Leggi di Mendel.

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Transcript della presentazione:

Leggi di Mendel

Lo scopo Mendel, un abate vissuto in Boemia, fu il primo ricercatore che si pose correttamente la questione della continuità dell’informazione genetica fra individui di generazioni successive.

Mendel lavorò negli anni ’60 dell’800, pubblicando le sue leggi nel 1865, tuttavia per molto tempo nessuno comprese la portata della sua scoperta. Infatti appena nel 1900 i biologi “riscoprirono” le leggi di Mendel, dando inizio allo studio della genetica. Questa disciplina conobbe nella prima metà del ‘900 uno sviluppo molto intenso, in particolare per il lavoro di T. H. Morgan (1866-1945).

Al tempo di Mendel l’eredità biologica rappresentava ancora un fatto del tutto indeterminato, in quanto erano sconosciuti tutti gli aspetti biomolecolari e la maggior parte di quelli cellulari. Il DNA è stato isolato come sostanza pura nel 1869 da Miescher, e ci volle ancora molto tempo prima che si scoprisse quale fosse la funzione di questa molecola.

Il lavoro di Mendel rappresenta per questi motivi un ottimo esercizio di approccio alla biologia, sia per la semplicità degli esperimenti, sia per il metodo seguito, esemplare nella combinazione di intuito, logica, ed oggettività.

Noi impariamo le leggi di Mendel dopo aver già conosciuto alcune fondamentali scoperte della biologia molecolare, pertanto il nostro sarà in qualche modo uno studio retrospettivo, e potremo direttamente associare ai vari aspetti della genetica mendeliana i corrispondenti meccanismi molecolari oggi completamente decifrati.

I caratteri biologici Iniziamo con alcune definizioni. Con l’espressione CARATTERE BIOLOGICO indicheremo qualunque caratteristica descrivibile di qualunque organismo vivente. I caratteri si possono considerare a tutti i livelli: un organo, un tipo di cellula, una biomolecola, un apparato (insieme di organi associati), l’organismo stesso.

Ma i caratteri non sono soltanto morfologici Ma i caratteri non sono soltanto morfologici. Ogni struttura è sempre associata con una funzione, e talvolta il collegamento fra struttura e funzione non è conosciuto. In questi casi si può parlare di carattere “funzionale”: il comportamento di un animale, una “disfunzione” (patologia), anche questi sono veri e propri caratteri biologici.

Ciascun carattere può essere classificato sulla base del suo significato strategico: un carattere può essere funzionale alla sopravvivenza (continuità dell’individuo) oppure alla riproduzione (continuità della specie)

La determinazione dei caratteri Ogni carattere biologico viene determinato da due componenti: 1. Una componente genetica, ereditaria, primaria. 2. Una componente secondaria: l’ambiente.

Ad esempio: il colore della pelle dipende dalle informazioni genetiche ereditarie, ma come sappiamo può essere modificato in modo sensibile dall’esposizione ambientale alla luce. Un altro esempio: la dimensione di un muscolo viene determinata geneticamente, tuttavia anche l’esercizio fisico influisce sullo stesso carattere.

Caratteri la cui determinazione ambientale risulta particolarmente incisiva sono in generale i comportamenti. Un’altra categoria di caratteri spesso condizionati dall’ambiente sono le malattie.

I caratteri elementari I caratteri, come abbiamo visto, possono essere considerati a diversi livelli di complessità. Oggi noi sappiamo che tutti i caratteri biologici complessi possono essere idealmente “scomposti” in un certo numero di caratteri più semplici, fino ad arrivare ai caratteri elementari o “mendeliani”: un carattere elementare corrisponde ad un singolo polipeptide.

In altre parole: ciascuna proteina di un organismo vivente contribuisce alla determinazione dei suoi caratteri. Ogni proteina rappresenta un’unità fondamentale nella descrizione della fisiologia di un certo organismo. Nel caso di proteine con struttura quaternaria* l’unità è rappresentata da ogni singolo polipeptide costituente. (* una proteina con struttura quaternaria è formata da due o più polipeptidi)

I caratteri elementari si dicono anche mendeliani, perché è proprio a questo livello che si possono direttamente applicare le leggi di Mendel. Tutti i caratteri, anche quelli complessi, vengono determinati geneticamente, tuttavia solo in alcuni casi noi siamo in grado di valutare il “contributo” di un singolo polipeptide. Oggi la ricerca più avanzata si dedica in particolare proprio alla scoperta di questa relazione “causa-effetto” fra il singolo polipeptide e la sua azione biologica.

