Ugo Foscolo (1778 – 1827).

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Ugo Foscolo nacque nel 1778 a Zante. Il padre Andrea era un medico mentre la madre era greca. Foscolo essendo di origine greca si legò molto alla civiltà.
Transcript della presentazione:

Ugo Foscolo (1778 – 1827)

La vita di Ugo Foscolo è segnata da un senso di provvisorietà e instabilità, che lo porterà a cercare sempre esperienze e situazioni nuove. Deluso dall'esito delle campagne napoleoniche, che avevano imposto in Italia un potere tirannico, il poeta rifiuta ogni legame sociale e familiare, lasciandosi trasportare dalle occasioni e conducendo un'esistenza vagabonda. Il suo è un io irrequieto, che attraverso la poesia farà sentire il valore assoluto della sua personalità, contrapposta al mondo e alla sua negatività. Tutta la sua esperienza di vita e di intellettuale ruota attorno a tre nuclei: la letteratura, la politica e l'amore. Partendo da posizioni vicine alla cultura illuministica e libertaria settecentesca, Foscolo se ne distacca per approdare a un pessimismo e a un'inquietudine che lo avvicinano ormai al Romanticismo.

LA VITA Niccolò Foscolo (si farà chiamare Ugo solo dal 1795) nasce il 6 febbraio 1778 a Zante, isola delle Ionie appartenente alla Repubblica di Venezia e anticamente nota come Zacinto. Il padre Andrea è un medico di origine veneziana, mentre la madre Diamantina Spathis è greca. Le sue origini greche avranno un grande valore simbolico per Foscolo, soprattutto alla luce della sua poetica. Studia nel seminario di Spalato e alla morte del padre (1785) si trasferisce con la madre prima a Zante, poi a Venezia, dove inizia a scrivere versi e si attira i favori di Melchiorre Cesarotti, suo docente all'università di Padova. Riesce anche a farsi ammettere al salotto dell'aristocratica Isabella Teotochi Albrizzi, grazie alla quale conosce Ippolito Pindemonte. In questi anni si dedica allo studio dei classici latini e greci, interessandosi anche alla cultura illuministica settecentesca.

L'arrivo delle armate napoleoniche in Italia esalta il suo spirito rivoluzionario. Di orientamento giacobino, si impegna nell'attività politica. Lascia la città lagunare per sfuggire alle repressioni del governo austriaco e si rifugia per un certo periodo sui Colli Euganei (presso Padova). Quindi, nel gennaio 1797 presenta con successo la tragedia Tieste, costruita sui modelli di Alfieri. La fortuna dell'opera, però, attira su di lui i sospetti del governo veneziano. Ripara a Bologna, all'epoca parte della Repubblica Cispadana, dove si arruola nel corpo dei cacciatori a cavallo e pubblica l'ode A Napoleone liberatore. A maggio torna a Venezia, ormai occupata dai francesi. La lascia nuovamente dopo il trattato di Campoformio (17 ottobre 1797), con il quale la Francia cede Venezia all'Austria. Si infrangono così i sogni di indipendenza della città. Foscolo inizia a rendersi conto dell'ambiguo atteggiamento dei liberatori francesi. Trasferitosi nella neonata Repubblica Cisalpina, vive tra Milano e Bologna, dove entra in contatto con gli intellettuali giacobini, conosce l'anziano Parini e Vincenzo Monti. Qui inizia a scrivere le Ultime lettere di Jacopo Ortis, di cui pubblica le prime pagine. Si arruola anche nell'esercito, nella Guardia Nazionale, e viene ferito durante l'assedio di Genova.

Con il dominio di Napoleone in Italia in seguito alla battaglia di Marengo (1800), si sposta in Francia al seguito del generale Pino, che progetta di invadere l'Inghilterra. Durante il soggiorno francese traduce l'Iliade e il Tristram Shandy di Sterne. Abbandonato il piano anti-inglese, Foscolo torna a Milano, dove rimane tra il 1806 e il 1812. In questi anni, particolarmente prolifici, collabora a varie riviste letterarie, termina e pubblica le Ultime lettere di Jacopo Ortis, i sonetti, le odi, i Sepolcri e inizia Le Grazie. È anche un periodo di intense passioni, durante il quale ha varie amanti. Nel 1808 gli viene assegnata la cattedra di eloquenza all'università di Pavia, succedendo a Monti. L'esperienza ha, però, breve durata, poiché la cattedra viene subito soppressa. A Foscolo è concesso di tenere un corso, inaugurato con l’introduzione Dell'origine e dell'ufficio della letteratura (22 gennaio 1809).

