Sant’Agostino e la scoperta della libertà

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Sant’Agostino e la scoperta della libertà La grazia e il libero arbitrio

Occasione del testo Occasione del testo è una discussione all’interno di un monastero (quello di Adrumeto, nell’odierna Tunisia) suscitata da una lettera di Agostino al prete Sisto sul tema della grazia. Tale lettera, che ne seguiva un’altra in cui Agostino si rallegrava con il prete romano per la chiara presa di posizione antipelagiana, approfondiva i temi della grazia e della libertà in modo da far intendere come i pelagiani fossero in errore. Essa viene trascritta da un monaco di Adrumeto e portata al proprio monastero. Qui, prima che potesse essere letta in comunità e spiegata dall’abate, alcuni monaci imperiti (cioè di scarsa cultura) la leggono, non la capiscono e ne rimangono turbati, finendo per reazione col sostenere posizioni filopelagiane.

La reazione di Agostino Agostino, venuto a conoscenza della situazione, prima risponde con una lettera (la 214) poi, per definire meglio la questione, scrive il De gratia et libero arbitrio, secondo A. Trapé testo «fondamentale per la dottrina della grazia, particolarmente a motivo della puntigliosa dimostrazione biblica dell'inseparabile binomio: grazia e libertà, come pure dell'altro: grazia operante e grazia cooperante, e dell'altro ancora: vita eterna, mercede e dono» (A. Trapé http://www.augustinus.it/pensiero/intro_grazia_liberta/introduzione_02_libro.htm).

L’esordio: contro gli opposti estremismi Il testo è stato scritto per rintuzzare gli opposti estremismi di chi «osa» negare la grazia, per affermare il libero arbitrio, ma anche di chi, per affermare la grazia giunge a negare il libero arbitrio. Agostino, rivolgendosi ai monaci ai quali il testo sarebbe stato inviato, li esorta a sforzarsi di capire una questione difficile e oscura cercando in questo il necessario aiuto di Dio attraverso la preghiera.

Senza libero arbitrio sono inutili i precetti, ma i precetti ci sono e servono Il LA viene chiaramente affermato in moltissimi luoghi delle Scritture. In effetti, pensa Agostino, gli stessi precetti divini non avrebbero senso se gli uomini non disponessero di LA, come non ha senso dare leggi a chi non ha in suo potere la volontà di osservarle. E siccome gli uomini hanno questa possibilità, cioè posseggono il LA, essi, una volta informati dai precetti divini non possono scusarsi se non li rispettano, con l’ignoranza. Qui si riprende il tema per cui del peccato gli uomini sono i soli responsabili e non possono accusare né la loro ignoranza – che non vi è – né, a maggior ragione, Dio stesso, che non tenta mai e non chiama mai al male.

L’Ecclesiastico Dio crea l’uomo e lo lascia in mano al proprio consiglio, così afferma l’Ecclesiastico: «Egli ti mette davanti il fuoco e l’acqua; stendi la mano verso ciò che vorrai. Dinanzi agli occhi dell’uomo c’è la vita e la morte, e gli sarà data quella delle due che gli piacerà» (Sir 15, 15-17). Insomma, davanti all’uomo Dio mette una possibilità di scelta. Per ora sembra che tale possibilità sia indifferente, cioè che l’uomo possa scegliere con il suo libero arbitrio indifferentemente l’una o l’altra. In realtà, come sappiamo, non è così. Tuttavia questa è solo la prima parte della dimostrazione, quella relativa al libero arbitrio, e tale parte va messa assieme con quella relativa alla grazia, non senza una significativo cambiamento della dottrina del libero arbitrio.

Tutti i precetti fanno riferimento alla volontà, una volontà libera Non si ordina se colui che riceve l’ordine non è in grado di obbedire e compiere il precetto. Quindi ogni ordine è rivolto alla volontà. Ma laddove c’è volontà, essa è da presupporre libera, cioè capace di muoversi verso l’oggetto/comportamento che è stato comandato, scegliendo quello invece che altro.

