Lo sviluppo capitalistico e le sue fasi Sistemi Economici Comparati Anno accademico 2013-2014 Prof.sa Renata Targetti Lenti Lo sviluppo capitalistico e le sue fasi Lezione 2 3/10/2012
Letture Volpi Franco, Lezioni di economia dello sviluppo, Franco Angeli, Milano, 2011, pp. 29-44.
Capitalismo Il contesto economico attuale nei paesi occidentali è caratterizzato dalla preminenza del sistema capitalistico di produzione. La sua origine va individuata nella rivoluzione industriale inglese ed in quella francese di fine secolo XVIII Il sistema capitalistico è caratterizzato da un processo economico costituito da alcune fasi sequenziali e unidirezionali: finanziamento del processo produttivo grazie all’investimento, accumulazione, produzione e consumo.
Con il termine capitalismo si riferisce in genere a: i) Una combinazione di pratiche economiche, che si diffuse in Europa, tra il XVII e il XIX secolo. In questo sistema individui e gruppi di individui agiscono come "persone giuridiche" (o società) al fine di comprare e vendere beni capitali (compresi la terra e il lavoro) in un libero mercato (libero dal controllo statale). ii) Un insieme di teorie intese a giustificare la proprietà privata del capitale ed a spiegare il funzionamento di tali mercati. iii) Il sistema economico, e per estensione l'intera società, il cui funzionamento si basa sulla possibilità di accumulare e concentrare ricchezza in una forma trasformabile (in denaro) e reinvestibile, in modo che tale concentrazione sia sfruttata come mezzo produttivo. iv) Un’economia di mercato di tipo capitalistico è caratterizzata dall’esistenza dei diritti di proprietà sui diversi fattori di produzione e sul loro utilizzo. La tutela di questi diritti è alla base del funzionamento del sistema economico.
Il ruolo dello Stato nel sistema economico. L’economia mista L'economia mista è un sistema economico che combina elementi capitalistici con caratteristiche riconducibili ad una maggiore presenza e influenza dello Stato nel sistema economico. I compiti dello stato sono diventati più numerosi, ed esso ha assunto un ruolo guida nell'economia. Lo stato ha adottato strumenti di politica economica (di stampo keynesiano) a sostegno della produzione e dell'occupazione grazie all’espansione della spesa pubblica. Alla dottrina del disimpegno è subentrata quella dell'intervento e lo stato ha acquistato una fisionomia particolare, secondo le diverse realtà economico-sociali di ogni paese. Paesi come l’Italia e la Francia, ad esempio, presentano caratteristiche tipiche dell'economia mista, dove il settore economico non è più solo privato, ma le attività economiche svolte dai privati coesistono con quelle svolte dallo stato
Lo sviluppo capitalistico Con il termine sviluppo capitalistico si intendono le trasformazioni strutturali di un sistema economico dalla fase tradizionale o precapitalistica a quella capitalistica. L’esempio della Gran Bretagna è utile a chiarire questo concetto. Le domande a cui è opportuno rispondere sono le seguenti: Perché la GB è stata la prima nazione a industrializzarsi? Come hanno fatto le altre nazioni a iniziare il processo di industrializzazione? Replica del modello inglese, o peculiarità specifiche? Necessità di formalizzare le considerazioni all’interno di un paradigma per interpretare questi processi.
Storia del capitalismo e del suo sviluppo Il capitalismo, nelle sue prime forme, nasce nel secolo XVI con il mercantilismo e lo sviluppo di forme di accumulazione di capitale di origine commerciale (non industriale) come profitto sulle transazioni. Il suo sviluppo fu favorito dai commerci intercontinentali e dall’affermarsi delle compagnie coloniali. Il primo paese che si è sviluppato in questo senso fu l'Olanda con i commerci di materie prime coloniali con le Indie e la nascita della Borsa, delle compagnie di assicurazione e dei fondi di investimento. Il mercantilismo fu favorito da una politica economica a favore del libero commercio internazionale.
