I Beni demoetnoantropologici e lo Stato italiano

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I Beni demoetnoantropologici e lo Stato italiano

La politica dei beni culturali Nella legislazione italiana i beni culturali sono stati definiti e concepiti in modi diversi. Diverse variabili: Fini (conservazione o fruizione?) Mezzi (tutela/valorizzazione) Definizione (chiusa o aperta) Competenza (pubblico/privato; centro/periferia; specialisti o manager) (Tarasco 2004)

Diverse concezioni dei “beni culturali” 1) Concezione nazional-patrimoniale Secondo questa concezione i beni culturali sono “parte integrante del patrimonio culturale della comunità, contribuendo a radicare l’identità nazionale di un popolo”. Essi sono “una delle fonti… della riconoscibilità della comunità nazionale” (Bobbio). I beni culturali sono espressione della sovranità statale. Essi pertanto rientrano nella competenza dello stato (tutela, potere centrale del Ministero e organi periferici: soprintendenze)

Diverse concezioni dei beni culturali Concezione cosmopolita Opposta alla concezione nazional-patrimoniale I beni culturali sono un patrimonio di tutta l’umanità Ciò che conta è che essi vengano resi fruibili, non importa dove si trovano. Globalizzazione e libero commercio. Grandi case d’asta.

Diverse concezioni dei beni culturali Concezione “contestualista”. Concezione opposta a quella “cosmopolita” I beni culturali non sono tanto le singole cose, ma le relazioni, la trama chel i lega al contesto. Visione antigerarchica del patrimonio culturale Il bene culturale si deve collocare nel suo contesto Sono gli specialisti a dover riconoscere queste trame, non il manager.

Diverse concezioni dei beni culturali Concezione “mineraria” dei beni culturali Nel 1985 l’allora ministro Gianni de Michelis li chiama “giacimenti culturali”. I beni culturali sono una ricchezza da individuare, “estrarre”, raffinare e sfruttare.

Diverse concezioni dei beni culturali Concezione “comunitaria” dei beni culturali Secondo tale concezione la cura dei BC spetta e appartiene a gruppi operanti nella società (associazioni, mecenati, volontari) Schema policentrico e volontario, con un certo grado di casualità L’azione della collettività può costituire la spina dorsale dell’intervento sui beni culturali rendendo sussidiario l’intervento dello Stato. Implica il coinvolgimento della comunità dei cittadini.

Come è cambiata la legislazione dei Beni Culturali in Italia Negli ultimi anni la definizione di “bene culturale” è mutata nella legislazione. Nel tempo c’è stato un ampliamento progressivo della categoria di Bene Culturale che ha aperto anche ad una definizione antropologica. Nella legislazione italiana sui Beni Culturali vediamo che il concetto di “bene culturale” non è stato sempre lo stesso.

Legislazione italiana: tre interpretazioni del patrimonio culturale Tre sono le interpretazioni del patrimonio culturale che si sono avvicendate nell’ultimo secolo, l’ultima delle quali ha aperto le porte all’attuale ingresso dei beni “demoetnoantropologici nei beni culturali. Queste tre interpretazioni di ciò che costituisce l’eredità culturale da salvaguardare e valorizzare attualmente sono intrecciate tra loro nella legislazione e nel linguaggio delle istituzioni.

Legislazione italiana: tre interpretazioni del patrimonio culturale 1) Concezione meta-storica ed elitaria. E’ una visione che tende in maniera egemone a ridurre i beni culturali alle tipologie di opere d’arte classica e monumenti storici e archeologici: singoli, rari, unici, universali. Si sottolinea il loro valore universale. Il valore sarebbe intrinseco a queste opere. Una interpretazione idealistica che oscura il patrimonio demo-etnoantropologico (lo accetta solo se lo reinserisce per via romantica nelle tracce della storia della Nazione) e che produce noti pregiudizi etnocentrici: in Italia si concentra il 70 % del patrimonio culturale mondiale, etc.

Legislazione italiana: tre interpretazioni del patrimonio culturale 2) Concezione “disciplinare”. Una visione che si trova nelle università e nelle Soprintendenze, e che mette in primo piano il ruolo della competenza tecnica. I “beni” vengono rilevati e distinti in base a tipologie specifiche. La qualità, storica o artistica, non è immanente alla cosa, ma sono gli esperti delle diverse discipline che con la loro valutazione trasformano un oggetto in un’opera d’arte, sottraggono un oggetto al flusso della vita per farne un documento. Il valore è attribuito dall’autorità amministrativa sulla base di una conoscenza scientifica. Una visione arbitraria che non tiene conto dei molteplici interessi in gioco e punti di vista.

