Institutiones sive elementa libro III, tit. 13

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Laurea magistrale in Giurisprudenza Università di Cagliari Diritto romano

Institutiones sive elementa libro III, tit. 13 Il libro III al titolo XIII è rubricato (I. 3.13) DE OBLIGATIONIBUS DELLE OBBLIGAZIONI La parte precedente del libro III è dedicata alle successioni Dal titolo 13 si passa all’esame delle obbligazioni I. 3.13 pr.: Nunc transeamus ad obligationes. obligatio est iuris vinculum, quo necessitate adstringimur alicuius solvendae rei, secundum nostrae civitatis iura.

Institutiones sive elementa libro III, tit. 13 I. 3.13 pr.: Ora passiamo alle obbligazioni. L’obbligazione è un vincolo giuridico in forza del quale siamo costretti a pagare qualche cosa secondo le norme del nostro Stato (della nostra civitas). Celebre definizione di obligatio: Iuris vinculum: vincolo giuridico (concetto riferito al vincolo antico che asserviva corporalmente il debitore) quo necessitate adstringimur alicuius solvendae rei (in forza del quale siamo costretti a pagare qualche cosa)

Institutiones sive elementa libro III, tit. 13 Si tratta di una definizione che fa perno sulla coercibilità della prestazione secundum nostrae civitatis iura (secondo le norme del nostro Stato)  questa specificazione si deve intendere riferita al complesso delle regole giuridiche vigenti all’interno dell’ordinamento (iura al plurale) Vincolo giuridico tra il soggetto attivo (creditore) e il soggetto passivo (debitore), da cui discende la necessità della prestazione di quest’ultimo Contenuto della prestazione: dare, facere, praestare D. 44.7.3.1 (Paul. 2 inst.): Obligationum substantia non in eo consistit, ut aliquod corpus nostrum aut servitutem nostram faciat, sed ut alium nobis obstringat ad dandum aliquid vel faciendum vel praestandum.

Institutiones sive elementa libro III, tit. 13 formula dell’actio in personam: dare facere praestare oportere Il debitore deve porre in essere un determinato comportamento per adempiere all’obbligazione Differenza con i diritti reali (actiones in rem) poiché essi consistono nel «far nostra una cosa corporale o una servitù» (D. 44.7.3.1 (Paul. 2 inst.)) dare rem: trasferire la proprietà e il possesso di una cosa corporale e garantire la pienezza della proprietà (nozione che si amplia nell’elaborazione dei giuristi) L’azione a tutela dell’adempimento viene concessa quando il debitore non ha compiuto gli atti necessari al passaggio di proprietà della cosa o quando la proprietà non risulta validamente trasmessa o quando il debitore non ha trasferito, oltre alla proprietà, il pacifico godimento

Institutiones sive elementa libro III, tit. 13 obbligazioni di genere: la prestazione è determinata dalle parti soltanto nella quantità e nel genus è comunque necessaria la determinazione o determinabilità dell’oggetto della prestazione) obbligazioni di risultato: trasferimento proprietà e pieno godimento del bene (effetto giuridico) facere: ricomprende i comportamenti più disparati che consistono in un facere del debitore (un’attività di quest’ultimo, prestazione di servizi) o in un non facere praestare: garantire e rispondere per qualcosa  rispondere dell’inadempimento

Institutiones sive elementa libro III, tit. 13 La prestazione deve essere lecita, possibile, determinata o determinabile liceità della prestazione e della causa: non contrarietà a norma dell’ordinamento o al buon costume – boni mores: anche principi cristiani  esempio degli interessi) impossibilità: fisica o giuridica / assoluta o relativa determinazione o determinabilità: prestazione determinata dalla volontà delle parti al momento della creazione del vincolo obbligatorio o determinabile tramite il rinvio ad elementi esterni (per relationem)

Institutiones sive elementa libro III, tit. 13 determinabilità tramite dati oggettivi o la volontà di una delle parti o un terzo mero arbitrio o arbitrium boni viri (persona per bene: criterio sindacabile dal giudice, oggettivo) La definizione di obligatio presente nelle Institutiones non è presente in Gaio (Gai 3.88: Nunc transeamus ad obligationes, quarum summa divisio in duas species diducitur: omnis enim obligatio vel ex contractu nascitur vel ex delicto) perciò è stata ritenuta postclassica, ma ormai questa ipotesi risulta superata

APPROFONDIMENTO: DEFINIZIONE DI OBLIGATIO NELLA PARAFRASI DI TEOFILO PTh. 3.13 pr.: avendo parlato delle cose, passiamo ora alle obbligazioni. Ma qualcuno potrebbe trovare questo passaggio incoerente con la nostra esposizione e pensare che non rispettiamo le promesse passando ora alle obbligazioni. In base a ciò che era stato dichiarato nella prima parte delle Istituzioni, quando abbiamo trattato del numero delle materie che riguardano il diritto romano: persone, res e azioni. Una volta trattate le persone ed esaminate le cose, lasciamo le azioni da parte e passiamo alle obbligazioni? Quest’ordine non è senza giustificazione. Infatti chi tratta le obbligazioni, a poco a poco e senza accorgersene tratta le azioni, essendo le obbligazioni le madri delle azioni.