Rivoluzione industriale Il capitalismo vero e proprio nasce però con la rivoluzione industriale. E’ stato un processo di evoluzione economica che ha trasformato sistemi basati prevalentemente sull’agricoltura e sull’artigianato in sistemi industriali moderni caratterizzati dall'uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica e dall'utilizzo di nuove fonti energetiche (come ad esempio i combustibili fossili). La rivoluzione industriale ha comportato una profonda ed irreversibile trasformazione non solo del sistema produttivo, ma anche dell’intero sistema sociale. L'apparizione della fabbrica e della macchina modifica i rapporti fra gli agenti del sistema economico. Nasce così la classe operaia che riceve, in cambio del proprio lavoro e del tempo messo a disposizione per il lavoro in fabbrica, un salario. Sorge anche il capitalista industriale, imprenditore proprietario della fabbrica e dei mezzi di produzione, che mira ad incrementare il profitto della propria attività. La rivoluzione industriale ha portato quindi allo sviluppo del capitalismo in senso pieno, in cui il profitto generato come surplus viene accumulato ed investito per avviare la produzione.
Spesso si distingue fra prima e seconda rivoluzione industriale Spesso si distingue fra prima e seconda rivoluzione industriale. La prima riguarda prevalentemente il settore tessile-metallurgico e comporta l'introduzione della spoletta volante e della macchina a vapore; il suo arco cronologico è solitamente compreso tra il 1760-1780 ed il 1830. La seconda rivoluzione industriale viene fatta convenzionalmente partire dal 1870-1880, con l'introduzione dell'elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio. Talvolta ci si riferisce agli effetti dell'introduzione massiccia dell'elettronica e dell'informatica nell'industria come alla terza rivoluzione industriale. Questa viene fatta partire dal 1970.
Fasi dello sviluppo capitalistico Nella storia dello sviluppo capitalistico possiamo distinguere cinque fasi: Prima Fase. 1760-1820. La fase nascente, del capitalismo in Gran Bretagna e poi Olanda, Belgio, Francia Settentrionale, Germania Nord-Occidentale e Danimarca, che dura fino alla fine dell'Era Napoleonica. In questo periodo nasce il capitalismo industriale delle fabbriche e del laissez faire, caratterizzato da lavoro salariato, divisione del lavoro, sfruttamento, disponibilità quasi illimitata di manodopera, urbanizzazione. In questa fase si verificano grandi cambiamenti sociali, la nascita della classe operaia e del proletariato urbano, dalla coesistenza di borghesia e proletariato. Gli imprenditori hanno come fine l’ottenimento di un profitto (plusvalore). L’accumulazione del capitale e l’investimento consentono di ampliare i processi produttivi. L’economia e’ un’economia monetaria dove le transazioni passano attraverso il mercato. Questo tipo di transazioni sostituisce il baratto.
Seconda Fase. 1820-1910. Questa è la fase del consolidamento che si protrae fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Questa fase fu caratterizzata dall‘affermarsi degli Stati Uniti come fornitore di materie prime e potenziale potenza industriale. Questa fase è stata caratterizzata dalla corsa all'Africa e alle colonie, ma soprattutto da gravi crisi finanziarie e del credito, da un'instabilità profonda del sistema capitalistico che molti considerarono come cronica e destinata a portare alla sua fine (Karl Marx). Nell'ottocento il sistema bancario e del credito cambiò profondamente. Alla fine di questa fase si affermò il capitalismo dei grandi monopoli e oligopoli. Questo periodo fu denominato anche età dell'oro. Negli Stati Uniti il capitalismo monopolistico fu caratterizzato anche dalla nascita della legislazione anti-trust.
Terza Fase. 1910-1945. La terza fase corrisponde alla grande depressione. Essa durò fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. La politica del libero scambio fu gradualmente sostituita da politiche protezionistiche, alimentate anche da crescenti sentimenti nazionalistici. Questi condussero alla Prima Guerra Mondiale e successivamente all'affermarsi di regimi fascisti in vari paesi europei. Con la grande crisi e la grande depressione del 1929, si avviò la fase del New Deal di Roosevelt. Si rafforzò l'intervento pubblico in economia con la creazione di reti di tutela e di protezione sociale.
Quarta Fase (1945- 1973). Questa fase dello sviluppo corrisponde al periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale. La nuova età dell'oro del capitalismo, dell'espansione e della piena occupazione, viene collocata negli anni 50 e 60. In questo periodo prevale il fordismo. Esso si fonda, dal lato della produzione, su una specifica forma di organizzazione di fabbrica e del lavoro basata principalmente: a) sull'utilizzo della tecnologia della catena di montaggio al fine di incrementare la produttività (taylorismo) e b) dal conflitto tra capitale e lavoro per la distribuzione dei guadagni di produttività. A partire dall’inizio degli anni 70 inizia una fase di instabilità monetaria a livello internazionale come conseguenza della fine degli accordi di Bretton Wood e del passaggio ai cambi flessibili.