Citazioni In modo sistematico Agostino a questo punto snocciola una serie di passi dell’AT e del NT in cui vi sono riferimenti alla volontà, in tutto 27 passi che comprendono scritti sapienziali dell’AT(soprattutto Proverbi e Salmi) e poi i Vangeli e le lettere paoline e cattoliche del NT. Questo è l’andamento delle dimostrazioni nel testo: l’importante è la citazione biblica e la sua interpretazione: la filosofia è presente solo nella sua dimensione ermeneutica.

Ignorantia non excusat Dato dunque che i precetti divini sono stati dati a noi che possediamo una volontà per aderirvi, l’ignoranza non scusa. Ciò è valido sia per il puro non sapere - che come tale ci condanna al peccato – come anche per il più frequente non VOLER sapere, cioè non fare di tutto per acquisire una notizia che pure è stata data (circa le cose necessarie per la nostra salvezza).

Il libero arbitrio non nega la grazia Non si possono tuttavia intendere i testi citati come un’implicita negazione della necessità della grazia. Il rischio è quello dell’orgoglio – così come rimarcato da Geremia -, poiché non vedere la grazia ci convincerebbe, come è accaduto per i pelagiani, che la salvezza sia un nostro merito. In realtà il libero arbitrio, lungi dal negare la grazia, la richiede, tanto che «nulla di buono possiamo fare senza di essa».

Esempio: la continenza Agostino mostra, soprattutto riguardo la continenza sessuale, sia nella condizione delle verginità monastica, sia in quella delle coppie sposate, che i precetti divini fanno appello alla volontà – e infatti sono moltissime le prescrizioni contro le fornicazioni e gli adulteri – ma che senza la grazia essi divengono solo «LA FORZA DEL PECCATO» come sostenuto da S. Paolo.

La necessità della preghiera e il prius della grazia Ecco perché alla volontà di non essere tentati si deve aggiungere la preghiera, perché se è la volontà che vince la concupiscenza, tale volontà è concessa da Signore a chi prega. Noi potremmo domandarci: «E la volontà di pregare?»…è chiaro che, in una logica agostiniana, viene dalla grazia. Essa dunque è un prius, altrimenti dovremmo dire che è qualcosa dato in cambio di altro, cioè non è più GRAZIA.

Il rivolgersi a Dio è dato da Dio «Rivolgetevi a me e anch’io mi rivolgerò a voi» (Zc 1,3). L’interpretazione di questo versetto profetico estremamente significativo è dirimente. Qui Agostino riconosce esservi a prima vista due elementi, il primo è la volontà degli uomini di rivolgersi a Dio, il secondo è la grazia di Dio di rivolgersi agli uomini. I pelagiani in base a questo testo dicono che la grazia viene data secondo i nostri meriti, poiché viene raccomandato alla volontà di rivolgersi a Dio, affinché Dio si rivolga agli uomini. Ma, ribatte Agostino, se fosse così non sarebbero intellegibili i seguenti passi: «Dio delle virtù, convertici a te (Sal 79,8); e: Dio, tu convertendoci a te ci vivificherai (Sal 84,7) e: Convertici a te, Dio della nostra salvezza (Sal 84, 5) . […]Infatti anche venire a Cristo che altro è se non rivolgersi a lui per credere? Eppure egli dice: Nessuno può venire a me, se non gli è stato concesso dal Padre mio (Gv 6,66)».

Cercare Dio è merito nostro? Cercare Dio NON è quindi merito nostro. Noi lo facciamo CON la volontà, ma la volontà opera assieme alla grazia, altrimenti risulta assolutamente inefficace, bloccata, impotente. Se cercare Dio fosse merito nostro, la salvezza, ribadisce Agostino, non sarebbe più un dono, ma sarebbe data in cambio dei nostri meriti.