APPROFONDIMENTO: DEFINIZIONE DI OBLIGATIO NELLA PARAFRASI DI TEOFILO Avendo chiarito il motivo dell’ordine dell’esposizione, passiamo ora a definire che cosa è un’obbligazione. Un’obbligazione è un vincolo giuridico in cui una parte è tenuta ad adempiere a un debito nei confronti di qualcuno, secondo le leggi del nostro Stato. Siete consapevoli che non ogni adempimento di un debito è in sé valido, nonostante sia fatto secondo le leggi del nostro Stato. Dico questo avendo a mente l’adempimento fatto ad un pupillo o da un pupillo, dal momento che il tutore deve prestare il suo consenso, e inoltre in alcuni casi deve essere presente una terza parte per testimoniare il fatto.

APPROFONDIMENTO: DEFINIZIONE DI OBLIGATIO NELLA PARAFRASI DI TEOFILO Vediamo importanti differenze tra la trattazione delle Istituzioni e quella di Teofilo* Teofilo sente il bisogno di giustificare la scelta di trattare le obbligazioni, nel quadro del più ampio schema espositivo persone-res-azioni. Separa la figura dell’obbligazione dalle res incorporales (come in I.2.2 e in Gaio) e assume l’obbligazione come fatto che genera l’azione (madre delle azioni). Prospettiva nuova e diversa da quella classica  tema delle obbligazioni ulteriore rispetto alle res, tema che confluisce in quello delle azioni) * Le considerazioni che seguono tengono conto dei risultati cui è pervenuto G. Falcone, Sull’inquadramento sistematico delle obbligazioni nella Parafrasi di Teofilo (e nelle Istituzioni giustinianee), in Scritti per A. Corbino, 2, Tricase 2016, 503 ss.

APPROFONDIMENTO: DEFINIZIONE DI OBLIGATIO NELLA PARAFRASI DI TEOFILO potrebbe trattarsi di una differenza dovuta anche alla scomparsa della distinzione tra res mancipi e nec mancipi, visto che, alla luce di tale differenza, le obbligazioni potevano essere concepite come parti del patrimonio (res nec mancipi). Nelle Istituzioni di Giustiniano – come abbiamo visto –, sebbene le obbligazioni siano menzionate tra le res incorporales (I. 2.2), non vengono trattate tra di esse (manca un titolo sulle obbligazioni nel libro II delle Istituzioni). I. 2.6  rinvio alla trattazione delle obbligazioni nella sede deputata (trattazione in un luogo diverso  scelta che pare implicare l’abbandono della logica classica obbligazioni-res incorporales)

APPROFONDIMENTO: DEFINIZIONE DI OBLIGATIO NELLA PARAFRASI DI TEOFILO Accostamento delle obbligazioni alle azioni  logica che si ritrova tanto nel Digesto (D. 44.7) che nel Codice (C. 4.10) ai titoli De obligationibus et actionibus. Teofilo esplicita la logica di dipendenza delle azioni dalle obbligazioni, come fa anche in altri luoghi della Parafrasi; si tratta di una logica collegata ad alcuni dati che emergono dalle Istituzioni giustinianee; in particolare, in materia di obligationes ex contractu e ex delicto, vi sono vari passi in cui viene segnalata l’azione di volta in volta esercitabile

APPROFONDIMENTO: DEFINIZIONE DI OBLIGATIO NELLA PARAFRASI DI TEOFILO invece, nella trattazione relativa ai diritti reali presente nelle Istituzioni, come abbiamo visto in occasione dell’esame del libro II, non compare alcun approfondimento dell’aspetto processuale nuova logica di epoca giustinianea (che emerge dalle Istituzioni)? ad avviso di Falcone sì (più che dagli spunti dei giuristi classici)

Institutiones sive elementa libro III, tit. 13 I. 3.13.1: Omnium autem obligationum summa divisio in duo genera deducitur: namque aut civiles sunt aut praetoriae. civiles sunt, quae aut legibus constitutae aut certe iure civili comprobatae sunt. praetoriae sunt, quas praetor ex sua iurisdictione constituit, quae etiam honorariae vocantur. I. 3.13.1: La partizione maggiore di tutte le obbligazioni le divide in due generi: sono, infatti, o civili o pretorie. Sono civili quelle stabilite da leggi o, almeno, convalidate dal diritto civile. Sono pretorie quelle che il pretore ha stabilito con la sua giurisdizione, che si chiamano anche onorarie. N.B. Gai 3.88 non contiene questa indicazione, ma passa direttamente alla distinzione tra obbligazioni ex contractu e ex delicto

Institutiones sive elementa libro III, tit. 13 tuttavia, le Istituzioni spiegano con chiarezza a cosa si riferiscono nel distinguere tra obbligazioni civili e pretorie distinzione, di probabile elaborazione giustinianea, relativa alle modalità (e alla ‘sede’ del ius) in cui erano state riconosciute le obbligazioni obbligazioni civili  derivanti anche dalla legge: es. pagare la condanna obbligazioni pretorie  derivanti dall’attività interpretativa del pretore per quanto si tratti di una distinzione di probabile elaborazione giustinianea, si riferisce fondamentalmente all’epoca preclassica e classica. Abbiamo infatti visto, quando abbiamo esaminato le fonti di epoca giustinianea, i riferimenti al diritto civile, naturale e delle genti, ma non al ius honorarium.

