LA RELATIVITÀ e il RELATIVISMO

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Transcript della presentazione:

LA RELATIVITÀ e il RELATIVISMO L’ETERE, LA SIMULTANEITÀ, LA CAUSALITÀ E LE TEORIE EQUIVALENTI Prof. Donato Antonio Carpato Liceo Scientifico Statale “Galileo Galilei” Manfredonia

PREMESSA Era il 1905 quando, il giovane impiegato all’ufficio brevetti di Berna, Albert Einstein rese partecipe la comunità scientifica delle sue scoperte e delle sue teorie con le quali si potevano interpretare i fenomeni microscopici e la natura dello spazio e del tempo. Il lavoro che qui presento non vuole essere certamente una descrizione dettagliata e tantomeno compiuta dell’immenso pensiero scientifico e filosofico di Einstein, soprattutto per quegli aspetti riguardanti lo spazio e il tempo, ma vuole invece cercare di esporre in modo chiaro e semplice quali possano essere stati i propositi, le idee e le immaginazioni di un grande della scienza, in alcuni momenti molto sicuro di sé ed altre volte preso dal dubbio sulla transitorietà delle teorie scientifiche. Non si può parlare della vita e della scienza di Einstein senza fare riferimento al contesto socio culturale in cui visse e da cui germogliarono le sue idee. Ad un certo punto ho voluto esplicitamente mettere in evidenza le contraddizioni in cui la teoria della Relatività Ristretta è caduta, gli studi e gli approfondimenti che da allora continuano su tali aspetti contraddittori da parte degli specialisti del settore.

PREMESSA Mi riferisco espressamente ai concetti di etere e sincronizzazione degli orologi, alla simultaneità temporale e ai paradossi causali. Significativi sono gli studi che alcuni scienziati di problemi fondazionali della scienza conducono sul concetto di simultaneità assoluta. Il mio interesse si è indirizzato sul fisico italiano Franco Selleri che ho avuto il piacere di conoscere personalmente durante i miei studi universitari e di cui ho appreso le sue idee sulla filosofia della scienza solo in tempi successivi, durante le lezioni di un Corso di Perfezionamento in Didattica della Fisica. Il mio lavoro si è pertanto dedicato nella seconda parte alla “Relatività Debole” di Selleri per mostrare le analogie e le differenze con la Relatività Ristretta di Einstein e con le teorie dei suoi contemporanei Lorentz e Poincaré. Ribadisco, senza peccare di modestia, che il mio è il lavoro di un appassionato di scienza nei suoi contesti storico filosofici. Gli aspetti descritti potranno essere approfonditi attraverso lo studio e la consultazione delle opere riportate in bibliografia e la lettura delle opere di Einstein. Desidero esprimere un ringraziamento al collega Luca Torre, docente di Storia e Filosofia, esperto di filosofia della scienza e collega nel mio istituto, per i chiarimenti e le spiegazioni sugli aspetti filosofici in particolar modo per quelli riferiti a Mach e al neopositivismo.

CAPITOLO 1 INTRODUZIONE E PRIMI CONCETTI

Gerard Holton Einstein, la teoria della relatività ristretta Tratto dall'intervista "Einstein e la fisica del XX secolo" - U.S.A., Cambridge, Harvard University, lunedì 1 giugno 1992. ENCICLOPEDIA DELLE SCIENZE FILOSOFICHE. RAI EDUCATIONAL. DOMANDA: Prof. Holton, perché la teoria di Einstein venne chiamata teoria della relatività? Era proprio questa la denominazione che si proponeva Einstein? Mentre, nel riordinare gli archivi dell'Istituto di Princeton, stavo passando in rassegna una gran mole di documenti, quasi tutti inediti, m'imbattei in una lettera di risposta da lui scritta, negli ultimi anni della sua vita, a qualcuno che, in una precedente missiva, gli aveva rivolto la seguente domanda: "Perché l'avete chiamata teoria della relatività?" "Ebbene - egli rispose - io non l'avevo chiamata così; fu Max Planck, l'unico ad aver davvero capito la relatività fin da subito, a darle quel nome l'anno seguente".

Gerard Holton Einstein, la teoria della relatività ristretta Tratto dall'intervista "Einstein e la fisica del XX secolo" - U.S.A., Cambridge, Harvard University, lunedì 1 giugno 1992. ENCICLOPEDIA DELLE SCIENZE FILOSOFICHE. RAI EDUCATIONAL. Il suo corrispondente diceva: "La si sarebbe dovuta chiamare "teoria dell'invarianza" (Invariantentheorie)". "Sì - rispondeva Einstein - proprio così, perché il mio vero e unico scopo era di trovare qualcosa in natura che fosse invariante dal punto di vista dell'osservatore; ma è troppo tardi ormai - aggiunge - e non c'è più niente che si possa cambiare, sicché vi tocca vivere colla teoria della relatività speciale".

EISTEIN E I SUOI CONTEMPORANEI L’accettazione della relatività ristretta Fino al 1911 pochi scienziati contemporanei capirono veramente la relatività di Einstein. Quantunque gli aspetti sperimentali non erano favorevoli alla teoria di Einstein, nondimeno la stessa non poteva venire falsificata sperimentalmente. Solo Max Planck a Berlino prese le difese della teoria di Einstein offrendo la propria disponibilità alla pubblicazione di quell’articolo poco convenzionale inviato agli Annalen der Physik. Planck era consulente editoriale della rivista mentre l’editore era Paul Karl Ludwig Drude (1863 – 1906), un fisico famoso proprio per i suoi studi sulla luce e sull’etere. Fino a pochi tempi prima tutti gli articoli dovevano essere inviati a Paul Drude a Giessen dove questi lavorava prima di essere trasferito a Berlino. “Si può soltanto ipotizzare la sorte che avrebbe potuto essere qui riservata al manoscritto einsteniano”. (G. Holton, Einstein e la cultura scientifica del XX secolo, Il Mulino,1991.)

spinse il fisico teorico Max Abraham EISTEIN E I SUOI CONTEMPORANEI L’accettazione della relatività ristretta Negli anni in cui Einstein sviluppava la sua teoria, altri scienziati conducevano studi sperimentali e teorici sul moto degli elettroni in campi elettrici e magnetici. Il fisico sperimentale Walter Kaufmann (1871 – 1947) nel 1901 pubblicò un articolo sulla deflessione dei raggi beta in campi elettrici e magnetici e indirettamente spinse il fisico teorico Max Abraham (1875 – 1922) a formulare un modello teorico. L’elettrone è una piccola sfera rigida e la sua massa ha una origine puramente elettromagnetica. Abraham fornì la relazione analitica tra energia e massa e tra quantità di moto e massa. Max Abraham

EISTEIN E I SUOI CONTEMPORANEI L’accettazione della relatività ristretta Gli sviluppi teorici progredivano e Kaufmann nel 1906 con nuove tecniche sperimentali arrivò ad affermare che la teoria di “Einstein – Lorentz”* era scorretta nell’interpretare la relazione tra energia e massa. * (I modelli di Einstein e Lorentz pur partendo da ipotesi, per alcuni aspetti del tutto differenti, fornivano le medesime interpretazioni.) La relazione corretta era quella di Abraham, perché si accordava perfettamente con i suoi nuovi dati sperimentali. Lorentz e Poincarè rimasero sconcertati e turbati. Planck dimostrò che lo studio di Kaufmann non era del tutto privo di equivoci, ma non riuscì a convincere altri fisici.

EISTEIN E I SUOI CONTEMPORANEI L’accettazione della relatività ristretta Quando Einstein nel 1907 propose alla facoltà di fisica di Berna la memoria del 1905 sulla relatività come Habilitationsschrift per ottenere l’insegnamento come Privatdozent, gli venne posto un netto rifiuto. Ma Einstein non fece alcun commento sui lavori di Abraham e Kaufmann fino a quando spinto dal fisico Johannes Stark rispose alla sfida in un articolo che venne pubblicato nel 1908.

EISTEIN E I SUOI CONTEMPORANEI L’accettazione della relatività ristretta Einstein fu irremovibile dalle sue posizioni: “Il signor Kaufmann ha determinato, con ammirevole precisione, la relazione fra la deflessione elettrica e quella magnetica dei raggi beta …. Usando un metodo indipendente, il signor Planck ha ottenuto risultati che concordano pienamente con i calcoli di Kaufmann …. Si deve inoltre notare che le teorie di Abraham e Bucherer forniscono curve che si adattano alla curva empirica considerevolmente meglio della curva derivata dalla teoria della relatività. Tuttavia, a mio giudizio, queste teorie sono alquanto improbabili poiché le loro ipotesi di base sulla massa dell’elettrone in moto non sono avvalorate da sistemi teorici che comprendono classi più vaste di fenomeni.” (A. Pais, Sottile è il Signore, Bollati Boringhieri, 1986)

(A. Pais, Sottile è il Signore, Bollati Boringhieri, 1986) EISTEIN E I SUOI CONTEMPORANEI L’accettazione della relatività ristretta Non molto tempo dopo che Einstein aveva espresso la sua opinione, Alfred Heinrich Bucherer (1863 – 1927) in suo studio confermò la relazione della relatività ristretta. Nel suo esperimento gli elettroni si muovevano con velocità pari a due terzi di quella della luce e riuscì a discriminare tra modello di Abraham e Relatività Ristretta di Einstein. Nel 1912 il fisico Wilhelm Karl Werner Wien (1864 – 1928) scriveva: “Quanto ai nuovi esperimenti sui raggi catodici e i raggi beta, sarei dell’opinione che non abbiano valore di prove definitive. Tali esperimenti sono assai delicati, e non si può esser certi che siano state eliminate tutte le fonti di errore.” (A. Pais, Sottile è il Signore, Bollati Boringhieri, 1986) Gli esperimenti decisivi a favore della teoria di Einstein si ebbero negli anni dal 1914 al 1916. Come ebbe a dire Pauli, Kaufmann sopravvalutò le proprie misure sperimentali.

L’onestà intellettuale di Albert Einstein Transitorietà delle creazioni scientifiche Ma comunque l’ostinazione intellettuale che Einstein manifestò nel caso delle esperienze di Kaufmann non si tramutò mai in assolutismo scientifico. Nel 1949 Einstein rispose all’amico Maurice Solovine che gli aveva inviato una lettera affettuosa di auguri per il settantesimo compleanno.

L’onestà intellettuale di Albert Einstein Transitorietà delle creazioni scientifiche Einstein diceva: “Lei immagina che io guardi con serena soddisfazione all’opera della mia vita. Vista da vicino, però, la realtà è ben diversa. Non c’è una sola idea di cui io sia convinto che sia destinata a durare, e neppure sono sicuro d’essere sulla buona strada. ….. Sarà certo una questione di mode e di angustia di orizzonti, ma la sensazione del fallimento mi viene da dentro. Né potrebbe essere altrimenti, per chi abbia un briciolo di spirito critico e di onestà intellettuale, e quel tanto di ironia e di modestia che ti consentono un giudizio equilibrato, libero da influenze esterne.” (Lettera a Maurice Solovine, 28 marzo 1949. Albert Einstein, Opere scelte, 1988 Bollati Boringhieri.)

relatività di Einstein La struttura della relatività di Einstein I postulati della relatività 1°) Il principio di relatività 2°) La costanza della velocità della luce Le trasformazioni di Lorentz Ritardo degli orologi La contrazione delle lunghezze La relatività della simultaneità

CAPITOLO 2 L’ANNO MEMORABILE (NON SOLO RELATIVITÀ).

EINSTEIN. I suoi studi e la sua formazione. Albert Einstein nacque in Germania, a Ulm, nel 1879. Il padre, che possedeva un piccolo laboratorio elettrochimico, si trasferì con la famiglia a Monaco nel 1880. Qui Einstein compì gli studi inferiori con scarso successo. Il cattivo rendimento si spiegava con l’impostazione repressiva del sistema educativo ed un suo insegnante soleva ripetergli: “Tu non sarai mai nulla”. Tale impostazione repressiva lo portò ad una tale forma di rigetto che, superati gli ultimi esami finali, le questioni di fisica sulle quali aveva per tanto tempo immaginato e fantasticato sembravano non più interessargli. Ad un certo punto l’azienda di famiglia cominciò ad avere problemi ed un rappresentante per l’Italia propose il trasferimento delle attività in quella nuova nazione. Einstein in un primo momento rimase a Monaco, ma poi raggiunse i genitori a Pavia. Qui prese la decisione di trasferirsi ad Aarau nella Svizzera tedesca.

EINSTEIN. I suoi studi e la sua formazione. Einstein avrebbe in seguito affermato: “Questa scuola ha lasciato su di me un’impronta incancellabile per l’atmosfera liberale e per la sincera premura degli insegnanti, che non facevano in alcun modo ricorso all’autorità esteriore.” (A. Pais, Sottile è il Signore, Bollati Boringhieri, 1986) Il 28 gennaio 1896 Einstein ricevette un documento che attestava che non era più cittadino tedesco e dopo aver superato l’esame di maturità si iscrisse al Politecnico di Zurigo. Al termine degli studi avrebbe conseguito l’abilitazione all’insegnamento di matematica e fisica.

EINSTEIN. I suoi studi e la sua formazione. Albert Einstein dopo aver conseguito nel 1900 il diploma, avrebbe voluto diventare insegnante universitario ma non riuscì a farsi accettare come assistente da uno dei docenti del Politecnico. Il docente in questione era Heinrich Friedrich Weber (1843 – 1912), successore di Clausius alla cattedra di Fisica Tecnica e Matematica dal 1875 fino al 1912, le cui lezioni di fisica teorica non erano state molto appezzate dal giovane Einstein. Weber si appassionava allo studio sperimentale dei fenomeni elettrici e magnetici ma non dedicava molto spazio alla moderna teoria elettromagnetica di Maxwell. Einstein desiderava preparare la sua tesi di dottorato sotto la supervisione di Weber nel campo della termoelettricità ma dopo un litigio tra i due il progetto non andò in porto.