Quinta Fase. Dal 1973 ad oggi. Questa fase è caratterizzata da: crisi ricorrenti e da inflazione, da profonde ristrutturazioni industriali, dall'accumulazione del debito pubblico, dalla fine delle politiche keynesiane, dall’affermarsi delle politiche liberiste (Reagan, Thatcher, gli anni '80 delle privatizzazioni, deregulation e liberalizzazioni). Nel 1989 si giunge alla fine del blocco sovietico e delle economie centralizzate. Si afferma il nuovo capitalismo della globalizzazione. Un fattore importante è costituito dalla liberalizzazione dei movimenti di capitale. Nella prima metà degli anni Settanta anche il fordismo entra in crisi. Ritornano in auge le teorie dell’equilibrio economico generale e del laissez faire e critiche nei confronti del ruolo di intervento discrezionale dello Stato. A partire dagli anni ’80 sino ad oggi l’approccio individualista ha ripreso il suo pieno vigore grazie alle scuole monetariste e delle aspettative razionale. Queste scuole si ispirano a teorie che cercano di dimostrare come sia possibile raggiungere un equilibrio ottimale grazie alle sole forze di mercato. La golden age è sostituita da crisi finanziarie ricorrenti.
Teoria della modernizzazione 1 Il termine modernizzazione indica l’insieme dei processi di cambiamento e mutamento su larga scala che investe una determinata società, trasformando profondamente le sue strutture e i suoi modelli di organizzazione sociale. Questo concetto si riferisce in modo più specifico alla tendenza della società interessata da questi processi, ad acquisire le caratteristiche economiche, politiche, sociali e culturali considerate proprie della modernità. Tendenze generali della modernizzazione sono quelle all’innovazione e al cambiamento, accompagnate da una visione del mondo che vede la società in continua evoluzione, e che si allontana così sempre di più dalle forme che ha assunto nel passato. La modernizzazione è inoltre strettamente correlata al concetto di sviluppo economico. Anch’esso rappresenta un processo di ampi mutamenti e di straordinario accrescimento delle capacità produttive (intese sia come capacità tecniche che come capacità organizzative), che ha permesso ad una gran parte della popolazione di poter usufruire di una quantità di beni e servizi estremamente superiore rispetto ad un passato anche recente e che ha anch’esso cambiato in modo radicale le strutture, le istituzioni economiche e sociali, i modi di pensare, gli stili di vita, i modelli culturali, i comportamenti e le aspettative.
Teoria della modernizzazione 2 La modernizzazione è un processo di trasformazione. Le società tradizionali e quelle moderne sono separate da una netta dicotomia e presentano caratteri contrapposti. Il mutamento economico e sociale è unidirezionale, progressivo e graduale. È inevitabile e progressivo: si vive più a lungo, si consuma di più, vi è maggiore libertà, maggiore partecipazione, democrazia La modernizzazione è caratterizzata da elementi interdipendenti e integrati. Elementi essenziali sono, ad esempio, industrializzazione, urbanesimo, alfabetismo, partecipazione politica ed economica, influenza dei media La modernizzazione è un processo di convergenza verso il modello delle società occidentali. Implica la trasformazione di valori, atteggiamenti, aspettative e comportamenti.
Teoria della modernizzazione come sviluppo Lo sviluppo porta con sé una vita moderna, ovvero tecnologicamente avanzata, nella quale istruzione, igiene, occupazione e modi di vita sono sostanzialmente i più avanzati ma solo dal punto di vista tecnologico. La modernità però coincide (o viene fatta coincidere) anche con lo standard di vita occidentale, associato al capitalismo e ai sistemi politici democratici parlamentari a suffragio universale. La teoria della modernizzazione nasce e si sviluppa negli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale per studiare i problemi e le difficoltà delle società più arretrate e proporre quindi strategie di crescita economica e stabilità politica. Lo sviluppo della teoria è influenzato da due avvenimenti storici fondamentali e di grande portata: la decolonizzazione e la guerra fredda tra le due superpotenze Stati Uniti e Unione Sovietica, le quali cercavano entrambe di attirare nella propria sfera di influenza gli stati neodipendenti decolonizzati.
