Carmelo Petraglia (Università della Basilicata)

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Transcript della presentazione:

Carmelo Petraglia (Università della Basilicata) Conti pubblici territoriali: cosa dicono i dati e dove vanno le politiche? Carmelo Petraglia (Università della Basilicata) Le risorse pubbliche per lo sviluppo dei territori secondo i conti pubblici territoriali: Italia e Basilicata Irsina (MT), 1 Dicembre 2017

Outline della presentazione 1. I numeri Rapporto l’andamento «eccezionale» del 2015: torna a crescere la spesa in conto capitale, ma non si inverte il trend calante degli anni della crisi; persistono i divari territoriali nell’allocazione della spesa; disimpegno di «lungo periodo» (1951-2015) della politica nazionale di coesione territoriale. 2. Alcune riflessioni sulle politiche Politiche e divari regionali nel lungo periodo: entità ed effetti dei trasferimenti interregionali (1951-2010); insegnamento da trarre: la «qualità» delle politiche nazionali conta. Politiche e divari regionali nella crisi: riduzione dei «residui fiscali» e impatto regionale asimmetrico dell’austerità. 3. Considerazioni conclusive 2015-2016: un biennio di fatti «nuovi». «Qualcosa si muove» nel Mezzogiorno. La ripresa sarà accompagnata da politiche adeguate?

1. I numeri del rapporto

Il 2015: un anno «eccezionale» ma «la strada per recuperare la contrazione post crisi è ancora lunga» La spesa in conto capitale del SPA nel 2015 decresce ancora a livello nazionale (-4,2%) per l’effetto combinato della riduzione al Nord (-9,8%) e dell’aumento al Sud (+7%). Investimenti o trasferimenti? Ciò che maggiormente ha influito è l’incremento degli investimenti (+13,6% in termini reali): questo ha portato per la prima volta in 16 anni una spesa pro-capite al superiore rispetto al dato settentrionale. Spesa ordinaria o aggiuntiva? L’aumento è sostenuto dalla spesa aggiuntiva derivante dalla chiusura della programmazione comunitaria 2007-13, mentre è sempre più marginale la politica ordinaria. Quali soggetti di spesa? Incremento interamente ascrivibile alle AR e AL (principali attuatori dei programmi di intervento finanziati con risorse aggiuntive) che più che compensa la contrazione delle AC, delle IPN e delle IPL. Il picco del 2015 nella spesa in conto capitale, tuttavia, non inverte il crollo strutturale iniziato con l’austerità. Per il 2016 le stime dell’Indicatore Anticipatore registrano una contrazione della spesa in conto capitale della PA (-17% nel Mezzogiorno).

«L’allocazione della spesa è squilibrata nella distribuzione territoriale» DISTRIBUZIONE TERRITORIALE DI SPESA, PIL E POPOLAZIONE Spesa (% italia) Pil Popolazione 2000 2015 Centro-Nord 68,8 71,2 75,2 77,1 63,9 65,6 Mezzogiorno 31,4 28,8 24,2 22,8 35,3 34,4 Fonte: Sistema Conti Pubblici Territoriali Allocazione «non favorevole alle aree che presentano un maggior fabbisogno di intervento» Distribuzione della spesa totale del SPA nel 2015 conferma il significativo divario nei livelli di spesa procapite tra Mezzogiorno e Centro-Nord in tutti i settori. Le differenze più rilevanti riguardano i servizi essenziali: Politiche sociali (asili nido, servizi per l’infanzia, servizi e strutture per gli anziani), Sanità, Reti infrastrutturali, Mobilità.

«Non ci restano che le risorse europee» PA – SPESA IN CONTO CAPITALE E RISORSE AGGIUNTIVE, MEZZOGIORNO, MLD DI EURO COSTANTI 2010. 2000 2015 2000-13 2013-15 Totale 22,9 15,8 24,0 14,4 di cui: Spesa ordinaria 11,3 4,4 10,7 5,0 Fondi strutturali 3,0 6,3 3,4 4,6 Cofinanziamento e PAC 2,5 3,8 3,1 Aree sotto utilizzate - FSC 6,1 1,3 6,8 1,8 Risorse aggiuntive su totale 50,6% 72,0% 55,3% 65,1% 2016 13,0 7,5 2,3 1,6 42,2% Fonte: Sistema Conti Pubblici Territoriali Effetto sostitutivo della politica aggiuntiva rispetto alle politiche pubbliche ordinarie (soprattutto durante la crisi) Effetto sostitutivo interno alle politiche aggiuntive (sempre meno politica aggiuntiva nazionale) 2016: Un risveglio della politica nazionale? (spesa ordinaria: forse; FSC: no)

