L’interesse pubblico nella regolazione della crisi (d’impresa e non)

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L’interesse pubblico nella regolazione della crisi (d’impresa e non) Il “tramonto” del Fallimento dopo le recenti riforme della Legge 267/1942 Piacenza, Università Cattolica, 11 maggio 2018 Dott. Antonino Fazio Giudice Delegato nel Tribunale di Piacenza

Sommario Prologo Considerazioni generali Le misure (ri)organizzative della giurisdizione La soppressione dell’iniziativa ufficiosa e l’istruttoria prefallimentare La riespansione del controllo giudiziale sul merito della soluzione negoziale Il controllo sulla frode nelle varie procedure.

(Satta, Diritto fallimentare, IIIa ed., Padova 1996, 53) L’insolvenza dell’impresa […] è un fatto che interessa tutti. Interessa l’ordinamento, perché l’impresa fa parte dell’organizzazione economica generale, e quindi il suo dissesto incide su questa organizzazione, portando alla necessaria eliminazione dell’impresa. Di qui l’iniziativa del p.m. o la dichiarazione ex officio. Interessa i creditori, che nell’insolvenza possono veder pregiudicate le loro ragioni, sia per la disintegrazione del patrimonio del debitore, che costituisce la loro garanzia, sia per la violazione della par condicio. Interessa il debitore stesso, che non vuole aggravare la sua situazione, né veder disperdere i propri beni attraverso disordinate azioni singolari. (Satta, Diritto fallimentare, IIIa ed., Padova 1996, 53)

I - Prologo Abbiamo un sistema che è tutto tranne che coerente. Non è un esito casuale. Al contrario, è una legislazione conforme all’idea di soft law, di de-istituzionalizzazione della disciplina della crisi d’impresa. L’idea, molto semplice, è che il diritto non sia che una sovrastruttura, probabilmente non necessaria né imprescindibile. In altri termini, ciò che prima si teorizzava – il primato dell’economia sul diritto – oggi trova compimento per mano del legislatore.

I - Prologo Prioritario è invece RISOLVERE il problema, e spesso i problemi si risolvono da soli o in altre sedi non legislative e neanche istituzionali: è «il mercato» che si regola da sé, o comunque sono i suoi attori a farne le regole: gli operatori, titolari di un potere economico distinto dal potere giuridico. Stiamo cioè teorizzando l’autoreferenzialità del potere economico rispetto all’ordinamento giuridico, se non la subordinazione di questo a quello. - degiurisdizionalizzazione; - deprocedimentalizzazione;  destatalizzazione dell’insolvency law.

I - Prologo La poiesi delle norme sembra oggi spettare, in ultima istanza, agli organismi internazionali che elaborano gli standards in materia: il Financial Stability Forum, organismo ibrido composto da istituzioni pubbliche, enti privati, «aventi a vario titolo competenze necessarie o utili al perseguimento dell’obiettivo di mantenimento della stabilità finanziaria globale»(*); l’ UNCITRAL (United Nations Commission for International TRAde Law); il F.M.I., la Banca Mondiale. (*) A. Mazzoni, Procedure concorsuali e standards internazionali: norme e principi di fonte Uncitral e Banca Mondiale, Giur. Comm. 2018, I, 46

I - Prologo Esito: «regole ‘’neutre’’, miranti a realizzare una uniformità internazionale ‘’forte’’ ed espressiva di un consolidato common core» consistente nel rilievo che «tutela del credito, efficienza del sistema di procedure concorsuali e effetti sulla propensione interna ed esterna ad investire sono fattori tra loro strettamente collegati» e che implica, come corollario, «una valutazione dello strumentario giuridico da adottare per la tutela dei creditori condotta con gli occhiali dell’utilità pratica e della ragionevolezza economica delle soluzioni, anziché con quelli della necessaria fedeltà a modelli giurisdizionali tradizionali»

II – Considerazioni generali. Gli Standards internazionali Favor per la continuità di un viable business, considerata non come un beneficio al debitore, ma come il mezzo solitamente più idoneo ad assicurare al creditore il più elevato recupero del credito; Favor per le soluzioni stragiudiziali (workouts) e per l’efficienza economica  relegata la giurisdizione a un ruolo residuale; recessivo il garantismo processuale; Favor per l’analisi economica della procedura: essa è un costo che va il più possibile contenuto; Tutela del debitore - fresh start;  discharge automatica La frode come evento residuale

II – Considerazioni generali. Gli Standards internazionali COMI e comity (mutuo riconoscimento e coordinamento tra procedure aperte in diversi stati membri); Pre-insolvenza: obbligo di attivazione come specificazione della due diligence che sostanzia la corretta gestione societaria e imprenditoriale ( approccio tedesco: apertura formale della procedura; approccio anglosassone: continuare a gestire). Su tutti – forse – un principio assolutamente consolidato negli ultimi secoli: la business judgement rule (insindacabilità nel merito delle scelte strategiche imprenditoriali)  tutela endosocietaria  tutela obbligatoria (non reale)

