Il patrimonio culturale immateriale (ICH) secondo l’UNESCO

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Il patrimonio culturale immateriale (ICH) secondo l’UNESCO Intangible Cultural Heritage

L’UNESCO e le politiche del patrimonio immateriale (ICH) La Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale stilata nel 2003 dall’UNESCO propone innovazioni importanti nel modo di pensare i beni culturali. Introduzione di un concetto antropologico classico di cultura

Definizione di patrimonio immateriale secondo l’UNESCO: “…Le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi- che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale trasmesso di generazione in generazione è costantemente ricreato dalla comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso di identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana”.

Ma da dove nasce il concetto di Patrimonio Culturale Immateriale ?

Il concetto di ICH è recente ed è di origine orientale Il concetto di ICH è recente ed è di origine orientale. La maggior parte dei paesi occidentali, infatti, si è fino ad oggi rivolto alla tutela delle persistenze materiali (beni mobili e immobili) di interesse storico e artistico. Dall’UNESCO questa concezione con il tempo è stata ritenuta insufficiente: 1) Perché gli elementi delle culture tradizionali che rientrano nel ICH non ricorrono sempre a supporti materiali 2) Perché il ICH è in continua evoluzione, è “memoria attiva”; non è definito necessariamente in relazione al passato e quindi richiede concetti adeguati alla sua specificità. Non è l’antichità, ma il modo in cui questo ICH è acquisito e agito dalle comunità e dai singoli.

La storia del concetto di ICH L’idea del ICH e la sua formulazione sono il frutto di un lungo processo di riflessione sul concetto di patrimonio e cultura che ha attraversato l’UNESCO a partire dagli anni ’70. 1972. “Convenzione per la protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale” Questa Convenzione del 1972 conteneva una concezione “monumentalistica” del patrimonio ed eurocentrica (selezione dei siti da inserire nella Lista del Patrimonio Mondiale) che era stata molto criticata dai paesi non occidentali che volevano riconosciuto un patrimonio che era lontano dal modello eurocentrico.

La Lista del Patrimonio Mondiale La Lista del Patrimonio Mondiale promossa dalla Convenzione del 1972 ebbe molto successo a livello internazionale. In Italia dal 1979 ad oggi sono 47 i siti italiani inscritti nella lista L’Italia è il paese ad avere il maggior numeri di siti iscritti Arte Rupestre della Val Camonica (1979), Centro storico di Roma (1980), Centro storico di Firenze (1982), Venezia e la laguna (1987), Sassi di Matera (1993), Pompei (1997), Centro Storico di Napoli (1995), Ville venete (1994), Trulli di Alberobello (1996), siti palafitticoli preistorici delle Alpi (2011)….

La Lista del Patrimonio Mondiale Conteneva uno squilibrio nella distribuzione geografica dei siti perché partiva da una concezione del patrimonio (il “capolavoro” l’”eccellenza” – categorie tradizionali della storia dell’arte e dell’archeologia) che penalizzava la maggior parte dei paesi non occidentali membri dell’UNESCO. Maggioranza di siti europei e architettura monumentale. Non c’era quindi una rappresentanza equilibrata del “patrimonio mondiale”

1992: “The Global Strategy for a Balanced, Representative and Credible World Heritage” Dopo 20 anni dalla Convenzione del 1972 per venire incontro a queste critiche ci fu una revisione dei criteri che ispiravano l’iscrizione dei beni alla Lista del Patrimonio Mondiale Questo ripensamento portò l’UNESCO a rivedere i principi di fondo di matrice occidentale e museologica e ad adottare un approccio più attento anche alle componenti culturali e sociali dei siti (introduzione del concetto di paesaggio e degli “itinerari culturali”) Si andò incontro ad una concezione più aperta e globale del patrimonio (spazi aperti e in continua evoluzione) che avvicina all’idea del ICH.