Institutiones sive elementa libro III, tit. 13 I. 3.13.2: Sequens divisio in quattuor species deducitur: aut enim ex contractu sunt aut quasi ex contractu aut ex maleficio aut quasi ex maleficio. prius est, ut de his quae ex contractu sunt dispiciamus. harum aeque quattuor species sunt: aut enim re contrahuntur aut verbis aut litteris aut consensu. de quibus singulis dispiciamus. I. 3.13.2: La partizione successiva le divide in quattro specie: ci sono invero obbligazioni da contratto, da quasi contratto, da delitto o da quasi delitto. È il caso che prima vediamo quelle che sorgono dai contratti. Di queste, pure, ci sono quattro specie: si contraggono invero mediante cosa, o parole, o scritti, o consenso. Vediamole distintamente. Gai 3.88-89: Nunc transeamus ad obligationes, quarum summa divisio in duas species diducitur: omnis enim obligatio vel ex contractu nascitur vel ex delicto. 89. Et prius videamus de his, quae ex contractu nascuntur. harum autem quattuor genera sunt: aut enim re contrahitur obligatio aut verbis aut litteris aut consensu.

Institutiones sive elementa libro III, tit. 13 ex contractu: atti leciti aventi come nucleo la conventio (accordo costitutivo di obbligazioni) – problema dell’indebiti solutio quasi ex contractu: atti leciti unilateriali in cui manca l’accord, ma sorge l’obbligazione, oppure c’è l’accordo ma non è volto a costituire l’obbligazione (negotiorum gestio, tutela / indebiti solutio) ex maleficio: atti illeciti (furto, rapina, danno, ingiuria) quasi ex maleficio: illeciti pretori, legame tra soggetto passivo con le cose o le persone da cui proviene il danno (conseguente sua responsabilità)  giudice che fa sua la lite, cose gettate dall’altro, cose sospese, furti e danni ai clienti di una nave, stalla o di un albergo)

Institutiones sive elementa libro III, tit. 13 vediamo che la trattazione delle Istituzioni giustinianee sulle fonti dell’obbligazione risente (e risolve) dell’insufficienza della classificazione gaiana, che faceva riferimento soltanto ai contratti e ai delitti Tuttavia lo stesso Gaio menziona le variae causarum figurae, fonti delle obbligazioni, nelle Res cottidianae  atti leciti e atti illeciti che non rientrano fra i contratti né fra i delitti danno origine in epoca giustinianea alle due ulteriori categorie di fonti delle obbligazioni quasi ex contractu e quasi ex maleficio I. 3.13.2 continua facendo riferimento alla quadripartizione gaiana dei contratti (ha riguardo al momento perfezionativo del contratto): re (consegna della cosa), verbis (pronuncia di parole solenni), litteris (documenti scritti), consensu (manifestazione del consenso)

APPROFONDIMENTO NOZIONE DI CONTRATTO nella Parafrasi di Teofilo: PTh. 3.13.2: Questa è la prima divisione. Una seconda divisione – a sua volta divisa in quattro – è questa: obbligazioni che nascono da contratto, o quasi contratto, o delitto o quasi delitto. E in primo luogo dobbiamo trattare quelle che nascono da contratto. Ora un contratto (synállagma) è la convenzione e il consenso di due o più persone su una stessa cosa, affinché si costituisca un’obbligazione e una parte sia obbligata nei confronti dell’altra. Teofilo, a differenza di I. 3.13.2, definisce la nozione di contratto che per lui coincide con il synállagma: coincidenza con la conventio e consensus tra due o più parti da cui discende che una sia obbligata nei confronti dell’altra

APPROFONDIMENTO NOZIONE DI CONTRATTO A quale nozione di contratto fa riferimento Teofilo? Secondo la dottrina maggioritaria avrebbe unito due definizioni di epoca classica: quella di pactum prospettata da Ulpiano in D. 2.14.1.2 (Ulp. 4 ad ed.): (…) et est pactio duorum pluriumve in idem placitum et consensus. quella di Labeone (I sec. a.C.- I sec. d.C.), riferita dallo stesso Ulpiano e conservata in D. 50.16.19 (Ulp. 11 as ed.): Labeo libro primo praetoris urbani definit, quod quaedam "agantur", quaedam "gerantur", quaedam "contrahantur": et actum quidem generale verbum esse, sive verbis sive re quid agatur, ut in stipulatione vel numeratione: contractum autem ultro citroque obligationem, quod graeci synallagma vocant, veluti emptionem venditionem, locationem conductionem, societatem: gestum rem significare sine verbis factam.

