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Sottotitolo sezione: com’è difficile parlare di DIO PARADISO CANTO I°-A Sottotitolo sezione: com’è difficile parlare di DIO

traduzione PROPOSIZIONE 1.1 La gloria di colui che tutto move 1. 2 per l'universo penetra, e risplende 1. 3 in una parte più e meno altrove. La luce gloriosa di Dio,  colui che è la causa prima e il motore di tutto il creato, penetra e risplende sull’universo, in misura maggiore in un luogo e minore in un altro (a seconda che la cosa creata è più o meno perfetta e quindi più o meno disposta ad accogliere in sé la luce divina).

traduzione PROPOSIZIONE Nel ciel che più de la sua luce prende fu' io, e vidi cose che ridire né sa né può chi di là sù discende; Io fui nell’Empireo, il cielo che riceve in maggior quantità la luce divina, e vidi cose che colui al quale è consentito di ritornare da là in terra, non è capace, (poichè non se ne ricorda) né può (perchè ogni parola sarebbe inadeguata) descrivere;

traduzione PROPOSIZIONE 7 perché appressando sé al suo disire 8 nostro intelletto si profonda tanto, 9 che dietro la memoria non può ire. perchè avvicinandosi a Dio, che è oggetto del suo desiderio, la nostra mente si addentra così profondamente (nella sua conoscenza), che la memoria non può seguirla.

traduzione 10 Veramente quant'io del regno santo 11 ne la mia mente potei far tesoro, 12 sarà ora materia del mio canto. Tuttavia quel tanto della visione del paradiso che io non ho potuto tesoreggiare nella mia memoria, sarà ora argomento della mia poesia.

ESPANSIONE TOTALE O PARZIALE GLORIA=LUCE ESPANSIONE TOTALE O PARZIALE

CREAZIONE ESPANSIONE DIRETTA INDIRETTA uomo Angeli Piante animali

Lettera a Cangrande della Scala Ogni essere deriva dalla luce di Dio, direttamente o indirettamente La luce di Dio è più o meno attiva

La luce di Dio è più o meno attiva Luce e spazio di Dio Milano sant’Ambrogio

La luce di Dio è più o meno attiva Luce e spazio di Dio Modena Duomo

La luce di Dio è più o meno attiva Luce e spazio di Dio Milano San Simpliciano

La luce di Dio è più o meno attiva Luce e spazio di Dio Saint Denise Reims

La luce di Dio è più o meno attiva Luce e spazio di Dio Milano Duomo

La luce di Dio è più o meno attiva Luce e spazio di Dio

La luce di Dio è più o meno attiva Luce e spazio di Dio

Cosmologia del Paradiso= ARISTOTELE Dio=motore immobile AMORE PER DIO CIELI si muovono

DIO PARADISO PURGATORIO TERRA INFERNO

MENTE UMANA Dio=motore immobile AMORE PER DIO SLANCIO MEMORIA RESTA INDIETRO

Viene rapito al terzo cielo, vede DIO, e non può riferire USCITA DA SE’ STESSI S.Paolo MISTICI Viene rapito al terzo cielo, vede DIO, e non può riferire Parole ineffabili, che non è dato all’uomo di poter esprimere (lettera ai Corinti XIII 2-4

USCITA DA SE’ STESSI S.Bonaventura MISTICI TEMATICA: uscire dalla propria mente, entrare in estasi, vedere DIO, non poterne riferire

1. Dio è un'entità assolutamente trascendente, al di là di ogni definizione terrena. Dio, o l'Uno (nella terminologia di Plotino), è inconoscibile e assolutamente irraggiungibile con gli strumenti della conoscenza umana. La sua essenza è assoluta e perfettissima; 2. Dio non crea il mondo con un atto di volontà ma lo emana, in modo necessario, come il calore emana dal sole. La perfezione divina è totalità, impossibile per questa totalità rimanere chiusa entro i suoi limiti (essendo totalità, né è priva), e in questo modo necessariamente esonda.  

I livelli di realtà si creano per ipostasi I livelli di realtà si creano per ipostasi. L'emanazione più vicina a Dio crea l'intelletto (il nous), quella successiva il principio vitale di ogni cosa (l'anima del mondo). L'ipostasi è quel livello di realtà che si viene a creare a causa della diversa "densità" nell'emanazione divina, più l'ipostasi si allontana da Dio e più il livello di realtà è gerarchicamente inferiore (il mondo terreno è all'ultimo livello, creato ad immagine del mondo divino).