1996 Revisioni UNESCO Permane l’idea dell’eccellenza e dei valori universali eccezionali ma con un’apertura antropologica e transculturale Nella revisione del 1992 permane l’idea dell’”eccellenza” e dei valori universali eccezionali; tuttavia i valori estetici e artistici impliciti nell’idea di “capolavoro artistico” sono soppiantati da concetti di natura più antropologica. Infatti tra le pratiche che denotano il valore universale dei siti da iscrivere nella lista l’UNESCO introduce anche significati e pratiche immateriali. L’attenzione si rivolge al significato del sito. Valorizzazione dei valori simbolici e non materiali soggiacenti al patrimonio materiale. Si passa da una visione centralista ad una visione onnicomprensiva che riconosce valore culturale anche alle espressioni culturali (materiali) non dominanti e sincretiche. Si introducono i concetti di “tradizione culturale”, “cultura vivente” e “uso del territorio”. Si impone sempre più un approccio antropologico al patrimonio (difficile distinguere dimensioni materiali e immateriali).

1996 Revisione UNESCO Questo nuovo approccio dell’UNESCO fa mutare il concetto di patrimonio culturale. Dall’idea di patrimonio statico, fisso e monumentale da conservare si passa a quello di espressione culturale vivente. Ciò produce un allontanamento dal paradigma archivistico e di documentazione per andare verso l’idea della riproduzione e della trasmissione delle pratiche culturali.

Dal folklore al patrimonio immateriale La Raccomandazione del 1989 Il dibattito sul folklore è stato nell’UNESCO marginale rispetto a quello sulla cultura erudita. Tuttavia è stata una riflessione che ha contribuito molto alla definizione del concetto di ICH. 1989 “Raccomandazione per la salvaguardia della cultura tradizionale e del folklore” Questa Raccomandazione voleva rispondere allo scontento e alle critiche mosse alla definizione di patrimonio della Convenzione del 1972.

1989 “Raccomandazione per la salvaguardia della cultura tradizionale e del folklore” 1982: L’UNESCO crea una sezione per il “patrimonio non fisico” (che nel 1983 diventa ICH Section). Si introduce il concetto di ICH. 1982: La Conferenza mondiale sulle politiche culturali di Città del Messico estende la definizione di patrimonio all’insieme della tradizione culturale. Viene utilizzata per la prima volta la definizione di ICH. La Raccomandazione del 1989 tuttavia riscuote scarso successo tra gli Stati (sia occidentali che non) che non la applicano. Le motivazioni vanno cercate nella scarsa autorità (soft law) della Raccomandazione rispetto alla Convenzione.

Dal folklore al patrimonio immateriale . Prima del 1993 l’UNESCO aveva una concezione archivistica, accademica e museografica del folklore = studio, documentazione e catalogazione di aspetti materiali e immateriali. Dopo il 1993 l’idea della documentazione viene sostituita da quella della trasmissione. Influenza delle politiche culturali di Giappone e Corea

Dal folklore al “patrimonio immateriale” 1993: “Programma dei tesori umani viventi” (messo in atto dalla Corea) che prevedeva la creazione di una lista di eccellenza modellata su quella dei siti. 1995: Rapporto “Our Creative Diversity”. Contiene lo slogan proverbiale: “Quando in Africa muore un vecchio è una biblioteca che brucia” 1995-1999: Otto seminari regionali per riflettere sul concetto di ICH – Si riflette sulla necessità di preservare gli spazi culturali popolari 1997: “Proclamazione dei Capolavori del Patrimonio Orale e Immateriale” 1999: Conferenza di Washington 2002 Si aprono i lavori per la “Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale” (2003)

1999 Conferenza di Washington Ridefinizione più inclusiva di folklore(non solo espressioni concrete della cultura, ma anche conoscenze, valori e relazioni sociali che rendono possibile la loro ricreazione) No folklore without the folks. Si rivendica la centralità delle comunità dei detentori e la necessità di salvaguardare le tradizioni sostenendo chi le pratica piuttosto che gli studiosi o le istituzioni che le documentano. Ridefinizione del concetto di “comunità tradizionale”. Si mostra la complessità del concetto di comunità nella modernità, svincolata da presupposti territoriali. Si prende atto dei rischi dell’essenzializzazione culturale come veicolo per l’etnonazionalismo. Viene abolito il termine “folklore” e sostituito con cultura popolare, vivente, orale, tradizionale.