EINSTEIN. I suoi studi e la sua formazione. In una lettera all’amico Marcel Grossmann Einstein diceva: “Sono dai miei genitori [a Milano] da tre settimane per cercare da qui un posto di assistente in un’università. Ne avrei trovato uno molto tempo fa se Weber non si fosse comportato scorrettamente nei miei confronti.” (A. Pais, Sottile è il Signore, Bollati Boringhieri, 1986) Dopo una breve esperienza di insegnante supplente in un Istituto Tecnico di Winterthur e in una scuola privata di Sciaffusa , grazie all’interessamento del padre dell’amico Grossmann lavorò all’ufficio brevetti di Berna, dal 1901 al 1909. Proprio durante questi anni si occupò attivamente di fisica e tale impegno culminò nel 1905 .

1905 ANNO MEMORABILE

ANNUS MIRABILIS Il 1905, proprio per la grande impresa compiuta dal fisico tedesco, è ricordato come “l’anno memorabile di Einstein”. Nel 1666 il poeta John Dryden per celebrare la vittoria della flotta inglese su quella olandese e la sopravvivenza della città di Londra al “Grande Incendio” scrisse la poesia dal titolo Annus Mirabilis: The Year of Wonders. L’espressione venne poi utilizzata per celebrare l’attività scientifica di Isaac Newton il quale durante lo stesso anno pose le fondamenta del suo modo di intendere il calcolo infinitesimale.

ANNUS MIRABILIS A giusta ragione ecco perché anche l’anno 1905 viene ricordato con la stessa espressione, infatti da allora non si è più assistito ad un processo rivoluzionario dal punto di vista intellettuale e scientifico così importante i cui contributi siano stati prodotti da una sola persona.

I LAVORI DEL 1905 Il lavoro intellettuale prodotto da Albert Einstein nel 1905, composto da cinque pubblicazioni inviate tutte alla rivista tedesca “Annalen der Physik”, si suddivide per gli argomenti affrontati in tre settori che vengono di seguito elencati insieme ai titoli delle relative pubblicazioni: Einstein, il moto browniano e l’esistenza delle molecole. Una nuova determinazione delle dimensioni molecolari. Sul moto di piccole particelle in sospensione nei liquidi a riposo come prescritto dalla teoria cinetico - molecolare del calore. Einstein e la teoria speciale della relatività. Un nuovo modo di concepire la relazione tra spazio e tempo. Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento. L’inerzia di un corpo dipende dal suo contenuto di energia? Einstein e l’effetto fotoelettrico. L’ipotesi dei quanti di luce. Su un punto di vista euristico relativo alla produzione e trasformazione della luce.

NON SOLO RELATIVITÀ Prima di addentrarci nelle questioni relativistiche descriviamo brevemente quello che Einstein arrivò a definire con gli altri lavori del 1905. Albert Einstein è universalmente riconosciuto come il padre della teoria della relatività, ma i suoi contributi alla teoria cinetico molecolare e alla meccanica quantistica sono comunque di notevole rilevanza.

MOTO BROWNIANO Sul moto di piccole particelle in sospensione nei liquidi a riposo come prescritto dalla teoria cinetico - molecolare del calore viene pubblicato nel luglio 1905 ed Einstein fornisce una predizione del numero e della massa delle molecole presenti in un definito volume di liquido e del loro movimento. Il termine “moto browniano” prende il nome dal botanico Robert Brown che agli inizi del secolo diciannovesimo osservò al microscopio il procedere a zig zag delle particelle di polline in sospensione nell’acqua ed oggi ogni moto casuale (“random”) di componenti microscopici viene chiamato moto browniano. Einstein riuscì a spiegare il moto browniano attribuendolo al movimento delle particelle d’acqua che trascinavano con se le particelle di polline.

EINSTEIN E I QUANTI Un contributo più significativo viene fornito da Einstein alla teoria dei quanti che, successivamente formalizzata, prenderà il nome di meccanica quantistica . L’articolo Un punto di vista euristico relativo alla generazione e alla trasformazione della luce viene completato in marzo. Einstein spiega teoricamente l’effetto fotoelettrico, fenomeno per cui una lamina metallica investita dalla luce emette elettroni. Introduce il concetto di quanto di luce, particella di luce, e contribuisce ad ampliare l’idea di Max Planck che spiegava lo spettro del corpo nero.

IL CORPO NERO Si definisce corpo nero, un corpo capace di assorbire tutta la radiazione incidente su di esso. La realizzazione pratica del corpo nero è rappresentata dalla superficie di un piccolo foro praticato sulla parete di un corpo cavo di materiale refrattario le cui dimensioni lineari sono molto più grandi del foro.

MAX PLANCK Il fisico Max Planck (1858 – 1947) cercò di spiegare la radiazione del corpo nero, ma il suo interesse si spiegava con il suo rifiuto iniziale della meccanica statistica. Planck rifiutava di attribuire al secondo principio della termodinamica un valore statistico ed in questo contesto si sforzò di dimostrare lo stesso mediante concetti elettromagnetici. Planck ipotizzò che la parete interna del corpo nero fosse costituita da oscillatori armonici unidimensionali, i quali interagivano con la radiazione elettromagnetica ed arrivò alla famosa espressione del potere emissivo che porta il suo nome.

MAX PLANCK Tra il 19 ottobre e il 14 dicembre del 1900, Planck elaborò una spiegazione combinatoria teorica della sua espressione interpolativa per l’irraggiamento. “Anche se Planck avesse cessato la sua attività dopo il 19 ottobre del 1900, verrebbe ricordato per sempre come lo scopritore della legge di radiazione. Ma il fatto che sia andato oltre dà la vera misura della sua grandezza. Planck voleva interpretare l’equazione, e ciò fece di lui lo scopritore della teoria dei quanti.” (A. Pais, Sottile è il Signore, Bollati Boringhieri, 1986) Planck fece l’assunzione che ogni oscillatore della parete assorbisse ed emettesse energia secondo multipli di una grandezza fondamentale pari a .

I FOTONI Un significativo passo avanti venne compiuto nel 1905 da Einstein, per il quale il lavoro compiuto da Planck poteva assumere il significato di una discretizzazione dell’energia del campo elettromagnetico. Praticamente nella regione delle alte frequenze la radiazione del corpo nero si comporta come un gas di particelle ognuna avente energia , i quanti di luce; il campo elettromagnetico risulta quindi “quantizzato”.

PLANCK EINSTEIN. Le rispettive interpretazioni Le principali differenze tra le impostazioni di Planck e Einstein si possono, quindi, riassumere nei seguenti punti: Planck aveva utilizzato la relazione tra la densità spettrale del campo elettromagnetico e l’energia media dell’oscillatore , ricavata dalla meccanica e dall’elettrodinamica classiche. Planck aveva introdotto una discretizzazione dell’energia dell’oscillatore attraverso il passo statistico descritto dalla distribuzione di elementi di energia tra gli oscillatori.

PLANCK EINSTEIN. Le rispettive interpretazioni Einstein aveva introdotto una quantizzazione per il campo elettromagnetico: l’ipotesi del quanto di luce. Sorgeva allora il problema se si potesse stabilire una relazione tra la quantizzazione da parte di Planck e la quantizzazione del campo da parte di Einstein. Einstein propose di considerare valida la legge di Planck del 1899 ed affermò che l’energia di un oscillatore elementare poteva assumere soltanto valori multipli interi di h e che l’emissione e l’assorbimento di radiazione da parte della materia avveniva attraverso una successione di atti elementari, in ognuno dei quali l’energia scambiata era sempre la stessa e pari ad un quanto di luce h .

ANCORA UN PO’ DI STORIA

EINSTEIN. I suoi studi e la sua formazione. Einstein nel 1909 ottenne finalmente un posto di assistente all’Università di Zurigo e nel 1911 una cattedra a Praga. Dal 1914 al 1933 rimase a Berlino. Con l’avvento del nazismo fu costretto ad emigrare negli Stati Uniti dove rimase fino al 1955 occupando una cattedra di fisica teorica a Princeton.

CAPITOLO 3 FISICA E FILOSOFIA. RELATIVITÀ E RELATIVISMO! MA NON SOLO.

RELATIVITÀ E RELATIVISMO Ancora oggi in alcuni ambienti scientifici non si fa distinzione tra teoria della relatività e relativismo. La prima è una teoria scientifica con i suoi postulati, la sua struttura logica e la sua base empirica. Il secondo afferma invece che tutti gli osservatori inerziali sono equivalenti (in tutti i sensi) l’uno all’altro. Pertanto se tutti gli osservatori inerziali sono equivalenti, le loro osservazioni devono essere considerate ugualmente valide.

RELATIVITÀ E RELATIVISMO La teoria della relatività speciale di Einstein afferma che: tutti gli orologi in moto devono rallentare il ritmo con cui scandiscono il tempo; l’etere (Secondo Jean Augustin Fresnel (1788 – 1827) l’etere è un mezzo in stato di quiete assoluta rispetto alle stelle fisse. La luce si propaga attraverso l’etere ed esso non oppone resistenza al moto della Terra) non esiste, pertanto il movimento è riferibile solo ad oggetti concreti; il rallentamento degli orologi è sempre relativo ad osservatori reali ben definiti e c’è perfetta simmetria fra le conclusioni dei diversi osservatori inerziali.

RELATIVITÀ E RELATIVISMO Se diversi osservatori O1, O2, …… , On vedono lo stesso orologio muoversi con velocità v1, v2, ….,vn tutti osserveranno il suo ritmo rallentato, rispetto ad un osservatore fermo con l’orologio, secondo determinati fattori R(v1), R(v2), ….., R(vn) , espressi tutti dalla stessa funzione della velocità

RELATIVITÀ E RELATIVISMO Qual è il vero tempo che si deve leggere sull’orologio? La risposta relativistica è che la domanda non ha alcun senso e che tutti i punti di vista dei diversi osservatori sono ugualmente validi. È la risposta del relativismo che entra nella descrizione fisica dell’universo. Il relativismo di Einstein è di derivazione “positivista” ed in questo si vede l’influenza di Ernst Mach sul pensiero di Einstein.

EINSTEIN E MACH “Fu il mio amico Besso quand’era studente, circa nell’anno 1897, che richiamò la mia attenzione sulla Meccanica nel suo sviluppo storico critico di Ernst Mach. Con la sua impostazione critica verso i concetti e le leggi fondamentali questo libro ha esercitato su di me una impressione profonda e duratura.” (A. Einstein, Lettera a C. Seeling, 8 aprile 1952. Ripreso da F. Selleri, Lezioni di relatività, Progedit, 2003.)

ERNST MACH Ernst Mach (1838 – 1916) dopo aver conseguito, nel 1860, il dottorato in fisica all’Università di Vienna intraprese una lunga carriera accademica come docente di matematica e fisica nelle Università di Vienna, Graz e Praga. Nel 1895 ritornò all’Università di Vienna come Professore di storia e teoria di scienze induttive.

ERNST MACH E LA SUA EPISTEMOLOGIA La metodologia scientifica di Mach era di demolizione delle posizioni dogmatiche della fisica del diciannovesimo secolo ed era legata al suo empiriocriticismo secondo il quale la scienza era un insieme di relazioni tra dati sperimentali. Il giovane Einstein fu affascinato da questo spirito critico. Però fu proprio questo miope “fenomenismo” che non permise a Mach di ammettere, ad esempio, l’esistenza reale degli atomi e di accettare di conseguenza la struttura atomica della materia.

ERNST MACH E LA SUA EPISTEMOLOGIA Mach influì anche sul pensiero di numerosi pensatori. Basta ricordare il neopositivismo o empirismo logico instaurato dal Circolo di Vienna. Il Circolo di Vienna è stato un gruppo di filosofi e scienziati che si raccolse attorno a Moritz Schlick negli anni dal 1929 al 1937. Del Circolo facevano parte Kurt Gödel, Philip Franck, Friedrich Waissman, Otto Neurath e Rudolf Carnap. Al Circolo di Vienna si unì anche un gruppo di Berlino i cui elementi di spicco erano Hans Reichenbach e Richard von Mises. Il gruppo si sciolse con l’inizio delle persecuzioni razziali (1938) e quasi tutti continuarono proficuamente la loro attività soprattutto negli Stati Uniti dove si erano nel frattempo trasferiti.

ERNST MACH E LA SUA EPISTEMOLOGIA Il neopositivismo si costituì attorno alla Società (Verein) Mach proprio attraverso la lettura delle sue opere. Esso è caratterizzato da un atteggiamento negativo e polemico. Viene negata ogni forma di metafisica in quanto tutti gli enunciati metafisici sono privi di senso perché non verificabili sperimentalmente. Aderisce alle due tesi proposte da Ludwig Wittgenstein nel suo Trattato logico filosofico: gli enunciati che riguardano cose esistenti hanno significato solo se sono empiricamente verificabili; esistono degli enunciati veri per il loro stesso contenuto ma non verificabili, le tautologie; la matematica e la logica sono insiemi di tali tautologie.