SPESA PER INTERVENTI NAZIONALI FINALIZZATI ALLO SVILUPPO Il disimpegno di lungo periodo delle politica nazionale di coesione territoriale Usando come riferimento l’obiettivo dello 0,4-0,6% del Pil per il FSC (previsione DPEF 2007-2011), impegno delle politiche «adeguato» fino al 2000. A partire dagli anni 2000 le risorse sono state estremamente ridotte. Dal 1995 al 2010, la Germania ha destinato alle aree depresse (i Lander orientali) lo 0,8% medio annuo del Pil SPESA PER INTERVENTI NAZIONALI FINALIZZATI ALLO SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO Anni Incidenza % sul Pil 1951-60 0,68 1961-70 0,64 1971-80 0,85 1981-90 0,59 1991-2000 0,47 2001-10 0,33 2011-15 0,15 Fonte: Sistema Conti Pubblici Territoriali Ben vengano queste analisi: servono a recuperare «memoria» della storia delle politiche per il Sud (lunga e caratterizzata da molti «cambi di regime» delle politiche), del loro impatto sulla convergenza regionale, del loro contributo alla crescita nazionale.

Finanza pubblica e Mezzogiorno: la percezione Nonostante questi siano i dati, la percezione piuttosto diffusa è un’altra. Qualche esempio: «Il peso che il Nord deve sostenere, e in particolare alcune regioni, per i conti generali del Paese, è un dato oggettivo». (Massimo Cacciari, 28 dicembre 2013). «Non è vero che ci sono stati dei tagli alla spesa pubblica negli ultimi cinque anni, in realtà la spesa pubblica è aumentata»; «è difficile calcolare territorialmente questa allocazione di risorse ed è altrettanto difficile dichiarare, anche ammesso che ci fossero dei tagli, che si è trattato di qualcosa di negativo, da correggere.» (Roberto Perotti, 9 aprile 2015). «60 anni di intervento straordinario non solo non hanno azzerato il gap tra Sud e Nord», L’Unità, 30 luglio 2015. «Una cosa va detta con chiarezza: non sono le risorse che mancano.», Masterplan per il Mezzogiorno, 4 novembre 2015.

Finanza pubblica e Mezzogiorno: Il tema rimosso dell’interdipendenza Nord-Sud Il ruolo del Mezzogiorno viene troppo spesso interpretato utilizzando la categoria della «dipendenza patologica» del Mezzogiorno dai flussi di finanza pubblica. Ma la dipendenza è in larga parte «fisiologica», è il rovescio della medaglia del dualismo. Più correttamente bisognerebbe parlare di «interdipendenza» Nord- Sud. le risorse che affluiscono nelle regioni meridionali sotto forma di trasferimenti pubblici producono effetti di stimolo alla domanda di cui molto beneficiano anche le imprese localizzate al Nord. Per ogni 10 euro che dal Centro-Nord affluiscono al Sud come «residui fiscali», 4 fanno il percorso inverso immediatamente sotto forma di domanda di beni e servizi. Gli altri contribuiscono comunque a sostenere un'area di produzione e di consumo ancora rilevante per l'economia dell'intero Paese e di cui dunque beneficia anche il Nord. Gli investimenti pubblici al Sud «fanno bene» all’economia italiana. I tagli «fanno male» all’economia italiana.

2. Alcune riflessioni sulle politiche Politiche e divari regionali nel lungo periodo: entità ed effetti dei trasferimenti interregionali (1951-2010); insegnamento da trarre: la «qualità» delle politiche nazionali conta. Politiche e divari regionali nella crisi: riduzione dei «residui fiscali» e impatto regionale asimmetrico dell’austerità

Residui fiscali regionali nel lungo periodo Residuo fiscale = differenza tra il contributo fornito dagli abitanti di un’area al finanziamento dell’azione pubblica (pagamento delle imposte) e i benefici che gli stessi ricevono da tale azione (servizi pubblici e spesa «per lo sviluppo») «Residui fiscali» pro capite per macro-ripartizioni (euro 2010), 1951-2010 1. Redistribuzione «moderata» 2. Redistribuzione ampia e crescente 3. Redistribuzione in calo 1. 2. 3. Fonte: Giannola-Petraglia-Scalera (2016), «Net fiscal flows and interregional redistribution in Italy: a long run perspective (1951-2010)», Structural change and economic dynamics, 39: 1-16.