II – Considerazioni generali. Punti qualificanti la legge delega Uso del concetto di «liquidazione» (giudiziale)  non tanto per il restyling semantico, quanto per la portata che potrebbe avere se solo significasse riallineamento tra liquidazione societaria e concorsuale. Completamento della eliminazione della dichiarazione di fallimento d’ufficio  attuazione dell’art. 111 Cost. Definizione della crisi come «probabilità di futura insolvenza»  funzionale alla razionalizzazione del presupposto oggettivo Mantenuta (sostanzialmente) la linea di demarcazione tra soggetti fallibili «liquidabili» (imprenditori) e non (tutti gli altri, «sovraindebitabili»)  funzionale alla razionalizzazione di quello soggettivo

II – Considerazioni generali. Punti qualificanti la legge delega Competenza territoriale (VIC / NIC )  funzionale alla «manutenzione» dell’ordinamento giudiziario Razionalizzazione (incompiuta) del catalogo degli strumenti di governance della crisi  poteva essere una buona occasione per costruire un sistema semplice, tripartito o al più quadripartito: a) piano di risanamento unilaterale; b) contratto di risanamento; c) concordato («nel fallimento e prima del fallimento»)(Rocco); d) piano di liquidazione giudiziale. Misure di allerta e prevenzione  Responsabilizzazione dell’imprenditore e/o degli organi amministrativi e di controllo dell’impresa

II – Considerazioni generali. Gli strumenti (contratti e procedure) Questo il catalogo degli strumenti di regolazione negoziale della crisi previsti dalla legge delega: Allerta e composizione assistita della crisi; Accordo di ristrutturazione dei debiti; Piano attestato di risanamento; Concordato preventivo; Fallimento Liquidazione giudiziale; Esdebitazione; Composizione della crisi da sovraindebitamento

III Le misure (ri)organizzative della giurisdizione Viene posta una distinzione molto netta: VIC (Very Important Courts): Tribunali delle Imprese o istituende sezioni specializzate (4 giudici + 1 presidente) in corti individuate come «meritevoli» per dimensioni, numeri, popolazione, etc.: procedure maggiori. NIC (Not Important Courts): Tribunali ordinari; procedure minori (sovraindebitamento).

III Le misure (ri)organizzative della giurisdizione Motivazioni addotte: 1) «Favorire la specializzazione dei giudici». In senso contrario si può osservare che: La specializzazione è un fatto culturale e dunque il suo conseguimento è rimesso al singolo magistrato. Si può essere tabellarmente assegnati a determinati affari anche per di 10 anni (di regola) e non imparare mai o comunque non raggiungere mai un livello di sufficiente preparazione. La specializzazione non dipende dall’assegnazione ad una sezione specializzata o ad un Tribunale delle Imprese. Si può esservi trasferiti dopo essersi occupati di tutt’altro; in caso di pluralità di aspiranti prevale l’anzianità di servizio, non la preparazione specifica. La specializzazione non dipende dalla grandezza dell’Ufficio né dall’anzianità di chi ne fa parte, così come la bontà e la qualità delle motivazioni dei provvedimenti giurisdizionali.

III Le misure (ri)organizzative della giurisdizione Motivazioni addotte: 2) «Evitare il particolarismo / clientelismo giudiziario». L’assunto è che la procedura sia una occasione: Di lucro per i professionisti locali; Di vantaggio per il giudice che li incarica. E che quindi convenga spostarla altrove: nelle V.I.C., dove – afferma evidentemente il legislatore – questi rischi non vi sono (È in provincia che alberga il vizio).

III Le misure (ri)organizzative della giurisdizione Motivazioni addotte: 3) «La procedura è un costo». (Darwinismo giudiziario) Probabilmente, tra le idee di fondo c’è anche l’idea della giustizia come «servizio pubblico in tempi di spending review»: qualcosa da garantire con priorità ai grandi centri, analogamente ai trasporti o alla sanità. L’Alta Velocità sono i Tribunali delle Imprese; i tribunali ordinari i Regionali dei pendolari. Viene ribadita l’impostazione di fondo della legislazione degli ultimi anni: la giustizia come un costo, non come una risorsa che – se fatta funzionare – potrebbe andare ben oltre l’auto-finanziamento.

III Le misure (ri)organizzative della giurisdizione Motivazioni addotte: 4) Occorre una riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie. Se non detta, certamente è pensata; perché l’innovazione proposta è oggettivamente funzionale al perseguimento di tale obiettivo. È coerente con le tendenze riorganizzative delle amministrazioni e degli enti pubblici territoriali (aree vaste, accorpamenti, fusioni, etc.). E, probabilmente, anche con la tendenza – consacrata nel nuovo ordinamento giudiziario (come integrato dalla normativa secondaria di derivazione consiliare e dalla prassi applicativa) – ad una riorganizzazione della magistratura su basi gerarchiche.