La vicenda di Paolo La vicenda di Paolo, a tal riguardo, è esemplare. Infatti a Paolo sulla via di Damasco è stata concessa l’immensa grazia della conversione, non a fronte dei suoi meriti ma addirittura a fronte dei suoi demeriti. Paolo, persecutore dei cristiani, viene da Cristo condotto alla salvezza, mentre, a stare alle sue opere, e anche alla sua volontà cosciente, avrebbe meritato ben altro.

La grazia dopo la giustificazione Ma oltre a ciò è necessario rivendicare un ruolo alla grazia nel corso di tutta la vita umana. Cioè: essa non agisce solo una volta, non è solo l’inizio, diremmo che sia invece l’alfa e l’omega. Anche dopo essere stato da Dio giustificato, l’uomo continua ad aver bisogno della grazia per perseverare nel bene: «Signore, nella tua volontà prestasti al mio onore la potenza, ma distogliesti da me il tuo volto e io sono stato confuso» (Sal 29,8).

La dinamica del rispecchiamento Dio in sostanza, secondo Agostino, corona nell’uomo i suoi doni. Riemerge qui quella dinamica circolare del rispecchiamento (di cui si è detto in precedenza commentando le opere antipelagiane), per la quale l’uomo è come se fosse una sorta di specchio messo lungo la strada che da dio porta oltre Dio e di qui ritorna a Dio. Dio uscendo da sé nella creatura, vuole, donandosi alla creatura, rispecchiarsi in essa, e dunque quasi ritrovarsi nella creatura per tornare a sé. Ecco allora il precetto della santità giustificato con la stessa santità di Dio: «Siate santi, perché santo sono io, il Signore Dio vostro» (Lv 19,3), laddove però è la santità divina che, sgorgando da Dio, permette all’uomo di essere santo, e a Dio di specchiarsi nella santità dell’uomo.

La vicenda di Paolo ne è ulteriore conferma Per dimostrare che Dio nell’uomo corona i suoi doni, Agostino riprende ancora Paolo e la frase di 2Tm 4 con cui l’Apostolo fa una sorta di bilancio della sua esistenza: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho mantenuto la fede. Per il resto è già in serbo per me la corona della giustizia». Agostino afferma 1) che tali opere buone sono derivate da pensieri buoni i quali come si dice in 2Cor 3,5 devono venire da Dio; 2) che, per quanto riguarda la buona battaglia Dt 8, 17,18, ogni energia per combattere viene da Dio; 3) che ogni vittoria in battaglia, a stare a 1Cor 15,57, è data da Gesù 4) che serbare la fede è pur’esso un dono divino, come conferma 1Cor 7,25.

La Bibbia spiegata con la Bibbia, l’uomo spiegato con Dio In questo esemplare esercizio ermeneutico Agostino spiega la frase paolina di 2 Tm con altri luoghi biblici che aiutano a comprenderne il senso teocentrico, proprio laddove Paolo parla in prima persona, come se Agostino volesse sottolineare che dietro ogni azione (buona) dell’io vi è una presenza ineliminabile di Dio, dislocando l’antropologia nella teologia.

La grazia che giustifica non implica una posizione antinomiana L’antinomismo è quell’atteggiamento che nega ogni valore alle leggi, confidando in tutto e per tutto nella giustificazione che viene dalla fede e quindi dalla grazia divina. Se è Dio che giustifica e lo fa a prescindere da ogni merito, allora la nostra condotta non ha nulla a che fare con la nostra salvezza. Quindi diamoci a soddisfare ogni desiderio, incuranti della giustizia della nostra prassi. Bene, per Agostino questa sarebbe una conclusione sbagliatissima, un gravissimo errore d’interpretazione delle parole dell’Apostolo. Questi dice infatti che «la fede opera attraverso la carità» (Gal 5,6), cioè ispira la carità ad operare in modo che la sua presenza offerta gratuitamente da Dio si rende manifesta nelle opere, realizzandosi in esse.