APPROFONDIMENTO NOZIONE DI CONTRATTO La definizione di Labeone ha influenzato la nozione di contratto tra i giuristi classici: Proculiani  accordo costitutivo di obbligazioni reciproche (vendita, locazione). Non sono contratti il mutuo o la stipulazione perché obbligano una parte sola (rientrano nell’actum), mentre il gestum è l’attuazione materiale di un determinato regolamento di interessi. Accanto a questa nozione se ne è sviluppata un’altra in epoca classica: Concetto ampio di contratto (Sabiniani  Gaio è un Sabiniano  contratto: qualsiasi atto lecito costitutivo di obbligazioni (obbligazioni reciproche ma anche tutti i casi in cui l’obligatio è contratta re, litteris o verbis) idea che poi prevalse, come accordo costitutivo di obbligazioni sia reciproche/ sia unilaterali (mutuo, stipulatio)

APPROFONDIMENTO NOZIONE DI CONTRATTO Ad esse, con riferimento all’epoca classica, deve accostarsi la nozione di Sesto Pedio (I d.C.) ripresa da Ulpiano in D. 2.14.1.3 (Ulp. 4 ad ed.): Conventionis verbum generale est ad omnia pertinens, de quibus negotii contrahendi transigendique causa consentiunt qui inter se agunt: nam sicuti convenire dicuntur qui ex diversis locis in unum locum colliguntur et veniunt, ita et qui ex diversis animi motibus in unum consentiunt, id est in unam sententiam decurrunt. adeo autem conventionis nomen generale est, ut eleganter dicat Pedius nullum esse contractum, nullam obligationem, quae non habeat in se conventionem, sive re sive verbis fiat: nam et stipulatio, quae verbis fit, nisi habeat consensum, nulla est. Principio espresso nel passo: non esiste contratto, né obbligazione, dove non vi è la conventio, cioè l’accordo tra le parti La nozione di Sesto Pedio ha influenzato i Sabiniani La nozione di Labeone ha influenzato i Proculiani

APPROFONDIMENTO NOZIONE DI CONTRATTO Ancora, in epoca classica, è importantissimo il pensiero di Aristone (I-II sec. d.C.), riportato sempre da Ulpiano in D. 2.14.7.2 (Ulp. 4 ad ed.): Sed et si in alium contractum res non transeat, subsit tamen causa, eleganter Aristo Celso respondit esse obligationem. ut puta dedi tibi rem ut mihi aliam dares, dedi ut aliquid facias: hoc synállagma esse et hinc nasci civilem obligationem. et ideo puto recte Iulianum a Mauriciano reprehensum in hoc: dedi tibi Stichum, ut Pamphilum manumittas: manumisisti: evictus est Stichus. Iulianus scribit in factum actionem a praetore dandam: ille ait civilem incerti actionem, id est praescriptis verbis sufficere: esse enim contractum, quod Aristo synállagma dicit, unde haec nascitur actio. Si tratta di un testo notissimo in cui si pone il problema della tutela civile degli accordi non riconducibili ad alcuno dei nomina edittali  il sistema contrattuale romano in epoca classica è ancora tipico Aristone risponde a Celso che l’assetto di interessi (res), anche se non inquadrabile in un contratto tutelato da una propria formula in editto, qualora sia provvisto della causa (e avvenuta la datio), produce effetti obbligatori (eleganter Aristo Celso respondit esse obligationem). Passaggi sulla nozione di synállagma presente nel passo: hoc synállagma esse et hinc nasci civilem obligationem … esse enim contractum, quod Aristo synállagma dicit, unde haec nascitur actio

APPROFONDIMENTO NOZIONE DI CONTRATTO Considerazioni finali: Teofilo fa davvero riferimento anche al concetto labeoniano di synállagma? Per rispondere bisogna tenere a mente alcuni dati: Labeone parla di ultro citroque obligatio (obbligazione reciproca) Teofilo parla di convenzione e consenso di due o più persone su una stessa cosa, affinché si costituisca un’obbligazione e una parte risulti obbligata nei confronti dell’altra Labeone sembra dunque fare coincidere l’obligatio (da intendersi come contratto) e il synállagma, mentre Teofilo sembra presupporre che il synállagma sia la fonte dell’obligatio) La concezione di Teofilo sembra invece presentare più punti di contatto con quella data da Ulpiano sulla scorta di Aristone in D. 2.14.7.2: hoc synállagma esse et hinc nasci civilem obligationem … esse enim contractum, quod Aristo synállagma dicit, unde haec nascitur actio (opinione di Falcone)

APPROFONDIMENTO NOZIONE DI CONTRATTO Dati a sostegno di questa ipotesi: Teofilo fa riferimento alla posizione del soggetto passivo che risponde anche in sede giudiziale dell’obbligazione (affinché si costituisca un’obbligazione e una parte sia obbligata nei confronti dell’altra) Non fa riferimento tanto alla reciprocità delle obbligazioni, quanto alla reciproca esposizione all’azione delle parti Naturalmente gioca un ruolo centrale nella definizione di Teofilo anche la nozione ulpianea di pactum che abbiamo visto all’inizio (et est pactio duorum pluriumve in idem placitum et consensus) In conclusione la definizione di Teofilo, non presente nelle Istituzioni, ma forse da questa presupposta, identifica il contratto (synállagma) con l’accordo e rappresenta così l’antecedente più preciso della definizione di contratto conservata nell’art. 1321 c.c.