III Le misure (ri)organizzative della giurisdizione Osservazioni critiche. Alla terza e quarta motivazione si può replicare che il problema degli «accorpamenti» non è solo una questione identitaria o campanilistica: proporlo in ambito giudiziario impone un’adeguata analisi degli effetti sulla «risposta» giudiziaria, in termini qualitativi e quantitativi. Un apparente, o anche effettivo, risparmio monetario può generare costi di sistema esponenzialmente superiori. L’accorpamento può dunque essere fonte di diseconomie. Ma vi sono ragioni contrarie ben più profonde e sostanziali.

III Le misure (ri)organizzative della giurisdizione Osservazioni critiche. Se il diritto della crisi si occupa della fase patologica della attività d’impresa, o più in generale dell’attività economica, è naturale che segua la considerazione dell’ambito di incidenza degli effetti di questa. È il principio di rilevanza della sede dell’impresa (legale o effettiva, presuntivamente iuris tantum coincidenti) che, in ambito comunitario, si declina nella nozione di COMI (Centre Of Main Interest): il luogo in cui il debitore ha i suoi interessi principali; il luogo in cui ha i suoi interessi principali l’impresa, e dunque il luogo in cui la crisi o l’insolvenza recano il danno maggiore (rectius, il rischio maggiore).

III Le misure (ri)organizzative della giurisdizione Osservazioni critiche. «La ragione di questa regola risiede nell’esigenza che gli organi del fallimento siano messi nelle condizioni migliori per svolgere il loro lavoro: il che è appunto possibile qualora il fallimento sia dichiarato nel luogo nel quale è collocato il centro degli affari del fallito e dove è stata condotta la maggior parte dei rapporti economici con i terzi» (Jorio); «nel centro direttivo dell’ impresa si può ipotizzare che siano raccolti tutti i dati anche i più segreti relativi alla gestione dell’impresa, che permettano in caso di fallimento di ricostruirne le vicende» (Bonsignori; conformi: Porzio, Bongiorno, Ragusa-Maggiore, Pajardi); dati utili «per gli accertamenti da compiere e per quella ulteriore attività gestoria che caratterizza il ruolo dell’Autorità Giudiziaria preposta alla procedura» (Vassalli)

III Le misure (ri)organizzative della giurisdizione La legge delega recepisce tali indicazioni quando pone come principio quello di «f) recepire, ai fini della disciplina della competenza territoriale, la nozione di «centro degli interessi principali del debitore» definita dall’ordinamento dell’Unione europea». Le rinnega subito dopo, alla lettera n), chiarendo come si intenda perseguire l’obiettivo della specializzazione dei giudici: riducendone il numero (di Tribunali e di giudici delegati).

IV La soppressione dell’iniziativa ufficiosa Ma un’altra linea di intervento si salda con quella appena veduta: la lettera b) dell’art. 2 manda al legislatore di completare l’opera intrapresa nel 2006, eliminando l’ultima ipotesi residua di fallimento d’ufficio: quella in tema di amministrazione straordinaria (art. 3 L. 270/99). Motivazioni addotte: Occorre garantire la terzietà ed imparzialità del giudice ex art. 111 Cost.. Terzietà rispetto all’oggetto della decisione (su cui non può dunque essere egli stesso attore); imparzialità rispetto alle parti contendenti (debitore, creditori).

IV La soppressione dell’iniziativa ufficiosa L’opinione assolutamente dominante è che il fallimento d’ufficio sia incompatibile con l’art. 111 Cost. e, in ogni caso, sia una gran brutta cosa. Si possono tuttavia svolgere alcune considerazioni. 1) La dichiarazione ex officio non ha nulla a che vedere con, e non ha alcuna incidenza su, gli strumenti di regolazione negoziale della crisi. Un Tribunale che dichiara il fallimento immediatamente dopo aver comunque accertato l’insolvenza non è – se non a prezzo di un evidente salto logico – un Tribunale che decide le sorti dell’impresa: non scrive il piano concordatario né il programma di liquidazione, né impartisce direttiva alcuna agli organi del fallimento.

IV La soppressione dell’iniziativa ufficiosa 2) Se la procedura concorsuale è in primo luogo un beneficio offerto al debitore, l’iniziativa ex officio può: a) assicurarne la tempestività e dunque l’utilità; b) evitare manovre fraudolente (pagamenti preferenziali, aggravamento del dissesto, consolidamento degli atti (non più) revocabili) e così garantire la par condicio creditorum.

IV La soppressione dell’iniziativa ufficiosa 3) Il tribunale che dichiara d’ufficio il fallimento nel corso dell’istruttoria prefallimentare, dopo che la domanda di parte sia caduta (per desistenza), constando l’insolvenza, non è attore e non viola i principi di terzietà e imparzialità. Il «principio della domanda», su cui insiste la Cassazione, postula che si verta in materia di diritti disponibili. E dunque l’inesistenza di interessi pubblici, l’assenza del pubblico ministero, l’assenza di poteri istruttori ufficiosi (tuttora previsti dall’art. 15 L.F.).