EINSTEIN E MACH Albert Einstein apprezzò in più occasioni il pensiero di Mach, a volte in forma riverenziale, mettendo in risalto anche la sua influenza sui fisici del tempo. “Highly esteemed Professor Mach: thank you very much for sending me the lecture on the law of conservation of work, which I have already read over with care. Naturally, I am well acquanted with your principal works, of which I especially admire the one on mechanics. You have had such an influence on the epistemological views of the younger generation of physicists that even your current opponents, such as, e. g., Mr. Planck, would undoubtedly have been declared to be “Machists” by the kind of physicists that prevailed a few decades ago……. With profound respect, yours very truly, Albert Einstein” (Lettera ad Ernst Mach da Berna del 9 agosto 1909. The Collected Papers of Albert Einstein, Volume 5 The swiss years: correspondence, 1902-1914. English translation. 1995 Princeton University Press)

EINSTEIN E MACH In una successiva lettera Albert Einstein diceva: “Highly esteemed Professor Mach: …. All of the things you wrote to me about you personally were already known to me, as they are known to all friends of science. I admire your great energy ….. I am very happy that the theory of relativity gives you pleasure. ….. Thanking you again with all my heart for your kind letter, I remain your admiring student (verehrenderer schüler), Albert Einstein” (Lettera ad Ernst Mach da Berna del 17 agosto 1909. The Collected Papers of Albert Einstein, Volume 5 The swiss years: correspondence, 1902-1914. English translation. 1995 Princeton University Press)

EINSTEIN E MACH Ma con il passare del tempo Einstein comincia da allontanarsi dal pensiero di Mach. Si allontana dal rigoroso fenomenismo ed empiriocriticismo di Mach per un realismo, costruttivismo ed astrattismo in cui la creatività scientifica si libera dall’empirismo machiano.

EINSTEIN E MACH “Vedo la grandezza di Mach nel suo scetticismo incorruttibile e nella sua indipendenza; nei miei anni giovanili , tuttavia, anche la posizione epistemologica di Mach mi influenzò grandemente, posizione che oggi mi sembra essere sostanzialmente insostenibile. Perché egli non pose nella giusta luce la natura essenzialmente costruttiva e speculativa del pensiero e specialmente del pensiero scientifico” (A. Einstein, Autobiographical notes, in Albert Einstein: Philosopher scientist, a cura di P, A. Schilpp, Library of Living Philosophers, La Salle, Ilinois, 1949. Ripreso da F. Selleri, La fisica del novecento, Progedit, 1999 )

EINSTEIN E MACH Nel 1923 Einstein aggiunge: “Il sistema di Mach studia le relazioni esistenti fra i dati dell’esperienza; per Mach la scienza è solo la totalità di queste relazioni. Questo punto di vista è sbagliato e in realtà ciò che Mach ha fatto è creare un catalogo, non un sistema. Nella misura in cui Mach fu un buon meccanico egli fu anche un filosofo deplorevole.” (A. Einstein, Nature 112, 253, 1923). Ripreso da F. Selleri, Lezioni di relatività, Progedit, 2003.

IL PRINCIPIO DI MACH Non possiamo però non ricordare il contributo, indiretto, di Mach alla genesi del principio di equivalenza. L’inerzia che ogni corpo possiede non ha un’origine metafisica e non è legato ad un sistema di riferimento privilegiato, lo spazio assoluto di Newton. Il Principio di Mach (così chiamato da Einstein) afferma: l’inerzia che ogni corpo possiede e che si manifesta con la reazione al cambiamento del suo stato di moto è prodotto dalle masse di tutti quegli oggetti presenti nell’universo che occupano le posizioni più remote. Tutti questi oggetti remoti formano il sistema delle stelle fisse che vengono idealizzate come un sistema rigido. Il principio di Mach, insieme alla constatazione sperimentale che la massa inerziale coincide con la massa gravitazionale ha portato Einstein ad enunciare il principio d’equivalenza: le forze inerziali sono provocate da campi gravitazionali di origine cosmica che si manifestano solo nei sistemi accelerati.

IL PRINCIPIO DI MACH In una lettera del 1913 Einstein affermava: “Highly esteemed Colleague, You have received a few days ago my new paper on relativity and gravitation, which is now finally completed after unceasing toil and tormenting doubts. Next year, during the solar eclipse, we shall learn wheter light rays are deflected by the sun, or in other words, wheter the underlying fundamental assumption of the equivalence of the acceleration of the reference system, on the one hand, and the gravitational field, on the other hand, is really correct. If yes, then – in spite of Planck’s unjusified criticism – your brilliant investigations on the foundations of mechanics will have received a splendid confirmation. For it follows of necessity tht inertia has its origin in some kind of interaction of the bodies, exactly in accordance with your argument about Newton’s bucket experiment. ……. Albert Einstein” (Lettera ad Ernst Mach da Zurigo del 25 giugno 1913. The Collected Papers of Albert Einstein, Volume 5 The swiss years: correspondence, 1902-1914. English translation. 1995 Princeton University Press)

CAPITOLO 4 I POSTULATI DELLA RELATIVITÀ RISTRETTA.

I POSTULATI DELLA RELATIVITÀ RISTRETTA La teoria della relatività ristretta si basa su due postulati: Le leggi che regolano i cambiamenti degli stati fisici sono sempre le stesse, cioè sono indipendenti dal fatto che questi cambiamenti siano riferiti all’uno o all’altro di due sistemi di coordinate in moto traslatorio uniforme Ogni raggio di luce si muove con la velocità ben definita c sia che sia emesso da un oggetto stazionario che da un oggetto in moto.

IL PRIMO POSTULATO Il primo postulato ha origine dalla critica positivistica negativa nei confronti di spazio e tempo. L’etere ( su tale questione ritorneremo espressamente più avanti) non esiste e siccome lo spazio vuoto non ha alcuna proprietà fisica non ha senso riferire il moto al vuoto (visto come il sistema di riferimento privilegiato). Pertanto tutti gli osservatori in moto relativo uniforme sono equivalenti.

SI PARLA ANCHE DI RELATIVITÀ GENERALE E DI UNIVERSO

IL PRIMO POSTULATO NEL CONTESTO DELLA RELATIVITÀ GENERALE Quando nel 1916 Einstein introdusse la Relatività Generale a tutti parve semplicemente che il primo postulato della Relatività ristretta venisse esteso anche ai sistemi accelerati, visto che continuava a permanere la negazione dello spazio e del tempo. “ Che questo bisogno di covarianza generale che porta via dallo spazio e dal tempo l’ultimo residuo di obiettività fisica sia una necessità naturale si vedrà dalla seguente riflessione. Tutte le nostre osservazioni spazio temporali si riducono sempre alla constatazione di coincidenze spazio temporali”. [A. Einstein, “Ann. D. Phys.” 49, 769 (1916)] (A. Pais, Sottile è il Signore, Bollati Boringhieri, 1986) A. Einstein, “Ann. D. Phys.” 49, 769 (1916)

DA GALILEO AL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA Tuttavia, la Relatività Generale ha la sua origine nel principio di equivalenza: le forze inerziali sono causate da campi gravitazionali di origine cosmica che si manifestano nei sistemi accelerati. Il quale a sua volta ha origine dal principio di Mach: la presenza delle forze inerziali nei sistemi di riferimento accelerati è dovuta alle stelle lontane. Il quale a sua volta ha origine dall’osservazione empirica dell’equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale: tutti i corpi si muovono allo stesso modo in un campo gravitazionale (a parità di condizioni iniziali). A. Einstein, “Ann. D. Phys.” 49, 769 (1916)

L’ETÈRE È VERAMENTE FINITO! Viene pertanto a cadere il concetto di spazio assoluto di Newton. L’inerzia si manifesta come proprietà locale anche nel vuoto e le masse lontane insieme allo spazio che le divide formano l’universo. Non è poi così vero che i corpi si muovono rispetto al nulla. Si muovono rispetto ad un gigantesco infinito! (L’ETERE?) A. Einstein, “Ann. D. Phys.” 49, 769 (1916)

IL SECONDO POSTULATO Il postulato della velocità della luce può essere una conseguenza del principio di relatività. Infatti le equazioni di Maxwell, che descrivono i comportamenti di campi elettrici e magnetici, debbono valere in ogni sistema di riferimento inerziale e da esse si ricava l’equazione di d’Alembert dei campi. Tale equazione descrive la propagazione delle onde elettromagnetiche che avviene con velocità costante c indipendente dallo stato di moto della sorgente, allora c deve assumere lo stesso valore numerico in tutti i riferimenti in moto traslatorio. A. Einstein, “Ann. D. Phys.” 49, 769 (1916)

IL SECONDO POSTULATO Ma Einstein nel 1905 aveva individuato l’esistenza dei fotoni, particelle di luce. Questo comportava una limitazione della validità delle equazioni di Maxwell. Einstein fu quindi costretto ad introdurre il secondo postulato della relatività ristretta. (È illuminante, a riguardo, leggere la prefazione di Roger Penrose al libro L’anno memorabile di Einstein. Edizioni Dedalo, 2001.) La questione relativa al comportamento ondulatorio e/o corpuscolare della materia e delle onde è tuttora dibattuta. Ha avuto inizio con Einstein ed è proseguita con Louis de Broglie, Erwin Schrödinger e David Bohm da una parte e con Niels Bohr, Max Born, Werner Karl Heisenberg e Wolfgang Pauli dall’altra. I primi erano favorevoli ad un programma causale della meccanica quantistica, quello che secondo il modello einsteniano si inquadrava nel realismo locale, mentre i secondi avevano fondato la scuola di Copenaghen e Göttinga con l’interpretazione ortodossa della meccanica quantistica secondo la quale la funzione d’onda di Schrödinger ha solo un significato probabilistico. Il dibattito è continuato con studiosi del calibro, ad esempio, di John Stuart Bell e John Archibald Wheeler e non è ancora finito. È interessante la lettura di recenti lavori uno a nome di Matthew F. Pusey, Jonathan Barrett e Terry Rudolph e l’altro a nome di Aurélien Drezet riportati in bibliografia. Il fatto che i postulati siano due e non uno può forse ritenersi un incidente storico? (Le teorie scientifiche non sono poi così semplici come i libri di testo vogliono farci intendere!) A. Einstein, “Ann. D. Phys.” 49, 769 (1916)

CAPITOLO 5 LE TRASFORMAZIONI DI LORENTZ E LE LORO CONSEGUENZE PER LO SPAZIO E IL TEMPO.

LE TRASFORMAZIONI DI LORENTZ Dai due postulati si ricavano le trasformazioni di Lorentz: e le loro inverse: Si suppone che ci sia almeno un sistema di riferimento inerziale in cui valgono le equazioni di Maxwell e tale sistema sia S0. Tale sistema lo possiamo chiamare stazionario

LE TRASFORMAZIONI DI LORENTZ Le trasformazioni della relatività ristretta vennero chiamate trasformazioni di Lorentz per la prima volta da Henri Poincaré (1854 – 1912), il quale nei suoi lavori (*) colmò innanzitutto alcune lacune formali del lavoro di Hendrik Antoon Lorentz (1853 – 1928) del 1904 (**) ed espresse per la prima volta il principio di relatività. Sulle ipotesi di Lorentz, il contributo di Poincaré e sul concetto di etere ritorneremo più avanti. (*) H. Poincaré, Sur la dynamique de l’électron, Paris C. R. 140, 1504 (1905), Rend. Pal. 21, 129 (1906). (**) H. A. Lorentz, Electromagnetic phenomena in a system moving with any velocity smaller than that of light, Amst. Proc. 6, 809 (1904)

Le conseguenze delle trasformazioni di Lorentz

La contrazione delle lunghezze Immaginiamo un regolo metallico a riposo nel sistema di riferimento S in moto con velocità v rispetto al sistema stazionario S0. Nel sistema S le coordinate degli estremi dell’asta sono Applicando le trasformazioni di Lorentz

La contrazione delle lunghezze Sottraendo la prima dalla seconda si ottiene Il regolo visto da S0 appare accorciato per il fattore rispetto alla lunghezza che lo stesso ha nel sistema di riposo S.

La contrazione delle lunghezze Cosa accade se invece il regolo è a riposo nel sistema S0 ? In S0 la lunghezza sarà sempre L. Cosa accade per il sistema di riferimento S che vede scorrere l’asta con velocità –v?

La contrazione delle lunghezze Si applicano le trasformazioni di Lorentz inverse: E quindi:

La contrazione delle lunghezze Il regolo visto da S appare accorciato per il fattore rispetto alla lunghezza che lo stesso ha nel sistema di riposo S0.

La contrazione delle lunghezze Si conclude affermando che la lunghezza di un regolo è massima nel sistema in cui è a riposo. La contrazione delle lunghezze è un fenomeno relativistico, paradossale. Nella teoria di Einstein la contrazione è apparente. La conclusione è completamente diversa dall’ipotesi di Lorentz secondo la quale la contrazione era un fatto reale, in un universo pervaso dall’etere.

Ritardo degli orologi Un orologio a riposo nel sistema S soddisfa l’equazione . Nel sistema S0 l’equazione del moto è L’equazione del moto di Lorentz riguardante il tempo fornisce Da cui

Ritardo degli orologi Ripetendo quanto visto per la contrazione delle lunghezze, supponendo l’orologio a riposo in S0 ed applicando l’equazione di Lorentz inversa otteniamo

Il passo di un orologio è minimo nel sistema in cui è immobile Ritardo degli orologi La conclusione è la seguente: Il passo di un orologio è minimo nel sistema in cui è immobile

UN ASPETTO FONDAMENTALE CHE RIGUARDA IL TEMPO: LA SIMULTANEITÀ.

Relatività della simultaneità Dalle trasformazioni di Lorentz:

Relatività della simultaneità Ponendo otteniamo e quindi (equazione dell’asse degli spazi x a t=0)

Relatività della simultaneità Ponendo otteniamo e quindi (equazione dell’asse dei tempi t a x=0)

Relatività della simultaneità

Relatività della simultaneità Due eventi simultanei in S0, A ed F, all’istante t0 non lo sono più in S. I due eventi si manifestano ai tempi t1 e t2.

FACCIAMO UN VIAGGIO IN TRENO.

