Giacomo Leopardi il primo dei moderni.

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Transcript della presentazione:

Giacomo Leopardi il primo dei moderni

La felicità è “ignoranza del vero”: gli antichi e i fanciulli “Io dico che la felicità consiste nell’ignoranza del vero” (Zibaldone 326) L’infanzia è per Leopardi il periodo più bello della vita, si vive ignari di tutto, pensando solo a sé stessi. “Io tengo afferrati con ambe le mani questi ultimi avanzi e queste ombre di quel benedetto e beato tempo, dov’io sperava e sognava la felicità, e sperando e sognando la godeva” (lettera a Piero Giordani novembre 1819). Gli antichi vivevano senza conoscere “il vero” per questo erano felici come i fanciulli.

La natura è grande la ragione è piccola (o il pessimismo storico) “ La ragione è nemica della natura: la natura è grande, la ragione è piccola” (Zibaldone 14) “ E però non c’è dubbio che i progressi della ragione e lo spegnimento delle illusioni producono la barbarie, e un popolo oltremodo illuminato non diventa mica civilissimo, come sognano i filosofi dei nostri tempi, la Stael ec., ma barbaro” (Zibaldone 22) “Io credo che nell’ordine naturale l’uomo possa anche in questo mondo esser felice, vivendo naturalmente, e come le bestie, cioè senza grandi né singolari e vivi piaceri, ma con una felicità e contentezza sempre, più o meno, uguale e temperata (eccetto gli infortuni che possono essere nella sua vita …) insomma come sono felici le bestie quando non hanno sventure accidentali. Ma non già credo che noi siamo più capaci di questa felicità da che abbiamo conosciuto il vuoto delle cose e le illusioni e il niente di questi stessi piaceri naturali del che non dovevamo neppur sospettare: ogni uomo che pensa è un essere corrotto, dice Rousseau, e noi siamo già tali.” (Zibaldone 56)

Il materialismo (o pessimismo cosmico) “Natura: Tu mostri di non aver posto mente che la vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimenti in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento.” (Dialogo della Natura e di un islandese) “L’esistenza non è per l’esistente, non ha per suo fine l’esistente, né il bene dell’esistente; se anche egli vi prova alcun bene, ciò è un puro caso: l’esistente è per l’esistenza, tutto per l’esistenza, questa è il suo puro fine reale. Gli esistenti esistono perché si esista, l’individuo esistente nasce ed esiste perché si continui ad esistere e l’esistenza si conservi in lui e dopo di lui.” (Zibaldone, Bologna 11 marzo 1826)

La teoria del piacere: il desiderio infinito di piacere è conseguenza dell’amor proprio Anzi è notabile come quel sentimento che pare a prima giunta la cosa più spirituale dell’animo nostro, sia una conseguenza immediata e necessaria (nella nostra condizione presente) della cosa più materiale che sia negli esseri viventi cioè dell’amor proprio e della propria conservazione, di quella cosa che abbiamo affatto comune coi bruti, e che per quanto possiamo comprendere può parer propria in certo modo di tutte le cose esistenti. Certamente non c’è vita senza amor di se stesso, e amor della vita. (Zibaldone 12-23 luglio 1820, 182) L’anima umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente, benché sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt’uno col piacere. Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perché è ingenita o congenita coll’esistenza, e perciò non può aver fine in questo o quel piacere che non può essere infinito, ma solamente termina colla vita. (Zibaldone 12-23 luglio 1820, 165)

Il colle dell’Infinito Vista dal monte Tabor, il colle dietro la casa di Leopardi.

La teoria del piacere: l’immaginazione del piacere infinito che non esiste nella realtà “Veniamo alla inclinazione dell’uomo all’infinito. Indipendentemente dal desiderio del piacere, esiste nell’uomo una facoltà immaginativa, la quale può concepire le cose che non sono, e in un modo in cui le cose reali non sono. Considerando la tendenza innata dell’uomo al piacere, è naturale che la facoltà immaginativa faccia una delle sue principali occupazioni della immaginazione del piacere. E stante la detta proprietà di questa forza immaginativa, ella può figurarsi dei piaceri che non esistano e figurarseli infiniti 1. in numero, 2. in durata, 3. e in estensione. Il piacere infinito che non si può trovare nella realtà, si trova così nella immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le illusioni ec. Perciò non è maraviglia 1. che la speranza sia sempre maggior del bene, 2. che la felicità umana non possa consistere se non se nella immaginazione e nelle illusioni.” (Zibaldone 12-23 luglio 1820, 167- 168)

Poesia dell’immaginazione La poesia “deve illudere e illudendo imitare la natura e imitando la natura dilettare”. La poesia dei classici è poesia di immaginazione capace di dare piacere. Questa è l’unica vera poesia, la poesia che illude e diletta.

Poesia sentimentale “Nella carriera poetica il mio spirito ha percorso lo stesso stadio che lo spirito umano in generale. Da principio il mio forte era la fantasia, e i miei versi erano pieni d’immagini. (..) La mutazione totale in me, e il passaggio dallo stato antico al moderno, seguì si può dire dentro un anno, cioè nel 1819 (…). Allora l’immaginazione in me fu sommamente infiacchita, e quantunque la facoltà dell’invenzione allora appunto crescesse in me grandemente, anzi quasi cominciasse, verteva però principalmente, o sopra affari di prosa, o sopra poesie sentimentali. E s’io mi metteva a far versi, le immagini mi venivano a sommo stento, anzi la fantasia era quasi disseccata (…); bensì quei versi traboccavano di sentimento. Ed io infatti non divenni sentimentale, se non quando perduta la fantasia divenni insensibile alla natura, e tutto dedito alla ragione e al vero, in somma filosofo.” Questa annotazione è del 1° Luglio 1820 Leopardi descrive come la sua poesia divenne, nel corso del 1819, sentimentale, ovvero malinconica, poesia che canta il dolore per la perdita delle illusioni.