IV La soppressione dell’iniziativa ufficiosa 4) L’istruttoria prefallimentare è oggi «un processo di parti a cognizione ordinaria, regolato dal contraddittorio, dal diritto alla prova e dalla paritaria difesa. Esso, al pari di tutti i processi governati dall’impulso di parte, mal tollera l’iniziativa officiosa in ordine alla proposizione della domanda, soprattutto quando a giudicare è il medesimo giudice che ha esercitato l’iniziativa» (De Santis, Trattato Buonocore-Bassi, Padova 2010, I, 202). Appunto: non è il medesimo giudice. Non c’è la «forza della prevenzione» del giudice investito del riesame di un suo provvedimento, né del riesame di un suo convincimento precedentemente espresso.

IV La soppressione dell’iniziativa ufficiosa «Il "principio della domanda", al quale fanno riferimento i rimettenti, e che sarebbe costituzionalizzato dal novellato art. 111 Cost., dunque, si identifica con un qualsiasi atto di impulso, proveniente da soggetto diverso dal giudice, che sottoponga al di lui giudizio una situazione fattuale potenzialmente riconducibile (anche se dall'istante non ricondotta) ai presupposti del fallimento: se l'imprenditore che propone il concordato preventivo esplicita lo stato d'insolvenza in cui versa, altrettanto farebbe, pur se qualificandolo come temporanea difficoltà di adempiere, l'imprenditore che chiede di essere ammesso all'amministrazione controllata, sicché le due ipotesi hanno in comune l'estraneità dell'impulso iniziale rispetto al giudice e si differenziano soltanto per la diversa qualificazione giuridica che l'istante dà (nell'istanza di ammissione all'amministrazione controllata) ad una situazione di fatto che il giudice è libero di valutare e qualificare come insolvenza.» (C.Cost. 240/2003).

IV La soppressione dell’iniziativa ufficiosa «Questa Corte ha più volte osservato che «il principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione ha pieno valore costituzionale con riferimento a qualunque tipo di processo, in relazione specifica al quale, peraltro, può e deve trovare attuazione con le peculiarità proprie di ciascun tipo di procedimento» (sentenza n. 387 del 1999), sicché l'identità del giudice può coniugarsi con «la sua veste giurisdizionale e quindi super partes», senza far sì che il giudice agisca, e appaia, come l'attore del procedimento sul quale giudica (sentenza n. 148 del 1996). Il costante orientamento di questa Corte, in altri termini, è nel senso che anche l'iniziativa officiosa - prevista dal legislatore in ragione di peculiari esigenze di effettività della tutela giurisdizionale - non lede il fondamentale principio di imparzialità-terzietà del giudice, quando il procedimento è strutturato in modo che, ad onta dell'officiosità dell'iniziativa, il giudice conservi il fondamentale requisito di soggetto super partes ed equidistante rispetto agli interessi coinvolti.» (C.Cost. 240/2003).

IV La soppressione dell’iniziativa ufficiosa «Tale fondamentale requisito del giudice sarebbe certamente compromesso ove al tribunale fallimentare fosse consentito, come pure in passato si è ritenuto, di promuovere il procedimento prefallimentare sulla base di una notitia decoctionis comunque acquisita, ma non può dirsi compromesso ove la conoscenza di una situazione di fatto in ipotesi riconducibile allo stato di insolvenza derivi (non già da quella che, attesa l'informalità della fonte, ben può definirsi scienza privata del giudice, bensì) da una fonte qualificata, perché formalmente acquisita nel corso di un procedimento, del quale il giudice sia, come tale, investito: come conferma la ben diversa formulazione degli artt. 6 e 8 legge fall. rispetto alla corrispondente norma (art. 688) del codice di commercio (che autorizzava il tribunale a dichiarare d'ufficio il fallimento «se sia notorio o se per altri mezzi siavi sicura notizia che un commerciante abbia cessato di fare i suoi pagamenti»). In tale ipotesi, e solo in tale ipotesi, il giudice investito di un procedimento, del quale sia parte (o al quale, comunque, partecipi) l'imprenditore, può legittimamente acquisire la conoscenza di una situazione di fatto, delibata positivamente la quale deve avviare la procedura prefallimentare e giudicare, dopo aver consentito all'imprenditore il pieno esercizio del diritto di difesa in relazione ai fatti delibati, della fondatezza della notitia decoctionis.» (C.Cost. 240/2003).

IV La soppressione dell’iniziativa ufficiosa Ciò posto, preso atto dell’esercizio da parte del legislatore di quella discrezionalità in merito espressamente richiamata dalla Corte Costituzionale, prendiamo per buona l’idea di fondo che occorra comunque eliminare l’iniziativa ufficiosa per la dichiarazione di fallimento. E che dunque – per il principio di non contraddizione, e per assicurare la coerenza del sistema – sia da escludere ogni potere di impulso ufficioso del Tribunale, essendo rimessa solo al Pubblico Ministero – nella valorizzata prospettiva del processo di parte – la cura dell’interesse pubblico. …o no?