Il passaggio immediato dalla grazia alla fede alle opere Si genera nell’uomo che la grazia ha giustificato immediatamente un passaggio dalla fede alla carità e quindi all’operare secondo carità. Questo rende perfettamente comprensibile Mt 16,27 in cui si dice che Dio renderà a ciascuno secondo le proprie opere. Le opere, infatti, hanno MANIFESTATO la grazia, cioè il dono divino che, nell’uomo, Dio stesso corona con la vita eterna nel suo Regno.

Grazia per grazia Questo concetto di Dio che corona i suoi doni nell’uomo viene espresso ancora meglio dall’esclamazione di Giovanni il Battista in Gv 1,16: «Noi dalla pienezza di lui abbiamo ricevuto, e grazia per grazia». Il significato è chiaro, la grazia della vita eterna è data PER, cioè a causa, della grazia della fede che ha animato la carità. Dunque la grazia di Dio ha retribuito con la vita eterna la sua stessa grazia che ha dato la fede e la carità, mentre retribuisce con la morte il peccato.

La legge in tutto ciò? La funzione della legge in tutto ciò diventa, nell’uomo che ha conosciuto Cristo, quella già più volte ribadita, di far conoscere il peccato. A ciò si aggiunga una funzione di stimolo nei confronti del libero arbitrio, che dalla legge è richiamato a fare il bene. Tale richiamo, però non deve mai far dimenticare il ruolo fondamentale della grazia, con la quale solo, si può adempiere la legge.

Ancora risposte ai pelagiani A proposito della legge Agostino ne approfitta per segnalare e correggere alcune tesi pelagiane. La grazia non consiste come vorrebbero i pelagiani, con il dono della legge. La legge non aiuta contro il peccato, ma solamente lo fa conoscere. Dopo di ciò è necessario un ulteriore aiuto divino per adempiere i precetti e divenire giusti della giustizia di Dio, non della nostra. La grazia non è la natura, poiché la natura è data a tutti gli uomini, la grazia solo a chi crede in Cristo. La grazia piuttosto restaura la natura. La grazia non riguarda solo la remissione dei peccati, ma anche l’aiuto a non commetterne per il futuro.

Grazia e fede Infine, sempre in polemica indiretta con i pelagiani, agostino sottolinea come la grazia non viene data a seguito del merito di credere, ma precede questo merito e lo suscita. Altrimenti bisognerebbe dire, contro le molteplici testimonianze delle Scritture, che la fede non è un dono di Dio. In realtà donando la fede e premiando la fede Dio dona per il suo nome. Una lunga citazione di EZ 36,22-27 spiega, secondo Agostino, come i doni che Dio dà all’uomo non procedono da meriti umani, ma da una libera e imperscrutabile volontà divina: Dio dona per la sua gloria, per la gloria del suo nome. Dio dona in modo che la sua gloria risplenda su coloro ai quali il dono viene fatto. Dunque il dono non segue alcun merito, ma anzi a volte segue un demerito e lo cancella. Tra i doni di Dio che sottostanno a questa dinamica vi è, in primis, la fede.

Fede e libero arbitrio Con la fede Dio ci rende capaci di chiedere un ulteriore aiuto per alimentare la nostra volontà, affinché essa si rinsaldi a tal punto da poter adempiere in pieno ogni precetto della legge senza sentirne il peso e la difficoltà. Questo è il miracolo della fede che giustifica attraverso la sua capacità di rendere l’uomo un vaso riempito della grazia divina che può ogni cosa. Questo tuttavia non elimina il libero arbitrio. Dopo aver citato il profeta Ezechiele a sostegno della grazia, Agostino lo cita a sostegno del libero arbitrio.

