IL FUTURISMO «È dall’Italia, che noi lanciamo nel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il “Futurismo”, perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquari». Il primo manifesto futurista viene pubblicato dal letterato italiano Filippo Tommaso Marinetti nel 1909, sul quotidiano francese “le Figaro”. Il Futurismo è la prima avanguardia artistica che redige veri e propri manifesti d’intenti programmatici, utilizzando ogni possibile canale di comunicazione. L’arte per i futuristi è azione, che investe tutti gli aspetti della vita: la letteratura, le arti figurative, la moda, la cucina, la fotografia, il cinema, la musica, il teatro. È un movimento di rottura drastica nei confronti dell’arte e della cultura del tempo, rispetto alla quale si configura come forza distruttrice. Celebri sono le serate futuriste, tenute presso alcuni teatri, nelle quali il pubblico veniva provocato al punto da causare scambi di insulti, lanci di uova marce e risse. Nel manifesto marinettiano vengono celebrati lo sprezzo del pericolo, il coraggio fisico, la ribellione, l’importanza dell’aggressività. Contro il pensiero socialista e internazionalista viene esaltato l’individualismo, il nazionalismo, la guerra – definita “sola igiene del mondo”. Viene proclamata la volontà di distruggere il passato (quindi anche musei, biblioteche, città d’arte) ed ogni forma di tradizione, in nome della bellezza della velocità, del progresso, della macchina: « Un automobile da corsa, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia». L’ideologia futurista, così come enunciata da Marinetti nel 1909, presenta diverse contraddizioni, ma verte intorno ad alcuni punti fondamentali: viene posta enfasi sulla sinestesia (rottura di confini fra i diversi sensi) e cinestesia (rottura della distinzione fra corpo fermo e corpo in movimento); viene condannata la cultura del passato e l’eredità della tradizione borghese, affermando così il bisogno di integrare arte e tecnologie avanzate. Zang Tumb Tuum è la prima raccolta di Parole in Libertà, del 1914, nel quale attraverso un’organizzazione spaziale di diverse espressioni tipografiche e ortografiche venivano espresse visioni, suoni e odori dell’esperienza del poeta a Tripoli. Parole in Libertà è la dichiarazione programmatica di Marinetti in cui tutte le tradizionali catene a cui è soggetto il linguaggio (lessico, produzione di significato, sintassi, grammatica) vengono rotte a favore di una pura azione puramente fonetica o grafica. F. T. Marinetti, Zang Tumb Tuum Pubblicazione sulla rivista Lacerba di una delle serate futuriste.
IL FUTURISMO Nel 1910 Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla e Gino Severini firmano il Manifesto dei pittori futuristi, seguito dal Manifesto tecnico della pittura futurista, nei quali si proclama la ribellione contro il passato e le tradizioni, la guerra contro l’accademismo e la pigrizia intellettuale, il disprezzo per l’imitazione, in nome dell’esaltazione per il nuovo. La nuova pittura deve essere aggressiva, rappresentare la frenetica attività delle grandi capitali, in grado di rendere il dinamismo frenetico della vita moderna. Un’ispirazione importante per i pittori furono le fotografie sequenziali di Marey, un medico francese che mise a punto le cronofotografie: in un’unica immagine, aprendo e chiudendo ritmicamente l’otturatore della macchina, veniva registrata una sequenza di movimenti successivi. Anche il fotografo inglese Muybridge aveva compiuto ricerche fotografiche sul movimento degli animali e delle persone, ricerche che vennero portate in Italia dallo studio fotografico romano dei F.lli Bragaglia. Nel 1912 venne firmato in Manifesto della Scultura futurista. Nonostante i programmi rivoluzionari e una teoria centrata sul culto della modernità, nella pratica però i Futuristi tardarono a rinnovarsi, rimanendo per qualche anno