un processo antropologico liminale Pietro disse: «Signore, se il mio fratello pecca contro di me, quante volte gli dovrò perdonare? Fino a sette volte?» Gesù rispose: «Io non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.» Matteo 18:21-22 IL PERDONO TERAPEUTICO, un processo antropologico liminale Prof Carluccio Bonesso Trieste, Clinica Psichiatrica, 05/03/2012 Rembrandt
L’interazione è il dato originale che include la relazione e l’azione. coerenza RELAZIONE AZIONE feedback
Assioma dell’interazione Non vi è azione senza relazione e la relazione precede l’azione, fra relazione ed azione vi è un rapporto di coerenza e feedback. La loro distinzione è puramente epistemologica, essendo ambedue manifestazione della sovraordinata (rapporto simil-quantistico)
Un vizio tutto occidentale Alla semplice domanda (malposta) di cosa stiamo facendo, la risposta sarà sempre un verbo attivo! “Stiamo parlando, camminando, respirando, ecc, ecc.” dimenticando, anzi rimuovendo, il setting relazionale. La risposta esatta sarebbe: “Stiamo dentro una relazione di dialogo”, oppure “Stiamo interagendo attraverso il dialogo” ecc, ecc …
Ritornare al dato originale I fisici quando affrontano lo studio della materia e dell’energia, parlano di: interazione gravitazionale da cui dipende il peso; interazione elettromagnetica che genera il campo elettromagnetico; interazione forte, la quale tiene insieme importanti particelle subatomiche; interazione debole che ha per vettori i bosoni.
Biologi ed etologi parlano delle interazioni vegetali ed animali. Gli antropologi da sempre hanno per oggetto l’interazione umana. In psicologia il termine è pressoché assente, dimenticando che la psiche presiede alla funzione di mediazione fra individuo e realtà, fra uomo e se stesso!
Modello di flusso dell’interazione umana AMBIENTE ESTERNO CORPO OMEOSTASI MEMORIA B I U S M O A G N N I I emozioni, passioni, atteggiamenti motivazione
Emozione: modello di flusso INPUT (di soglia e specifico) VALUTAZIONE (istinto, scripts, pensabilità) ATTIVAZIONE stereotipata OUTPUT stereotipato
Input: è tutto ciò che supera la soglia di reazione dell’emotività di base. Valutazione: è l’azione del riconoscere la natura dell’input in rapporto al bisogno. Attivazione: è la messa in atto del sistema corporeo per la risposta. Output, l’azione di risposta all’input, scelta dalla valutazione, preparata e resa disponibile dall’attivazione. L’output a sua volta diventa input d’un ulteriore sentire, cioè feedback e apprendimento.
L a struttura dell’emozione è composta da: un tropismo (da trépein volgere), cioè una spinta attrattiva o repulsiva, di avvicinamento o allontanamento ed un’edonia (edoné = piacere), cioè un piacere o dispiacere, dolore. Inoltre possiede: una propria specificità ed espressività, atti a rispondere ad un input specifico al bisogno corrispondente e di comunicarlo.
Passione: emozione che dura nel tempo INPUT IPERFOCALIZZATO IPERVALUTAZIONE (cecità passionale) ATTIVAZIONE ESALTANTE OUTPUT FINALIZZATO
Atteggiamento: emozione culturale INPUT CATEGORIZZATO VALUTAZIONE PRECLUSIVA ATTIVAZIONE PROPENSIVA OUTPUT ABITUDINARIO
Il continuum timico PASSIONE ATTEGGIAMENTO EMOZIONE UMORE
Sistema di flusso della motivazione BISOGNO IN INPUT VALUTAZIONE SPECIFICA ATTIVAZIONE APPROPRIATA OUTPUT FINALIZZATO
Il sistema emotivo relazionale Il flusso interattivo dell’emozione è descritto nelle quattro fasi di: input, valutazione, attivazione e output, entro le quali si possono distinguere due momenti fondamentali: input-valutazione attivazione-output. L’inter-azione è l’agire-fra, cioè ciò che passa dinamicamente fra due poli in relazione, quindi qualunque azione dentro qualunque relazione.
L’input-valutazione è il momento di relazione e l’attivazione-output il momento di azione. Il termine relazione ci rimanda a quel fenomeno originale che genera un rapporto, un incontro, un’interazione tra due variabili. Ogni organismo vivente è imprescindibilmente immerso in un ambiente con cui non può che essere in relazione.