Institutiones sive elementa libro III, tit Institutiones sive elementa libro III, tit. 14 quibus modis re contrahitur obligatio Continuiamo ora con l’esame delle singole figure di contratto (soltanto alcune) a partire da quelle re, in cui l’obbligazione nasce dalla consegna della res (naturalmente è presupposto l’accordo delle parti, la conventio, in tal senso). I. 3.14 pr.: Re contrahitur obligatio veluti mutui datione. mutui autem obligatio in his rebus consistit quae pondere, numero mensurave constant, veluti vino, oleo, frumento, pecunia numerata, aere, argento, auro, quas res aut numerando aut metiendo aut adpendendo in hoc damus ut accipientium fiant, et quandoque nobis non eaedem res, sed aliae eiusdem naturae et qualitatis reddantur. unde etiam mutuum appellatum sit, quia ita a me tibi datur, ut ex meo tuum fiat. ex eo contractu nascitur actio quae vocatur condictio.

Institutiones sive elementa libro III, tit. 14 – il mutuo I. 3.14 pr.: L’obbligazione si contrae mediante cosa, ad esempio con la dazione a mutuo. L’obbligazione di mutuo ha riferimento alle cose che valgono per peso, numero o misura, come il vino, l’olio, il frumento, il denaro contante, il rame, l’argento, l’oro. Queste cose, contandole, misurandole o pesandole, le diamo perché diventino di coloro che le ricevono, e ci vengano un giorno restituite, non le stesse cose, ma altre della stessa natura e qualità. Onde pure lo si chiamerebbe mutuo, perché ti è dato da me in modo che diventi da mio tuo. Da tale contratto nesce un’azione detta condictio. Parziale coincidenza con Gai 3.90: Re contrahitur obligatio uelut mutui datione; mutui autem datio proprie in his fere rebus contingit, quae res pondere, numero, mensura constant, qualis est pecunia numerata, uinum, oleum, frumentum, aes, argentum, aurum; quas res aut numerando aut metiendo aut pendendo in hoc damus, ut accipientium fiant et quandoque nobis non eaedem, sed aliae eiusdem naturae reddantur. unde etiam mutuum appellatum est, quia quod ita tibi a me datum est, ex meo tuum fit.

Institutiones sive elementa libro III, tit. 14 – il mutuo Definizione di mutuo conservata nelle Istituzioni: contratto che si perfeziona con la datio (re); ha ad oggetto beni fungibili (I. 3.14 pr. fa infatti riferimento alle cose che valgono per peso, numero o misura); di cui passa la proprietà dal mutuante al mutuatario (le diamo perché diventino di coloro che le ricevono); il mutuatario deve restituire il tantundem eiusdem generis (e ci vengano un giorno restituite, non le stesse cose, ma altre della stessa natura e qualità); è gratuito: non si fa cenno all’obbligazione in capo al mutuante di versare gli interessi (usurae, che avrebbero dovuto essere oggetto di specifica stipulatio usurarum, altrimenti non dovute).

APPROFONDIMENTO SC MACEDONIANUM Chi può dare o ricevere a mutuo? Ovviamente il titolare dei beni oggetto del mutuo (può dare)  soggetto titolare dei tre status necessari per avere la capacità giuridica e la capacità di agire (può dare o ricevere)  pater familias Potevano i filii familias? Sappiamo che nel periodo antico i filii familias erano privi di capacità patrimoniale: erano (come gli schiavi) strumenti per migliorare la situazione del pater, ma non potevano peggiorarla. Verso la fine della Repubblica i filii familias iniziano ad avere una limitata capacità patrimoniale  in particolare la capacità di obbligarsi sul piano del diritto civile, laddove abbiano posto in essere un atto lecito produttivo di obbligazioni (poi anche sul piano del diritto onorario). Titolarità peculium castrense e quasi castrense.

APPROFONDIMENTO SC MACEDONIANUM Questa capacità di obbligarsi dei filii familias fu limitata (ma anche implicitamente confermata) in materia di mutuo dal Senatoconsultum Macedonianum (79 d.C.), provvedimento ricordato dalle Istituzioni I. 4.7.7: Illud proprie servatur in eorum persona, quod senatusconsultum Macedonianum prohibuit mutuas pecunias dari eis qui in parentis erunt potestate: et ei qui crediderit denegatur actio, tam adversus ipsum filium filiamve, nepotem neptemve, sive adhuc in potestate sunt, sive morte parentis vel emancipatione suae potestatis esse coeperint, quam adversus patrem avumve, sive habeat eos adhuc in potestate sive emancipaverit. quae ideo senatus prospexit, quia saepe onerati aere alieno creditarum pecuniarum, quas in luxuriam consumebant, vitae parentium insidiabantur.