Nel dicembre 1811, la rappresentazione della tragedia Ajace, che contiene accenni polemici verso il governo napoleonico, gli attira critiche. La sua situazione diventa ancora più difficile dopo la violenta rottura con Monti. Costretto a lasciare il Regno d'Italia, si rifugia a Firenze. Con la crisi del potere di Napoleone torna nell'esercito del Regno. Gli austriaci, tornati padroni del Nord Italia, gli offrono nel 1815 la direzione della «Biblioteca Italiana», con l'intento di facilitare l'inserimento degli intellettuali italiani nel nuovo regime. Dopo vari tentennamenti, Foscolo rifiuta e fugge prima in Svizzera e poi a Londra. Nell'ultima fase della sua vita scrive in qualità di critico e letterato, facendo conoscere la letteratura italiana agli inglesi. Si ricongiunge con la figlia Floriana, nata dall'amore per una donna inglese conosciuta in Francia e in seguito morta. In Inghilterra alterna momenti di floridezza economica ad altri di miseria. Ormai malato e costretto a nascondersi dai creditori, muore in un sobborgo di Londra,Turnham Green, il 10 settembre 1827. Nel 1871 le sue spoglie sono trasferite a Firenze nella Chiesa di Santa Croce, accanto ai grandi italiani citati nei Sepolcri.

Pensiero e poetica Le componenti classiche, preromantiche e illuministiche Nella formazione di Foscolo convergono le componenti tipiche della cultura del suo tempo: la cultura classica, le più moderne sollecitazioni preromantiche, l'Illuminismo settecentesco. La formazione letteraria del giovane poeta avviene nel solco del gusto arcadico; però, poi, a questa letteratura frivola ed evasiva, dalla perfezione solo formale e retorica, si aggiunge il modello dei grandi classici latini e greci, oltre a quelli italiani, in particolare Dante e Petrarca. Fra i moderni, Foscolo guarda con ammirazione al rigore morale e civile di Parini e alla fiera indipendenza, all'ansia di libertà di Alfieri. Al tempo stesso subisce le suggestioni del sentimentalismo di Rousseau e del Werther di Goethe, della grandiosa cupezza barbarica di Ossian, in Italia mediata dalla fortunatissima traduzione di Melchiorre Cesarotti (che il giovane conobbe personalmente a Padova). I poeti "cimiteriali" inglesi sono da lui interpretati in chiave laica, civile e patriottica.

Pensiero e poetica Per quanto riguarda le idee, tra gli illuministi subì in un primo tempo l'influenza di Rousseau, che gli suggerì concezioni democratiche ed egualitarie e lo spinse negli anni giovanili ad abbracciare posizioni giacobine. Sempre da Rousseau derivò al giovane Foscolo il culto della natura come di tutto ciò che è autentico e positivo, nonché il culto della passionalità intensa. La visione rousseauiana della società si fondava sul presupposto dell'originaria, naturale bontà dell'uomo, che era stata poi corrotta dallo sviluppo della civiltà. Più tardi Foscolo si staccò da questi principi, abbracciando le concezioni più aspramente pessimistiche di Machiavelli e del filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679), che lo inducevano, al contrario, a credere nell'originaria malvagità dell'uomo, in perenne, feroce conflitto con gli altri uomini per sopraffarli e imporre il suo dominio. La società gli apparve allora come una guerra di tutti contro tutti, in cui trionfa solo la legge del più forte.

A questo pessimismo contribuisce un'altra componente filosofica, il materialismo, che gli proviene sempre dalla cultura materialistica del Settecento, con l'apporto però anche di pensatori e poeti classici, come i greci Democrito ed Epicuro e il latino Lucrezio, autore di un poema sulla natura in cui espone le teorie epicuree. Il materialismo è la posizione di chi ritiene che tutta la realtà sia materia, ed esclude quindi lo spirito, se non come prodotto della materia stessa. Ne deriva la negazione del trascendente e della sopravvivenza dell'anima dopo la morte. Tutto il reale non è che un perpetuo moto di aggregazione di elementi materiali, che poi si disgregano per andare a formare altri corpi. Il mondo quindi non è retto da una superiore intelligenza, ma da una cieca forza meccanica. La morte segna l'annullamento totale dell'individuo. La visione materialistica, lo porta a considerare l’uomo come prigioniero della natura, che, compiuto il suo ciclo vitale, piomba nel "nulla" eterno. Così Foscolo considera la ragione un dono malefico della natura, causa di disperazione tale da trovare nel suicidio l’unica liberazione possibile. Tuttavia il Foscolo non soccombe al pessimismo e alla disperazione, ma reagisce vigorosamente, creandosi una nuova fede in valori universali, che danno un fine ed un significato alla vita dell’uomo.