Per modernizzazione, sotto il profilo più strettamente economico si intende generalmente un sistema di produzione industriale che applica tecnologie a base scientifica, sostituisce progressivamente il lavoro umano e animale con energia meccanica, sviluppa una complessa divisione del lavoro che esprime una gerarchia di competenze specialistiche acquisite in processi formali di istruzione, e comporta un esteso consumo e commercializzazione dei beni e servizi in un mercato tendenzialmente globale (mondiale). Si sviluppa rispetto al passato enormemente la divisione del lavoro in una pluralità di ruoli occupazionali e professionali differenziati, che richiedono capacità, competenze e addestramento specifici. Il lavoro agricolo, assolutamente prevalente nelle società tradizionali, diminuisce progressivamente all’aumentare nell’industria e del settore terziario, ciò comporta una gamma sempre più ampia di ruoli professionali che richiedono competenze e conoscenze in continua evoluzione.
Teoria della modernizzazione come teoria degli stadi La teoria della modernizzazione è una teoria basata sull’ipotesi che lo sviluppo possa essere realizzato ripercorrendo gli stessi processi che hanno caratterizzato i paesi attualmente sviluppati. Samuel Huntington considerava lo sviluppo come un processo lineare attraverso cui ogni paese deve passare. Lo Stato viene considerato come l’attore centrale nel processo di modernizzazione di società “arretrate” o “sottosviluppate”. Teoria del cosiddetto “developmental State”.
Teoria degli stadi di Rostow Studiosi quali Rostow, in particolare, hanno individuato i diversi stadi del processo di sviluppo che ogni paese deve attraversare. La teoria degli stadi postula che la modernizzazione economica avvenga passando attraverso cinque stadi, di durata variabile: La società tradizionale, arcaica e primitiva La preparazione delle condizioni per il decollo Il decollo L’evoluzione verso la maturità L’età del consumo e della produzione di massa
Rostow sostiene che nei vari paesi oggi avanzati il passaggio da un stadio all’altro, ovvero la transizione da un tipo di organizzazione ad un’altra, sia generalmente avvenuto in modo sostanzialmente lineare. Sono definite anche le condizioni per favorire il processo di accumulazione. Naturalmente, non tutte le condizioni si verificano con certezza in ogni stadio, ma è comunque vero che anche se gli stadi e i periodi di transizione tra uno stadio e l’altro variano (in durata) da paese a paese, vi sono regolarità che fanno pensare ad una sequenza lineare e determinata. Nel suo Le fasi di sviluppo economico: Un Manifesto non comunista (1960), Rostow sottolinea comunque che “gli stadi di crescita sono un modo arbitrario e limitato di guardare alla sequenza storica moderna, un modo per enfatizzare non solo le uniformità della successione di eventi che ha portato alla modernizzazione ma anche, e nello stesso modo, l’unicità dell’esperienza di ciascun paese”.
Il processo di modernizzazione si sia avviato in modi e tempi differenti nei diversi paesi, e all’interno di questi nelle diverse aree e regioni, ragion per cui si può affermare che praticamente “nessuna economia ha percorso esattamente il cammino di un’altra”. Se infatti in Inghilterra si può far risalire l’origine di questo processo a tre secoli fa, durante la “rivoluzione industriale”, coadiuvato da una politica economica liberista di “laissez-faire”, in altri paesi come l’Italia l’inizio delle grandi trasformazioni è avvenuto certamente più tardi, con il sostegno decisivo dello Stato e delle banche e dove inizialmente riguardò solo alcune regioni del nord-ovest. Nel resto delle regioni, ed in particolare nel Meridione, nella prima metà del Novecento i cambiamenti furono molto graduali e permanevano gravi problemi senza reali soluzioni.