Relatività della simultaneità Il treno di “Landau” Un vagone di un treno si muove con velocità v. Con S indichiamo il riferimento di un passeggero solidale con il treno. Con S0 indichiamo un riferimento solidale con la banchina della stazione. Un lampo di luce emesso dalla posizione centrale ∑ del treno colpisce due celle fotoelettriche JA e JB che fanno aprire due porte A e B.

Relatività della simultaneità Il treno di “Landau”

Relatività della simultaneità Il treno di “Landau” Riferimento S del passeggero in moto con velocità v Riferimento S0 del capostazione Per l’osservatore in moto i lampi di luce, Sa e Sb, raggiungono le due celle fotoelettriche JA e JB in istanti uguali L è la lunghezza del vagone misurata in S C è la velocità della luce. Per l’osservatore S0 la cella JA viene colpita all’istante (dopo il tempo t0A il treno si è spostato di A) Dove Dalle due equazioni si ottiene

Relatività della simultaneità Il treno di “Landau” Ripetendo lo stesso ragionamento per il lato B del treno l’osservatore S0 misura anzi Pertanto con la teoria della relatività la nozione di simultaneità ha perso ogni carattere assoluto ed è diventata relativa al sistema di riferimento in cui le misure di tempo sono state effettuate.

Relatività della simultaneità Il treno di “Landau” Facciamo in modo che tra l’arrivo del segnale alla cella fotoelettrica JA e l’apertura della corrispondente porta vi sia un ritardo t. L’apertura delle due porte saranno separate da un intervallo temporale pari a Nel sistema di riferimento del capostazione il ritardo t diviene

Relatività della simultaneità Il treno di “Landau” Nel riferimento del capostazione il ritardo tra l’apertura delle due porte diviene pertanto

Relatività della simultaneità Il treno di “Landau” Se si ha R0AB>0 , cioè l’ordine temporale risulta invertito. Per il capostazione la porta A si apre prima della porta B, mentre per il passeggero è vero il contrario.

Relatività della simultaneità Il treno di “Landau” Però non sempre , ad esempio quando per una particolare velocità relativa. Il valore limite si ha per v=c: . Un segnale che collega l’apertura della porta A con quella della porta B, la cui velocità è u<c è compatibile con il valore limite appena individuato proprio perché , cioè diventa del tutto impossibile l’inversione temporale .

Relatività della simultaneità Il treno di “Landau” Introduciamo un cambiamento Evento A (apertura porta A che avviene nello stesso istante dell’evento A’) Evento A’ (rottura di una bottiglia posta vicino la porta A) Evento B (apertura porta B) Evento B’(partenza di un proiettile) L’ordine temporale non si può invertire. La partenza del proiettile non può seguire la rottura della bottiglia. Questo avviene proprio perché u<c.

Relatività della simultaneità Il treno di Landau Se fosse possibile inviare un segnale con velocità u>c, otterremmo un ribaltamento temporale degli eventi. La bottiglia, nel sistema di riferimento del capostazione, si romperebbe (evento A’) prima della partenza del proiettile (evento B’).

Relatività della simultaneità Il treno di Landau Nel contesto della relatività ristretta non è possibile inviare segnali superluminali (u>c), altrimenti verrebbe a mancare l’ordine temporale causa–effetto, che deve essere lo stesso per tutti gli osservatori .

CAPITOLO 6 APPROFONDIAMO IL CONCETTO DI SIMULTANEITÀ. SINCRONIZZAZIONE.

Relatività della simultaneità e sincronizzazione relativistica La relatività della simultaneità è una conseguenza della sincronizzazione relativistica. Deriva dal postulato che la velocità della luce è la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali.

Metodo di sincronizzazione di Einstein: Relatività della simultaneità e sincronizzazione relativistica. Metodo di sincronizzazione di Einstein. Metodo di sincronizzazione di Einstein: dall’origine di un sistema inerziale al tempo zero partono in tutte le direzioni impulsi luminosi localizzati. Quando la luce raggiunge un punto P a distanza d dall’origine, l’osservatore posto in P misura un tempo

CAPITOLO 7 LA VELOCITÀ DELLA LUCE E IL CONCETTO DI ETERE NELLA STORIA DELLA FISICA.

Il problema dell’etere Facciamo un passo indietro e percorriamo il cammino che portò all’eliminazione del concetto di etere, visto come il mezzo attraverso il quale si propagava la luce e si propagavano le onde elettromagnetiche.

La velocità della luce. Ole Christensen Römer. (1644 – 1710) L’astronomo danese Römer fu il primo scienziato a calcolare nel 1676 la velocità della luce. Utilizzò delle osservazioni astronomiche e precisamente le eclissi del satellite di Giove, Io.

La velocità della luce. Ole Christensen Römer. (1644 – 1710)

La velocità della luce. Ole Christensen Römer. (1644 – 1710) Quando il satellite entra nel cono d’ombra di Giove si verifica l’eclisse. Questo fenomeno, visto da Giove, avviene a intervalli di tempo pari al tempo  di rivoluzione del satellite. I segnali raggiungono la Terra dopo un tempo L/c, essendo L la distanza Giove – Terra. Se l è la variazione di L durante il tempo di rivoluzione, l’osservatore terrestre vede l’eclisse durante un intervallo, lentamente variabile, +l/c.

La velocità della luce. Ole Christensen Römer. (1644 – 1710) Sulla Terra si osservano tempi di rivoluzione più lunghi o più corti a seconda che L aumenta o diminuisce. Dalla Terra si osservano n rivoluzioni in un tempo ; è la variazione totale di L durante tale tempo. Bisogna ricavare le due incognite e

La velocità della luce. Ole Christensen Römer. (1644 – 1710) Dopo N eclissi che avvengono nel tempo tN in cui le posizioni Terra – Giove ritornano alla posizione iniziale si ha e (tN è circa un anno, trascurando il moto di Giove poiché la sua velocità è relativamente piccola). Contiamo poi il numero N’ di eclissi che avvengono in sei mesi tra la posizione di minima distanza e quella di massima distanza Terra – Giove. È

La velocità della luce. Ole Christensen Römer. (1644 – 1710) Pertanto Cioè Il valore del ritardo a denominatore è stato di 17 minuti. Römer ottenne il valore

Il problema dell’etere. Bradley

Il problema dell’etere. Bradley Nel 1728 l’astronomo James Bradley (1693 – 1762) scoprì un movimento annuo apparente delle stelle sulla sfera celeste e precisamente osservò l’aberrazione stellare misurando per un intero anno la posizione della stella γ Draconis.

Il problema dell’etere. Bradley La stella C ha una direzione sensibilmente normale al piano dell’eclittica. La distanza dalla terra è x. Il tempo impiegato dalla luce per raggiungere la terra è

Il problema dell’etere. Bradley Durante il tempo un osservatore vincolato alla terra si sposta da E a E1.

Il problema dell’etere. Bradley L’asse del cannocchiale, che dovrebbe essere orientato parallelamente a E1C se la terra fosse immobile, in E1, deve essere orientato parallelamente a EC . L’aberrazione è

Il problema dell’etere. Bradley Durante un anno la direzione di v ruota regolarmente mentre la sua grandezza resta costante. La traiettoria apparente della stella C è una circonferenza di diametro angolare uguale a . Le misure forniscono il valore

Il problema dell’etere. Bradley

Il problema dell’etere. Bradley Il fenomeno si può spiegare con l’etere. La terra, muovendosi attraverso l‘etere risente di un vento proporzionale alla velocità. Tale vento sposterebbe la direzione di propagazione del raggio luminoso consentendo l’aberrazione.

Il problema dell’etere. Bradley Ammesso che: Esista un mezzo privilegiato attraverso il quale avviene la propagazione della luce chiamato etere. La terra si muova con velocità v rispetto alle stelle (rispetto all’etere). L’aberrazione si osserva solo se la terra è in moto rispetto all’etere, altrimenti l’effetto è nullo. (Riprenderemo questo punto quando distingueremo tra principio di relatività forte e principio di relatività debole)

Il problema dell’etere. Bradley Se la terra è in moto attraverso l’etere o trasporterà con sé una quota consistente di etere, un po’ come accade quando un corpo si muove in un fluido, o lo lascerà praticamente indisturbato. Quindi se la terra è in moto attraverso l’etere generale con velocità v, attraverso i nostri laboratori trascorrerà, per così dire, un “vento d’etere” animato dalla stessa velocità in verso opposto.

Arago, Fresnel e il coefficiente di trascinamento. Nel 1810 il francese Jean François Dominique Arago (1786 – 1853) si propose di dirimere con un esperimento l’antica questione della diversa previsione dei due modelli, corpuscolare ed ondulatorio, per quanto riguardava la velocità di propagazione della luce in un mezzo materiale.

Arago, Fresnel e il coefficiente di trascinamento. Osservazione di stelle sotto particolari condizioni e si prevedeva un effetto dovuto al moto della terra rispetto alle stelle dipendente dalla velocità di tale moto.

Arago, Fresnel e il coefficiente di trascinamento. Non si riscontrò l’effetto previsto anzi non si riscontrò alcun effetto. Arago chiese a Jean Augustin Fresnel (1788 – 1827) se le spiegazioni a tale comportamento prevedessero un modello ondulatorio della luce.

Arago, Fresnel e il coefficiente di trascinamento. Fresnel rispose nel 1818 ed ipotizzò che l’etere venisse trascinato parzialmente nei diversi mezzi. Secondo Fresnel la densità dell’etere era legata al coefficiente di trascinamento e all’indice di rifrazione. Per l’aria il trascinamento era nullo in quanto il suo indice di rifrazione è prossimo a quello del vuoto, ma per le altre sostanze aumentava sempre più.

Arago, Fresnel e il coefficiente di trascinamento. Fresnel ripropose l’esperimento proposto nel 1776 dal gesuita ragusano Giuseppe Ruggero Boscovič (1711 – 1787) allo scopo di dirimere la questione dei due modelli interpretativi. Osservazione dell’aberrazione con un telescopio riempito d’acqua. Poiché la velocità della luce in acqua è , l’aberrazione dovrebbe risultare più grande se si suppone il vento d’etere, ma Fresnel dimostra che, se si assume il suo coefficiente di trascinamento, l’aberrazione rimane invariata.

L’esperienza di Armand H. L. Fizeau (1819 – 1896) (1851)

L’esperienza di Fizeau (1851) La velocità di un suono che si propaga nell’aria in moto, tra una sorgente ed un osservatore fissi, è la somma vettoriale di quella che essa sarebbe nell’aria in quiete e della componente della velocità dell’aria secondo la direzione di propagazione del suono. La propagazione della luce in un mezzo materiale in movimento non obbedisce ad una legge poi così semplice.

L’esperienza di Fizeau (1851) I raggi luminosi prodotti da una sorgente puntiforme S che la lente L1 rende paralleli, illuminano normalmente due fenditure ricavate in un diaframma D, poi attraversano assialmente due tubi cilindrici T1 e T2 della medesima lunghezza.

L’esperienza di Fizeau (1851) Si osserva nel piano focale F della lente L2 l’interferenza dei due fasci luminosi. Quando i due tubi sono pieni d’acqua ferma il sistema di frange di interferenza occupa una certa posizione. Se si mette l’acqua in movimento con velocità w secondo l’asse dei tubi, nel verso della luce in T1 e in verso contrario in T2, le frange si spostano mostrando che il cammino ottico non è più lo stesso lungo i due tubi.

L’esperienza di Fizeau (1851) La velocità della luce nell’acqua immobile è Con l’acqua in movimento diventa lungo T1 e lungo T2 I tempi impiegati per percorrere la lunghezza dei due tubi sarebbero

L’esperienza di Fizeau (1851) Il fascio 2 avrebbe un ritardo rispetto al fascio 1 pari a Se allora Con uno spostamento di frange pari a

L’esperienza di Fizeau (1851) L’esperienza fornisce un valore inferiore come se la velocità della luce non fosse ma è il coefficiente di trascinamento di Fresnel delle onde luminose da parte della materia in moto

L’esperienza di Fizeau (1851) L’apparenza di un trascinamento delle onde luminose nella materia e il valore del coefficiente k erano stati previsti, assimilando l’etere a un solido elastico volte più denso nella materia che nel vuoto.

CAPITOLO 8 COME LA RELATIVITÀ SI COMPORTA CON L’ETERE.

L’aberrazione stellare e la relatività di Einstein Consideriamo un sistema K solidale con la stella S. (Per semplicità bidimensionale con gli assi y verticale ed x orizzontale) L’impulso proveniente dalla stella ha componenti

L’aberrazione stellare e la relatività di Einstein La terra è solidale ad un sistema K’ che si muove con velocità V lungo x parallela ad x’. La legge di composizione delle velocità fornisce

L’aberrazione stellare e la relatività di Einstein Siccome , dalla prima si ricava , mentre tenendo conto che dalla seconda si ottiene da cui e infine

L’aberrazione stellare e la relatività di Einstein Sviluppando in serie si ritrova, trascurando termini del secondo ordine in , l’espressione classica ma senza ricorrere all’etere.

Fresnel, Fizeau e la relatività di Einstein Avevamo visto che se un liquido si muoveva con velocità w rispetto all’etere e un raggio di luce percorreva l’oggetto trasparente nella stessa direzione, allora la velocità della luce nel riferimento del laboratorio non era data da ma da

Fresnel, Fizeau e la relatività di Einstein Applicando anche in questo caso le relazioni puramente cinematiche di addizione delle velocità di Einstein e senza ricorrere all’etere otteniamo da cui trascurando il termine si riottiene la formula di Fresnel

CAPITOLO 9 GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ.