Legislazione italiana: tre interpretazioni del patrimonio culturale 3) Concezione storica e culturale Negli ultimi anni finalmente è emersa in Italia una visione dei Beni Culturali “storica e culturale”. Si parte dal presupposto che si possano interrogare i beni per conoscerli e valorizzarli solo sulla base di concetti e linguaggi offerti da un orizzonte culturale storico e limitato al quale partecipa anche lo studioso. Una visione che la legge attuale rende pensabile sia attraverso una possibile equiparazione del concetto di civiltà, di patrimonio culturale a quello di cultura in senso antropologico, sia considerando importanti anche i beni contemporanei e di interesse locale.

Una concezione “antropologica” dei Beni Culturali Questa ultima concezione del patrimonio culturale è innovativa: 1)Perché innanzitutto consente ampliamenti tematici rispetto ai beni tradizionali (es. archeologia industriale, paesaggio), 2)Prevede ampliamenti documentari (es. i supporti magnetici audiovisivi) 3)Prevede l’ampliamento a persone viventi o eventi non facilmente traducibili in documenti (identità, stile espressivo di un gruppo, etc.) E’ una concezione che toglie centralità all’idea che il bene culturale sia un oggetto cui attribuire un valore anche sul piano del mercato.

In che modo e quando le “culture popolari” entrano nella concezione dei beni culturali italiani ?

Il riconoscimento delle culture popolari dentro i beni culturali, più che seguire un coerente disegno nazionale per opera delle politiche pubbliche, ha intrapreso maggiormente vie locali, che solo parzialmente le Regioni hanno saputo o voluto sostenere, lasciando per lo più spazio ad iniziative spontanee della società civile locale connesse al fenomeno del folk revival.

E le istituzioni, la legislazione nazionale ? Il processo di patrimonializzazione delle culture popolari (accademico e militante-politico) quasi mai ha coinvolto le istituzioni, che fino a tempi molto recenti non riconoscevano questo patrimonio. Tra i Beni Culturali italiani definiti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali fino a pochi anni fa non figuravano le attività ed i prodotti attuali o passati legati alle culture locali e al lavoro quotidiano della gente comune. Le istituzioni ministeriali –soprintendenze e ICCD- preposte alla salvaguardia del patrimonio culturale fino a tempi recenti si sono disinteressate alla cultura territoriale popolare.

E le istituzioni, la legislazione nazionale ? La figura dell’antropologo, come figura professionale, fino a pochi anni fa non era riconosciuta entro i profili delle istituzioni (differenza tra Regioni e Stato).

Perché le istituzioni non hanno mai valorizzato le culture popolari ? Perché in Italia le istituzioni hanno sempre puntato sul patrimonio storico artistico e su quello archeologico, che sono diventati demarcatori di identità.

Le culture popolari non hanno mai avuto una legittimità piena agli occhi sia dei gruppi dominanti che a quelli dei loro oppositori. I primi lo trovavano pericoloso rispetto alla fragilità della recente unità italiana, I secondi lo trovavano poco rilevante ai fini delle rivendicazioni di tipo sociale o regionale, rivendicazioni nelle quali le particolarità culturali venivano considerate secondarie, se non anti-progressiste.

Culture popolari e fascismo Anche l’interesse che ha avuto il fascismo per la cultura rurale in realtà si inseriva in un quadro più di folklorizzazione strumentale ai fini politici; il folklore era usato per ottenere consenso, laddove la visione del fascismo era in realtà fortemente ostile a tutti gli aspetti di localismo antiunitario che potessero mettere in pericolo l’unità nazionale.

Localismo è invisibilità: punti di forza ? Pluralismo interno ? Limiti: l’assenza di poteri centrali del campo delle culture popolari, il fatto che tutto sia nato da iniziative locali di gente comune, il disinteresse dello Stato, delle grandi istituzioni, da un lato rappresenta un limite (mancanza di investimenti, di professionalità, etc.) Risorse: qualcuno ci ha voluto anche leggere i segni di un punto di forza. L’assenza dello stato ha alimentato una forte creatività locale, che forse in presenza di organismi statali forti non ci sarebbe stata e questo ci connota sul piano europeo come un paese dal forte pluralismo interno.

La legge 1089 del 1939 Nella prima legge italiana di tutela dei beni culturali, la legge 1089 del 1939, Tutela delle cose d'interesse artistico e storico, si menzionano «cose immobili e mobili che presentano interesse [...] etnografico». Eco di interesse prodotto dalla Mostra di Etnografia Italiana del 1911. Tuttavia, oltre ad una concezione ancora elitaria dei beni culturali legata all'oggetto di pregio e raro, la legge del '39 lasciava ambiguo il significato del termine "etnografia" e riconduceva il patrimonio all'ambito oggettuale delle "cose" escludendo quella sfera della cultura costituta da elementi non oggettuali.