La società tradizionale Le società tradizionali sono definite come caratterizzate dal prevalere di tecnologie arretrate. La società ‘tradizionale’ è caratterizzata dalla conoscenza prescientifica ed empirica. Le norme che caratterizzano un’economia capitalistica, le procedure che regolano le transazioni sono completamente assenti. Nello stadio della società tradizionale non si hanno scambi di mercato né tanto meno produzione per il mercato. Le figure prevalenti sono quelle dell’artigiano e del commerciante
Precondizioni per il decollo Le pre-condizioni del decollo sono, per Rostow, che la società cominci ad investire in un sistema di istruzione, a darsi delle regole e delle leggi, delle istituzioni, un sistema di transazioni per lo scambio dei beni prodotti e dei servizi, la mobilitazione di capitali, un sistema bancario o del credito, una moneta, cui faranno poi seguito lo sviluppo di attività d’impresa, lo sviluppo della manifattura e dell’industria, in pochi e limitati settori. Il passaggio dalla società tradizionale — dove lo scambio è assente — allo stadio in cui maturano le condizioni del decollo può essere molto lungo, ma anche relativamente ‘breve’. Una volta che lo stadio viene a maturazione si può arrivare al vero e proprio decollo economico. Questo decollo, tuttavia, potrebbe essere ostacolato dalla inadeguatezza delle tecnologie disponibili.
Decollo Il decollo avviene quando la crescita dell’economia guidata da alcuni settori si estende a tutti gli altri settori. Nella società i valori prevalenti sono quelli dello sviluppo economico che sostituiscono quelli tradizionali. Nel discutere il decollo, Rostow sottolinea con forza l’uso del termine tradizione per enfatizzare che il decollo marca il passaggio definitivo da una società tradizionale, nel senso più ampio, ad una economia moderna. In seguito al decollo, un paese può impiegare anche dai cinquanta ai cento anni per avvicinarsi alla fase della maturità.
Maturità La maturità è lo stadio della diversificazione. I settori economici che hanno inizialmente guidato la crescita raggiungono la maturità e cominciano a perdere di peso relativo, mentre altri settori crescono e si diversificano. Tale diversificazione porta generalmente anche alla riduzione dei livelli di povertà e ad un aumento degli standard di vita, che in tutta la fase del decollo sono generalmente bassi per buona parte della popolazione. Emergono nuove Istituzioni e nuove figure professionali come quelle degli imprenditori e dei lavoratori salariati. La crescita del benessere sperimentato da molti paesi occidentali nell’età contemporanea è attribuibile alla produzione ed al consumo di beni durevoli su larga scala. I consumi di base si sviluppano jn parallelo a quelli di lusso.
Dimensione sociale della modernizzazione La dimensione sociale della modernizzazione si manifesta nei fenomeni correlati del cambiamento demografico, dell’urbanizzazione, da vasti processi migratori che sradicano grosse masse di individui dalle loro ancestrali residenze rurali e li concentrano in realtà urbane funzionalmente complesse, culturalmente pluralistiche, e socialmente eterogenee. Rientrano nella dimensione della modernizzazione anche altre trasformazioni sociali di larga scala, come le dinamiche demografiche naturali, che nella società tradizionale passano da una situazione sostanzialmente stagnante, attraverso la cosiddetta transizione demografica (ciò vuol dire che si verifica un passaggio da una preesistente situazione di alta mortalità e natalità, poi seguita da una drastica diminuzione della mortalità, e tassi di natalità sempre elevati) per poi passare ad un netto calo della natalità. Si verifica inoltre una trasformazione della dimensione sociale della donna, che si esprime principalmente attraverso l’accesso all’istruzione e al mercato del lavoro.
La contrapposizione dei due tipi ideali di società, tradizionale-moderna, comunque non va vista solamente come una semplice comparazione tra due modelli che persegue finalità puramente descrittive, ma come una teoria che mira anche a spiegare quali meccanismi e quali situazioni possano favorire od ostacolare il processo di cambiamento. L’esempio più tipico di questo metodo di indagine consiste nella considerazione che a differenza dell’esperienza occidentale, in cui le variabili socio-culturali hanno creato i presupposti per la crescita economica, lo sviluppo economico di alcuni paesi meno sviluppati o sottosviluppati sia ostacolato non solo e non tanto dalla carenza di risorse economiche o dalla indisponibilità di tecnologie adeguate, ma da resistenze sociali e da orientamenti culturali tradizionali che rendono difficile l’affermarsi le relazioni sociali e i tipi di personalità favorevoli allo sviluppo che abbiamo sopra descritto.