Flusso timico relazionale FILIA (41c, 225t) azioni e atteggiamenti filiaci FELICITÀ (5c, 49t) potenzia la filia, inibisce la rabbia EDONIA R TROPISMO R COLPA (19c, 104t) inibisce la filia, potenzia la rabbia RABBIA (49c, 357t) azioni e atteggiamenti ostili
Circuiti relazionali apicali Circuito della beatitudine: Filia protropismoR proedoniaR felicità Circuito della malignità: Rabbia antitropismoR antiedoniaR colpa Non dimenticare che la felicità inibisce la rabbia, mentre la colpa inibisce la filia.
Flusso timico dell’azione FIDUCIA (24c, 208t) azioni e atteggiamenti di avvicinamento GIOIA (21c, 136t) potenzia la fiducia e l’azione Edonia A Tropismo A PAURA (37c, 231t) azioni e atteggiamenti di allontanamento o evitamento TRISTEZZA (45c, 286t) rallenta ed inibisce l’azione
Circuiti apicali dell’azione Circuito dell’entusiasmo e/o della mania *: Fiducia protropismoA proedoniaA gioia Circuito della depressione: Paura ipotropismoA ipoedoniaA tristezza Non dimenticare che la gioia inibisce la paura e la tristezza inibisce la fiducia. * Nella mania si ha ipertropismo e disedonia.
LIMINALITÀ Il concetto di liminalità si deve ad Arnold Van Gennep (Les rites de passage, 1909, Nourry, Paris. In it. I riti di passaggio, 1981, Boringhieri, Torino), e successivamente approfondito e sviluppato da Victor Turner (Dal rito al teatro, (1986), Il Mulino, Bologna), e indica quella spinta, quell’energia che imprime vitalità ai movimenti di cambiamento e di trasformazione sociale.
L’antropologia liminale analizza il processo che studia i riti, ma anche ogni cambiamento sociale. Il processo liminale è suddiviso nei tre stadi di: - separazione, - margine (limen) - e aggregazione, la cui forma e durata variano in relazione alla cosa celebrata o al processo analizzato.
Durante la fase di separazione, si delimitano le dimensioni spazio-temporali del rituale stesso e si concretizza in modo manifesto l’attitudine comportamentale necessaria allo svolgimento del rito: tutto questo è fondamentale affinché possano essere riconosciuti i protagonisti attivi e passivi dell’evento. Timicamente questo è il passaggio dall’umore all’emozione in cui l’attenzione mette in ombra il contesto (separazione) e si focalizza sull’input.
La seconda fase, della transizione e del cambiamento, viene definita di “margine” o “limen” (da cui liminalità). I soggetti rituali vivono una condizione di ambiguità per cui non sono più ciò che erano, ma neanche ciò che saranno. Questa concezione della marginalità è talmente importante da costituire un rituale a sé, in cui vengono ridefiniti i caratteri identitari degli iniziati. Nel continuum timico questa è la fase della passione che fa da confine (limen) fra emozione ed atteggiamento. Si tratta di momento forte, capace di modificare la vita come solo la passione può fare.
La terza fase realizza la finalità del processo liminale, condensa le due precedenti stabilendo, attraverso un insieme di segni e comportamenti, l’avvenuta trasformazione e reintegrando i protagonisti all’interno della società, spesso con nuovi ruoli o status sociali più alti. Non tutti i rituali presentano un equilibrio tra questi tre momenti; i rituali di fidanzamento, ad esempio, privilegiano la seconda fase, mentre quelli di matrimonio danno particolare valore al momento aggregativo.
Fin qui il pensiero di Turner che si esercita nell’analisi antropologica. Sennonché quello che è antropologico è ancor prima neurobiologico: si direbbe che l’antropologia è la neurobiologia che si avvera. La realtà timica che da essa discende sta scritta nella struttura del continuum timico.
I sentimenti sono sempre stati considerati per se stessi, fuori da una prospettiva strutturale che ne descrivesse la funzione singola ed il rapporto specifico che intercorre fra loro. Ritornando alla profonda connessione che esiste fra emozione, passione ed atteggiamento, si capisce come la passione abbia una funzione liminale nei processi di apprendimento e nella formazione degli atteggiamenti. La passione rappresenta il momento liminale di antistruttura.