1999 Conferenza di Washington La Conferenza di Washington gettò le basi per la definizione del ICH, inteso non come un semplice passaggio dalla dimensione materiale a quella immateriale. Emerge il rifiuto per l’oggettivazione culturale (espressioni culturali come oggetti) e una considerazione del ICH inteso come espressioni dinamiche.

La “Proclamazione dei Capolavori (Masterpieces) del Patrimonio Orale e Immateriale” (approvata nel 1997) Nel 2001 ci furono le prime proclamazioni. Su 32 proposte 18 furono approvate e dichiarate “Capolavori”. Tra queste la Piazza Jemaa-el-Fna di Marrakech e il Teatro dei Pupi Siciliani. Nel 2003 furono dichiarati “Capolavori” 28 beni su 56 Nel 2005 43 su 64 (tra i quali il canto a tenore sardo). Tra il 2003 e il 2005 l’UNESCO ha proclamato 90 Capolavori Questi beni iscritti nella Lista dei Capolavori si trovano in 70 paesi del mondo (14 in Africa/ 8 nel Mondo arabo/ 30 in Asia/Pacifico/ 21 in Europa/ 17 in America Latina e Carabi).

ICH: Perplessità e critiche Ancora prima che la Convenzione fosse approvata nel 2003 il programma della proclamazione dei Capolavori del Patrimonio Orale e Immateriale dell’umanità aveva divulgato il concetto di ICH. Tale concetto lasciava gli accademici e soprattutto gli antropologi perplessi. Gli antropologi denunciavano un rischio di fossilizzazione o di museizzazione. Rischi di spettacolarizzazione, mercificazione, turisticizzazione ed estetizzazione del ICH. Viene criticato dagli studiosi il Programma per la Proclamazione dei Capolavori (selezione delle espressioni più economicamente vantaggiose, più spettacolari, lasciando da parte pratiche ordinarie) Rischi di ricadute negative delle politiche UNESCO sugli attori e sul loro modo di percepire se stesse e la loro comunità. Rischio che pratiche comunitarie si trasformino in istituzioni burocratizzate, per l’ottenimento di finanziamenti deprivandole della loro funzione sociale.

ICH: Perplessità e critiche Quali sono gli effetti che tali operazioni internazionali hanno sulla dimensione locale ? Si tratta di uno strumento di emancipazione o di un giogo? Rischio di alienazione del ICH dal proprio contesto socioculturale: effetti politici e turistici conseguenti ai processi di patrimonializzazione Che effetti produce un’azione globale su un’azione locale ?

ICH: Perplessità e critiche Con l’introduzione di questo concetto l’UNESCO adotta un approccio comunque innovativo in merito alla teoria del patrimonio culturale. Vengono abolite le idee di autenticità, di eccezionalità e il legame necessario di un ICH con un territorio. Si produce dentro l’UNESCO il tentativo di demistificare la retorica essenzialista del patrimonio, anche se nei fatti l’eliminazione dell’essenzialismo è difficile da ottenere. Benché infatti la Convenzione riconosca il valore della comunità, nella pratica il percorso che porta al suo riconoscimento all’UNESCO deve passare attraverso istituzioni internazionali e nazionali, tutt’altro che locali.