Questi valori universali sono la bellezza, l’amore, la libertà, la patria, la virtù, l’eroismo, la poesia, l’arte, la gloria, tutti sentimenti che i filosofi materialistici e scettici chiamavano "illusioni", cioè idee vane. Tra le "illusioni" la più grande per il Foscolo è la gloria, poiché egli ha perduto la fede cristiana nell’immortalità dell’anima e vede nella gloria l’unico mezzo di sopravvivenza ideale dopo la morte. Per Foscolo le illusioni, però, non furono mai una realtà assoluta ma spesso erano accompagnate dalla consapevolezza dei limiti della natura umana e dalla minaccia sempre incombente della morte e del nulla eterno. La “religione” delle illusioni (attraverso il volontarismo): La ragione gli dice però che sono illusioni, ma il cuore non si rassegna a considerarli come tali, e nasce così la nuova fede, la religione delle illusioni, il culto dei valori spirituali continuamente contraddetti dalla realtà e tuttavia continuamente risorgenti nell'animo (essi soltanto danno vera dignità all'uomo).

Foscolo ebbe della poesia una concezione sia contemplativa che attiva: Secondo la concezione contemplativa, la poesia per il Foscolo è un mezzo per evadere dalla realtà, opaca e dura, che ci circonda, e rifugiarsi in un mondo ideale di bellezza e di armonia. Ma il Foscolo ebbe anche una concezione attiva della poesia, perché la considerò come un mezzo di educazione morale, civile e patriottica, che fa del poeta un vate, una guida ispirata del proprio popolo. È la poetica che vediamo realizzata nei Sepolcri. Nella poesia e nello spirito del Foscolo coesistono: classicismo, neoclassicismo e romanticismo, senza alternarsi, sovrapporsi o urtarsi, ma fusi in una sintesi originale.

(Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis) «Illusioni! grida il filosofo. - Or non è tutto illusione? tutto! Beati gli antichi che si credeano degni de' baci delle immortali dive del cielo; che sacrificavano alla Bellezza e alle Grazie; che diffondeano lo splendore della divinità su le imperfezioni dell'uomo, e che trovavano il BELLO ed il VERO accarezzando gli idoli della lor fantasia! Illusioni! ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore, o (che mi spaventa ancor più) nella rigida e nojosa indolenza: e se questo cuore non vorrà più sentire, io me lo strapperò dal petto con le mie mani, e lo caccerò come un servo infedele.» (Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis)

Tematiche foscoliane Tematiche illuministe Tematiche preromantiche Tematiche neoclassiche - Teoria materialista e meccanicista - Affermazione dell’uguaglianza - Fiducia nella ragione e nella scienza - Passionalità, insofferenza e soggettivismo - Letteratura come impegno civile - Tema dell’esilio - Illusioni - Conflitto tra l’intellettuale e la società - Mito della Grecia classica - Continui rimandi mitologici - Ricerca della bellezza , dell’armonia, dell’equilibrio e della razionalità - Struttura sintattica che riproduce il periodo classico, ampio e melodioso per l’uso dell’ enjambement