Entità della redistribuzione e riduzione dei divari regionali: una relazione debole Pil procapite del Mezzogiorno (Italia = 100), 1951-2010 Convergenza regionale Stabilità Divergenza Convergenza «statistica» 1. Trasferimenti “moderati” 2. Trasferimenti crescenti 3. Trasferimenti in riduzione

I break strutturali che cambiano la «qualità» delle politiche Dagli anni 70 (dalla Fase 1 alla Fase 2): Politiche ordinarie Escalation spesa pubblica e cambiamento strutturale nella sua composizione da investimenti a spesa corrente (MEF, 2011; Giarda, 2011; Istat, 2010); Decentramento della spesa (Break istituzionale dell’introduzione delle Regioni) Politiche di sviluppo Fine fase dell’industrializzazione “esterna”; Inizio del decentramento delle politiche (l.n. 853/1971 e l.n. 183/1976); 1984-92: Fase di transizione verso l’intervento ordinario «Prima»: Redistribuzione interregionale di dimensione inferiore, ma operata attraverso investimenti pubblici (complementari agli investimenti privati) e quindi più efficace nel supportare il processo di convergenza del Sud (la maggiore «qualità» delle politiche consente la riduzione del divario al costo di una redistribuzione interregionale moderata). «Dopo»: La redistribuzione interregionale avviene quasi esclusivamente con la spesa pubblica corrente a sostegno di redditi e consumi. Il divario Nord-Sud aumenta nonostante i trasferimenti consistenti e crescenti.

La fase 3: la contrazione della redistribuzione verso il Mezzogiorno negli anni 2000 «Residui fiscali» per macro-ripartizioni 2000-2002 2012-2014 in mld di euro (prezzi costanti 2010) Nord Ovest 35,3 32,5 Nord Est 22,5 21,2 Centro -2,3 -3,4 Sud -34,2 -31,2 Isole -21,3 -19,0 in euro procapite 2367 2039 2122 1836 -208 -285 -2458 -2224 -3215 -2848 in % del Pil 7,0 6,4 6,5 6,0 -0,7 -1,0 -13,0 -17,2 -16,7 1. Tendenza di medio periodo: a) il calo degli investimenti pubblici e il ridimensionamento degli aiuti alle imprese (diminuiscono in Italia; si azzerano al Sud); b) risorse «aggiuntive» destinate allo sviluppo diventano «sostitutive» delle risorse ordinarie. 2. Con la grande crisi: a) la composizione delle manovre di consolidamento fiscale penalizzano il Sud; b) l’austerità amplifica gli effetti asimmetrici Nord-Sud della crisi Fonte: Ns elaborazioni su Sistema Conti Pubblici Territoriali

3. Considerazioni conclusive

La ripresa del Mezzogiorno e la dimensione europea della questione meridionale Il Mezzogiorno nel 2015-16 cresce più del Centro-Nord, ma l’Italia cresce a ritmi distanti dalla media europea. Soprattutto, il Mezzogiorno perde terreno dalle altre aree periferiche dell’Ue (dinamica salariare contenuta, bassa qualità del lavoro; spopolamento). La questione «meridionale» ha una dimensione europea. Il Mezzogiorno è in una condizione di «svantaggio strutturale» rispetto alle altre regioni beneficiarie delle politiche di coesione, soprattutto quelle dell’Est Europa. Uno svantaggio che non può essere recuperato solo con un uso efficiente delle risorse europee: Elevata pressione fiscale/costo del lavoro rispetto ad altre economie svantaggiate Ue (il Sud non attrae investimenti esteri; svantaggio localizzativo non colmabile da politiche di riduzione del carico fiscale generalizzato a livello nazionale); Lontananza dai mercati (economie dell’Est vicine ai grandi mercati europei; la centralità del Sud nel Mediterraneo è solo una potenzialità non sfruttata) Mancato rispetto del principio di «addizionalità» (nelle economie dell’Est, i fondi comunitari sono per definizione risorse «aggiuntive» nei bilanci nazionali)

Le politiche accompagneranno la ripresa? Le «discontinuità positive» delle politiche nel biennio 2015-16: Masterplan: primo segnale di considerazione per la condizione del Mezzogiorno Patti per il Sud: riorganizzazione delle risorse disponibili; recupero del coordinamento tra Governo e Amministrazioni regionali) I due recenti decreti Mezzogiorno sono l’occasione per rafforzare la politica nazionale (politiche specifiche per attrarre investimenti esteri: istituzione delle ZES; «clausola del 34%» per raggiungere un livello di spesa ordinaria in conto capitale nel Mezzogiorno proporzionale alla popolazione residente: Inversione di tendenza delle politiche? Verso l’adozione di un modello di intervento della politica regionale nazionale che riconosce che al rafforzamento della capacità produttiva e del contesto infrastrutturale del Mezzogiorno debbano concorrere interventi «esterni» ai contesti locali?