La modernizzazione è però anche un fenomeno contraddittorio e problematico, i radicali processi di cambiamento che comporta sono spesso traumatici, suscitano tensioni e conflitti di particolare intensità. Così si verificano l’anomia e la solitudine, la disoccupazione, la criminalità diffusa: fenomeni che riguardano i contesti urbani ma ormai anche extraurbani, prima quasi sconosciuti nelle comunità tradizionali. Durante gli anni 50, il focus iniziale era posto sui mass-media come forza modernizzante in paesi non sviluppati. Economicamente, i mass-media erano visti come integrali alla diffusione delle forme moderne di organizzazione sociale e tecnologia nelle economie tradizionali, con l’alfabetizzazione a svolgere un ruolo culturale speciale in questo. I teorici della modernizzazione sostenevano inoltre che questo sarebbe servito a promuovere la diffusione degli ideali politici liberal-democratici all’interno dei paesi meno sviluppati.
Critiche alla teoria L’ipotesi più forte per la quale Rostow è stato criticato è quella di cercare di far coincidere il progresso economico con un sistema di sviluppo lineare per stadi. Tale critica è appropriata, poiché è vero che vi sono paesi che hanno avuto “false partenze” sulla via del decollo, hanno poi raggiunto un certo grado di sviluppo sulla via della transizione ma sono poi regrediti, come ad esempio è successo nel caso della Russia contemporanea. L’analisi di Rostow enfatizza i casi di successo. Per Rostow, se un paese può iniziare ad investire, predisporre norme per regolare la società ed il sistema politico, e può identificare quei settori nei quali ha un qualche vantaggio comparato, allora potrà entrare nella fase della transizione ed eventualmente raggiungere la fase della modernità. Il venir meno di una di queste condizioni sarebbe una causa di non linearità e quindi di rallentamento nel processo di sviluppo. Un secondo problema nell’approccio di Rostow è che esso riguarda prevalentemente paesi grandi, con una popolazione numerosa (Giappone), dotati di risorse naturali al momento giusto (carbone nei paesi europei del nord), o comunque di grandi dimensioni (Argentina).
Teoria dell’arretratezza relativa Tra gli sviluppi dell’approccio di Rostow, va segnalato quello formulato da Gerschenkron negli anni 60 dell’arretratezza relativa. Quest’autore ha formulato l’ipotesi che periodi diversi possono esibire diversi tipi di sviluppo. Per esempio alcuni paesi potrebbero saltare alcuni degli stadi attraverso i quali i paesi avanzati sono dovuti passare a causa della coesistenza di paesi avanzati e paesi arretrati. Quanto più un’economia è vicina alle condizioni della Gran Bretagna nella fase di accumulazione delle condizioni per il take-off, tanto più vi è la possibilità che essa possa “imitare” il processo di sviluppo inglese. Al contrario, si rendono necessari fattori “sostitutivi”, per sostenere il processo di industrializzazione. Vi possono essere “vantaggi” per i paesi ritardatari.
Teoria della dipendenza Una teoria antitetica al modello della modernizzazione che si è sviluppata in larga parte in risposta ad esso è la teoria della dipendenza. Essa rappresenta un insieme di contributi teorici delle scienze sociali (concepita da studiosi di vari paesi sviluppati e in via di sviluppo), accomunati da una visione del mondo che suggerisce che i paesi poveri e sottosviluppati della periferia sono sfruttati dai ricchi paesi sviluppati del centro, al fine di sostenere il loro sviluppo economico e mantenersi ricchi. La teoria della dipendenza afferma che la povertà dei paesi nella periferia è il risultato del modo distorto e ingiusto di come essi siano stati “integrati” nel sistema mondiale, laddove gli economisti del mercato libero (liberisti) sostengono invece che questi paesi si stanno pienamente “integrando” e la loro arretratezza non è che uno dei (necessari ma temporanei) risultati di questo processo di integrazione.
Con questa teoria si sostiene che la dipendenza nasce con la rivoluzione industriale e l’espansione degli imperi europei nel mondo (con il “secondo imperialismo”) grazie alla loro conseguente superiore potenza e alla ricchezza accumulata. Lo sfruttamento si sposta dall’interno ai paesi, con i centri economici principali che dominavano il resto del paese all’esterno verso le colonie. Una volta che le nazioni ricche imperialiste hanno stabilito il controllo formale, esso non ha potuto più essere rimosso facilmente. Tale controllo assicura che i profitti nei paesi meno sviluppati siano rimessi alle nazioni sviluppate, impedendo il reinvestimento interno, causando la fuga dei capitali e così ostacolando lo sviluppo. Con il recente sviluppo apparente delle economie dell’Asia Orientale e dell’India, tuttavia, la teoria ha largamente perso consensi.