V La riespansione del controllo giudiziale sul merito della soluzione negoziale …no. La legge delega è chiarissima. Art. 5 lett. e): «determinare i poteri del tribunale, con particolare riguardo alla valutazione della fattibilità del piano, attribuendo anche poteri di verifica in ordine alla fattibilità anche economica dello stesso, tenendo conto dei rilievi del commissario giudiziale» Il Tribunale dovrà compiere un giudizio di fattibilità sulla proposta concordataria, oltre ad un giudizio sulla relazione dell’ attestatore. Un giudizio sul merito. «La tesi aziendalistica del giudice deciderà il destino del concordato» (F. Di Marzio).

V La riespansione del controllo giudiziale sul merito della soluzione negoziale Riprendiamo un attimo i termini del dibattito, apertosi con le riforme del biennio 2005-2007. Tesi privatistica rigorosa: non c’è un controllo di merito d’ufficio perché “tale potere appartiene solo ai creditori”; il tribunale non può neppure avvalersi degli elementi risultanti dalle indagini svolte dal commissario giudiziale, giacché “l’apporto conoscitivo e valutativo del commissario giudiziale non è destinato al giudice, ma alla platea dei creditori che possono così comparare la proposta e le valutazioni dell’esperto attestatore con la relazione redatta da un organo investito di una pubblica funzione” (Cass. 13817/2011; cfr. 21860/2010 e 3274/2011). Questa tesi restrittiva dei poteri del tribunale viene affermata sia in relazione al giudizio di ammissione sia a quello di omologazione sia a quello di verifica del mantenimento delle condizioni di ammissibilità ex art. 173 L.F.

V La riespansione del controllo giudiziale sul merito della soluzione negoziale Al tribunale spetterebbe dunque una verifica meramente formale sulla regolarità e completezza della documentazione allegata dalla parte proponente e sulla correttezza della procedura attraverso un riscontro di carattere «notarile» in ordine alla regolarità della procedura seguita sino alla richiesta di omologazione del concordato; esclusa pertanto ogni possibilità di scrutinio giudiziale sul merito del giudizio di fattibilità del piano concordatario.

V La riespansione del controllo giudiziale sul merito della soluzione negoziale Tesi pubblicistica rigorosa: al tribunale resta comunque riservato un intervento interdittivo in ordine alla valutazione nel merito della fattibilità del piano concordatario (es. giurisprudenza Cass. sul 173 ). Copiosa giurisprudenza di merito, che rivendicava il profilo necessariamente pubblicistico del processo di fallimento. I critici rilevavano la difficoltà a liberarsi della tradizionale impostazione che assegnava al giudice un ruolo direttivo del fallimento, e al fallimento la natura di fenomeno sostanziale oppresso da una «pesante sovrastruttura processuale».

V La riespansione del controllo giudiziale sul merito della soluzione negoziale Tesi intermedia: al tribunale spetta un controllo di c.d. legalità sostanziale, esteso cioè a tutti i profili non attinenti alla convenienza della proposta (Classi, voto, etc.). In sede di ammissione della proposta di concordato preventivo, il tribunale ha il dovere di verificare la completezza e l'affidabilità della documentazione depositata a sostegno della domanda allo scopo di assicurare ai creditori la puntuale conoscenza dell'effettiva consistenza dell'attivo destinato al loro soddisfacimento e, quindi, di consentirgli di esprimere, in modo informato, il proprio consenso sulla convenienza economica della proposta medesima. In particolare è permesso il sindacato sulla veridicità dei dati aziendali esposti nei documenti prodotti, sotto il profilo della loro effettiva consistenza materiale e giuridica. Ciò in vista delle conseguenti valutazioni da parte del ceto creditorio, le quali suppongono che siano esposti dati reali a cui poter connettere il giudizio di convenienza o meno della proposta. Quel che in tale prospettiva resta precluso al giudice è il sindacato sulla stima del valore degli elementi patrimoniali effettuata dal professionista attestatore, salvo il caso di manifesta incongruenza o illogicità. (CASS. 10819/2017)

V La riespansione del controllo giudiziale sul merito della soluzione negoziale In tema di concordato preventivo, il tribunale è tenuto ad una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura, nel senso che, mentre il controllo di fattibilità giuridica non incontra particolari limiti, quello concernente la fattibilità economica, intesa come realizzabilità di esso nei fatti, può essere svolto nei limiti della verifica della sussistenza, o meno, di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi (con ciò ponendosi il giudice nella prospettiva funzionale, propria della causa concreta). Tali principi vengono maggiormente in rilievo nell'ipotesi di concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis l.fall., laddove la rigorosa verifica della fattibilità “in concreto” presuppone un’analisi inscindibile dei presupposti giuridici ed economici, dovendo il piano con continuità essere idoneo a dimostrare la sostenibilità finanziaria della continuità stessa, in un contesto in cui il “favor” per la prosecuzione dell’attività imprenditoriale è accompagnato da una serie di cautele inerenti il piano e l’attestazione, tese ad evitare il rischio di un aggravamento del dissesto ai danni dei creditori, al cui miglior soddisfacimento la continuazione dell’attività non può che essere funzionale. (Cass. 9061/2017)

