Il Potere disciplinare

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Corso di Laurea in Giurisprudenza a.a Prof.ssa Silvia Borelli Lezione XVII – I poteri del datore di lavoro Diritto del lavoro.
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Il Potere disciplinare ARTT. 2-7 S.L.

Potere disciplinare Artt. 2016 c.c. e 7 S.L. Art. 2106 Sanzioni disciplinari L'inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell'infrazione Art. 2106 c.c. = criterio di proporzionalità fra infrazione e sanzione

Art. 7 S.L. (L.n. 300/1970) Il codice disciplinare: Infrazioni Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano. Il codice disciplinare: Infrazioni Sanzioni Procedure di contestazione

T. Milano, 02-09-2005 L’affissione al codice disciplinare - la cui mancanza determina, ai sensi dell’art. 7, 1º comma, l. 20 maggio 1970 n. 300, l’illegittimità del licenziamento - non può essere sostituita dalla mera consegna del codice o del c.c.n.l. al lavoratore.

Cass. civ., sez. lav., 27-01-2011, n. 1926. Anche relativamente alle sanzioni disciplinari conservative - e non per le sole sanzioni espulsive - deve ritenersi che, in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contrario al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale, non sia necessario provvedere alla affissione del codice disciplinare, in quanto il lavoratore ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della illiceità della propria condotta.

Art. 7 S.L. (L.n. 300/1970) Fermo restando quanto disposto dalla L. 15 luglio 1966, n. 604, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni.

Art. 7 S.L. (L.n. 300/1970). Le sanzioni applicabili Rimprovero verbale o scritto Multa (max 4 ore) Sospensione (max 10 giorni) In via interpretativa: Licenziamento disciplinare ? Trasferimento disciplinare e per incompatibilità ambientale ? Sono vietati i mutamenti definitivi del rapporto di lavoro (es. mutamento di mansioni)

P. Milano, 30-03-1989. Il trasferimento disposto per motivi disciplinari è illegittimo per violazione dell’art. 7 s. l., che vieta l’irrogazione di sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro. Cass. civ., sez. lav., 27-06-1998, n. 6383. La previsione, ad opera della contrattazione collettiva, del trasferimento del lavoratore come sanzione disciplinare non è di per sé in contrasto con il divieto, contenuto nell’art. 7 l. n. 300/1970, di disporre sanzioni disciplinari che comportino un mutamento definitivo del rapporto di lavoro. Cass. civ., sez. lav., 06-07-2011, n. 14875. È legittimo, anche se non preceduto da procedimento disciplinare, il trasferimento di sede volto a prevenire disfunzioni connesse alla permanenza del dipendente in quell’ambiente di lavoro, giacché esso non riveste natura disciplinare, ma si riconnette a ragioni, nella fattispecie obiettivamente riscontrate, correlate al regolare funzionamento dell’attività aziendale.

Art. 7 S.L. (L.n. 300/1970) Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa.

Cass. civ., sez. lav., 15-12-2005, n. 27679. In relazione ai principi di immediatezza della contestazione disciplinare e di tempestività della successiva irrogazione della sanzione, entrambi da intendersi in senso relativo, va esente da vizi la sentenza che abbia escluso nel caso concreto che l’intervallo di tempo trascorso tra il verificarsi del fatto ascritto al dipendente e la relativa contestazione attestasse la mancanza di interesse del datore di lavoro all’esercizio della facoltà di recesso in una fattispecie in cui questi, avendo emesso un ordine di trasferimento del dipendente a fronte del quale il dipendente aveva rifiutato l’adempimento ed istaurato un procedimento cautelare inteso ad accertare l’illegittimità del trasferimento, abbia preferito attendere l’esito del ricorso per poi, dopo aver verificato, attraverso la cognizione sommaria del procedimento ex art. 700 c.p.c. esauritosi in suo favore, la legittimità del trasferimento rifiutato dal dipendente, immediatamente (il giorno dopo) contestare l’infrazione costituente giusta causa del licenziamento e, quindi, provvedere all’irrogazione della sanzione espulsiva.