Le Ultime lettere di Jacopo Ortis La prima opera importante di Foscolo fu un romanzo, Ultime lettere di Jacopo Ortis. Una prima redazione dell'Ortis fu parzialmente stampata dal giovane Foscolo a Bologna, nel 1798, ma restò interrotta per le vicende belliche, che spinsero lo scrittore a combattere contro gli Austro-Russi. Lo stampatore, per poter vendere il libro, lo fece concludere da un certo Angelo Sassoli (che tenne però presenti materiali di Foscolo stesso). Il romanzo fu ripreso da Foscolo e pubblicato, con profondi mutamenti, nel 1802. Su di esso lo scrittore ritornò ancora, durante l'esilio, ristampandolo nel 1816 a Zurigo e nel 1817 a Londra, con ritocchi ed aggiunte. L’Ortis è dunque un'opera giovanile, ma anche un'opera che Foscolo sentì come centrale nella sua esperienza, se vi ritornò a più riprese a distanza di parecchi anni.  Si tratta di un romanzo epistolare, una forma di narrativa che aveva goduto di larga fortuna nel Settecento europeo: il racconto si costruisce attraverso una serie di lettere che il protagonista scrive all'amico Lorenzo Alderani (con alcuni interventi narrativi dell’amico stesso). Il modello a cui Foscolo guarda è I dolori del giovane Werther di Goethe, anche se non è da trascurare l’influsso della Nuova Eloisa di Rousseau.

Chiaramente ispirato al Werther è il nodo fondamentale dell'intreccio, un giovane che si suicida per amore di una donna già destinata come sposa ad un altro. Ma vicino a Goethe è anche il nucleo tematico profondo: la figura di un giovane intellettuale in conflitto con un contesto sociale in cui non può inserirsi. Goethe per primo aveva colto questa situazione di conflitto tra intellettuale e società, intuendo con grande anticipo un motivo che sarà poi centrale nella cultura moderna; ed aveva avuto la geniale intuizione di rappresentare il conflitto attraverso una vicenda privata e psicologica, sul terreno dei rapporti amorosi, nell'impossibilità, da parte del giovane protagonista, di avere una relazione con la donna amata e di concluderla con il matrimonio (che nella cultura borghese di quest'età è il segno per eccellenza dell'avvenuta maturazione del giovane, del suo equilibrato inserimento nella società). Foscolo riprende questo nucleo tematico, sviluppandolo in relazione alle particolari caratteristiche del contesto italiano dei suoi anni: Jacopo è un giovane patriota che, dopo la cessione di Venezia all'Austria col Trattato di Campoformio, si rifugia sui colli Euganei per sfuggire alle persecuzioni. Qui s'innamora di Teresa, ma il suo è un amore impossibile, perché la giovane è già promessa ad Odoardo, che è l'esatta antitesi di Jacopo, uomo gretto e prosaico, freddo e razionale, tanto quanto l'eroe è impetuoso e appassionato. La disperazione amorosa e politica spinge Jacopo ad un pellegrinaggio per l'Italia (a Firenze, dove visita le tombe di Santa Croce; a Milano, dove ha un incontro col Parini; ai confini con la Francia, a Ventimiglia, dove medita sulla storia come trionfo perpetuo della natura ferina dell'uomo). La notizia del matrimonio di Teresa lo riporta nel Veneto: rivede ancora una volta la fanciulla amata, si reca a visitare la madre, poi si uccide.

Come si vede, il conflitto sociale, che nel Werther si misura essenzialmente sul piano privato dei rapporti personali, qui si trasferisce anche su un piano politico. Ma sono i caratteri stessi del conflitto che si trasformano. Il dramma di Werther è quello di non potersi identificare con la sua classe di provenienza: lo slancio del cuore, la passionalità veemente, la superiore sensibilità del giovane artista sono respinti dal mondo borghese, che si fonda sulla razionalità, sul calcolo, sul culto dell'ordine; dall'altro lato, l'artista borghese è respinto anche dall'aristocrazia, che è ancora la classe dominante, chiusa ottusamente a difesa dei suoi privilegi di casta. Diverso è il dramma di Jacopo: non tanto l'urto contro un assetto sociale ferreo che lo respinge, quanto il senso angoscioso di una mancanza, il non avere una patria, un tessuto sociale e politico degno di questo nome entro cui inserirsi. Il fatto essenziale è che il Werther fu scritto prima della Rivoluzione, l'Ortis dopo; dietro il giovane Werther c'è la Germania dell'assolutismo principesco, caratterizzata dal dominio sociale dell'aristocrazia e da una borghesia vile e reazionaria; dietro il giovane Ortis c'è invece l'Italia dell'età napoleonica, con i suoi tumultuosi rivolgimenti ed il delinearsi del nuovo regime oppressivo del "tiranno" straniero. In Werther c'è la disperazione che nasce dal sentire il bisogno di un mondo diverso, senza però intravedere alcuna possibilità concreta di una trasformazione profonda; in Jacopo c'è invece la disperazione che nasce dalla delusione rivoluzionaria, dal vedere tradite tutte le speranze patriottiche e democratiche, dal vedere la libertà finire in tirannide, dal rendersi conto che lo strumento rivoluzionario è ormai impraticabile. Non essendovi alternative possibili sul piano della storia, l'unica via che si offre ad Ortis per uscire da una situazione negativa, al tempo stesso insostenibile e immodificabile, è la morte. Però, pur nascendo da una situazione così disperata e pur approdando ad una conclusione così negativa (il suicidio dell'eroe), l'Ortis non è solo un'opera nichilistica. Al suo inizio si trova già una ricerca di valori positivi, che possano permettere di superare il vicolo cieco della storia: la famiglia, gli affetti, la tradizione culturale italiana, l'eredità classica, la poesia. Questi motivi saranno sviluppati nelle opere successive, soprattutto nella grande sintesi dei Sepolcri. Il nichilismo è dunque solo uno dei poli di una dialettica, presente e attiva in questo momento dell'esperienza foscoliana, e destinata ad avere in futuro diverse soluzioni