V La riespansione del controllo giudiziale sul merito della soluzione negoziale L’esigenza che si era posta nella pratica era, senza dubbio, seria: l’abuso dello strumento del concordato c.d. in bianco o del concordato / accordo di ristrutturazione tout court. La perplessità, sul piano sistematico, è data dall’aver previsto uno strumento che – per superare un ulteriore problema logico-concettuale, i.e. la valutazione di un giudizio – infrange ogni regola di coerenza. Il giudice valuterà senz’altro il business plan. «La scelta economica del debitore è valutata senza filtri: per essere condivisa o invece bocciata tutte le volte che non coincide con la scelta economica del giudice» (F. Di Marzio).

V La riespansione del controllo giudiziale sul merito della soluzione negoziale La scelta – ove andasse in porto – appare incompatibile: con i principi di buona legislazione: si legifera su basi emotive e non razionali. con i principi regolatori del diritto dell’impresa: 1) la business judgement rule; 2) la distinzione tra norme di validità (dell’atto negoziale e, in questo caso, anche del procedimento) e norme di condotta (che hanno sanzione endosocietaria: la revoca dalla carica); 3) l’attribuzione della governance della crisi al creditore in quanto finanziatore involontario.

V La riespansione del controllo giudiziale sul merito della soluzione negoziale Forse conviene mettere ordine. Partiamo dalle basi. L’impresa si regge sull’indebitamento. L’imprenditore scommette sulla possibilità di riuscire, con la propria abilità, con il proprio coraggio, con la propria tenacia, a governare l’ingovernabile: la sorte e i suoi rovesci. Corollari: Non è, quindi, «per definizione», onesto e sfortunato, nè malvagio e colpevole. Un sovraindebitamento non si valuta sul piano morale né si qualifica come atto illecito. Questo significa che la soluzione della crisi d’impresa dev’essere laica come l’approccio alla stessa; e ragionare su basi obiettive e non emotive.

V La riespansione del controllo giudiziale sul merito della soluzione negoziale La crisi, l’insolvenza, l’inadempimento, sono elementi di disfunzione della struttura imprenditoriale, che va congruamente modificata sul piano oggettivo (ristrutturazione dell’organizzazione e del patrimonio) e soggettivo (trasferimento / affitto d’azienda  non ha senso parlare di concordato «in continuità» perché si estromette dal mercato l’imprenditore, non l’impresa). Questo significa che al centro di ogni soluzione c’è un piano, cioè un atto programmatico, un progetto, insindacabile nel merito perché discrezionale (business judgement rule); e discrezionale perché il debitore non è (ancora) ESPROPRIATO.

V La riespansione del controllo giudiziale sul merito della soluzione negoziale Assumono rilevanza precipua quali situazioni in cui il rischio economico viene traslato sul creditore, che diviene così finanziatore involontario dell’impresa; Il problema della procedura concorsuale è dunque un problema duplice: a) di governance del rischio, in funzione preventiva o prospettica  misure di allerta e prevenzione; definizione di crisi in chiave anticipatoria della tutela; b) di efficiente riallocazione del rischio  sindacato sul merito attribuito ai creditori (la procedura / lo strumento viene qualificato come «creditor’s bargain») perché sono loro che rischiano in prima battuta; è nella loro sfera giuridica che l’insolvenza reca il danno.

V La riespansione del controllo giudiziale sul merito della soluzione negoziale Efficiente riallocazione significa anche separare le sorti dell’impresa da quelle dell’imprenditore  significa prendere atto che la procedura concorsuale non è un procedimento penale a carico dell’imprenditore. Non ha ad oggetto l’accertamento di un fatto illecito né mira alla irrogazione di una sanzione. Ha ad oggetto un problema economico e mira alla sua soluzione (auspicabilmente) più razionale. L’approccio «laico», funzionale, e su basi oggettive, può affermarsi in chiave sistematica e trova una importante conferma anche nell’istituto ove apparentemente è più marcata l’impronta pubblicistica: il controllo degli atti in frode.

VI Il controllo giudiziale sugli atti di frode. L’art. 167 prevede che «Durante la procedura di concordato, il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale». L’art. 172 penultimo comma prevede una relazione integrativa «qualora emergano informazioni che i creditori devono conoscere ai fini dell’espressione del voto» L’art. 173 prevede che «il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d'ufficio (*) il procedimento per la revoca dell'ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori» (*) PREVISIONE MANTENUTA NELLA LEGGE DELEGA !!

VI Il controllo giudiziale sugli atti di frode. Il 173 è la reazione della legge fallimentare agli atti di frode nel concordato preventivo. Una reazione doppiamente limitata: nell’ambito di applicazione (il concordato) e nel tipo di sanzione (revoca del concordato). Ed è questa la chiave di lettura che riterrei preferibile, perché la funzione di una norma non si indica aprioristicamente ma si desume dalla sua struttura e dalla sua collocazione sistematica. Ciò nondimeno, dall’analisi di questi elementi si può trarre il convincimento che si tratti di una norma di chiusura, espressiva di un principio generale dell’ordinamento; ma a patto che non si confonda il principio (illiceità dell’atto di frode) con l’effetto, cioè con la specifica sanzione adottata dall’ordinamento.