APPROFONDIMENTO SC MACEDONIANUM I. 4.7.7: Con riferimento a loro (ai filii familias) va specificamente notato che il senatoconsulto Macedoniano proibì di dar soldi a mutuo a chi fosse in potestà d’un ascendente: a chi li abbia prestati si nega l’azione tanto contro il figlio o la figlia, il nipote o la nipote in persona – siano essi ancora in potestà. Siano essi per morte dell’ascendente emancipazione loro divenuti giuridicamente autonomi –, quanto contro il padre o l’avo – sia che ancora li abbia in potestà, sia che li abbia emancipati. Questo il senato dispose perché spesso. Aggravati dai debiti per il denaro preso a prestito, che consumavano in lussi, attentavano alla vita degli ascendenti. Il SC Macedonianum vietò di concedere prestiti ai filii familias (a cui vengono equiparati i nipoti)  nel caso in cui ciò fosse avvenuto il mutuante sarebbe stato privato del mezzo di tutela (azione) per convenire il giudizio il filius o il suo pater  meccanismo della denegatio actionis

APPROFONDIMENTO SC MACEDONIANUM La ragione del SC è chiarita nell’ultima parte di I. 4.7.7: evitare che i figli, gravati da ingenti debiti, per acquisire il denaro necessario per pagarli, arrivassero ad uccidere il pater  vicenda di Macedo. Ad ogni modo, il SC presuppone che i filii familias avessero limitata capacità di obbligarsi per i mutui e potessero essere chiamati in giudizio in caso di inadempimento. Il SC Macedonianum non priva i filii di tale capacità, ma impone di non concedere l’azione ai mutuanti. Il SC Macedonianum ebbe anche un’altra conseguenza: laddove i mutuanti agissero comunque nei confronti dei filii, il pretore avrebbe concesso loro un’exceptio SC Macedoniani, che avrebbe permesso loro di essere assolti

APPROFONDIMENTO SC MACEDONIANUM Qualche ulteriore informazione ci è pervenuta dalla Parafrasi di Teofilo PTh. 4.7.7: c’è una speciale considerazione in ordine alle persone libere in potestate, che il senatoconsultum Macedonianum si è opposto, attraverso un’exceptio, a coloro che avevano prestato denaro (dato denaro a mutuo) a persone in potestate. Il contenuto di questa statuizione lo dobbiamo chiarire ora. C’era a Roma un tale Macedo, che, mentre era sotto la potestas di suo padre, prese in prestito del denaro da qualcuno, facendo conto che alla morte del padre sarebbe stato in grado di adempiere al suo debito. Trascorso un considerevole lasso di tempo, il creditore chiese insistentemente a Macedo il pagamento del suo debito. Macedo, non avendo la possibilità di pagare il debito – come avrebbe potuto visto che era in potestate? –, uccise il padre. Questa vicenda arrivò al senato e, mentre Macedo rispose di parricidio, fu approvato un senatusconsultum, chiamato Macedonianum, che stabilì che nessuno prestasse

APPROFONDIMENTO SC MACEDONIANUM denaro ad un soggetto libero in potestate, avesse diritto (non potesse richiedere) alla restituzione del prestito, dal momento che in questi casi chiunque si sarebbe dovuto astenere da concedere mutui a presone del genere, sapendo che queste non sarebbero state in grado di restituire il denaro. E non solo mentre tali soggetti erano in potestate, il mutuante non avrebbe potuto richiedere l’adempimento del debito al filius o alla filia, al nipote o alla nipote, ma anche laddove questi fossero diventati sui iuris in seguito alla morte del padre o del nonno o all’emancipazione. Neanche avrebbe potuto esperirsi nei confronti del padre o del nonno l’actio de peculio, qualora li avesse ancora sotto la sua potestà o li avesse emancipati. Attraverso questo provvedimento il senato legiferò in tal senso, perché era accaduto spesso che un filius familias, gravato dai debiti contratti e dilapidati con una vita dissoluta, tramasse contro la vita del suo pater (dei suoi genitori).

APPROFONDIMENTO SC MACEDONIANUM Teofilo dà qualche informazione in più rispetto alle Istituzioni: fa espresso riferimento alla tutela data dal SC Macedonianum attraverso un’exceptio che sarebbe stata concessa dal pretore nel caso in cui il mutuante avesse agito in giudizio contro il filius mutuatario; descrive dettagliatamente la vicenda di Macedo; chiarisce l’applicabilità del SC Macedonianum ai tutti i soggetti liberi in potestate (figlio o figlia, nipote maschio o femmina); ribadisce l’applicabilità del SC anche dopo che i soggetti mutuatari fossero diventati sui iuris in seguito alla morte del pater o all’emancipazione.