Ezechiele sul libero arbitrio «Scacciate da voi tutte le empietà che commetteste empiamente contro di me e createvi un cuore nuovo e uno spirito nuovo e adempite tutti i mei precetti. Perché mai volete morire, o casa d’Israele, dice il Signore? Perché io non voglio la morte di colui che muore, dice Iddio Signore, e convertitevi e vivrete» (Ez 18,31,32). Questi, osserva Agostino, sono precetti che si rivolgono al libero arbitrio e non avrebbero senso senza libertà.

Dio ordina (alla volontà libera) e poi dà Dio ordina, nei versetti di Ezechiele, ciò che poi darà. Infatti precedentemente il profeta aveva attribuito a Dio l’intenzione di dare la conversione e il cuore nuovo necessarii alla salvezza. Le due prospettive sono compatibili solo pensando appunto che Dio dà ciò che ordina. In ogni caso rimane indubitabile che Dio si rivolga al libero arbitrio. Agostino dice che «sempre c’è in noi una volontà libera, ma non sempre essa è buona, infatti o essa è libera dal vincolo della giustizia quando è serva del peccato, e allora è cattiva; o è libera dal vincolo del peccato quando è serva della giustizia, e allora è buona» (Agostino, De gratia, 15,31).

Libertà e liberazione L’affermazione di Agostino implica l’idea di una libertà intesa come liberazione. La volontà libera nell’uomo è sempre presente; se è buona è libera dal peccato, se è cattiva è libera dalla giustizia. La volontà, come che sia, è sempre l’effetto di un processo di liberazione e, d’altro canto, di un processo di autoasservimento al valore opposto rispetto a quello quale si è liberata. Tuttavia se può essere cattiva con le sue forze, non può con tali forze essere buona. Per questo la grazia di Dio è necessaria. Essa alimenta la volontà e la fa tanto buona da renderla in grado di adempiere la legge.

Libertà e soggettività dell’azione Quindi la volontà buona è preparata dal Signore, anche se siamo noi ad osservare i precetti. Il Signore non agisce senza il nostro concorso, anche quando fa tutto Lui con la sua grazia, infatti, anche in questo caso, siamo sempre noi a volere il bene, e questa soggettività dell’azione non può mai essere cancellata, questa appartenenza dell’azione al soggetto agente è ineliminabile ed è il principio che ci fa ammettere comunque una volontà libera nell’azione buona.

Libertà volontà La libertà del volere è dunque carattere di qualcosa che appartiene all’uomo, il volere, e che tuttavia ha bisogno di Dio per essere attivato al bene, cioè veramente compiuto. “Tutto è lecito, dice San Paolo, ma non tutto giova”; quindi siamo liberi, ma dobbiamo stare attenti affinché non scegliamo ciò che non giova. Tale attenzione ci è data da Dio.

Volontà e carità Per riuscire a fare il bene, adempiendo un precetto della legge che ci invita a farlo, bisogna avere certamente la volontà. Ma tale volontà deve essere animata da Dio. La volontà animata da Dio si rafforza fino a divenire CARITA’. “Chi vuole attuare un comandamento di Dio e non può, certo egli ha già la volontà buona, ma ancora piccola e debole; potrà quando l’avrà grande e robusta. Quando infatti i martiri adempirono a quei grandi precetti, lo fecero sicuramente per grande volontà, CIOE’ per grande carità” (De gratia et libero arbitrio, 17,33).

Volontà e carità 2 E’ molto interessante questa idea della carità come culmine e trasfigurazione della volontà. Si tratta di pensare la volontà come ciò che può ottenere qualcosa, ciò che si rivolge ad un oggetto per conseguirlo. Ora, se tale rivolgersi ad un oggetto è così forte da far passare in secondo piano il fatto che lo si “desidera” per sé; se tale volere è così forte da privilegiare l’oggetto a se stessi, esso diventa carità, cioè amore. L’effetto di questa trasfigurazione della volontà è la sua capacità di ottenere l’oggetto molto facilmente. Proprio perché esso non deve essere ottenuto per me, quasi violentandone l’ identità, io non devo più farlo mio ma devo farmi suo, e questo è molto facile perché è gia presupposto dall’amore. Ecco dunque che chi fa le cose per amore compie la legge nella sua pienezza. Di contro la legge, per chi non possiede la carità diventa solo occasione per la trasgressione