Art. 7 S.L. (L.n. 300/1970) In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa

Art. 7 S.L. (L.n. 300/1970) Recidiva: Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione

Art. 7 S.L. (L.n. 300/1970) Impugnazione sanzione In via arbitrale entro 20 giorni dalla comminazione; sospensione della sanzione fino alla definizione del giudizio In via giudiziale

Potere disciplinare Il signor Dormicchia il giorno 30 agosto, al rientro dalle vacanze, arriva con un’ora e mezza di ritardo sul posto di lavoro. La direzione del personale gli contesta il ritardo tramite posta aziendale il 5 settembre. Nella lettera è altresì indicato che, sulla base del codice disciplinare (che i lavoratori possono visionare su richiesta della stessa direzione del personale), la società datrice di lavoro ha deciso di irrogare al signor Dormicchia una multa pari a 4 ore di retribuzione. Quali vizi procedurali possono ravvisarsi nel caso di specie? Ballestrero, De Simone, Diritto del lavoro, domande e percorsi di risposta, Milano, Giuffrè.

Cass. civ., sez. lav., 11-10-2012, n. 17353 Nel contratto di lavoro - ove le prestazioni sono corrispettive, in quanto all’obbligo di lavorare dell’una corrisponde l’obbligo di remunerazione dell’altra - ciascuna parte può valersi dell’eccezione di inadempimento prevista dall’art 1460 c.c., dovendosi escludere che alla inadempienza del lavoratore il datore di lavoro possa reagire solo con sanzioni disciplinari o, al limite, con il licenziamento, oppure col rifiuto di ricevere la prestazione parziale a norma dell’art 1181 c.c. e con la richiesta di risarcimento; ne consegue che, nel caso di inadempimento della prestazione lavorativa il datore di lavoro non è tenuto al pagamento delle retribuzioni ove ricorrano le condizioni dell’art. 1460 c.c

T. Ferrara, 11-07-1995. La contestazione dell’addebito, avente lo scopo essenziale di consentire al dipendente di «difendersi», dopo aver conosciuto i motivi del provvedimento disciplinare, deve essere considerata assolutamente obbligatoria e vincolante da parte del datore di lavoro; il mancato rispetto di detta procedura comporta l’illegittimità del licenziamento adottato. Perché il recesso abbia carattere ingiurioso è necessario che lo stesso, per la sua forma e modalità, abbia arrecato al lavoratore un danno ingiusto lesivo dell’onore, del decoro o di altro bene giuridicamente tutelato: danno che ecceda le normali conseguenze pregiudizievoli di qualsiasi licenziamento ingiustificato e che sia risarcibile.

P. Bologna, 20-11-1990 La illegittimità del licenziamento per violazione del procedimento disciplinare di cui all’art. 7, stat. lav. comporta il diritto del lavoratore al risarcimento del danno nella misura minima di cui all’art. 18 stat. lav., ancorché il licenziamento stesso sia stato revocato antecedentemente alla proposizione dell’azione. Il licenziamento offensivo della dignità umana, da intendersi come autocoscienza del singolo dei propri valori fondamentali come persona, comporta il diritto del lavoratore al risarcimento del danno ulteriore rispetto alla misura minima prevista dall’art. 18 stat. lav., alla stregua di quanto stabilito dagli art. 2059 c.c. e 41, 2º comma, cost., posto che il danno alla dignità umana costituisce una delle categorie di danno non patrimoniale risarcibile; la determinazione del risarcimento non può che essere effettuata in via equitativa, essendo, in tale ipotesi, impossibile il concreto ripristino del precedente stato di fatto e di diritto Integra l’ipotesi delittuosa dell’ingiuria, accertabile incidentalmente, il licenziamento motivato, tra l’altro con l’accusa, falsa, di «non aver - il lavoratore - rispettato i normali rapporti interpersonali» e di «aver fornito ai rappresentanti della società risposte evasive e rinvii»; tale forma di licenziamento comporta l’obbligo del datore di lavoro di risarcire il danno non patrimoniale.

Licenziamento disciplinare illegittimo (art.18 s.l.) Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un'indennità risarcitoria (pari, al max, a 12 mesi di retribuzione)

Licenziamento disciplinare illegittimo (art.18 s.l.) Se il licenziamento è «dichiarato inefficace per violazione» dei requisiti di forma, il giudice «dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva» ricompresa tra «un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto»

Attenzione L’art.18 s.l. si applica solo ai datori di lavoro che occupino più di 15 dipendenti nell’unità produttiva (o nel comune) o, complessivamente, più di 60 dipendenti. Negli altri casi si applica la regola generale stabilita nella legge 604/1966, per la quale il licenziamento illegittimo conserva i suoi effetti di risoluzione del contratto ma comporta il pagamento di una indennità risarcitoria.