la valutazione di tali requisiti è obbligatoriamente rimessa al vaglio preventivo, ancorché non vincolante, di una consulta regionale, da istituirsi e nominarsi con provvedimento della Giunta regionale della Lombardia. 

Sent. Corte Cost. n. 63 del 2016 Il libero esercizio del culto è un aspetto essenziale della libertà di religione (art. 19) ed è, pertanto, riconosciuto egualmente a tutti e a tutte le confessioni religiose (art. 8, primo e secondo comma), a prescindere dalla stipulazione di una intesa con lo Stato. Come questa Corte ha recentemente ribadito, altro è la libertà religiosa, garantita a tutti senza distinzioni, altro è il regime pattizio (artt. 7 e 8, terzo comma, Cost.), che si basa sulla «concorde volontà» del Governo e delle confessioni religiose di regolare specifici aspetti del rapporto di queste ultime con l’ordinamento giuridico statale (sentenza n. 52 del 2016). Data l’ampia discrezionalità politica del Governo in materia, il concordato o l’intesa non possono costituire condicio sine qua non per l’esercizio della libertà religiosa; gli accordi bilaterali sono piuttosto finalizzati al soddisfacimento di «esigenze specifiche di ciascuna delle confessioni religiose (sentenza n. 235 del 1997), ovvero a concedere loro particolari vantaggi o eventualmente a imporre loro particolari limitazioni (sentenza n. 59 del 1958), ovvero ancora a dare rilevanza, nell’ordinamento, a specifici atti propri della confessione religiosa» (sentenza n. 52 del 2016).

 L’apertura di luoghi di culto, in quanto forma e condizione essenziale per il pubblico esercizio dello stesso, ricade nella tutela garantita dall’art. 19 Cost., il quale riconosce a tutti il diritto di professare la propria fede religiosa, in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato o in pubblico il culto, con il solo limite dei riti contrari al buon costume. L’esercizio della libertà di aprire luoghi di culto, pertanto, non può essere condizionato a una previa regolazione pattizia, ai sensi degli artt. 7 e 8, terzo comma, Cost.: regolazione che può ritenersi necessaria solo se e in quanto a determinati atti di culto vogliano riconnettersi particolari effetti civili (sentenza n. 59 del 1958).

Più in particolare, nell’esaminare questioni in parte simili alle odierne, questa Corte ha già affermato che, in materia di edilizia di culto, «tutte le confessioni religiose sono idonee a rappresentare gli interessi religiosi dei loro appartenenti» e la previa stipulazione di un’intesa non può costituire «l’elemento di discriminazione nell’applicazione di una disciplina, posta da una legge comune, volta ad agevolare l’esercizio di un diritto di libertà dei cittadini», pena la violazione del principio affermato nel primo comma dell’art. 8 Cost., oltre che nell’art. 19 Cost. (sentenza n. 195 del 1993). Al riguardo, vale il divieto di discriminazione, sancito in generale dall’art. 3 Cost. e ribadito, per quanto qui specificamente interessa, dagli artt. 8, primo comma, 19 e 20 Cost.; e ciò anche per assicurare «l’eguaglianza dei singoli nel godimento effettivo della libertà di culto, di cui l’eguale libertà delle confessioni di organizzarsi e di operare rappresenta la proiezione necessaria sul piano comunitario» (sentenza n. 346 del 2002).

Ciò non vuol dire – come ha chiarito la stessa giurisprudenza già citata e come si dirà ancora più avanti – che a tutte le confessioni debba assicurarsi un’eguale porzione dei contributi o degli spazi disponibili: come è naturale allorché si distribuiscano utilità limitate, quali le sovvenzioni pubbliche o la facoltà di consumare suolo, si dovranno valutare tutti i pertinenti interessi pubblici e si dovrà dare adeguato rilievo all’entità della presenza sul territorio dell’una o dell’altra confessione, alla rispettiva consistenza e incidenza sociale e alle esigenze di culto riscontrate nella popolazione.

Sent. Corte Cost. n. 67 del 2017 Questione di legittimità costituzionale della L. Veneto 12 aprile 2016, n. 12 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” Nella giurisprudenza costituzionale è ormai consolidato il principio per cui la libertà religiosa, di cui quella di culto costituisce un aspetto essenziale (artt. 19 e 20 Cost.), non può essere subordinata alla stipulazione di intese con lo Stato da parte delle confessioni religiose (da ultimo, sentenze n. 63 e n.52 del 2016).

L’ordinamento repubblicano è contraddistinto dal principio di laicità, da intendersi, secondo l’accezione che la giurisprudenza costituzionale ne ha dato (sentenze n. 63 del 2016, n. 508 del 2000, n. 329 del 1997, n. 440 del 1995, n. 203 del 1989), non come indifferenza dello Stato di fronte all’esperienza religiosa, bensì come tutela del pluralismo, a sostegno della massima espansione della libertà di tutti, secondo criteri di imparzialità. Ciò non esclude la possibilità che lo Stato regoli bilateralmente, e dunque in modo differenziato, i rapporti con le singole confessioni religiose, come previsto dagli artt. 7 e 8 Cost., per il soddisfacimento di esigenze specifiche, ovvero per concedere particolari vantaggi o imporre particolari limitazioni, o ancora per dare rilevanza, nell’ordinamento dello Stato, a specifici atti propri della confessione religiosa (da ultimo, sentenze n. 52 e n. 63 del 2016).

Ciò che al legislatore (nazionale e regionale) non è consentito è «operare discriminazioni tra confessioni religiose in base alla sola circostanza che esse abbiano o non abbiamo regolato i loro rapporti con lo Stato tramite accordi o intese» (sentenza n. 52 del 2016). Come questa Corte ha recentemente affermato, «altro è la libertà religiosa, garantita a tutti senza distinzioni, altro è il regime pattizio» (sentenza n. 63 del 2016, con richiamo alla sentenza n. 52 del 2016). Altresì consolidato è il principio per cui la disponibilità di spazi adeguati ove «rendere concretamente possibile, o comunque […] facilitare, le attività di culto» (sentenza n. 195 del 1993) rientra nella tutela di cui all’art. 19 Cost., il quale riconosce a tutti il diritto di professare la propria fede religiosa, in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in pubblico o in privato il culto, con il solo limite dei riti contrari al buon costume (sentenza n. 63 del 2016).

una disposizione, come quella prevista dal secondo periodo del citato comma 3, che consente all’amministrazione di esigere, tra i requisiti per la stipulazione della convenzione urbanistica, «l’impegno ad utilizzare la lingua italiana per tutte le attività svolte nelle attrezzature di interesse comune per servizi religiosi, che non siano strettamente connesse alle pratiche rituali di culto» risulta palesemente irragionevole in quanto incongrua sia rispetto alla finalità perseguita dalla normativa regionale in generale – volta a introdurre «Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio» –, sia rispetto alla finalità perseguita dalla disposizione censurata in particolare – diretta alla «Realizzazione e pianificazione delle attrezzature di interesse comune per servizi religiosi».

A fronte dell’importanza della lingua quale «elemento di identità individuale e collettiva» (da ultimo, sentenza n. 42 del 2017), veicolo di trasmissione di cultura ed espressione della dimensione relazionale della personalità umana, appare evidente il vizio di una disposizione regionale, come quella impugnata, che si presta a determinare ampie limitazioni di diritti fondamentali della persona di rilievo costituzionale, in difetto di un rapporto chiaro di stretta strumentalità e proporzionalità rispetto ad altri interessi costituzionalmente rilevanti, ricompresi nel perimetro delle attribuzioni regionali.