Convenzione per la Salvaguardia del ICH (2003) La Convenzione è entrata in vigore nel 2006 dopo la ratifica del 30° Stato. Quali sono i primi 30 stati che hanno ratificato la Convenzione ? 8 paesi asiatici, 6 arabi, 6 africani, 4 latinoamericani, 6 europei (Lettonia, Lituania, Bielorussia, Croazia, Islanda, Romania) E’ interessante notare che in questa prima fase della ratifica non sono presenti i paesi europei con il maggiore peso economico e politico, ma i paesi dell’est che storicamente hanno dato maggiore attenzione alle cultura popolari tradizionali. In questa fase vediamo che il concetto di ICH è estraneo alle politiche patrimoniali europee occidentali

Parole chiave della Convenzione del 2003 Salvaguardia Rifiuto del concetto di Autenticità Rifiuto dell’idea dell’Eccellenza Istituzione di una Lista Enfasi sulla Comunità Proprietà intellettuale

Salvaguardia Con la Convenzione del 2003 si passa da un’idea statica di patrimonio inteso come ”oggetti culturali” ad un’idea dinamica di “processi culturali”. In virtù di questo cambiamento, dalle misure di “protezione” previste dalla Convenzione del 1972 si passa all’idea di una “salvaguardia” finalizzata non solo alle “espressioni culturali” ma all’atto sociale di creazione e rielaborazione che ne permette la produzione e la pratica.

Salvaguardia Viene meno il modello della protezione attraverso la documentazione. Viene incentivato il sostegno da parte delle istituzioni alla creatività degli attori locali a scapito del contributo di studiosi e ricercatori. Tuttavia catalogazione, documentazione e inventari sono ancora considerati un supporto irrinunciabile. Si richiede infatti agli stati di compilare inventari delle espressioni culturali che corrispondono al ICH (art. 12).

Autenticità Se il nuovo paradigma della Convenzione non prevede più la protezione statica di oggetti culturali ma la riproduzione e la trasmissione (creatività culturale dinamica), la nozione di autenticità diventa uno strumento ambiguo. Nella convenzione del 1972 infatti prevaleva una idea di bene statico e accademico incentrato sul valore scientificamente stabilito dell’autenticità dei beni culturali. Secondo questa concezione del patrimonio culturale l’autenticità è essenziale per perpetuare il senso di continuità storica e di discendenza culturale.

Autenticità Questa definizione di autenticità è stata spesso un ostacolo in passato per le candidature di siti non occidentali (patrimonio materiale). Le candidature dei siti giapponesi per es. creavano imbarazzo all’UNESCO perché era difficile per il comitato giudicare autentiche, ad es. le architetture lignee effimere che il Giappone candidava. L’UNESCO si rese conto che il concetto di autenticità presente nella convenzione del 1972 era etnocentrico. Tale concetto di autenticità viene infatti rifiutato in partenza nella concezione del ICH. La Convenzione del ICH del 2003 non menziona infatti l’autenticità come criterio per la selezione dei beni da iscrivere sulle liste perché si prende atto che il ICH è sottoposto ad una ricreazione continua. Dietro questo rifiuto c’è un approccio meno culturalista nel modo di pensare la cultura. Oggi sia gli studiosi che l’UNESCO propongono infatti di pensare il patrimonio come plurale e meticcio. Tuttavia l’UNESCO conserva profonde contraddizioni perché affiora sempre una visione della cultura intesa come un’essenza naturale e autentica.

Eccellenza La Convenzione del 2003 cancella anche il criterio dell’eccellenza (eccezionalità del bene) che aveva invece caratterizzato i criteri di selezione del Patrimonio Materiale, Tuttavia, il concetto di “valore universale eccezionale” non scompare dai criteri per l’iscrizione alla Lista del patrimonio mondiale (siti). L’idea dei “capolavori” è funzionale alle retoriche politiche locali e nazionali. E’ un concetto di facile presa a livello dei media e favorisce l’idea che il patrimonio mondiale sia un marchio che contraddistingue le “meraviglie del mondo”. Anche questo concetto è difficile da sradicare come quello di autenticità. L’UNESCO sta cercando di attenuare progressivamente questo concetto ritenendolo inadatto alla comprensione di espressioni culturali che sono il prodotto di pratiche culturali collettive, che si ritiene siano minacciate proprio perché ordinarie e di scarso impatto mediatico o poco spettacolari.