Il D. Legisl. 112/1998 Si deve attendere la fine degli anni Novanta per avere a livello nazionale un riconoscimento esplicito dei “beni demo-etnoantropologici”. Nel decreto legislativo del 1998, (112/1998), Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, i beni "demoetnoantropologici" per la prima volta entrano a fare parte dei beni culturali. Ancora lo saranno nel d.legisl. 20 ottobre 1998 n. 368, Istituzione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che procede al riassetto e alla ridenominazione dell'allora Ministero per i beni culturali e ambientali istituito nel 1974, nonché nel Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali (d. legisl. del 29 ottobre 1999 n. 490).

Legislazione dei Beni Culturali: il Decreto Legislativo del 31 marzo 1998, n. 112 Con il Decreto Legislativo del 1998 viene prodotta una nuova definizione del Bene Culturale che stabilisce che devono intendersi per beni culturali: “quelli che compongono il patrimonio storico, artistico, monumentale, demoetnoantropologico, archeologico, archivistico e librario e gli altri che costituiscono una testimonianza avente valore di civiltà così individuati in base alla legge”.

Legislazione dei Beni Culturali Testo Unico sui beni culturali 22 ott 1. Sono beni culturali disciplinati a norma di questo Titolo: a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, o demo-etno-antropologico; b) le cose immobili che, a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, rivestono un interesse particolarmente importante; c) le collezioni o serie di oggetti che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, rivestono come complesso un eccezionale interesse artistico o storico; d) i beni archivistici; e) i beni librari.

D. Legisl. 42/2004. Codice Urbani L'attuale Codice del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio d. legisl. 22 gennaio 2004, n. 42) rappresenta il pieno riconoscimento dei patrimoni etnografici (nonostante vengano qui ridefiniti come beni "etnoantropologici"). Tuttavia ancora una volta il riconoscimento non ricomprende tra questi la sfera dell'immateriale, plasmando il testo su beni culturali di altra natura e più legati alla materialità del bene (mobili e immobili)

Codice dei Beni Culturali (Codice Urbani 2004) “Codice dei Beni Culturali e del paesaggio”. Ministro Urbani, D.L. 42/2004. Al punto 2: “Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”.

La legislazione, tuttavia, non include nel patrimonio DEA il Patrimonio Immateriale, perché parla solo di “cose”; ma parla poi ambiguamente di “testimonianze aventi valore di civiltà”, che per qualcuno proprio perché non c’è ‘l’aggettivo “materiale” si può estendere anche a ciò che è intangibile.

L’articolo 7bis del Codice (2008) Solo nel 2008, a seguito della ratifica italiana nel 2007 della Convenzione Unesco per la Salvaguardia del patrimonio Culturale Immateriale (2003) ratificata dall’Italia nel 2007, con una integrazione al Codice, è stato introdotto nel testo di legge l'articolo 7bis (d. legisl. 62 del 2008), Espressioni di identità culturale collettiva, che fa esplicito riferimento alla Convenzione Unesco riconoscendo il "patrimonio immateriale" come espressione di identità collettiva. Recita l'articolo: «Art. 7bis. Le espressioni di identità culturale collettiva contemplate dalle Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e per la protezione e la promozione delle diversità culturali, adottate a Parigi, rispettivamente, il 3 novembre 2003 ed il 20 ottobre 2005, sono assoggettabili alle disposizioni del presente codice qualora siano rappresentate da testimonianze materiali e sussistano i presupposti e le condizioni per l'applicabilità dell'articolo 10».  

L’art. 7 bis del Codice 2004 Il riferimento al patrimonio immateriale contenuto nell'articolo è tuttavia ambiguo, in quanto questo viene riconosciuto solo "qualora siano rappresentate testimonianze materiali“. Il nuovo articolo finisce per negare di fatto, secondo le disposizioni del legislatore, il valore di gran parte delle espressioni culturali dei territori legate alla cultura popolare (Tarasco 2004)

Legislazione italiana sul Patrimonio Immateriale Proposta di legge del 1995, sotto il primo governo Berlusconi, che si intitolava: NORME PER LA VALORIZZAZIONE E LA TUTELA DELLE FESTE TRADIZIONALI, aveva come appoggio deputati di entrambi gli schieramenti (c’era anche Calderoli, Jervolino, Pecoraro Scanio e molti altri, ma non fu mai approvata) Limiti: si demanda al Ministero la competenza per stabilire quali siano le feste tradizionali meritevoli di salvaguardia (anteriori al 1900) attraverso un comitato apposito per i beni etno-antropologici. Non veniva tenuto conto delle comunità locali e degli attori sociali. Legittimazione dall’alto. Nel 2006 anche dal senatore Giuseppe Scalera dell’Ulivo fu presentato un decreto legislativo sulla valorizzazione e tutela delle feste tradizionali, senza esito anch’esso.