Institutiones sive elementa libro III, tit. 15 De verborum obligatione – Dell’obbligazione verbale I. 3.15 pr.: Verbis obligatio contrahitur ex interrogatione et responsione, cum quid dari fierive nobis stipulamur. ex qua duae proficiscuntur actiones, tam condictio, si certa sit stipulatio, quam ex stipulatu, si incerta. quae hoc nomine inde utitur, quia stipulum apud veteres firmum appellabatur, forte a stipite descendens. I. 3.15 pr.: L’obbligazione mediante parole si contrae in base a domanda e risposta, quando stipuliamo che qualche cosa ci sia dato o fatto. Da essa sorgono due azioni: la intimazione (condictio), se l’oggetto della stipulazione sia determinato; l’azione da stipulazione, se l’oggetto sia indeterminato. La stipulazione trae questo nome dal fatto che ‘fermo’ presso gli antichi si diceva ‘stipulo’, termine derivato forse da stipite.

Institutiones sive elementa libro III, tit. 15 La definizione di stipulatio riprende nella sostanza quella data da Gaio nelle sue Istituzioni (Gai 3.93) Stipulatio: formula verbale che consiste in un’interrogazione ed in una risposta congrua, che presuppone l’accordo fra le parti; trae origine dalla sponsio. Caratteristiche della stipulatio in epoca classica: necessaria congruenza dei verba (domanda e risposta stesso verbo), oralità e contestualità  la pronuncia delle parole solenni faceva nascere l’obbligazione. Diventa una sorta di ‘contenitore vuoto’ idoneo a creare obbligazioni di tipo diverso e a permettere alle parti di perseguire gli interessi più disparati. Azioni: I. 3.15 pr. specifica che l’actio nascente dalla stipulatio (in capo al creditore) era la condictio (certae rei o certae pecuniae) se l’oggetto della stipulatio era un certum; l’actio ex stipulatu se era un incertum  entrambe le azioni avrebbero dato origine ad un iudicium stricti iuris.

Institutiones sive elementa libro III, tit. 15 Taluni dei requisiti indicati vengono superati in epoca postclassica e giustinianea I. 3.15.1: In hac re olim talia verba tradita fuerunt: SPONDES? SPONDEO, PROMITTIS? PROMITTO, FIDEPROMITTIS?, FIDEPROMITTO, FIDEIUBES? FIDEIUBEO, DABIS?, DABO, FACIES? FACIAM. utrum autem Latina an Graeca vel qua alia lingua stipulatio concipiatur, nihil interest, scilicet si uterque stipulantium intellectum huius linguae habeat: nec necesse est eadem lingua utrumque uti, sed sufficit congruenter ad interrogatum respondere: quin etiam duo Graeci Latina lingua obligationem contrahere possunt. sed haec sollemnia verba olim quidem in usu fuerunt: postea autem Leoniana constitutio lata est, quae, sollemnitate verborum sublata, sensum et consonantem intellectum ab utraque parte solum desiderat, licet quibuscumque verbis expressus est.

Institutiones sive elementa libro III, tit. 15 I. 3.15.1: un tempo si insegnavano in proposito questi termini: fai solenne promessa? Faccio solenne promessa, prometti? Prometto, fideprometto, presti fideiussione? Presto fideiussione, darai? Darò, farai? Farò. Che la stipulazione sia formulata in latino, greco o altra lingua, non ha rilievo, purché si tratti, s’intende, di una lingua conosciuta da ciascuno degli stipulanti: e non è necessario che si servano entrambi della medesima lingua, ma basta che si risponda congruamente alla domanda; anche due greci possono contrarre un’obbligazione in latino. Le predette parole erano in uso una volta: ma poi fu emanata una costituzione di Leone (C. 8.37(38).10 del 472) che, eliminate le parole solenni, chiede a ciascuno soltanto di concordare nel pensiero e nel concetto, con qualunque parola espresso.

Institutiones sive elementa libro III, tit. 15 Vengono riprese le caratteristiche della stipulatio in epoca classica e in particolare l’utilizzo di determinate parole solenni (formule verbali) e la congruità tra domanda e risposta Importante modifica intervenuta nel V secolo d.C. con una costituzione di Leone C. 8.37(38).10 (Imperator Leo A. Erythrio pp. ): Omnes stipulationes, etiamsi non sollemnibus vel directis, sed quibuscumque verbis pro consensu contrahentium compositae sint, legibus cognitae suam habeant firmitatem. (a. 472). Tutte le stipulationes, purché fossero legibus cognitae, avevano piena validità anche se non fossero state concluse secondo le solennità prescritte, purché le parole utilizzate fossero idonee a manifestare comunque il consenso delle parti.