VI Il controllo giudiziale sugli atti di frode. L’orientamento che propugna la lettura estensiva della disposizione troverebbe sponda nella legge delega di riforma: recupera infatti quella valenza pubblicistica propria del previgente assetto, quando il 173 era il veicolo per procedere ad un nuovo controllo di meritevolezza, soggettiva ed oggettiva, dopo l’ammissione del concordato. In tale prospettiva, atti di frode sono tutti quelli contrari al principio di correttezza e buona fede nel procedimento concordatario, che mirano pertanto a viziare, distorcere, abusivamente utilizzare, recando un pregiudizio in re ipsa ai creditori: non interessa, in questa prospettiva, che essi esprimano il consenso, o che subiscano un danno; la loro volontà viene del tutto travolta e superata.

VI Il controllo giudiziale sugli atti di frode. «Quel che rileva è il comportamento fraudolento del debitore, non l'effettiva consumazione della frode» (Cass. 9027/2016). Dall’altro lato, abbiamo l’orientamento – che è anche quello del nostro Ufficio – secondo cui gli “atti di frode” considerati dal 173 sono tutti quelli idonei a ledere l’interesse, giuridicamente protetto, all’espressione di un voto libero, perché informato sui fatti e consapevole degli effetti, sulla proposta concordataria.

VI Il controllo giudiziale sugli atti di frode. Se è vero che il Tribunale si disinteressa del merito della proposta, poiché la convenienza della stessa – la c.d. fattibilità economica – è rimessa al giudizio dei creditori, è evidente che la prima direzione in cui il 173 opera è consentire che tale giudizio avvenga in esito ad un procedimento efficace sul piano informativo. Paradossalmente, se aderiamo all’impostazione della legge delega, di una norma come il 173 non ci sarà più bisogno; essa vedrà quantomeno ridursi il proprio ambito applicativo: al voto non si arriva neanche, perché è il Tribunale che d’ufficio dichiara inammissibile la proposta o revoca il concordato in nome del superiore interesse pubblico.

VI Il controllo giudiziale sugli atti di frode. La seconda direzione in cui la norma opera è quella della fattibilità c.d. giuridica: checché ne dicano i creditori, non si può avallare una proposta strutturata sul perseguimento di finalità vietate dalla legge: ad esempio quelle che prevedano la alterazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione, mediante la degradazione dei crediti con privilegio generale al chirografo, al fine di operarvi una falcidia che consenta la soddisfazione dei privilegiati speciali. Per questo tipo di proposta la sanzione è di regola l’inammissibilità; ma coerenza logica e sistematica vuole che sia la revoca, quando tale distorsione non emerga nella fase preliminare, ma solo successivamente (perché il commissario giudiziale accerta la reale natura del diritto di prelazione taciuto o erroneamente qualificato dal proponente).

VI Il controllo giudiziale sugli atti di frode. La terza direzione, infine, in cui opera il 173 è quella del controllo di legalità. La norma fa sistema perché arma il braccio del giudice, fornendogli la sanzione per le violazioni di tutte le altre disposizioni rilevanti: sia quelle in tema di struttura della proposta (percentuale di soddisfacimento minima; classamento dei creditori; loro trattamento) sia quelle in tema di adempimento del concordato, sia quelle in tema di rapporti con gli altri organi della procedura (Tribunale, giudice delegato, commissario, creditori). Col 173 si garantisce pertanto il controllo di legalità del procedimento concordatario.

VI Il controllo giudiziale sugli atti di frode. Individuerei pertanto i beni giuridici tutelati non solo nella informazione ai creditori ai fini dell’espressione di voto consapevole; non solo nella adeguatezza di tale informazione, che deve essere vagliata come completa, esaustiva, veritiera; ma anche nella correttezza e buona fede nell’utilizzo del concordato e nel rapporto con gli organi della procedura. Ritengo che a tali conclusioni si possa pervenire valorizzando la portata del concetto di frode, sul piano lessicale e sul piano sistematico.

VI Il controllo giudiziale sugli atti di frode. Sul piano lessicale ricordiamoci che essa consiste in omnis calliditas, fallacia, machinatio, ad circumveniendum, fallendum, decipiendum alterum adhibita. Non solo la fallacia , cioè la menzogna, l’indurre in errore; non solo la machinatio, cioè l’uso strumentale di facoltà lecite, l’ingegnarsi per piegarle ad un fine meno nobile mediante un meccanismo più o meno complesso; non solo la calliditas, cioè la scaltrezza, la furbizia. Da sole non bastano a farci capire il senso del 173. Per mutuare il lessico penalistico, la norma sanziona atti idonei – sul requisito della idoneità torneremo subito – diretti in modo non equivoco a: circumveniendum, fallendum, decipiendum alterum.