Con l'Ortis Foscolo, come riesce a cogliere acutamente i problemi che si pongono alle generazioni italiane post-rivoluzionarie, così, sul piano delle forme letterarie, ha l'intuizione geniale di trasferire in Italia un modello di romanzo moderno, largamente diffuso in ambito europeo. E tuttavia, come si è già osservato, l'Ortis non inaugura propriamente il genere del romanzo in Italia. A differenza che nella Nuova Eloisa e nel Werther, non vi è in esso un autentico interesse narrativo a costruire un intreccio di eventi, ad evocare ambienti sociali, a dipingere personaggi e psicologie autonome: prevale decisamente in Foscolo la spinta lirica, o saggistica, o oratoria. Più che un racconto l'opera appare come un lungo monologo, in cui l'eroe si confessa con veemente pathos e al tempo stesso si abbandona ad una lunga serie di meditazioni filosofiche e politiche o ad appassionate orazioni. Ciò si riflette sullo stile: l'opera è scritta in una prosa aulica, pervasa da una continua tensione al sublime; la sintassi è complessa, sul modello classico, la linea del pensiero è caratterizzata da studiate antitesi o simmetrie, da trapassi improvvisi, da continue ellissi; spesso, poi, l’enfasi retorica ha il sopravvento, oppure si avverte il peso delle reminiscenze libresche. Parallelo all'Ortis è però un altro progetto narrativo di carattere molto diverso, che risale probabilmente al 1801: il Sesto tomo dell'io (rimasto allo stato di semplice abbozzo frammentario). Avrebbe dovuto essere anch'esso un'opera autobiografica, in prima persona, ma, a differenza dell'Ortis, l'atteggiamento di Foscolo è umoristico, fatto di distacco ironico e di saggezza contemplativa. Vi si può cogliere già la suggestione della lettura di Laurence Sterne, che frutterà più tardi la traduzione del Viaggio sentimentale e la creazione della "maschera" di Didimo Chierico, l'antitesi di Jacopo Ortis.

I dolori del giovane Werther Le ultime lettere di J. Ortis Il Werher e l’Ortis a confronto I dolori del giovane Werther Le ultime lettere di J. Ortis Il genere Romanzo epistolare, la narrazione è svolta attraverso le lettere del protagonista, con rari interventi di un narratore esterno (l’editore fittizio delle lettere) La narrazione Ambientazione Germania dell’assolutismo prerivoluzionario, dominata dall’aristocrazia e da una borghesia reazionaria Italia napoleonica con i suoi tumultuosi rivolgimenti e il delinearsi del nuovo regime oppressivo del “tiranno” straniero Antefatto Il protagonista si rifugia in campagna in seguito ad una spiacevole vicenda sentimentale In seguito al Trattato di Campoformio il protagonista si rifugia sui colli Euganei per sfuggire alle persecuzioni contro i patrioti giacobini Intreccio Un giovane che si suicida per amore di una donna già destinata come sposa ad un altro. I temi principali Rapporto intellettuale società Werther non può identificarsi né con l’aristocrazia che lo respinge in quanto borghese, né con la borghesia perché i suoi valori di artista si scontrano con il freddo pragmatismo che caratterizza questa classe sociale Il dramma di Jacopo è politico piuttosto che sociale; egli avverte la mancanza di una patria in cui inserirsi dopo il fallimento storico dei sogni patriottici e rivoluzionari Amore e morte Il suicidio per un amore impossibile è il modo in cui si manifesta l’impossibilità da parte del protagonista di inserirsi nel contesto della società L’amore è una forza positiva, è l’estrema illusione che trattiene il protagonista dal suicidio dopo la delusione storica: svanita anche questa, Jacopo si uccide.