ancora legati a tematiche di ispirazione simbolista e ad una tecnica esecutiva divisionista (nello stesso periodo a Parigi il Cubismo era nella sua fase analitica). Nel 1911 Boccioni, Carrà e Russolo raggiungono Severini a Parigi, dove conoscono la scomposizione cubista e la valenza emozionale espressionista. La pittura futurista così apprende la scomposizione dell’oggetto e si libera della pennellata divisionista, seppure mantenendo le distanze dalla staticità tipica dell’arte cubista per proporre invece forme dinamiche. Permane inoltre, nella pittura italiana, una certa attenzione ai temi di forte spessore simbolico. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale alcuni esponenti del Futurismo partono per il fronte (Boccioni e S. Elia muoiono), altri prendono direzioni diverse. Il movimento perde la sua carica ideale e rivoluzionaria, il gruppo milanese si scioglie e il centro gravitazionale del movimento si trasferisce a Roma, con la nascita del secondo Futurismo. Il tema della velocità viene ancora ampliato nel Manifesto dell’Aeropittura (1929), in cui si scrive della percezione da un aeroplano, dal quale si coglie la sfericità del globo e la deformazione mutevole della veduta sottostante. I caratteri fondamentali sono un forte legame con la cultura post-cubista e costruttivista e, successivamente, l’adesione alle tematiche del Surrealismo. Fra i nuovi esponenti, riuniti sempre attorno a Marinetti, troviamo Gerardo Dottori, Enrico Prampolini, Fortunato Depero (che apre nel 1919 a Rovereto la “Casa d’Arte”, un’officina delle arti applicate. Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni, Severini
IL FUTURISMO Il maggior artista del Futurismo è Umberto Boccioni (1882-1916). Nato a Reggio Calabria da una famiglia romagnola, si forma prevalentemente a Roma, dove ha come maestro Giacomo Balla. Nel 1907 si trasferisce a Milano, dove conosce il divisionismo simbolista di Previati. La Città che sale è una grande tela che rappresenta un cantiere alla periferia di Milano; la città è protagonista, in quanto luogo della modernità. Viene generato un movimento tumultuoso dato dalle figure di uomini e cavalli che compaiono più volte e che si fondono con l’ambiente, secondo una “sintesi di ciò che si vede e ciò che si ricorda”. Il pulsare della vita è un flusso inarrestabile che ci coinvolge. In questa tela Boccioni elabora i suoi concetti di dinamismo e simultaneità attraverso la conoscenza e interpretazione della filosofia del francese Henri Bergson, secondo il quale l’universo è mosso da un’energia fondamentale: lo slancio vitale, che è un impulso a creare spontaneamente forme e situazioni sempre nuove e imprevedibili. Il tempo della vita è essenzialmente qualitativo, diverso dal tempo della scienza. «Dentro di me, si svolge un processo d'organizzazione o di mutua compenetrazione dei fatti di coscienza, che costituisce la vera durata». Nell’opera Materia Boccioni approfondisce un nuovo concetto di simultaneità, che mira a fondere totalmente gli oggetti con l’ambiente tramite la scomposizione nei loro elementi costitutivi e la rappresentazione delle linee-forza, generate dal loro moto interno. Umberto Boccioni, La città che sale, 1910-11 Olio su tela, cm 199x301. New York, MOMA Umberto Boccioni, Materia, 1912 Olio su tela, cm 225x150 Umberto Boccioni, Forme uniche della continuità nello spazio, 1913 Bronzo, cm 112x40x90