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Lorentz, Poincaré, Einstein. Non è poi così semplice descrivere la genesi del principio di relatività. Einstein diceva: “Non mi è facile spiegare come giunsi alla teoria della relatività, perché il pensiero umano è stimolato da molti fattori complessi e occulti, e perché tali fattori agirono in misura diversa.” (Ripreso da A. Pais, Sottile è il Signore …..) Nel suo lavoro originale del 1905, Einstein non manifesta alcun riferimento al classico esperimento di Michelson e Morley. Negli ultimi anni della sua vita in una serie di interviste e scritti dice che era a conoscenza dell’ esperimento di Michelson e Morley, seppur indirettamente attraverso il lavoro di Lorentz del 1895. Le esperienze dell’aberrazione stellare e di Fizeau erano sufficienti a spingerlo nell’opera di demolizione dell’artificioso e poco persuasivo edificio della fisica ottocentesca.

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Nel 1887 il fisico tedesco Woldemar Voigt (1850- 1919) in una memoria (*) di natura teorica forniva spiegazioni dell’effetto Doppler longitudinale utilizzando un modello elastico di propagazione della luce. Lo spostamento Doppler , essendo un fenomeno puramente cinematico, rendeva ininfluente il modello dinamico allora in voga. * W. Voigt, Über das Dopplersche Prinzip, Gött. Nachr. 41 (1887)

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Nel suo lavoro Voigt mostrava che equazioni del tipo con Sono invarianti quando si passa ad un nuovo sistema di riferimento

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Per la prima volta veniva introdotto un tempo locale t’, vantaggioso dal punto matematico, ma dal profondo significato fisico. “Veniva dimostrato che nello studio del movimento degli elettroni nell’etere poteva essere data una spiegazione teorica quantitativa di tutti gli effetti del primo ordine nel rapporto v/c fra la velocità di traslazione della materia e la velocità della luce … In particolare la teoria metteva in chiaro perché le esperienze non rivelano nessun effetto del primo ordine quando materia e osservatore si muovono rispetto all’etere con velocità uguali.” (Wolfgang Pauli, Teoria della relatività. Bollati Boringhieri,1974. ) Tale modello però non spiegava il risultato negativo dell’esperienza di Michelson e Morley, in cui intervenivano effetti del secondo ordine e che solo un’ipotesi ad hoc poteva spiegare. Tale ipotesi venne introdotta in maniera indipendente da Lorentz e Fitzgerald.

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Lorentz “L’influenza dell’esperimento cruciale di Michelson e Morley sulla mia elaborazione è stata alquanto indiretta. Ne venni a conoscenza tramite la fondamentale ricerca di Lorentz sull’elettrodinamica dei corpi in movimento (1895), che avevo studiato prima di sviluppare la teoria della relatività ristretta. L’ipotesi di un etere in quiete, da cui partiva Lorentz, mi sembrava poco convincente di per sé, e ancor meno perché conduceva a un’interpretazione dell’esperimento di Michelson e Morley che mi pareva artificiosa”. (Lettera di Einstein a Shankland del dicembre 1952. Ripresa da A. Pais, Sottile è il Signore ….. R. S. Shankland, Am. J. Phys. 32, 16 (1964). )

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Lorentz Il fisico olandese Hendrik Antoon Lorentz (1853 – 1928) pubblica il primo scritto attinente le questioni che stiamo trattando nel 1886. In questo lavoro Lorentz dubita del primo esperimento di Michelson condotto a Potsdam in Germania nel 1881. Nel 1892 Lorentz pubblica un secondo articolo nel quale invece traspaiono tutte le sue preoccupazioni in seguito ai risultati insoddisfacenti ottenuti da Michelson e Morley nel loro esperimento del 1887. Proprio in questo lavoro del 1892 compare in forma analitica l’espressione che fornisce la contrazione di Lorentz -FitzGerald Lorentz dice: “il segmento che congiunge due punti di un corpo solido, che supponiamo in un primo tempo parallelo alla direzione del moto della Terra, non conserva la stessa lunghezza quando, in un secondo momento, viene fatto ruotare di 90°” . (Ripresa da A. Pais, Sottile è il Signore …..)

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Lorentz Nel lavoro del 1895 Lorentz dimostra il teorema degli stati corrispondenti. Le grandezze fisiche che descrivono una distribuzione di materia non magnetica non cambiano la loro dipendenza dal tempo e dallo spazio, nell’approssimazione del primo ordine in v/c, passando da un sistema di riferimento in quiete ad un altro in moto relativo rispetto al primo se le equazioni di trasformazione sono le seguenti :

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Lorentz Per Lorentz tali trasformazioni erano solo uno strumento matematico comodo per dimostrare un teorema fisico. Esisteva solo un tempo vero indicato con t, mentre t’ era chiamato tempo locale. Con tali trasformazioni Lorentz mostrava l’assenza di effetti del primo ordine che rilevassero la presenza dell’etere. Per tenere conto di effetti del secondo ordine aveva introdotto l’ipotesi ad hoc della contrazione.

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Lorentz Nel 1899 Lorentz scrive le trasformazioni Nel 1904 finalmente scrive le trasformazioni che portano il suo nome, assegnando a  il valore unitario sulla base delle proprietà di trasformazione delle equazioni del moto dell’elettrone. In questo lavoro Lorentz dimostra l’invarianza delle equazioni di Maxwell anche se solo per quelle riferite allo spazio vuoto. Quando sono presenti invece densità di cariche e correnti i calcoli non sono corretti e questo porta Lorentz ad ipotizzare che i due sistemi di riferimento in moto relativo siano solo approssimativamente equivalenti. (H. A. Lorentz, Electromagnetic phenomena in a system moving with any velocity smaller than that of light, Amst. Proc. 6, 809 (1904))

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Poincaré Insieme agli amici dell’ Akademie Olympia, Konrad Habicht e Maurice Solovine, negli anni precedenti il 1905, Einstein aveva letto le opere di carattere filosofico sulla scienza di Jules Henri Poincaré. “ A Berna, insieme con Konrad Habicht e Solovine, passavamo regolarmente serate a leggere e discutere di argomenti filosofici, ed eravamo interessati soprattutto a Hume …. La lettura di Hume, unitamente a quelle di Poincaré e Mach, ebbe una certa influenza sulla mia formazione.” (Lettera a Michele Besso, 6 marzo 1952. Ripresa da A. Pais, Sottile è il Signore …..) “Questo libro [La Science et l’hypothèse] ci fece una profonda impressione e ci fece stare con il fiato sospeso per settimane di seguito” (Lettera a Maurice Solovine, p. VIII Gauthier – Villars, Paris 1956. Ripresa da A. Pais, Sottile è il Signore …..)

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Poincaré “Non c’è spazio assoluto e noi spesso non concepiamo che movimenti relativi. Tuttavia spesso si enunciano i fatti meccanici come se ci fosse uno spazio assoluto a cui rapportarli. Non c’è tempo assoluto. Dire che due durate sono uguali è un’asserzione priva di senso e che non può acquisirne che per convenzione. Non solo noi non abbiamo intuizione diretta dell’eguaglianza di due durate, ma non possediamo neppure quella della simultaneità di due avvenimenti che si producano su due teatri diversi. È quanto ho spiegato nel mio articolo intitolato Misura del tempo.” (Jules Henri Poincaré, La scienza e l’ipotesi,1989, Edizioni Dedalo Bari La Science et l’hypothèse è apparso la prima volta nel 1902. J.H. Poincaré, Mesure du temps, in “Revue de Mètaphysique et de Morale”, gennaio 1898.)

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Poincaré Poincaré pubblica i due lavori tecnici sull’argomento nel 1905 e tutti e due con lo stesso titolo: (il primo è del 5 giugno 1905, mentre il secondo è del luglio 1905 anche se viene pubblicato il 1906; gli Annalen der Physik ricevono il primo lavoro sulla relatività di Einstein il 30 giugno del 1905) H. Poincaré, Sur la dynamique de l’électron, C. R. Ac. Sci. Paris 140, 1504 (1905) H. Poincaré, Sur la dynamique de l’électron, Rend. Circ. Mat.Palermo 21, 129 (1906).

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Poincaré Il primo lavoro è un sunto del secondo in cui Poincaré dimostra la completa covarianza dell’elettrodinamica, introduce il concetto di gruppo delle trasformazioni di Lorentz, mostrando che deve essere =1 in maniera differente da quanto aveva già fatto Lorentz, e soprattutto mostra che il prodotto di due trasformazioni di velocità e è una trasformazione di velocità

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Einstein Einstein prima del 1905 non era a conoscenza delle trasformazioni di Lorentz, aveva solo parlato del lavoro di Lorentz del 1895. Non conosceva ovviamente i due articoli tecnici di Poincaré ma era a conoscenza, come abbiamo già detto, dei suoi pensieri su spazio e tempo .

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Einstein Einstein voleva estendere all’elettrodinamica l’invarianza che valeva per le leggi della meccanica che veniva garantita dalle trasformazioni di Galilei. Tale termine venne introdotto da Philipp Frank nel 1909.

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Einstein Ovviamente l’estensione di tale principio d’invarianza a tutta la fisica mal si conciliava con l’idea di un riferimento assoluto (privilegiato) solidale con la quiete dell’etere. Due motivazioni concrete hanno portato Einstein a ridefinire i concetti di spazio e tempo nella sua memoria del 1905. Prestiamo attenzione a quanto Einstein dice.

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Einstein “È noto che l’elettrodinamica di Maxwell … conduce, nelle sue applicazioni a corpi in movimento, ad asimmetrie che non sembrano conformi ai fenomeni. Si pensi ad esempio alle interazioni elettrodinamiche tra un magnete e un conduttore. Laddove la concezione usuale contempla due casi nettamente distinti, a seconda di quale dei due corpi sia in movimento, il fenomeno osservabile dipende, in questo caso, solo dal moto relativo di magnete e conduttore.

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Einstein Infatti, se si muove il magnete e rimane stazionario il conduttore, si produce, nell’intorno del magnete, un campo elettrico con una ben determinata energia, il quale genera una corrente nei luoghi ove si trovano parti del conduttore.

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Einstein Se viceversa il magnete resta stazionario e si muove il conduttore, non nasce, nell’intorno magnete, alcun campo elettrico; tuttavia si osserva, nel conduttore, una forza elettromotrice, alla quale non corrisponde, di per sé, un’energia, ma che – supponendo che il moto relativo sia lo stesso nei due casi – genera correnti elettriche della stessa intensità di quelle prodotte dalle forze elettriche nel caso precedente, e che hanno lo stesso percorso.

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Einstein Esempi come questo, come pure i tentativi falliti di individuare un qualche movimento della Terra relativamente al “mezzo luminifero” suggeriscono che i fenomeni elettrodinamici, al pari di quelli meccanici, non possiedono proprietà corrispondenti all’idea di quiete assoluta.

GENESI DEL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ. Einstein Essi suggeriscono piuttosto che, come già è stato mostrato in un’approssimazione al primo ordine, per tutti i sistemi di coordinate per i quali valgono le equazioni della meccanica varranno anche le stesse leggi elettrodinamiche e ottiche. Eleveremo questa congettura (il contenuto della quale verrà detto, in quanto segue, “principio di relatività”) al rango di postulato; supporremo inoltre – un postulato, questo, solo apparentemente incompatibile col precedente – che la luce, nello spazio vuoto, si propaghi sempre con una velocità determinata, c, che non dipende dallo stato di moto del corpo che la emette.” (L’elettrodinamica dei corpi in movimento. 1905. Albert Einstein, Opere scelte. Bollati Boringhieri, 1988.)

Principio di relatività ed elettromagnetismo Riassumiamo e puntualizziamo. La relatività galileiana dice che la fisica classica di Galileo e Newton descrive un universo in cui le proprietà restano le stesse se si cambia il sistema di riferimento inerziale da cui si osservano i fenomeni. La meccanica newtoniana è invariante per trasformazioni di Galileo fra sistemi inerziali.

Principio di relatività ed elettromagnetismo Dalle equazioni di Maxwell fuori dalle cariche si deduce sia per il campo elettrico che per il campo magnetico l’equazione di d’Alembert

Principio di relatività ed elettromagnetismo La terra si muove nello spazio perché partecipa con il Sole alla rotazione della Via Lattea che è una galassia a spirale, senza tener conto del moto di rotazione e di rivoluzione intorno al Sole. Tenendo conto delle trasformazioni di Galileo, la velocità della luce rispetto ad un sistema solidale al laboratorio passa da c-v a c+v se la propagazione della luce cambia da parallela ad antiparallela.

Principio di relatività ed elettromagnetismo È come se nel sistema solidale con la terra non valessero le equazioni di Maxwell, altrimenti si otterrebbe di nuovo l’equazione di d’Alembert e il valore della velocità della luce sarebbe sempre c in tutte le direzioni. L’elettromagnetismo non soddisfa il principio di relatività galileiano.

Principio di relatività ed elettromagnetismo Le possibilità sono tre

Principio di relatività ed elettromagnetismo Le equazioni di Maxwell sono errate. La vera teoria dell’elettromagnetismo deve essere invariante per trasformazioni di Galileo. La relatività di Galileo si applica alla meccanica classica, ma i fenomeni elettromagnetici possiedono un sistema di riferimento privilegiato, quello in cui l’etere è a riposo. Esiste un principio di relatività valido per tutte le leggi della fisica. Questo implica che le leggi della meccanica classica devono essere corrette

Principio di relatività ed elettromagnetismo La prima ipotesi poteva essere esclusa a seguito dei sorprendenti successi di Hertz, Lorentz ed altri … Per la seconda ipotesi descriviamo l’esperienza di Michelson e Morley.