Liste rappresentative Con l’istituzione di una Lista Rappresentativa del ICH prevista dalla Convenzione l’UNESCO elimina l’idea dell’eccellenza che era alla base dei “Capolavori del Patrimonio Orale e Immateriale dell’Umanità”. Tuttavia l’esistenza di una Lista, seppure rappresentativa, implica processi di selezione, inclusioni ed esclusioni e quindi manipolazioni politiche. Nel corso dei lavori per la Convenzione l’idea di creare una Lista fu molto osteggiata in seno all’UNESCO proprio perché richiamava l’idea dell’eccellenza. Il rischio di una Lista è quello di attivare forme di competitività e di “rivalità patrimoniale”, piuttosto che di collaborazione.

Liste rappresentative: le critiche I detrattori delle Liste ritengono che l’istituzione di queste Liste può portare ad una museificazione delle pratiche culturali Le Liste sarebbero inoltre promotrici di un effetto globalizzante: esse esibiscono un palcoscenico unico di tradizioni, presentate come locali. Tuttavia per giungere a questa nuova dimensione, le espressioni culturali candidate alla lista devono adattarsi ad un formato omogeneizzante comune. I criteri di selezione impongono una omogeneità formale e metodologica. Standardizzazione delle categorie usate per pensare queste espressioni culturali. Questi beni diventano parte di una grammatica globale.

Comunità Il ICH è associato all’idea di comunità più di quanto non fosse con il Patrimonio Materiale. La Convenzione del 2003 mette infatti in primo piano i detentori della cultura considerata ICH e considera fondamentale la partecipazione delle comunità locali che si identificano nel ICH e nella salvaguardia (vedi articoli 2.1, 11b, 13, 15). Secondo la Convenzione un ICH può essere riconosciuto come tale solo se è riconosciuto dalle comunità. E’ l’ICH, tuttavia, che spesso definisce e attesta l’esistenza di una comunità. L’ICH è uno strumento per immaginare una comunità. Ambiguità e difficoltà a definire il concetto di comunità.

Comunità Le analisi etnografiche dei processi di patrimonializzazione dimostrano che nelle realtà le comunità anche le più piccole non sono quei contesti omogenei e in equilibrio: conflittualità disomogeneità, differenze di classe ed economiche, differenze di potere, competizione. In questo contesto il ICH può innescare delle competizioni culturali che strumentalizzano il ICH e lo fanno diventare un folklore delle differenze culturali esibito nel supermercato delle autenticità Spesso le comunità sono anche informali e non hanno necessariamente un portavoce o un capo designato. In tale contesto l’iscrizione di una espressione culturale nell’ICH e nella Lista può attivare processi di leadership.

Proprietà intellettuale e creazione collettiva La Convenzione non affronta la delicata questione legata alla proprietà intellettuale Il concetto di ICH, rinviando all’idea di proprietà, nasconde una ambiguità in merito alla protezione dei diritti di proprietà intellettuale Mentre il Patrimonio Materiale è in genere proprietà pubblica o privata, nel caso del ICH si tratta di creazioni collettive, prive di autorialità individuali nei cui confronti è difficile esercitare un diritto di proprietà. Il concetto giuridico di proprietà intellettuale si basa invece sulla persona dell’autore e sull’oggetto creato. Questo tipo di protezione si applica al risultato finale e non alle dinamiche soggiacenti (processi, metodi, saperi) L’applicazione esclusiva di questo sistema di protezione è inadatto ad una reale protezione delle conoscenze intese come elementi culturali.