Fase passionale liminale: iperfocalizzazione e ipervalutazione Fase emotiva della separazione: focalizzazione sull’input Fase aggregativa dell’atteggiamento: nuova percezione e ricategorizzazione Modificazione umorale
Fasi liminali timiche 1) Fase emotiva di separazione: momento di contatto, di azione o reazione. 2) Fase passionale liminale: momento della ipervalutazione e iperfocalizzazione e della prova. 3) Fase dell’aggregazione o del nuovo atteggiamento : momento risolutivo del condizionamento percettivo e ricategorizzazione.
Elaborazione liminale delle offese Le offese che scatenano la rabbia e che portano nel tempo all’odio e alla ostilità sono di vario tipo: minacce, offese, danni in genere; minacce ed offese morali; disattesa relazionale (delle aspettative); minacce ed offese personali. Sotto il profilo del perdono sono maggiormente significative le ultime due.
La delusione 1) Fase emotiva di separazione: aspettativa delusa disappunto e disinganno. 2) Fase passionale liminale: protesta o rinuncia attesa o delusione 3) Fase dell’aggregazione o del nuovo atteggiamento : conferma della delusione o ritorno indietro; quindi cambiamento percettivo e perdita della fiducia con risentimento/rancore, conseguente ricategorizzazione repulsiva.
Elaborazione dell’offesa personale 1) Fase emotiva di separazione: offesa personale rifiuto. 2) Fase passionale liminale: rancore (dispetto, vendetta, rappresaglia) e/o risentimento. 3) Fase dell’aggregazione o del nuovo atteggiamento: conferma percettiva odio, cioè ricategorizzazione ostile.
Fase passionale del rancore e del risentimento Fase dell’atteggiamento ostile e dell’odio Fase emotiva della rabbia Stato di stress o d’umore cattivo
Flusso liminale del perdono 1) Fase emotiva di separazione: presa di contatto con il proprio rancore, risentimento o odio e la reazione interna. Durante questa fase l’offeso si pone la domanda: “Perché è stata fatta questa cosa proprio a me?” (aspetto reattivo) “Io non mi meritavo una cosa simile!” (aspetto di indignazione e delusione)
2) Fase liminale: accettazione innocenza. L’aspetto reintegratorio consiste nell’accettare l’eventualità che gli altri possano offendere e comprendere che questo fatto fa parte delle evenienze dell’esistenza (dato di realtà), soprattutto con le persone con le quali normalmente ci si relaziona. “Posso accettare che l’altro sbagli, così come posso accettare i miei limiti!”
La fase liminale aggregativa e reintegratoria che genera la rinuncia al dispetto, alla rappresaglia e alla vendetta per far progredire il perdono, è l’innocenza, intesa in senso etimologico di in-nocens, non nocivo, che acquieta l’aggressività della rabbia, disarmando il rancore: “Scelgo di non vendicarmi!”
3) Fase dell’aggregazione o del nuovo atteggiamento: accoglienza riconciliazione con il ritorno ad una categorizzazione filiaca. La risoluzione discende dall’accoglienza che elabora la sfiducia e la rabbia, e porta alla riconciliazione con il ritorno a comportamenti filiaci: “Scelgo di non aver più rabbia. Scelgo di ritornare a fidarmi”.
L’altro non viene più percepito come nemico, ma come persona degna di relazione. Il risultato finale è rappresentato da un tropismo disarmato e da un’edonia positiva che rende liberi, restituendo lo stato di flusso con l’abbandono definitivo di ogni tipo di vendetta: “Scelgo d’esser libero di provare di nuovo sentimenti positivi!” “Scelgo di amare”.
Fase liminale empatica dell’accettazione Fase dolorosa di contatto con l’atteggiamento ostile Fase dell’accoglienza e della riconciliazione Stato di eustress e del buon umore
NB. Il perdono è un processo liminale che attiene alla relazione, un processo che reintegra la relazione, e non l’azione sbagliata, la quale rimane fissa nella sua negatività, legata alla responsabilità e alla giustizia. “Si perdona la persona, non l’azione offensiva”.
Il perdono terapeutico Il concetto di perdono terapeutico è di origine biblica e compare molto presto in Esodo. Nel Sinai Dio dice di Sé a Mosè d’esser un Dio misericordioso, pietoso e buono che perdona (Es 34, 5-8). Il perdono quindi, discende da un’identità misericordiosa, pietosa e buona immersa in una relazione filiaca.