Esperienza di Michelson e Morley Einstein tra Michelson (alla sua destra) e Millikan (alla sua sinistra)

Esperienza di Michelson e Morley Nel 1887 Albert Abraham Michelson (1852 – 1931) e Edward Williams Morley (1838 – 1923) completarono un famosissimo esperimento che avrebbe dovuto mettere in evidenza il movimento della Terra attraverso l’etere. Il loro interferometro era montato su un blocco di pietra galleggiante su un bagno di mercurio.

Esperienza di Michelson e Morley

Esperienza di Michelson e Morley

Esperienza di Michelson e Morley

Esperienza di Michelson e Morley S - Sorgente luminosa monocromatica A - specchio semiriflettente B e C - specchi totalmente riflettenti

Esperienza di Michelson e Morley Il tempo impiegato dalla luce per andare da A a B e tornare indietro è Lo stesso tempo vale se la luce percorre il tratto AC e ritorno Ma quando l’interferometro si muove con velocità v cosa accade?

Esperienza di Michelson e Morley

Esperienza di Michelson e Morley

Esperienza di Michelson e Morley e nello stesso tempo Applicando il teorema di Pitagora

Esperienza di Michelson e Morley quindi

Esperienza di Michelson e Morley nel percorso da A a C e ritorno

Esperienza di Michelson e Morley Ruotando l’interferometro di 90° si ha e quindi Ma non venne trovato alcun evidente segno dello spostamento della figura d’interferenza.

CAPITOLO 10 L’ETERE NON VUOLE MORIRE. Fitzgerald - Lorentz Poincaré

Fitzgerald, Lorentz e la difesa dell’etere. “Ho letto con grande interesse il resoconto dell’esperimento, mirabilmente preciso, dei signori Michelson e Morley, volto a risolvere un problema di grande importanza, stabilire cioè in qual misura l’etere sia trascinato dalla Terra. Il loro risultato sembra in contrasto con quelli di altri esperimenti, che dimostrano che l’etere presente nell’aria può essere trascinato solo in misura trascurabile. Vorrei far osservare che praticamente l’unica ipotesi in grado di ricomporre questo contrasto è quella secondo cui la lunghezza dei corpi materiali varia, a seconda che siano in moto parallelamente o trasversalmente all’etere, di una quantità che dipende dal quadrato del rapporto fra la loro velocità e quella della luce. Sappiamo che le forze elettriche sono influenzate dal moto dei corpi carichi rispetto all’etere, e non sembra supposizione improbabile che anche le forze molecolari siano influenzate dal moto e che le dimensioni dei corpi varino di conseguenza.

Fitzgerald, Lorentz e la difesa dell’etere. Sarebbe assai importante realizzare esperimenti di lunga durata sulla attrazione elettrica tra corpi permanentemente carichi, per esempio con un sensibilissimo elettrometro a quadranti, in una zona equatoriale della Terra per verificare se vi sia qualche variazione giornaliera o annuale dell’attrazione: variazione giornaliera dovuta al fatto che il moto rotatorio della Terra ora si somma e ora si sottrae alla velocità orbitale; e variazione annuale dovuta, analogamente, al fatto che la velocità orbitale si somma o si sottrae a quella del moto di insieme del sistema solare.” (G. F. FitzGerald, Science 13, 390 (1889) The Ether and the Earth’s Atmosphere. Ripreso da A. Pais, Sottile è il Signore, Bollati Boringhieri, 1986.)

Fitzgerald, Lorentz e la difesa dell’etere. George Francis Fitzgerald (1851 – 1901) e Hendrik Antoon Lorentz (1853 – 1928) per spiegare l’inesistenza degli spostamenti della figura di interferenza nell’esperienza di Michelson e Morley supposero che il movimento attraverso l’etere con velocità v generasse in ogni corpo un accorciamento nella direzione della velocità per il fattore

Fitzgerald, Lorentz e la difesa dell’etere. Lorentz, usando la fisica classica, aveva mostrato che il campo elettrico di una carica in movimento viene schiacciato verso il piano perpendicolare alla direzione del moto. Pertanto un elettrone legato ad un protone non forma un normale atomo di idrogeno ma un atomo con un orbita schiacciata ed un periodo di rivoluzione modificato.

Fitzgerald, Lorentz e la difesa dell’etere. Quindi ogni oggetto (costituito da atomi) si accorcia nella direzione del movimento e ogni orologio in moto rallenta il passo di avanzamento delle sue lancette. Nel 1916 Lorentz pubblica l’ultima versione del suo libro The theory of electrons and its applications to the phenomena of light and radiant heat.

Fitzgerald, Lorentz e la difesa dell’etere. Le ipotesi di Lorentz: Ogni regolo in moto rispetto all’etere con velocità v parallela alla lunghezza si accorcia di un fattore 0gni orologio in moto rispetto all’etere con velocità v rallenta il suo ritmo per un fattore La convenzione di Einstein per sincronizzare gli orologi è valida; la velocità della luce è uguale a c in ogni direzione e in ogni sistema di riferimento inerziale.

Fitzgerald, Lorentz e la difesa dell’etere. Le ipotesi di Lorentz hanno permesso di sviluppare una teoria formalmente uguale alla Relatività ristretta, ma basata sull’esistenza dell’etere. La contrazione degli oggetti in movimento era un fatto reale mentre il rallentamento degli orologi era una convenzione. Il tempo delle trasformazioni di Lorentz era chiamato “tempo locale” . La teoria dell’etere e degli elettroni fu sviluppata da Lorentz e Poincaré fra il 1892 e il 1906 e seguiva quella di Fresnel.

Fitzgerald, Lorentz e la difesa dell’etere. Inizialmente la contrazione e il rallentamento furono introdotti relativamente ad un sistema di riferimento privilegiato, ma successivamente le trasformazioni di Lorentz furono dedotte dalla teoria per ogni coppia di sistemi di riferimento. Certo due teorie condividono le stesse trasformazioni e per questo sono sperimentalmente indistinguibili. Però con Lorentz esiste l’etere e il principio di relatività può essere dedotto qualitativamente.

Poincaré e l’etere. Il rapporto di Poincaré con l’etere è del tutto singolare e in questo rapporto affiora in maniera chiara e inconfondibile il suo convenzionalismo. Il modo più chiaro per chiarire tale pensiero avviene tramite la lettura delle parole dello stesso Poincaré. Einstein Poincaré

Poincaré e l’etere. “Le teorie matematiche non hanno per oggetto quello di rivelarci la vera natura delle cose. Sarebbe una pretesa irragionevole. Loro unico scopo è quello di coordinare le leggi fisiche che l’esperienza ci fa conoscere, ma che, senza l’aiuto della matematica, non potremmo neanche enunciare. Poco importa che l’etere esista realmente. È un problema che riguarda i metafisici. L’essenziale, per noi, è che tutto accada come se l’etere esistesse e che tale ipotesi si riveli comoda per la spiegazione dei fenomeni. … Anche questa non è che un’ipotesi comoda, e non cesserà di essere tale, mentre verrà un giorno in cui l’etere sarà considerato inutile.

Poincaré e l’etere. Ma, in quello stesso giorno, le leggi dell’ottica e le equazioni che le traducono analiticamente resteranno vere, almeno in prima approssimazione. Sarà dunque sempre utile studiare una dottrina che colleghi fra loro tutte queste equazioni. …. La teoria delle ondulazioni poggia su di una ipotesi molecolare. …. Si osserverebbe che dalle ipotesi molecolari non si prendono in prestito che due elementi: il principio di conservazione dell’energia e la forma lineare delle equazioni che è la legge generale dei piccoli movimenti come delle piccole variazioni. Questo spiega perché la maggior parte delle conclusioni di Fresnel sussista senza cambiamenti quando si adotti la teoria elettromagnetica della luce.

Poincaré e l’etere. Maxwell non fornisce una spiegazione meccanica dell’elettricità e del magnetismo. Si limita a dimostrare che questa spiegazione è possibile. Dimostra ugualmente che i fenomeni ottici non sono che un caso particolare dei fenomeni elettromagnetici. Da ogni teoria dell’elettricità si potrà, dunque, dedurre immediatamente una teoria della luce. ….. Perché le idee dello scienziato inglese faticano tanto ad acclimatarsi fra noi? Ciò accade perché l’educazione ricevuta dalla maggior parte dei francesi colti li dispone ad apprezzare la logica e la precisione prima di ogni altra qualità. ….. Sembra di fare un passo indietro, e molti intelletti non vogliono rassegnarsi a questo.” Jules Henri Poincaré, La scienza e l’ipotesi. Edizioni Dedalo, 1989. Capitolo dodicesimo. L’ottica e l’elettricità. Riproduzione di due studi dal titolo: Théorie mathématique de la lumiere (Naud, Paris 1889) Èlectricité et optique (Naud, Paris 1901)

EINSTEIN E L’ETERE. UN RIPENSAMENTO!

Etere relativistico di Einstein. Nel 1919 Einstein scrisse a Lorentz: “sarebbe stato più corretto se nelle mie prime pubblicazioni mi fossi limitato a sottolineare l’irrealtà della velocità dell’etere, invece di sostenere soprattutto la sua non esistenza. Ora comprendo che con la parola etere non si intende nient’altro che la necessità di rappresentare lo spazio come portatore di proprietà fisiche”. (A. Einstein, Lettera a H. A. Lorentz, 15 – 11 – 1919. Ripresa da L. Kostro, Einstein e l’etere, Edizioni Dedalo, 2001.)

Etere relativistico di Einstein. “Una più ponderata riflessione ci suggerisce che la negazione dell’etere non è necessariamente richiesta dal principio di relatività ristretta. L’esistenza dell’etere può essere ammessa, purché si rinunzi ad attribuirgli un determinato stato di moto; bisogna cioè, per astrazione, togliergli l’ultima caratteristica meccanica lasciatagli da Lorentz”. (L’etere e la teoria della relatività (1920). A. Einstein, Opere scelte, Bollati Boringhieri, 1988.)

CAPITOLO 11 RIPRENDIAMO IL CONCETTO DI SIMULTANEITÀ CAPITOLO 11 RIPRENDIAMO IL CONCETTO DI SIMULTANEITÀ. SINCRONIZZAZIONE DEGLI OROLOGI. DUE IMPORTANTI CONCLUSIONI EMPIRICHE.

La sincronizzazione degli orologi Abbiamo precedentemente osservato che la simultaneità è un concetto relativo in relatività. Questo accade perché nelle trasformazioni di Lorentz, quella riguardante il tempo contiene anche la coordinata spaziale

La sincronizzazione degli orologi Il concetto relativo di simultaneità è una conseguenza del secondo postulato della relatività ristretta: ogni raggio di luce si muove con la velocità ben definita c sia che sia emesso da un oggetto stazionario che da un oggetto in moto. È impossibile misurare la velocità della luce in percorso di sola andata.

La sincronizzazione degli orologi La sincronizzazione degli orologi. Il convenzionalismo di Poincaré e di Reichenbach. “ Che la luce abbia una velocità costante e, in particolare, che la sua velocità sia la stessa in tutte le direzioni ….. È un postulato senza del quale sarebbe impossibile iniziare qualsiasi misura di tale velocità. Sarà sempre impossibile verificare direttamente questo postulato con degli esperimenti ”. (J.H. Poincaré, Mesure du temps, in “Revue de Mètaphysique et de Morale”, gennaio 1898.)

La sincronizzazione degli orologi Per misurare la velocità della luce in un percorso di sola andata, dobbiamo disporre di due orologi posti in due punti differenti dello spazio ma sincronizzati. Ma per essere sincronizzati, dobbiamo supporre che la velocità della luce sia la stessa in tutte le direzioni. Ricordiamo a riguardo il metodo di sincronizzazione di Einstein.

La sincronizzazione degli orologi Il parametro di Reichenbach

La sincronizzazione degli orologi Il parametro di Reichenbach Nel sistema S un lampo di luce parte dal punto A al tempo t1, è riflesso indietro da uno specchio posizionato nel punto B al tempo t2 e ritorna al punto A al tempo t3. In A è presente l’orologio OA, in B l’orologio OB.

La sincronizzazione degli orologi Il parametro di Reichenbach Nella relatività ristretta la velocità di andata e ritorno è la stessa per cui Questa relazione definisce t2 in funzione di t1 e t3. È la scelta che determina la presenza della variabile spaziale nella trasformazione di Lorentz del tempo

La sincronizzazione degli orologi Il parametro di Reichenbach Reichenbach commentò dicendo che la relazione è essenziale ma non epistemologicamente necessaria. Una diversa relazione con sarebbe accettabile e non potrebbe essere considerata falsa. “If the special theory of relativity prefers the first definitions, i.e., sets  equal to ½, it does so on the ground that this definition leads to simpler relations.” (H. Reichenbach, The philosophy of space and time. Dover, New York, 1958.)

La sincronizzazione degli orologi Non potendo risolvere il problema per via empirica, Einstein decise di risolverlo per decreto , assumendo l’invarianza della velocità della luce. Ma tutto ciò non è una verità della natura ma una comoda convenzione. Nel 1916 quando considerò l’esempio del punto medio M di un segmento AB, convenne nell’affermare che la luce impiegava lo stesso tempo nel percorrere i due segmenti AM e BM. Ma tutto ciò, ribadiamo, è una semplice arbitraria convenzione che viene usata per definire il concetto di simultaneità e non un’ipotesi sulla natura della luce sotto l’aspetto fisico.

Prima importante conclusione empirica Una delle misure più precise della velocità della luce in un percorso di andata e ritorno, utilizzando un solo orologio è stata ottenuta nel 1978. ( Woods P. T., Sholton K. C., Rowley W. R. C.. Frequency determination of visible laser light by interferometric comparison with upconverted CO2 laser radiation. Applied optics, 17, 1084 – 1054)

Prima importante conclusione empirica Il risultato è stato il seguente Con una precisione di Prima e dopo tale misura si è sempre trovato lo stesso valore entro gli errori e non è stata trovata alcuna dipendenza dalla direzione di propagazione.