I livelli di realtà si creano per ipostasi I livelli di realtà si creano per ipostasi. L'emanazione Con la dottrina della emanazione il neoplatonismo si distingue dal cristianesimo, il quale invece afferma il carattere volontario dell'azione divina. I neoplatonici consideravano la tesi cristiana troppo primitiva, in quanto contaminata da un eccesso di antropomorfismo (l'intenzione troppo spiccata di attribuire caratteri umani alla figura divina, per i neoplatonici, figura assolutamente trascendente e inconoscibile);  

3. Similmente all'anamnesi platonica, per i neoplatonici le verità dello spirito sono già presenti in ogni uomo. Esse possono venire portate alla luce grazie a un percorso interiore ed ascetico assolutamente personale, che porta, come ultimo e più alto stadio, all'estasi, ovvero alla pura contemplazione del divino che si specchia nella propria anima.  

3. . L'estasi: Il ritorno dell'uomo all'Uno In che modo l'uomo può venire a contatto con l'Uno del quale è parte? Plotino afferma che l'uomo può, attraverso la sua anima, ripercorrere all'inverso il cammino delle ipòstasti e ritornare alla coscienza dell'Uno, attraverso un percorso spirituale interiore. Se infatti ogni cosa è emanata dall'Uno, ogni cosa è l'Uno, seppur con una densità minore. L'Anima, ultima ipòstasi, si trova presente in ogni uomo. Ogni uomo ha in sé la sua particolare anima, ma questa anima particolare viene emanata pur sempre dall'Anima che crea il mondo.

Questa emanazione continua che non ha intervalli (come già scritto), permette all'uomo di avere l'Uno in sé. Ma quali sono i modi e gli atteggiamenti pratici che l'uomo deve assumere per tornare a percepire l'Uno dentro di sé? Le tappe di questo percorso sono: 1. Il rispetto dei doveri sociali, i quali abituano l'uomo alla disciplina; 2. La contemplazione della bellezza e dell'arte; 3. L'amore; 4. L'amore per la sapienza e la filosofia; 5. Il superamento di ogni realtà materiale attraverso l'estasi.

Si nota come ogni tappa sia gerarchicamente subordinata in importanza alle altre, similmente al processo delle ipòstasi. In particolare la bellezza (l'arte e la musica) ha la proprietà di trasmettere l'idea dell'Uno al mondo della materia e quindi agli uomini. La contemplazione della bellezza, il provare l'amore e la passione per la filosofia, producono nell'uomo una tensione alla bellezza assoluta che purifica l'anima degli uomini e li avvicina all'Uno.

La suprema purificazione dell'anima sopraggiunge con l'estasi, ovvero il definitivo abbandono dell'oggettività dell'esistenza in favore di una coscienza spirituale totalmente immersa nell'Uno. L'estasi è un processo assolutamente personale, ovvero l'uomo non ha bisogno di alcuna guida spirituale, concetto che esclude l'intervento di ogni apparato religioso temporale (come, ad esempio, i ministri della chiesa e la chiesa stessa) nelle questioni che riguardano la spiritualità dei singoli.

Tale visione del processo che porta alla riscoperta dell'Uno è implicitamente una critica all'atteggiamento della religione cristiana per cui è Dio che vuole salvare il mondo dal male, mentre per Plotino è l'uomo, essendo male in quanto molto lontano dalla realtà del bene dell'Uno, che si riavvicina alla fonte del bene, la quale non ha alcun proposito intenzionale, ma solamente necessario. "[...] in Plotino, come in Platone ed Aristotele, l'Uno produce l'universo non rivolgendosi a esso: non ama il mondo [similmente al Dio cristiano, N.d.R.], ma è amato dal mondo; quindi sono assenti le condizioni per le quali l'Uno voglia salvare il mondo - direttamente o mediante un salvatore. L'Uno dona ogni bene all'altro da sé, per la necessità della sua natura sovrabbondante, come appartiene alla natura della luce illuminare le cose." (E. Severino, La filosofia Antica).