Il termine misericordia in aramaico viene dalla radice raham (grembo, utero). Rahamin è il farsi grembo materno, cioè il prendersi il peso con amore, con compassione, un rendersi responsabili, un accettare ed accogliere.
La parola pietà viene dalla radice hen, antico termine giuridico che indicava il piegarsi del signore verso il debole per difenderlo dal potente. Qui è simbolicamente il piegarsi del padre per sollevare, riconoscere, soccorrere, è l’andar incontro.
Il termine bontà, hesed, indica un profondo atteggiamento di bontà Il termine bontà, hesed, indica un profondo atteggiamento di bontà. Quando s’instaura fra due persone, l’hesed descrive la benevolenza reciproca e la fedele continuità che si deve avere in questo rapporto. La traduzione che più s’avvicina al significato originale secondo i biblisti è: gratuito ed inaspettato.
Il termine perdono proviene dalla radice sibilante e onomatopeica zhl, innaffiare, aspergere, lavare le ferite, risanare. Il perdono è la risposta innocente al male, la quale guarisce e libera, è l’atto di guarigione che nasce dal farsi grembo compassionevole del limite, piegandosi in modo gratuito ed inaspettato.
È il farsi madre e padre spontaneamente e gratuitamente di ogni limite e difficoltà! Scegliere di perdonare è liberarsi dalla delusione, dal rancore, dal risentimento e dall’odio (tutti portatori di stress). Il perdono è guarigione.
Il perdono non è un atto, ma un processo di reintegrazione volontaria che si oppone agli esiti della elaborazione dell’offesa. Comunque non necessariamente parte dalla fine dell’elaborazione, può anzi intervenire in ogni fase, e tanto prima si inserisce e tanto meno sarà difficoltoso. Una cosa è affrontare il rifiuto e altro è guarire l’odio.
Chi perdona non ha normalmente la coscienza analitica di fasi ben differenziate, ma piuttosto si sente dentro un sentimento di tensione fra la rabbia naturale e la sua volontà di superarla. Le fasi di reintegrazione non rappresentano quindi una successione di un percorso rigoroso e necessario, ma aspetti di un processo inclusi in un’unica prestazione dello spirito.
Tre perdoni Perdonare gli altri (reintegrare la relazione con gli altri), il caso di Giustina. Perdonare Dio, come il gestore del destino (reintegrare la relazione con la propria storia, la disperazione, la rabbia contro la propria vita, la sfortuna e la malasorte) casi di fallimento ed insuccesso. Perdonare se stesso (reintegrare la relazione con se stessi) i casi di Vito e del ragazzo obeso.
Qualche ricordo “Dietro molte nevrosi si nasconde un perdono mancato!” La “ragazza fredda”. Depressione e “nati per sbaglio”. Aborto e braccio bloccato. Aborto e nevrosi. Anoressia ed aspettative. Anoressia e solitudine affettiva.
Quando ho capito il potere terapeutico del perdono ed ho voluto dargli un nome, l’ho chiamato prototerapia. Il perdono è il prototipo antropologico della reintegrazione sociale e personale. Sta scritto nelle strutture cerebrali addette alla lettura dei sentimenti e alla interpretazione dei comportamenti degli altri: i neuroni a specchio.
Infatti una carenza in tal senso è ormai pacifico esser fra le concause del bullismo ed altre sociopatie. Riportare il perdono alla dignità della sua funzione è compito centrale sia dell’educazione e sia della psicologia, della medicina e della psichiatria, se è vero che queste branche hanno al primo posto nella loro mission la salute e conseguentemente la felicità delle persone. Riscoprire questa abilità liminale antropologica e rimetterla in circolo può essere una buona scommessa per tutti.
Uno dei mali della nostra società è sicuramente l’analfabetismo emotivo: base di tante tragedie. Una delle evidenze più attuali è l’incapacità a reintegrare la relazione sia con se stessi, causa di nevrosi, e sia con gli altri con tutto il carico di sofferenza e conflitti che riempiono la cronaca quotidiana. Chi avrebbe mai detto che una pratica relegata da sempre nell’ambito religioso, tornasse così prepotentemente al centro della riflessione terapeutica e scientifica!? Etnopsichiatria e/o epigenetica?
A R R I VE D E R C I