Prima importante conclusione empirica C1 La velocità della luce di andata e ritorno è empiricamente invariante, ossia è indipendente dalla direzione di propagazione, dal tempo al quale è misurata e dal sistema di riferimento inerziale rispetto al quale è considerata

Seconda importante conclusione empirica Il rallentamento degli orologi in moto è un fatto sperimentale attualmente accertato senza ragionevole dubbio. 1977 anello di accumulazione CERN. Muoni  fatti circolare con una velocità v=0,9994c corrispondente ad un fattore in un anello di diametro di 14 m con un’accelerazione centripeta pari a

Seconda importante conclusione empirica È stata misurata la vita media di tali muoni  e è stato trovato un eccellente accordo sperimentale con la formula 0 è la vita media dei muoni in movimento sull’orbita misurata da un osservatore nel laboratorio e  è la vita media degli stessi muoni misurata da un osservatore in quiete rispetto agli stessi muoni.

Seconda importante conclusione empirica L’intervallo di tempo del laboratorio 0 (iniezione e decadimento) viene visto come dilatato rispetto al valore all’osservatore che vede i muoni a riposo e che vale L’evidenza empirica ci dice inoltre che l’accelerazione non gioca alcun ruolo nel modificare il ritmo degli orologi.

Seconda importante conclusione empirica A parità di accelerazione viene rallentata allo stesso modo la vita media di muoni in fasci rettilinei (privi di accelerazione) e quella dei muoni nell’anello di accumulazione del CERN soggetti a un’enorme accelerazione.

Seconda importante conclusione empirica Apparato usato per la misura della dilatazione temporale. I blocchi bianchi e neri sono magneti che circondano il tubo a vuoto In cui si muovono le particelle. CERN

Seconda importante conclusione empirica. Esperienza di Hafele e Keating Around-the-World Atomic Clocks: Predicted Relativistic Time Gains J. C. Hafele e R. E. Keating, Science, 177, 166 (1972) Hafele e Keating a bordo dell’aereo durante il loro esperimento. Immagine tratta da J. B. Hartle, Gravity. Addison Wesley, 2003

Seconda importante conclusione empirica. Esperienza di Hafele e Keating Nel 1972 è stato compiuto un esperimento da due ricercatori americani, Hafele e Keating, utilizzando sei sensibilissimi orologi atomici al cesio. Dopo essere stati sincronizzati due furono collocati su aerei di linea e fu fatto compiere loro un giro completo del pianeta verso est due furono collocati su aerei di linea e fu fatto compiere loro un giro completo del pianeta verso ovest due rimasero a terra nel laboratorio in cui era stato preparato l’esperimento

Seconda importante conclusione empirica. Esperienza di Hafele e Keating Si osservò che rispetto a quelli rimasti a terra, gli orologi che si erano spostati verso ovest avevano perso un tempo pari a nanosecondi rispetto a quelli rimasti a terra, gli orologi che si erano spostati verso est avevano guadagnato un tempo pari a nanosecondi Tutto questo era in perfetto accordo con la formula

Seconda importante conclusione empirica. Esperienza di Hafele e Keating Ovviamente si dovevano calcolare diversi valori di R. Il più grande era quello degli orologi che avevano viaggiato verso est per i quali la velocità dell’aeroplano si sommava alla velocità della terra. Il più piccolo era quello degli orologi che avevano viaggiato verso ovest per i quali la velocità dell’aeroplano si sottraeva alla velocità della terra.

Seconda importante conclusione empirica. Esperienza di Hafele e Keating Bisognava, pertanto, riferire i movimenti degli aerei non alla superficie terrestre, ma a un sistema di riferimento con l’origine nel centro della terra e i cui assi si dirigono verso direzioni fisse nello spazio. Bisognava, inoltre, tener conto del campo gravitazionale. Più intenso è il campo gravitazionale tanto minore è il ritmo con cui gli orologi segnano il tempo.

Seconda importante conclusione empirica. Esperienza di Hafele e Keating L’esperienza di Hafele e Keating è stata confermata dal sistema GPS (Global Positioning System) dei satelliti. Sistema di 24 satelliti con orbite di circa 12 ore, ognuno dei quali ha a bordo 4 orologi atomici. Le orbite son pressappoco circolari con eccentricità del 1%. Le inclinazioni orbitali rispetto all’equatore terrestre sono di circa 55°. La velocità orbitale dei satelliti è di circa 3,9 km/s.

Seconda importante conclusione empirica. Esperienza di Hafele e Keating Da ogni punto della terra sono visibili almeno quattro satelliti a qualsiasi ora. Tenendo conto del ritardo degli orologi in moto e tenendo conto dell’effetto del campo gravitazionale, Per ogni satellite è previsto un guadagno di circa 38.700 ns/giorno. Prima del lancio tutti gli orologi sono stati rallentati di 38.700 ns/giorno. Tutti i dati confermano che i tempi segnati dagli orologi in orbita concordano con quelli a terra.

Seconda importante conclusione empirica. Possiamo affermare C2 Il ritardo degli orologi ha luogo in accordo con l’equazione con R dato da , quando gli orologi si muovono con velocità v rispetto al sistema privilegiato S0 che è un sistema inerziale avente origine coincidente col centro della terra e assi che puntano verso direzioni fisse nel cielo.

CAPITOLO 12 LA RELATIVITÀ DEBOLE DI FRANCO SELLERI.

Relatività debole Ricordiamo che la teoria della relatività ristretta si basa su due postulati: Le leggi che regolano i cambiamenti degli stati fisici sono sempre le stesse, cioè sono indipendenti dal fatto che questi cambiamenti siano riferiti all’uno o all’altro di due sistemi di coordinate in moto traslatorio uniforme Ogni raggio di luce si muove con la velocità ben definita c sia che sia emesso da un oggetto stazionario che da un oggetto in moto.

Relatività debole Si possono però distinguere due formulazioni del principio di relatività: Relatività forte: le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Relatività debole: è impossibile mettere in evidenza sperimentalmente l’esistenza l’esistenza di un eventuale moto assoluto della terra. Questo principio non comporta necessariamente la validità delle trasformazioni di Lorentz.

Trasformazioni equivalenti È possibile riformulare le trasformazioni che legano due sistemi di riferimento inerziali a partire da ipotesi più generali, interpretare tutti fenomeni della Relatività Ristretta di Einstein e nello stesso tempo eliminare tutte le sue contraddizioni ed il relativismo in esse nascosto.

Trasformazioni equivalenti Immaginiamo due sistemi inerziali rappresentati da riferimenti cartesiani ortogonali con assi paralleli tra di loro. Tale rappresentazione è la stessa utilizzata per ricavare le trasformazioni di Lorentz.

Trasformazioni equivalenti

Trasformazioni equivalenti Assunzioni: Lo spazio è omogeneo e isotropo, il tempo è omogeneo, almeno dal punto di vista degli osservatori in quiete in S0. Rispetto a S0 la velocità della luce è c in tutte le direzioni così che gli orologi in S0 possono essere sincronizzati usando il metodo di Einstein e si possono misurare le velocità di andata relative a S0. S si muove con velocità v<c parallelamente all’asse x0. Gli assi di S e S0 coincidono per t=t0=0.

Trasformazioni equivalenti Se associamo alle assunzioni precedenti i due risultati empirici fondamentali C1 e C2 che qui ripresentiamo La velocità della luce di andata e ritorno è empiricamente invariante, ossia è indipendente dalla direzione di propagazione, dal tempo al quale è misurata e dal sistema di riferimento inerziale rispetto al quale è considerata Il ritardo degli orologi ha luogo in accordo con l’equazione con R dato da , quando gli orologi si muovono con velocità v rispetto al sistema privilegiato S0 che è un sistema inerziale avente origine coincidente col centro della terra e assi che puntano verso direzioni fisse nel cielo.

Trasformazioni equivalenti Otteniamo le seguenti equazioni delle trasformazioni da S0 a S che si chiamano trasformazioni equivalenti (Franco Selleri, Lezioni di relatività. Progedit, 2003 Franco Selleri, La relatività debole. Edizioni Melquíades, 2011)

Trasformazioni equivalenti Dalle trasformazioni equivalenti si ottiene Il ritardo di un orologio immobile in S nel punto x rispetto all’orologio di S0 contempla due contributi. Il termine proporzionale ad t0 è dovuto ad un effetto fisico, il ritardo degli orologi in moto. Il secondo termine dipende dalla convenzione adottata per sincronizzazione gli orologi in S. per questo e1 si chiama parametro di sincronizzazione.

Trasformazioni equivalenti Le trasformazioni inverse sono

Trasformazioni equivalenti Diversi valori di e1 comportano l’esistenza di un sistema inerziale privilegiato S0 in cui la velocità della luce è la stessa in tutte le direzioni Pertanto se una teoria del nostro insieme descrive correttamente la realtà fisica deve esistere un particolare sistema inerziale in cui le nozioni di tempo e simultaneità non sono convenzionale ma riflettono la realtà oggettiva.

Trasformazioni equivalenti Le trasformazioni di Lorentz si ottengono per

Trasformazioni inerziali Ponendo il valore e1=0 nelle trasformazioni equivalenti si ottengono quelle inerziali, le uniche che possono inquadrare correttamente dal punto di vista fisico i fenomeni naturali (inverse)

Trasformazioni inerziali Si ottiene il risultato significativo Il ritardo di un orologio immobile in S nel punto x rispetto a S0 non dipende dalla posizione ed è dovuto esclusivamente a un fenomeno fisico reale, il rallentamento generato dal movimento.

Trasformazioni inerziali contrazione assoluta delle lunghezze Consideriamo un regolo a riposo in S tra gli estremi x1 e x2. Dalle trasformazioni inerziali si ottiene Sottraendo membro a membro

Trasformazioni inerziali contrazione assoluta delle lunghezze Un regolo a riposo in S appare contratto per il solito fattore R se osservato da S0.

Trasformazioni inerziali contrazione assoluta delle lunghezze Supponiamo che il regolo sia fermo in S0 e utilizziamo le trasformazioni inverse Sottraendo membro a membro

Trasformazioni inerziali contrazione assoluta delle lunghezze Un regolo a riposo in S0 appare allungato per il solito fattore R se osservato da S.

Trasformazioni inerziali contrazione assoluta delle lunghezze La contrazione di Lorentz è un fenomeno assoluto. I due osservatori concordano che il movimento relativo al sistema privilegiato fa accorciare i regoli. Il fenomeno perde il sapore relativistico ma diventa assoluto.

Trasformazioni inerziali rallentamento assoluto degli orologi in moto Le trasformazioni inerziali comportano la simultaneità assoluta, cioè eventi simultanei in S lo sono anche in S0. L’esistenza della simultaneità assoluta non implica il tempo assoluto, al contrario orologi in moto ritardano come adesso andiamo a vedere anche per le trasformazioni inerziali.

Trasformazioni inerziali rallentamento assoluto degli orologi in moto Consideriamo un orologio O a riposo in S. Due osservatori a riposo in S0 nelle posizioni x01 e x02 controllano i tempi t01 e t02 quando O gli passa vicino mostrando i tempi t1 e t2 segnati da S. Siccome O è immobile in S, si ha Inoltre essendo Per sottrazione si ottiene

Trasformazioni inerziali rallentamento assoluto degli orologi in moto Consideriamo un orologio O0 a riposo in S0. Due osservatori a riposo in S nelle posizioni x1 e x2 controllano i tempi t1 e t2 quando O0 gli passa vicino ai tempi t01 e t02 segnati da S0. Ovviamente , per sottrazione si ha . Ricordando le relazioni fra i tempi si ottiene

Trasformazioni inerziali rallentamento assoluto degli orologi in moto Il passo di un orologio a riposo in S è visto da S0 rallentato ma quello di un orologio a riposo in S0 è visto da S affrettato. I due osservatori concordano che il movimento relativo al sistema privilegiato fa rallentare il passo degli orologi e il fenomeno perde l’aspetto relativistico che aveva nella relatività ristretta.

CAPITOLO 13 Il paradosso dei gemelli SPIEGATO CON LA RELATIVITÀ DEBOLE Due gemelli Michele e Claudia un bel giorno decidono di separarsi. Claudia parte per un viaggio interstellare ad una velocità prossima a quella della luce. Dopo aver raggiunto una stella lontana nello spazio siderale, Claudia ritorna sulla terra e incontra il fratello gemello Michele. I due gemelli osservano che mentre Michele è invecchiato, Claudia è molto più giovane del fratello. Questo è uno dei paradossi della Relatività Ristretta.

Il paradosso dei gemelli Einstein nel suo lavoro del 1905 introdusse il “paradosso dell’orologio”, antropomorfizzato dal fisico francese Paul Langevin (1872 – 1946) e denominato paradosso dei gemelli. ( P. Langevin, L’évolution de l’espace et du temps, Scientia 10, 31 (1911)) Nel punto A di S0 si trovano due orologi. Un orologio si muove lungo una linea retta con velocità v fino ad arrivare in B. L’orologio in B sarà rallentato rispetto a quello rimasto in A.

Il paradosso dei gemelli

Il paradosso dei gemelli Einstein concluse: “dati, in A, due orologi sincronizzati, se uno di essi viene sposto a velocità costante lungo una curva chiusa, fino a ritornare dopo t secondi al punto di partenza, allora questo orologio, arrivando in A, sarà ritardato di secondi rispetto a quello rimasto in quiete.” (A. Einstein, Elettrodinamica dei corpi in movimento (1905). A. Einstein, Opere scelte. Bollati Boringhieri, 1988.) Tutto questo è comprensibile e spiegabile in termini di trasformazioni inerziali senza tirare in ballo alcuna forma di relativismo.