Plotino ricorre anche a un'altra immagine: dice che il mondo è come un enorme albero. L'albero trae nutrimento dal terreno, dalle radici. La vita, dunque, è qui. No, no! La vita è nel tronco, nei rami,… in tutta la chioma frondosa che ricade da quest'albero gigantesco. Questo è l'"ovunque" dell'essere. Ma proprio questo "Uno", che si rivela nel suo fondamento, è estremamente difficile da esprimere; alle volte, però, Plotino ricorre a formulazioni che siamo in grado di rendere anche in termini attuali e che ci toccano da vicino. Egli scrive di questa "visione", da cui veniamo assorbiti, quando ci abbandoniamo alla contemplazione dell'Uno. H.GADAMER

"Uno“ "Uno“ "Uno“ "Uno“ "Uno“

Dio=motore immobile MENTE UMANA MEMORIA FRAMMENTI

13 O buono Appollo, a l'ultimo lavoro INVOCAZIONE 13 O buono Appollo, a l'ultimo lavoro 1. 14 fammi del tuo valor sì fatto vaso, 1. 15 come dimandi a dar l'amato alloro. O eccellente Apollo, riversa in me tanto della tua virtù poetica per l’ultimo lavoro (la terza cantica), quanta tu ne richiedi per concedere l’ambito titolo di poeta.

traduzione 16 Infino a qui l’un giogo di Parnaso 17 assai mi fu; ma or con amendue 18 m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso. Fino ad ora mi è stato sufficiente l’aiuto delle Muse; ma adesso mi è necessario affrontare l’ultimo argomento con il soccorso di entrambi. 1

PARNASO

Probabilmente è a questo passo del PARADISO dantesco (I, 13-21) che Raffaello si ispira per rappresentare la scena del Parnaso. La divisione del monte in due falde, al di qua ed al di là della finestra, allude infatti ai due "gioghi", uno sacro alle Muse e l'altro ad Apollo, mentre non si può far a meno di notare che la scritta «NUMINE AFFLATUR» («E' ispirata a Dio») che compare sulla volta nel tondo della Poesia rammenta l'«entra nel petto mio, e spira tue» del passo della commedia appena ricordato. Nè a questo punto sembra un caso che - sempre sulla volta- compaiono proprio Apollo e Marsia, la cui presenza trova puntuale giustificazione nell'interpretazione dantesca del fatto mitologico che viene visto come momento di rinascita e non come semplice punizione. Infine assume valore ben più pregnante la presenza di Dante che qui hga il privilegio di essere il più vicino al poeta dei poeti, per non dire della Poesia fatta persona, Omero, le cui fattezze, come mostra assai meglio un disegno conservato a Windsor, ricordano inequivocalbilmente quelle di Laocoonte.

PARNASO

Plotino ricorre anche a un'altra immagine: dice che il mondo è come un enorme albero. L'albero trae nutrimento dal terreno, dalle radici. La vita, dunque, è qui. No, no! La vita è nel tronco, nei rami,… in tutta la chioma frondosa che ricade da quest'albero gigantesco. Questo è l'"ovunque" dell'essere. Ma proprio questo "Uno", che si rivela nel suo fondamento, è estremamente difficile da esprimere; alle volte, però, Plotino ricorre a formulazioni che siamo in grado di rendere anche in termini attuali e che ci toccano da vicino. Egli scrive di questa "visione", da cui veniamo assorbiti, quando ci abbandoniamo alla contemplazione dell'Uno. H.GADAMER

1. 19 Entra nel petto mio, e spira tue 20 sì come quando Marsia traesti 21 de la vagina de le membra sue. Entra nel mio petto, e ispirami quella potenza d’ingegno di cui desti prova quando vincesti e scorticasti Marsia.

MARSIA ED APOLLO Secondo i miti greci e romani Marsia era un satiro, specie di genio delle acque, dei monti e delle selve. Atena si era costruita un flauto e lo aveva gettato via perchè derisa da Era ed Afrodite per l’aspetto deformato del suo viso mentre lo suonava. Marsia lo raccolse e divenne un bravissimo suonatore, famoso tra i seguaci della dea Cibele e tra la gente dei campi, tanto che correva voce che nemmeno Apollo sapesse fare della musica altrettanto bella. Apollo non accettava che il suo primato come dio della musica fosse in dubbio e sfidò Marsia ad un confronto: Marsia avrebbe suonato il flauto, Apollo la lira, mentre le Muse avrebbero scelto il vincitore..

