Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo

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Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo Il metodo della complessità e le discipline psicofisiche orientali Sergio Raimondo Area Discipline Orientali Unione Italiana Sportpertutti

Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo Arrigo Boetti – Biennale di Venezia 1974 Dopo quattro decenni la condizione umana si trova a vivere in sistemi sociali sempre più complessi. Non si intravvedono approdi certi poiché ogni linguaggio necessita di approssimazione, sebbene l’invadente ritorno delle passioni religiose a scapito di una sana laicità critica mascheri talvolta questa chiara eredità del Novecento. Il corpo umano può tuttavia contare su una tale PLASTICITÁ da rappresentare con il suo vissuto una metafora delle soluzioni adatte a gestire sistemi complessi.

AVERE un corpo ed ESSERE un corpo Vivendo questa polarità, che rende il proprio corpo nello stesso tempo soggetto e oggetto dell’esperienza, ciascuno prende coscienza del proprio essere nel mondo. Succede così che se gli uomini sono condizionati dall’essere un corpo, cioè dai suoi meccanismi fisiologici, come avviene per gli altri animali, essi però sanno anche di avere un corpo che possono indirizzare verso soluzioni diverse per rispondere a quegli stessi bisogni fisiologici, basti pensare alle enormi varietà presenti nel mondo nelle tradizioni alimentari, igieniche, abitative, dell’abbigliamento.

L’espressività è il modo con cui si manifesta proprio la tensione tra l’avere e l’essere un corpo. L’espressività è cioè la forma con cui ogni uomo rivela le emozioni che nidificano e contemporaneamente originano nel suo corpo. Il corpo è quindi un fattore indispensabile del processo di costruzione dell’identità, non è possibile prescindere da esso per prendere coscienza di sé stessi, di chi effettivamente si è. Ma il corpo umano è allo stesso tempo un campo di azione, una condizione del possibile, un sommario da cui estrarre specifiche capacità mediante un lavoro assiduo e impegnativo a differenza ancora una volta da quello degli altri animali, perfetto nel proprio specialismo anatomico.

Il corpo umano possiede una notevole plasticità per adeguarsi alle condizioni ambientali circostanti, un capitale plastico innato che gli permette di fare tante cose tutte di qualità. Non funziona mediante una gerarchia qualitativa ma conta su funzioni diverse, capaci di essere efficaci rispetto alla situazione specifica. Per questa ragione è anch’esso un sistema complesso, perché le sue diverse funzioni non sono in rapporto di linearità meccanica causa-effetto ma il sistema è ugualmente integrato, pur se agisce su scale diverse le quali all’apparenza può anche sembrare che si ignorino. Per esempio, sebbene a livello dei sensi non si percepisce il crepitio elettrico delle sinapsi, le informazioni registrate dai vari distretti circolano a livello sistemico per essere rielaborate in risposte adattative che possono anche essere del tutto nuove, creative, anticipatrici piuttosto che uniformarsi a modelli noti.

Il corpo umano ha dunque le potenzialità per divenire un progetto identitario. Per proporsi come espressione privilegiata di una competenza sociale del soggetto cui appartiene. Con la gestione autocontrollata della propria apparenza corporea sipuò essere capaci di fronteggiare il proprio presunto destino naturale per mezzo della cura di sé. L’attività motoria ne è sicuramente parte integrante purchè rispetti i limiti biofisiologici individuali, che sia dunque fondata su valori umanistici, perciò capace di divenire autentica strategia di liberazione con lo sprigionamento di energie soggettive orientate al benessere. Ciò che invece è negato in una pratica sportiva ossessionata dal risultato, in cui l’attività motoria cessa di essere cura del sé per divenire medicalizzazione e sperimentazione tecnologica.

Se la sfera privilegiata della costruzione identitaria è quella personale, l’individuo si sente minacciato da relazioni sociali sfuggenti perché troppo complesse. Si rifugia dunque nel narcisismo come risposta allo spaesamento di cui si sente vittima, la pelle tesa di un corpo allenato protegge l’interno dell’individuo che si sente minacciato. È lo stesso meccanismo, soltanto più sudato e meno caro, di chi si rifugia invece – o anche - nella chirurgia estetica. Al contrario, la cura del sé, quindi anche del proprio corpo, può essere un robusto veicolo per l’inserimento dell’individuo nella comunità. Il benessere integrale diventa sinonimo di relazioni sociali, lo sport così finalizzato oltrepassa non solo la competizione ma anche il mero esercizio fisico per divenire possibilità di fare amicizia, di inclusione in reti sociali, di vivere meglio la propria giornata anche nell’alienazione del tempo di lavoro, di dare un senso alla vita.

La più sincera misura del benessere integrale, mens sana in corpore sano, è data allora dalla RELAZIONE. Verificata già nel proprio stesso corpo, da una parte con l’emersione di stati emotivi indecidibili, al pari dei sogni, i quali ci vengono incontro da un altrove ignoto sebbene di solito si trovi all’interno di noi stessi, dall’altra con le forme espressive con cui dichiariamo al resto del mondo quel nostro vissuto emotivo. Sperimentata soprattutto con la conservazione il più a lungo possibile della flessibilità plastica che accompagna la nascita del nostro corpo, sinonimo di benessere tanto nella propria esistenza fisiologica quanto nella dimensione sociale proprio perché senza di essa ogni tipo di relazione soffre o addirittura viene meno, da quelle interne a noi stessi tra emozioni, mente e corpo a quelle con gli altri, che sono altri, si, ma così simili a noi stessi.