Le Odi e i Sonetti Foscolo cominciò a scrivere sin da ragazzo odi, sonetti, canzoni e altre composizioni di vario metro: sono esercizi letterari, testimonianze di un apprendistato poetico che rivelano l'influsso delle tendenze di gusto e delle tematiche correnti del tempo, dalla galanteria arcadica alla severità neoclassica, dall'ossianismo alla poesia sepolcrale, all'impegno politico e civile. Il poeta fece una scelta rigorosa di tutta questa produzione, pubblicando nel 1803 le Poesie, che comprendevano solo due odi e dodici sonetti. Le Odi Le due odi, A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All'amica risanata, risalgono al periodo della scrittura dell'Ortis, ma rappresentano tendenze opposte: se l'Ortis, con la sua passionalità ed il suo soggettivismo esasperati, con la figura dell'eroe sventurato ed esule, con il ricorrere ossessivo del tema della morte e le tonalità cupe che questa evoca, rimanda a tematiche di tipo preromantico, le Odi rappresentano le tendenze più squisitamente neoclassiche della poesia foscoliana. Al centro di entrambe vi è il vagheggiamento della bellezza femminile, trasfigurata attraverso la sovrapposizione delle immagini di divinità greche; vi sono rappresentazioni intensamente visive e plastiche, dalle linee ferme ed armoniose, in cui il poeta sembra voler riprodurre i canoni della contemporanea pittura o scultura neoclassica; ricorrono continui richiami mitologici, evocati con raffinata erudizione; il lessico è quanto mai aulico e sublime e la struttura sintattica riproduce le architetture del periodare classico.  

Ma mentre l'ode A Luigia Pallavicini conserva maggiormente un carattere di omaggio galante e settecentesco alla bella donna, All'amica risanata ha più alte ambizioni e vuole porsi come un discorso filosofico sulla bellezza ideale, sul suo effetto di purificare le passioni, rasserenare l'animo inquieto degli uomini, ed anche sulla funzione eternatrice della poesia che canta la bellezza. Il neoclassicismo di Foscolo si rivela dunque ben diverso da quello arcadico e montiano, esteriore e puramente esornativo: il culto foscoliano della bellezza esprime un'esigenza autentica e profonda, che nasce da un rapporto problematico con un momento storico tormentato e violento e dal bisogno di contrapporre ad esso valori superiori, sottratti al divenire, di cui la letteratura si deve fare portatrice .  I Sonetti I sonetti sono più vicini alla materia autobiografica e alla passionalità dell'Ortis. La maggior parte è infatti caratterizzata da un forte impulso soggettivo, che rivela la matrice della lirica alfieriana; fitte però sono le reminiscenze di altri poeti, soprattutto di Petrarca e dei poeti latini.

Tra questi sonetti spiccano tre autentici vertici poetici, Alla sera, A Zacinto, In morte del fratello Giovanni. In essi la classica forma del sonetto è reinventata in modi fortemente originali, nella struttura sintattica e metrica, nella tessitura delle immagini, nel gioco timbrico, ritmico e melodico del verso. Ma vi sono anche ripresi, in un discorso di estrema densità lirica, i temi centrali delll'Ortis: la proiezione del poeta in una figura eroica sventurata e tormentata; il conflitto con il «reo tempo» presente, il «nulla eterno» come unica alternativa; l'esilio come condizione politica ed esistenziale insieme, l'impossibilità di trovare un terreno stabile su cui poggiare, che si traduce nell'impossibilità di trovare un rifugio consolante nella famiglia; l'illusione della sepoltura lacrimata, il rapporto con la terra «materna» e con il mito antico, il valore eternatore della poesia. Ricompare dunque sia il motivo nichilistico dell'Ortis, sia quella ricerca di valori positivi, al fine di un superamento dell'approdo nichilistico, che era già in atto entro il romanzo; si conferma e chiarisce, cioè, quella linea di meditazione poetica che troverà il suo culmine, pochi anni dopo, nei Sepolcri.