Terminologia Le leggi di Mendel sono molto semplici da imparare, a condizione di conoscere bene il significato di alcune espressioni. Ogni carattere elementare viene determinato da due fattori, presenti in ciascuna cellula dell’organismo. Oggi sappiamo che i “fattori” di Mendel sono le unità informative chiamate geni (unità trascrizionali).

Gli alleli Ogni fattore si può presentare in diverse forme, chiamate alleli. La descrizione degli alleli di un certo carattere ne rappresenta il genotipo. Il termine fenotipo indica invece la manifestazione del carattere: il fenotipo è ciò che noi possiamo direttamente osservare nell’organismo.

Due genotipi Quando i due fattori si presentano con lo stesso allele il genotipo si dice omozigote. Quando i due fattori si presentano con alleli diversi il genotipo si dice eterozigote.

Un allele si dice recessivo quando si manifesta nel fenotipo solo in caso di genotipo omozigote. Un allele si dice dominante quando si manifesta nel fenotipo anche se il genotipo è eterozigote.

Descrizione degli esperimenti di Mendel Mendel si occupava della coltivazione degli ortaggi nel convento dove viveva, ed infatti per le sue osservazioni utilizzò il materiale che aveva a disposizione direttamente nel suo lavoro, in particolare una specie di legume: il Pisum sativum.

Egli intuì che era possibile seguire e prevedere in base ad una semplice regolarità, da una generazione a quella successiva, alcune caratteristiche delle piante da lui coltivate.

Primo esperimento Il primo passo fu quello di creare delle “linee pure”, ossia piante che generassero prole con una sola modalità di espressione (fenotipo) per una determinata caratteristica (carattere): ad esempio, per il carattere “colore del fiore”, Mendel ottenne delle piante che davano per riproduzione altre piante tutte con lo stesso fenotipo (es: fiori bianchi).

fiori bianchi (l. pura) x fiori rossi (l. pura) Ottenute le linee pure per due fenotipi diversi dello stesso carattere, esse furono incrociate. Ad esempio: fiori bianchi (l. pura) x fiori rossi (l. pura) (la “x” è il simbolo che indica l’incrocio) Questa prima generazione di linee pure si chiama anche generazione parentale (P)

L’incrocio di due linee pure per tratti diversi dello stesso carattere origina prole (F1) che presenta uno solo dei due tratti: LEGGE DELLA DOMINANZA. Il tratto presente nella generazione F1 si dice fenotipo dominante.

La rappresentazione degli incroci Nello studio della genetica si rappresentano gli incroci con una simbologia convenzionale. Ad un carattere viene associata una lettera dell'alfabeto. Ad esempio: - alla forma del seme corrisponde la lettera “L” - al colore del seme corrisponde la lettera “G”

Gli alleli dominanti di ciascun carattere si indicano con la corrispondente lettera maiuscola, quelli recessivi con la lettera minuscola. Ad esempio: “gg” è il genotipo omozigote recessivo per il carattere “colore del seme”; per lo stesso carattere “GG” è il genotipo omozigote dominante, e “Gg” il genotipo eterozigote.

Legge della dominanza Si tratta ora di interpretare la legge della dominanza sulla base dell’ipotesi formulata da Mendel. Il risultato dell'incrocio parentale fu una generazione (chiamata F1) di ibridi (eterozigoti). Gli ibridi F1 presentavano tutti lo stesso fenotipo. Nel caso del colore dei fiori, il 100% dei fiori erano di colore viola. Mendel intuì che ciascun individuo F1 era caratterizzato dal genotipo eterozigote, costituito da un allele recessivo che non si manifestava, ed un allele dominante che si manifestava sempre: “Rr”.

La legge della dominanza può essere così formulata: dall'incrocio di due individui omozigoti (linee pure) per alleli diversi, si ottengono individui che presentano tutti lo stesso fenotipo dominante. RR x rr 100% Rr

Secondo esperimento Dopo aver ottenuto la prima generazione (F1) Mendel proseguì incrociando fra di loro proprio questi individui. Era molto semplice eseguire questo incrocio: fu sufficiente consentire l'autoimpollinazione delle piante. In simboli: Rr x Rr

Il risultato di questo incrocio fu una generazione (F2) nella quale ricompariva il fenotipo recessivo, nella proporzione del 25% rispetto al totale degli individui.