Institutiones sive elementa libro III, tit. 15 Riforma importantissima perché, pur riconoscendo che l’obbligazione sorgeva comunque dai verba, dava fondamentale rilievo al consenso dei contrenti, ossia all’accordo fra le parti. Infatti la stipulatio avrebbe prodotto i suoi effetti anche se conclusa senza il rispetto delle formalità verbali e, in particolare, dello schema domanda risposta; i verba sembrano avere la funzione di esprimere il consenso dei contraenti a prescindere dal rispetto delle formalità. Ciò viene recepito in maniera ancora più decisa in I. 3.15.1  basta che i contraenti siano d’accordo e manifestino tale accordo con qualsiasi parola (ma poi fu emanata una costituzione di Leone (C. 8.37(38).10 del 472) che, eliminate le parole solenni, chiede a ciascuno soltanto di concordare nel pensiero e nel concetto, con qualunque parola espresso)

Problema del rapporto tra stipulatio e documento in epoca postclassica e giustinianea In epoca postclassica si fa strada la prassi, dovuta al volgarismo, di accompagnare la stipulatio con una documentazione scritta: in particolare si redigeva un documento in cui era presente la cd. clausola stipulatoria, cioè una clausola che menzionava la conclusione di una precedente stipulatio (che in realtà non era stata conclusa) In questo modo il negozio sarebbe stato idoneo a produrre obbligazioni tanto per il diritto romano (in virtù della stipulatio), quanto per i diritti ellenistici (in virtù del documento). Perciò il negozio orale che veniva documentato per iscritto, finisce col diventare un negozio scritto (quello orale, infatti, non era stato realmente concluso) Definitivo superamento in epoca giustinianea del requisito dell’oralità

Problema del rapporto tra stipulatio e documento in epoca postclassica e giustinianea In sostanza il fatto che nelle Istituzioni di Giustiniano la stipulatio sia inserita tra i contratti verbali e venga descritta come promessa formata tramite la pronuncia di una domanda e di una risposta costituisce un omaggio al regime classico non più in vigore. Una testimonianza della nuova concezione di stipulatio è conservata nel titolo dedicato alle stipulazioni invalide I. 3.19.12: Item verborum obligatio inter absentes concepta inutilis est. sed cum hoc materiam litium contentiosis hominibus praestabat, forte post tempus tales allegationes opponentibus et non praesentes esse vel se vel adversarios suos contendentibus: ideo nostra constitutio propter celeritatem dirimendarum litium introducta est, quam ad Caesarienses advocatos scripsimus, per quam disposuimus, tales scripturas quae praesto esse partes indicant omnimodo esse credendas, nisi ipse qui talibus utitur improbis allegationibus manifestissimis probationibus vel per scripturam vel per testes idoneos approbaverit, in ipso toto die quo conficiebatur instrumentum sese vel adversarium suum in aliis locis esse.

Problema del rapporto tra stipulatio e documento in epoca postclassica e giustinianea I. 3.19.12: è pure inutile l’obbligazione verbale conclusa tra assenti. Ma siccome ciò forniva materia di liti agli uomini litigiosi, che magari opponevano le loro rimostranze dopo del tempo, pretendendo di non essere stati presenti loro o che non lo fossero stati i loro avversari, ecco che per accelerare la soluzione delle vertenze è stata varata una nostra costituzione diretta agli avvocati Cesariensi (C. 8. 37(38).14 del 531), con la quale disponemmo che quelle scritture che dichiarano che le parti sono presenti vadano in ogni caso credute, a meno che colui che ricorre alle suddette temerarie rimostranze non dimostri con prove evidentissime, o documentali o tramite testi idonei, che in tutto quel preciso giorno in cui era stata redatta la scrittura o lui o la sua controparte era in altri luoghi.

Problema del rapporto tra stipulatio e documento in epoca postclassica e giustinianea Viene affermata in maniera chiara la prevalenza del documento in cui si fa menzione dell’avvenuta conclusione della stipulatio tra le parti, rispetto alla stipulatio medesima. Tale principio risulta sancito da C. 8. 37(38).14 (Imperator Iustinianus): Et si inter praesentes partes res acta esse dicitur, et hoc esse credendum, si tamen in eadem civitate utraque persona in eo die commanet, in quo huiusmodi instrumentum scriptum est, nisi is, qui dicit sese vel adversarium abesse, liquidis ac manifestissimis probationibus et melius quidem, si per scripturam, sed saltem per testes undique idoneos et omni exceptione maiores ostenderit sese vel adversarium suum eo die civitate afuisse: sed huiusmodi scripturas propter utilitatem contrahentium esse credendas. (a. 531). Regola generale per cui si attribuiva piena efficacia al documento: bastava la presenza delle parti nella stessa città (apparenza/possibilità astratta che le parti avessero concluso una stipulatio).

Institutiones sive elementa libro III, tit. 15 Riforma importantissima perché, pur riconoscendo che l’obbligazione sorgeva comunque dai verba, dava fondamentale rilievo al consenso dei contrenti, ossia all’accordo fra le parti. Infatti la stipulatio avrebbe prodotto i suoi effetti anche se conclusa senza il rispetto delle formalità verbali e, in particolare, dello schema domanda/risposta. I verba sembrano avere la funzione di esprimere il consenso dei contraenti a prescindere dal rispetto delle formalità. Ciò viene recepito in maniera ancora più decisa in I. 3.15.1  basta che i contraenti siano d’accordo e manifestino tale accordo con qualsiasi parola (ma poi fu emanata una costituzione di Leone (C. 8.37(38).10 del 472) che, eliminate le parole solenni, chiede a ciascuno soltanto di concordare nel pensiero e nel concetto, con qualunque parola espresso)