MARSIA ED APOLLO Le Muse decretarono un pareggio tra i due sfidanti. Apollo non soddisfatto pretese che gli sfidanti dovessero cantare e suonare allo stesso tempo cosa ovviamente impossibile con il flauto. Il dio vinse così la sfida e punì Marsia per la sua superbia facendolo scorticare da uno schiavo della Scizia. Secondo un’altra versione della leggenda il dio Apollo pur di garantirsi la vittoria capovolse  la sua lira e pretese che altrettanto facesse Marsia col suo flauto! Apollo non poteva permettersi di perdere e punì severamente Marsia per la sua superbia.

Fine prima puntata

L’aquila Il nome dell’aquila deriva dall’acutezza, acumen, della sua vista. Così potente è il suo occhio che essa, anche volando sopra i ciei più alti, vede i pesci che nuotano nel mare o nel fiume e riesce a catturarli volando in picchiata e trascinandoli poi a riva. L’aquila è la regina degli uccelli, colei che riesce più di tutti a volare in alto e a fissare il sole più a lungo e più drittamente di tutti.

Dopo aver partorito i piccoli, li stringe con le zampe e li conduce fino al sole, quando esso è più luminoso, e fa sì che lo fissino. “l’aquilotto che essa vede guardare più fisso il sole, lo considera del suo lignaggio e lo cura amorevolmente e saggiamente, mentre quello che distoglie lo sguardo dal sole smette di nutrirlo e lo abbandona ad un destino di morte. Si tratta di un racconto moralizzato: l’aquila è l’allegoria di Cristo che vede il Padre (sole) apertamente, così come accadrà per i veri cristiani dopo la morte. Gli aquilotti sono gli uomini, portati al cospetto di Dio dagli angeli e questi accoglierà solo le anime degne e abbandonerà gli empi.

Il Fisiologo narra una seconda storia sull’aquila: “quando essa invecchia, le sue ali si appesantiscono e la vista comincia ad appannarsi, allora sale in alto nel cielo fino a bruciarsi le ali e a rimuovere il velo che le impedisce la proverbiale vista. “Quando l’aquila ha fatto ciò, va in Oriente, dove vede una fontana dall’acqua chiara e incontaminata; la sua natura è tale che vi si tuffa per tre volte e subito rinvigorisce”, le ali tornano come nuove e la vista di nuovo acutissima. Anche questo racconto è interpretato come un’allegoria religiosa, infatti il tuffarsi nella fonte per tre volte e ringiovanire allude al sacramento del battesimo, con l’olio, il sale e il crisma, col quale l’uomo rinasce purificato dal peccato, prendendo nuova forza e rinnovata vista del cuore. Il racconto sembra ispirato alle parole del re David nella Bibbia: “Si rinnoverà come quella dell’aquila la tua giovinezza” (Ps. 102, 5).

Nei bestiari d’amore l’aquila è citata come esempio di umiltà: come ella si frantuma il becco (che è simbolo di orgoglio), che è diventato troppo lungo per consentirle di nutrirsi, così dovrebbe fare la fanciulla innamorata, tentare di spogliarsi del suo orgoglio per aprire autenticamente il suo cuore e dichiararsi all’uomo, dopo aver riconosciuto quello giusto e onesto.

CAPITELLO CATTEDRALE DI BITONTO

GLAUCO Glau§ko" (Glàukos) GLAUCO Nome di diversi personaggi, e di un dio marino dotato di virtú profetiche che, nato mortale, assaggiò un'erba che lo rese immortale (Athen. 7, 296 ss.). È attestato anche il femminile Glauce (Glauvkh), nome di una Nereide (Hes. Theog. 244) e della figlia del re di Tebe Creonte (Apollod. Bibl. 1, 9, 28). Deriva da glaukov", "azzurro grigio, bluastro"; l'antroponimo è attestato anche in Omero e in miceneo sotto la forma ka-ra-u-ko (PY Cn 285.4; Jn 706.8; 832.5). L'etimologia non è chiara, ma secondo Chantraine (DELG) si può operare un confronto col nome di uccello glau§x, piccola civetta dal colore brillante (D'Arcy Thompson, A Glossary of Greek Birds, pp. 76 ss.). Secondo von Kamptz (Homerische Personennamen, p. 142), invece, glau- potrebbe essere l'ampliamento della radice indoeuropea *gele- presente in gelavw oppure aver subito l'influsso di leukov". Zufferli