La legge della segregazione Questo risultato dimostrò l'ipotesi di Mendel: al momento della riproduzione i due fattori si separano (segregano), rimangono delle unità indipendenti (non si mescolano fra loro), e ciascun figlio eredita per ogni carattere un allele da un genitore ed un allele dall'altro genitore. La combinazione di questi alleli determina il nuovo genotipo del figlio.

La legge della segregazione degli alleli è fondata su un principio fondamentale: ciascun individuo della generazione filiale eredita uno dei due alleli di ciascuno dei due genitori, e questa scelta è completamente casuale: ciascuno dei due alleli può essere ereditato dai figli con la stessa probabilità. Soltanto così è possibile spiegare la proporzione (25%-75%) tra i due fenotipi ottenuta da Mendel nel secondo incrocio.

Dopo la descrizione di questi primi esperimenti possiamo osservare che lo studio della genetica consiste in definitiva nell'eseguire degli incroci controllati, fra individui dei quali si conosce il fenotipo (caratteristica osservata), ma non sempre si conosce il genotipo: infatti un fenotipo dominante può derivare sia da un genotipo omozigote dominante sia da un genotipo eterozigote.

Le successive scoperte della biologia cellulare prima e di quella molecolare in seguito, consentirono di interpretare tutte le leggi della genetica. I fattori, o geni, sono portati dai cromosomi, e la segregazione degli alleli corrisponde alla disgiunzione dei cromosomi omologhi che avviene durante la meiosi.

Un allele dominante di solito rappresenta un gene che produce una proteina funzionale, mentre un allele recessivo rappresenta un gene “mutante”, che non produce la proteina funzionale. Per la maggior parte dei caratteri elementari, la presenza anche di un solo gene nella sua forma “normale”, garantisce l’espletamento della funzione associata. Questo fatto spiega l’equivalenza fenotipica fra genotipo eterozigote e genotipo omozigote dominante.

Ora per fare un passo avanti, consideriamo l’eredità di due caratteri contemporaneamente: esiste associazione? In altre parole: se i fenotipi di due caratteri distinti sono associati in un genitore lo saranno anche nei figli?

La terza legge La legge dell’assortimento indipendente afferma il contrario: non esiste alcun rapporto di associazione fra caratteri distinti. I “fattori” mendeliani assortiscono indipendentemente al momento della riproduzione.

Noi oggi diamo un’interpretazione cellulare molto precisa a questa legge: durante la meiosi ogni coppia di cromosomi omologhi si separa indipendentemente da tutte le altre, così che l’assortimento di cromosomi in ciascuna cellula aploide è perfettamente casuale.

Tuttavia noi oggi sappiamo che la legge dell’assortimento indipendente NON vale per tutte le coppie di caratteri ma esistono delle eccezioni: Quando due geni sono associati sullo stesso cromosoma e fra i due loci non vi è stato crossing-over allora i due geni si ritrovano associati nei gameti che derivano dalla meiosi.

Quando i due geni si trovano sullo stesso cromosoma, ma ad una certa distanza, la probabilità che nel tratto compreso fra essi si verifichi il crossing-over è molto elevata: se il numero di crossing-over è dispari allora i due geni si ritroveranno disgiunti nelle cellule figlie, se il numero di crossing-over è pari allora si ritroveranno nello stesso gamete.

In conclusione, visto che il crossing-over è un processo del tutto casuale, l’associazione dei geni si verifica solo se essi si trovano a breve distanza sullo stesso cromosoma. Inoltre la probabilità di associazione diminuisce con la distanza: al di là di un certo limite, di fatto i due geni si comportano come se si trovassero su due cromosomi distinti.

L’associazione dei geni è stata utilizzata dagli studiosi di genetica per la “mappatura” dei cromosomi: attraverso molti incroci è possibile stabilire la posizione di ciascun gene sul cromosoma. Nella specie umana i cromosomi non omologhi sono 23, mentre i geni sono molte migliaia. Questo ci dà l’idea che ciascun cromosoma contiene molti geni.