L’amore viene da Dio Ben restituisce la concezione teocentrica dell’amore che ha Agostino la frase di Giovanni che egli cita, tra le tante, a sostegno della tesi che l’amore viene da Dio: “Amiamoci a vicenda, perché l’amore proviene da Dio” (De gratia 18,37). Laddove alla prima parte della frase corrisponde un invito o un ordine, e al secondo il soccorso che Dio dà all’uomo garantendo la comunicazione dell’amore.

L’amore da Dio e i pelagiani Che l’amore provenga da Dio è dimostrato dall’alto numero di citazioni bibliche che ancora una volta Agostino presenta. Il nostro vescovo conclude, dopo la serie delle citazioni con un riferimento all’opinione contraria dei pelagiani. Essi, deice Agostino, pretendono che l’amore provenga dall’uomo, giungendo implicitamente a questa assurdità: “Giovanni dice ‘Dio è amore’, e i pelagiani sostengono perfino di avere Dio stesso non da Dio ma da se stessi”, infatti pensare che l’more sia il prodotto del libero arbitrio umano significa sostenere implicitamente che il Dio amore sia un prodotto del libero arbitrio umano (anticipando in questo modo Feuerbach, n.d.r.).

Il dominio di Dio sulla volontà «La grazia di Dio non elimina la volontà umana, ma la cambia da cattiva in buona e, dopo averla fatta buona, la soccorre» (20,41). Anche le volontà «che sono in potere di questo mondo» sono comunque orientate da Dio al bene di qualcuno o al castigo di altri, secondo la decisione divina che, anche se nascosta nei suoi motivi, è sempre da ritenersi ottima. E quando Dio inclina volontà peccaminose a fare qualcosa, egli, diciamo, si serve della peccato che è nella volontà per produrre un effetto in ultimo buono (per esempio si è servito della volontà peccaminosa di Giuda).

Colui che agisce, lo fa di propria volontà, anche se Dio muove la sua volontà Ma colui la cui volontà è suscitata da Dio, agisce di propria volontà oppure agisce in virtù dell’azione di Dio sulla sua volontà? Agostino dice: «entrambe le cose sono vere». Vero è che Dio interviene a muovere la volontà, vero è che chi agisce lo fa di propria volontà. Due cose, però, non bisogna scordare: non vi è ingiustizia in Dio, e quando Dio volge qualcuno al male, ciò è perché egli, anche se non sappiamo come né perché, lo ha meritato. E in ogni caso il male nella sua volontà si genera a partire dal peccato di Adamo, mentre è Dio che né utilizza modi e tempi di generazione a sua punizione, o a punizione di altri o a beneficio di tutti, a seconda del suo insondabile decreto.

i bambini I bambini che ricevono la grazia nel battesimo, a volte addirittura recalcitrando, dimostrano che la grazia agisce su coloro che non hanno alcun merito della volontà, cosa che conferma la sua assoluta gratuità. Ciò avviene senza che nemmeno sia possibile prevedere su chi si poserà la grazia divina; tanto che a volte essa è data a figli di non credenti e negata a figli di credenti.

Ciò che Dio renderà Ma, a prescindere da ciò che noi capiamo del concreto agire di Dio e delle sue motivazioni, noi dobbiamo pensare che Egli comunque: -renderà male per male – castigo per ingiustizia - perché è giusto; -renderà bene per male – grazia per ingiustizia - perché egli è buono; -renderà bene per bene –grazia per grazia - perché è buono e giusto È impossibile che renda male per bene perché Egli non è ingiusto