La poetica del vago e indefinito La poetica dell’indefinito e del vago fa riferimento a quella che Leopardi chiama la teoria del piacere esposta in una lunga annotazione nelle pagine 165-183 del 12-23 luglio 1821 dello Zibaldone. La poesia dà piacere con parole indefinite e vaghe “Le parole lontano, antico, e simili sono poeticissime e piacevoli, perché destano idee vaste, e indefinite, e non determinabili e confuse.” (Zibaldone 1789, 25 settembre 1821).“Le parole notte notturno ec. le descrizioni della notte ec. sono poeticissime, perchè la notte confondendo gli oggetti, l’animo non ne concepisce che un’immagine vaga, indistinta, incompleta, sì di essa, che quanto ella contiene. Così oscurità, profondo.” (Zibaldone 1798, 28 Sett. 1821). Sono indefiniti e quindi piacevoli gli “oggetti veduti per metà, o con certi impedimenti, (…) la luce del sole o della luna, (…) dov’ella divenga incerta e impedita, e non bene si distingua, come attraverso un canneto, in una selva, per li balconi socchiusi.” (Zibaldone, 1476, 20 settembre 1821). Non solo le immagini ma anche i suoni indefiniti danno piacere “Quello che altrove ho detto sugli effetti della luce, o degli oggetti visibili, in riguardo all’idea dell’infinito, si deve applicare parimente al suono, al canto, a tutto ciò che spetta all’udito. È piacevole per se stesso, cioè non per altro, se non per un’idea vaga ed indefinita che desta, un canto (…) udito da lungi, o che paia lontano senza esserlo, o che si vada appoco appoco allontanando, e divenendo insensibile; (…) un canto udito in modo che non si veda il luogo da cui parte; un canto che risuoni per le volte di una stanza ec. dove voi non vi troviate però dentro. In un’altra pagina dello Zibaldone Leopardi spiega che alcune immagini e sensazioni sono piacevoli e poetiche perché sono il ricordo di qualcosa che abbiamo visto o provato quando eravamo bambini e vedevamo e sentivamo tutto in modo indefinito e piacevole “Da fanciulli, se una veduta, una campagna, una pittura, un suono, un racconto, una descrizione, una favola, un’immagine poetica, un sogno, ci piace e diletta, quel piacere e quel diletto è sempre vago e indefinito.

Napoli

Arido vero Nobil natura è quella Che a sollevar s’ardisce Gli occhi mortali incontra Al comun fato, e che con franca lingua, Nulla al ver detraendo, 115 Confessa il mal che ci fu dato in sorte, E il basso stato e frale; La Ginestra (vv.110-117)

Le illusioni Leopardi afferma il dolore di una vita priva di senso, svela il meccanismo indifferente all’uomo e al suo desiderio di felicità di cui l’uomo è prigioniero. Ma Leopardi afferma anche il bisogno vitale di lottare e non rassegnarsi al dolore e all’insensatezza a cui siamo condannati. Il suo pensiero e l’opera sono un monumento alla forza salvifica sempre risorgente delle illusioni. Come scrisse Francesco De Sanctis in Saggi critici “Leopardi produce l’effetto contrario a quello che si propone: non crede al progresso e te lo fa desiderare non crede alla libertà e te la fa amare. Chiama illusioni l’amore, la gloria e la virtù e te ne accende in cuore un desiderio inesausto. Leopardi ricrea con il sentimento quello che ha distrutto con la ragione”. Il più solido piacere di questa vita è il piacer vano delle illusioni. Io considero le illusioni come cosa in certo modo reale, stante ch’elle sono ingredienti essenziali del sistema della natura umana, e date dalla natura a tutti quanti gli uomini, in maniera che non è lecito spregiarle come sogni di un solo, ma propri veramente dell’uomo e voluti dalla natura e senza cui la vita nostra sarebbe la più misera e barbara cosa ec. Onde sono necessari ed entrano sostanzialmente nel composto ed ordine delle cose.(Zibaldone, 51, 1819)

Desiderio di piacere e inganni dell’immaginazione “L’uomo ama naturalmente e immediatamente solo il suo bene, e il suo maggior bene, e fugge naturalmente e immediatamente solo il suo male e il suo maggior male: cioè quello che per tale egli giudica” (Zibaldone, 5- 6 aprile 1825). Per Leopardi l’uomo è mosso dal desiderio di piacere “naturalmente e immediatamente”. Per lungo tempo il pensiero occidentale, sia filosofico sia religioso, ha avuto come obiettivo il controllo del desiderio. Controllo che implica la svalutazione del desiderio, come passione o peccato. Al contrario Leopardi propone, al posto della svalutazione del desiderio, il desiderio degli “inganni dell’immaginazione” come valore per l’individuo e per la società. La nostra società ha fatto propria la non svalutazione del desiderio, ma ha adottato soluzioni diverse rispetto alla valorizzazione del desiderio degli “inganni dell’immaginazione” proposta da Leopardi. Il dolore, l’infelicità, che la repressione e il controllo del desiderio producono nella nostra società, repressione e controllo ineliminabili in ogni società, sono “risolti” con la creazione di desideri artificiali, desideri funzionali al mantenimento della società stessa, prospettando una felicità illusoria, che Leopardi chiamerebbe “un inganno dell’intelletto”.