VI Il controllo giudiziale sugli atti di frode. Prendere in giro, indurre in errore, ingannare, con qualunque condotta cui di regola conseguano tali effetti. Si può mentire, si può dire il vero solo in parte, si può “fare i furbi”; l’obiettivo è l’ingiuria, cioè l’offesa ad un interesse tutelato: che sarà la par condicio creditorum, la correttezza dell’uso dello strumento processuale tanto sul piano della legalità formale quanto sul piano degli effetti sostanziali. Sicché, anche se la singola fattispecie si potrà polarizzare più sull’uno o sull’altro elemento, essi vanno letti tutti assieme. Se vogliamo che la frode sia efficacemente sanzionata, non possiamo adottarne una lettura limitativa o parcellizzata sui singoli elementi. Essi non devono ricorrere simultaneamente; neppure ad essere sanzionato è un atteggiamento: la norma non si incardina su una questio voluntatis; il sindacato è su atti, non su intenzioni. L’atto le manifesta; ma nel senso che all’atto imputiamo l’intenzione che corrisponde al ragionevole significato; è un comportamento socialmente tipico e da valutarsi, asetticamente, per ciò che significa secondo l’id quod plerumque accidit.

VI Il controllo giudiziale sugli atti di frode. Sul piano sistematico, dicevamo, occorre considerare che l’ordinamento è strutturato sulla pluralità di risposte alla frode, generalpreventiva, sul piano penale; specialpreventiva, ancora sul piano penale; sul piano civile, stigmatizzando l’atto con una diversità di sanzioni che possono anche non coincidere. L’atto di dispersione del patrimonio – esempio classico di frode ai creditori – può comportare tanto la privazione della libertà personale per il suo autore, quanto la privazione della efficacia dell’atto, sia erga omnes (nullità), sia nei confronti di alcuni soggetti soltanto (revocatoria: inefficacia relativa). Il fondo patrimoniale costituito dal debitore può essere dichiarato inefficace, e dunque sanzionato, nei confronti del creditore che si sia tempestivamente attivato a propria tutela, impugnando l’atto di costituzione con la revocatoria; e rimanere valido ed efficace nei confronti degli altri terzi. Le sanzioni sono apprestate dall’ordinamento a date condizioni; all’una condizione non segue invariabilmente l’una o l’altra delle sanzioni, e viceversa queste non postulano necessariamente la ricorrenza di quelle.

VI Il controllo giudiziale sugli atti di frode. E fin qui abbiamo solo atti suscettibili di essere inquadrati come atti di frode; ma non è detto che lo siano. Essi devono essere idonei a: a che cosa? Al conseguimento di un effetto che la legge non vuole si produca, perché lesivo di un interesse rilevante e meritevole di tutela. C’è chi individua tale interesse in termini estremamente ampi, ritenendo che atto di frode sia ogni comportamento idoneo a falsare il corretto e regolare andamento della procedura; così aprendo ad un controllo del Tribunale estremamente penetrante e spinto fino al sindacato di merito: atto di frode è anche quello in senso civilistico, cioè l’atto idoneo a recare un pregiudizio economico ai creditori. Come va valutato tale pregiudizio? La convenienza del concordato si valuta, lo sappiamo, rispetto alla liquidazione fallimentare. Quindi è atto di frode ogni atto idoneo a far conseguire al creditore qualcosa in meno rispetto a quanto conseguirebbe in caso di fallimento. Il corollario di questa impostazione è evidente: è il Tribunale che valuta la convenienza della proposta concordataria, decidendo – in esito ad un giudizio prognostico – il livello di soddisfacimento dei creditori.

VI Il controllo giudiziale sugli atti di frode. Il punto è questo: se si tratta di condotte poste in essere nell’imminenza del concordato, in vista di questo – e questo significa che il lasso temporale dev’essere ragionevolmente breve – e di cui i creditori non vengono informati, o che sono presentate in maniera tale da falsare la rappresentazione della realtà (calliditas, machinatio, fallacia), il concordato non va ammesso e se ammesso va revocato checché ne dicano i creditori, ma non perché “dobbiamo sanzionare il comportamento fraudolento in quanto tale”, ma perché questo comportamento intanto lo consideriamo fraudolento in quanto ha precluso la formazione di un consenso adeguatamente informato.

VI Il controllo giudiziale sugli atti di frode. Secondo punto: se si tratta di atti che sono stati invece pienamente portati a conoscenza dei creditori e questi hanno votato favorevolmente, bontà loro: contenti loro, contenti tutti; a meno che i creditori non siano partecipi dell’accordo fraudolento. Il concordato regge, nel senso che non sarà soggetto a revoca, salva la possibilità di diverse sanzioni: l’annullamento, la risoluzione, la responsabilità civile etc. Terzo punto: se si tratta di atti slegati dal concordato, stesso discorso: non possiamo usare lo strumento della revoca per recuperare sanzioni che vanno inflitte in altra sede. .