CAPITOLO 14 TEORIA NON TENSIONALE O STATICA DEL TEMPO IN RELATIVITÀ RISTRETTA.

Universo iperdeterministico della relatività Nel sistema S vi sono diversi osservatori U1, U2, … , Un collocati nei punti x1, x2, … , xn dell’asse x tutti sincronizzati con il metodo di Einstein e tutti che descrivono la stessa realtà dell’osservatore U0. La retta di realtà dell’osservatore U0’ di S’ passa per il futuro degli osservatori in quiete in S.

Universo iperdeterministico della relatività

Universo iperdeterministico della relatività L’osservatore U0 riceve dall’osservatore U0’ che gli passa accanto un messaggio che l’informa del futuro dei fratelli U1, U2, …. Il futuro di U1 è predeterminato! Si arriva ad un iperdeterminismo in cui il futuro è prefigurato; pertanto ogni libertà individuale è una pura illusione!

Universo iperdeterministico della relatività In una lettera al figlio e alla sorella dell’amico Michele Besso, Einstein scriveva: “ …. Egli mi ha preceduto di un poco nel congedarsi da questo stano mondo. Non significa niente. Per noi che crediamo nella fisica, la divisione tra passato, presente e futuro ha solo il valore di un’ostinata illusione.” (A. Einstein, Opere scelte. Bollati Boringhieri, 1988.)

Universo iperdeterministico della relatività In un colloquio con Einstein avuto nel 1950 a Princeton sull’iperdeterminismo, il filosofo della scienza Karl Popper disse: “Io cercai di persuaderlo ad abbandonare il suo determinismo, che in pratica si riduceva all’idea che il mondo fosse un universo chiuso, di tipo parmenideo, a quattro dimensioni, nel quale il cangiamento era un’illusione umana, o qualcosa di molto simile. (Egli era d’accordo che questa fosse la sua opinione, e discutendo di ciò io lo chiamai “Parmenide”). …. Facendo appello al suo stesso modo di esprimere le cose in termini teologici, io dissi: se Dio avesse voluto mettere tutte le cose nel mondo fin dall’inizio, avrebbe creato un mondo senza cangiamento, senza organismi e senza evoluzione, e senza l’uomo e l’esperienza umana del cangiamento. Ma sembra che Dio abbia pensato che un mondo vivo, con eventi inaspettati da Lui medesimo, sarebbe stato più interessante di un mondo morto”. (Karl R. Popper, La ricerca non ha fine, Armando Editore, 1976)

Universo iperdeterministico della relatività Per Einstein il reale era dato e prefissato una volta per tutte e l’evoluzione era solo una pura immaginazione umana.

COSA ACCADE CON LA RELATIVITÀ DEBOLE?

L’ Universo non è più iperdeterministico con la relatività debole. La trasformazione inerziale più generale per il tempo da S ad S’ quando i due sistemi si muovono rispetto al sistema privilegiato S0 con velocità v e v’sono . Ma ct=0 implica ct’=0. Tutti gli osservatori concordano sul presente e il futuro non è più predeterminato.

Trasformazioni inerziali Ricordiamo La velocità della luce che si propaga ad un angolo  rispetto alla velocità v di S rispetto ad S0 è: Tra due riferimenti inerziali si ha:

Sincronizzare l’orologio universale Ma qual è il sistema di riferimento S0 privilegiato? È difficile fino ad oggi rispondere a questa domanda.

Sincronizzare l’orologio universale Tuttavia è possibile risincronizzare gli orologi nell’universo in modo da passare da un sistema privilegiato ad un altro. Il privilegio è quello dell’isotropia dello spazio. La velocità della luce deve essere la stessa in tutte le direzioni.

Sincronizzare l’orologio universale Per risincronizzare gli orologi imponiamo che la luce nel sistema S passi dal valore a .

Sincronizzare l’orologio universale Quando un raggio di luce percorre una distanza l in una direzione che forma una angolo  con l’asse x il tempo deve subire il seguente cambiamento

Sincronizzare l’orologio universale L’omogeneità dello spazio impone . Quindi per risincronizzare gli orologi basta sottrarre al tempo segnato dall’orologio in una posizione x il valore .

Sincronizzare l’orologio universale Il nuovo tempo che sostituisce t è: Se si fa la stessa cosa per tutti gli orologi in quiete rispetto ad S, si ottiene la situazione in cui la velocità della luce relativamente ad S diviene isotropa ed uguale a c.

Sincronizzare l’orologio universale Per un nuovo sistema S’ la risincronizzazione diventa Quindi la risincronizzazione sostituisce S0 come sistema privilegiato con S.

CAPITOLO 15 ANCORA SULLA CAUSALITÀ CAPITOLO 15 ANCORA SULLA CAUSALITÀ. COSA ACCADE CON LA RELATIVITÀ DEBOLE.

SEGNALI SUPERLUMINALI E PARADOSSI CAUSALI Riprendiamo il discorso dei paradossi causali visto già con il treno di Landau. Secondo la teoria della relatività ristretta, l’esistenza dei segnali superluminali comporterebbe una serie di paradossi temporali come quelli che riguardano la modificazione del passato.

SEGNALI SUPERLUMINALI E PARADOSSI CAUSALI Francesco e Giovanni sono due amici che decidono di condurre un’esperienza con segnali superluminali. Francesco (F) si allontana da Giovanni (G) con velocità inferiore a quella della luce. Quando occupa la posizione F1, Francesco invia un segnale superluminale a Giovanni che lo riceve nella posizione G1. Dopo un certo tempo Giovanni risponde a Francesco con un altro segnale superluminale.

SEGNALI SUPERLUMINALI E PARADOSSI CAUSALI I due segnali superluminali devono soddisfare la sola condizione di apparire in propagazione verso il futuro di chi li emette. La linea G2F2 deve salire. La linea F1G1 deve avere una pendenza minore di quella dell’asse x’.

SEGNALI SUPERLUMINALI E PARADOSSI CAUSALI

SEGNALI SUPERLUMINALI E PARADOSSI CAUSALI La risposta inviata da Giovanni raggiunge Francesco prima che questi abbia posto la domanda. La teoria della relatività ristretta non risolve questo paradosso. Può solo affermare che i segnali superluminali sono impossibili.

SEGNALI SUPERLUMINALI E PARADOSSI CAUSALI Dal punto di vista delle trasformazioni inerziali, la situazione cambia notevolmente. I due segnali superluminali si devono propagare verso il futuro di chi li ha spediti. Le linee del presente sono le stesse per entrambi gli osservatori. L’evento F2 non si potrà mai trovare nel passato di F1.

SEGNALI SUPERLUMINALI E PARADOSSI CAUSALI

CAPITOLO 16 ESISTE IL SISTEMA PRIVILEGIATO S0?

SEGNALI SUPERLUMINALI E SISTEMA PRIVILEGIATO S0 In un punto precedente è stato detto che non è facile individuare il sistema di riferimento privilegiato S0 delle trasformazioni inerziali. Andiamo ora ad osservare il legame che esiste tra eventuali segnali superluminali e il sistema privilegiato S0.

SEGNALI SUPERLUMINALI E SISTEMA PRIVILEGIATO S0 Due segnali che hanno uguale velocità nel sistema inerziale S, avranno uguale velocità in S0 perché le trasformazioni delle due velocità è la stessa. Lo stesso vale anche per due segnali superluminali.

SEGNALI SUPERLUMINALI E SISTEMA PRIVILEGIATO S0 Due segnali superluminali 1 e 2 hanno la stessa velocità in S0 se: emessi simultaneamente in direzioni parallele da due sorgenti 1 e 2, a riposo in S, raggiungono nello stesso istante il rivelatore, anch’esso a riposo in S, posto di fronte alle stesse sorgenti.

SEGNALI SUPERLUMINALI E SISTEMA PRIVILEGIATO S0

SEGNALI SUPERLUMINALI E SISTEMA PRIVILEGIATO S0 Dopo aver individuato operativamente due segnali superluminali con la stessa velocità, disponiamo le due sorgenti una di fronte all’altra, ad una certa distanza l, sempre a riposo nel sistema S che si muove con velocità v rispetto ad S0.

SEGNALI SUPERLUMINALI E SISTEMA PRIVILEGIATO S0

SEGNALI SUPERLUMINALI E SISTEMA PRIVILEGIATO S0 Il segnale 1 si muove lungo x0 secondo l’equazione v con Il ricevitore 2 che si muove con legge oraria rispetto ad S0 viene raggiunto da 1 all’istante t01 dato da e la posizione di 1 è

SEGNALI SUPERLUMINALI E SISTEMA PRIVILEGIATO S0 All’istante t01 2 parte da 2 con la stessa velocità v0 in verso opposto a quello di 1, la cui legge oraria in S0 è: L’origine di S in cui è posizionato 1 ha equazione in S0 per cui la coincidenza si ha quando . Il tempo diventa

SEGNALI SUPERLUMINALI E SISTEMA PRIVILEGIATO S0 Applicando la trasformazione inerziale otteniamo il tempo t2 nel sistema S Inoltre . t2 è una funzione decrescente di v . t2 ha un massimo per v=0, cioè nel sistema privilegiato S0.

SEGNALI SUPERLUMINALI E SISTEMA PRIVILEGIATO S0 Se esistessero i segnali superluminali e se esistesse il sistema privilegiato S0, potrei caricare il laboratorio in cui conduco l’esperienza con i segnali 1 e 2 su un’astronave e visitare molti sistemi inerziali. Quando misurerò il tempo avrò individuato la presenza di segnali superluminali e, nello stesso tempo, l’esistenza del sistema privilegiato S0.

CAPITOLO 17 Appendice. Le trasformazioni di Lorentz Consideriamo i due sistemi di riferimento S e S’ in moto traslatorio uniforme lungo la direzione degli assi x e x’ paralleli con velocità relativa v. Utilizziamo una derivazione elementare proposta da Einstein per ricavare le trasformazioni di Lorentz. (A. Einstein Relatività: esposizione divulgativa. Opere Scelte, Bollati Boringhieri, 1988.)

Appendice. Le trasformazioni di Lorentz Per un segnale luminoso che si propaga lungo l’asse x positivo si ha , ovvero . Anche nel sistema di riferimento S’ si avrà ( secondo postulato di Einstein). Ovviamente sarà vero se Per un segnale luminoso che si propaga lungo l’asse x negativo avremo .

Appendice. Le trasformazioni di Lorentz Sommando e sottraendo le due ultime equazioni , dopo aver posto otteniamo le due equazioni

Appendice. Le trasformazioni di Lorentz Per l’origine 0’ si ha sempre x’=0 e dalla prima equazione del sistema si ottiene e pertanto se v è la velocità relativa sarà . La relazione tra le coordinate spaziali ad un certo istante, ad esempio t=0 è . Pertanto un intervallo in S’ avrà in S lunghezza .

Appendice. Le trasformazioni di Lorentz Se è t’=0, eliminando t da e ponendo si ottiene E pertanto se due punti sull’asse x sono separati dalla distanza pari a 1

Appendice. Le trasformazioni di Lorentz Ma dal principio di relatività deve essere E quindi

Appendice. Le trasformazioni di Lorentz Inoltre Fino ad ottenere

Appendice. Il gruppo di Lorentz Scriviamo le trasformazioni di Lorentz

Appendice. Il gruppo di Lorentz Moltiplichiamo per c la prima equazione

Appendice. Il gruppo di Lorentz

Appendice. Il gruppo di Lorentz Introduciamo le funzioni iperboliche

Appendice. Il gruppo di Lorentz Ridefinendo la variabile temporale Notiamo una certa analogia con le rotazioni nel piano cartesiano

Appendice. Il gruppo di Lorentz Si definiscono le funzioni iperboliche

Appendice. Il gruppo di Lorentz Proprietà delle funzioni iperboliche

Appendice. Il gruppo di Lorentz Alla trasformazione di Lorentz associamo la matrice

Appendice. Il gruppo di Lorentz Inoltre

Appendice. Il gruppo di Lorentz La trasformazione inversa si ottiene semplicemente cambiando segno alla velocità

Appendice. Il gruppo di Lorentz. Genesi delle funzioni iperboliche.

Appendice. Il gruppo di Lorentz. Genesi delle funzioni iperboliche. Calcoliamo l’area S della figura piana racchiusa dalla retta e dall’iperbole nel primo quadrante Otteniamo il valore del coseno iperbolico e di conseguenza anche quello del seno iperbolico

Bibliografia Albert Einstein, Opere scelte. Bollati Boringhieri, 1988. Abraham Pais, “Sottile è il Signore ….”. Bollati Boringhieri, 1986. Ludwik Kostro, Einstein e l’etere. Edizioni Dedalo, 2001. Franco Selleri, Lezioni di relatività. Progedit, 2003. Franco Selleri, La relatività debole. Edizioni Melquíades, 2011. Franco Selleri, La fisica del novecento. Progedit, 1999. Franco Selleri, Recovering the Lorentz ether, Apeiron, 11, 246, 2004. Franco Selleri, La natura del tempo. Edizioni Dedalo,2002. Franco Selleri, Open Questions in Relativistic Physics. Apeiron, 1998. L. Craig e Q. Smith, Einstein, Relativity and Absolute Simultaneity. Routledge, 2008. L. D. Landau G. B. Rumer, What is relativity. Dover, 2003. John Stachel, L’anno memorabile di Einstein. Edizioni Dedalo, 2001. Matthew F. Pusey, Jonathan Barrett Terry Rudolph, On the reality of the quantum state. http://arxiv.org/abs/1111.3328v3 Aurélien Drezet, Can quantum mechanics be considered as statistical? an analysis of the PBR theorem. http://arxiv.org/abs/1203.2475v2

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