IL FUTURISMO Forme uniche della continuità nello spazio rappresenta l’idea della compenetrazione fra oggetto e ambiente. È la forma del corpo che si muove facendo tutt’uno con lo spazio nel quale si muove. Stati d’Animo è un trittico del 1912 eseguito in due versioni, definito da Boccioni come “il principio che muove l’emozione pittorica”. Tre sono i momenti: Gli Addii, Quelli che vanno, Quelli che restano. Nella seconda serie l’artista assimila la lezione cubista e la concezione degli stati d’animo assume valenza plastica, sviluppandosi nello spazio. Nella seconda versione de Gli Addii i volumi sono scomposti, e un vortice di abbracci (sempre lo stesso ripetuto) circonda una locomotiva. I piani si compenetrano, e la costruzione emotiva va al di là del tempo e del luogo. Il disordine visivo (rumori, confusione, tristezza) rinvia al disordine emozionale, alla sensazione di disagio e scompiglio dovuta alla separazione. Con lo scoppio della Grande Guerra Boccioni parte volontario e muore cadendo da cavallo nel 1916, durante un’esercitazione. Gli Addii Quelli che vanno Quelli che restano
IL FUTURISMO Giacomo Balla (1874-1958) si forma fra Torino e Roma, nella quale si trasferisce dal 1895. Presto aderisce agli ideali del Futurismo, tanto da firmare le sue opere come “Futurballa”. Il suo lavoro è incentrato soprattutto sulla rappresentazione del movimento nella sua continuità, quindi attraverso le tracce che questo lascia nello spazio. Nella Lampada ad Arco abbandona il tratto divisionista per usare pennellate a cuneo, che detonano i suoi interessi per la scomposizione della luce. La luce non è più naturale ma è il prodotto del progresso tecnico dell’uomo. “Uccidiamo il chiaro di luna”, aveva pronunciato Marinetti. Il Dinamismo di un cane al guinzaglio sembra una sorta di traduzione pittorica delle scoperte sul dinamismo fotografico di Marey, Muybridge e Bragaglia. Viene resa esplicita l’idea enunciata nel Manifesto tecnico della pittura futurista: “Per la persistenza dell’immagine nella retina, le cose in movimentosi moltiplicano [...]. Così un cavallo in corsa non ha quattro gambe: ne ha venti”. La sintesi del suo interesse per la luce, il movimento e l’accostamento dei colori si concretizza nella successiva serie delle Compenetrazioni iridescenti , che rivelano composizioni astratte, pure geometrie di colore. Giacomo Balla, Lampada ad arco, 1909-11 NY, MOMA Giacomo Balla, Dinamismo di un cane al guinzaglio, 1912 Giacomo Balla, Compenetrazione iridescente 4, 1912
IL FUTURISMO Un altro esponente del Futurismo è Carlo Carrà (1881-1966), il quale parte da un linguaggio divisionista per approdare a una pittura futurista, che cerca di rappresentare l’atmosfera che circonda l’azione (per esempio, i rumori della città). Manifestazione interventista è uno dei primi esempi di collage non figurativi. Rappresenta “il volteggiare di volantini lanciati da un aereo” sulla piazza del Duomo a Milano, nel corso della manifestazione. Linee rette si sovrappongono ad una spirale, quasi fossero onde che si propagano nell’aria. Il collage è composto da ritagli di giornale e da scritte realizzate a mano, con interventi a tempera. Le scritte riguardano parole o concetti che probabilmente venivano urlati dalla gente, all’indomani dell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, evento che scatenò la Grande Guerra. Compaiono scritte che ricalcano i rumori della strada, le voci della gente, e i termini Zang Tumb Tumb,che Marinetti aveva usato nelle sue Parolibere. Gino Severini, Danzatrice in blu, 1912 Gino Severini è allievo di Giacomo Balla, e si stabilisce a Parigi nel 1906; la sua pittura fonde elementi cubisti e dinamismo futurista, puntando alla ricerca della simultaneità sinestetica. Luigi Russolo si dedicò soprattutto alla musica; nel 1913 redige il Manifesto sull’arte dei rumori e costruisce macchine intonarumori (scatole con applicate trombe) con le quali esegue concerti futuristi che anticipano le sperimentazioni degli anni ‘60. I rumori e le casualità sonore vengono accettati come elementi musicali. Carlo Carrà, Manifestazione interventista, 1914 Tempera e collage su cartoncino, cm 38,5x30 Le macchine intonarumori di Luigi Russolo
IL FUTURISMO Enrico Prampolini è uno dei maggiori rappresentanti della seconda fase del Futurismo. La sua è un’arte polimaterica, composta da materiali diversi da quelli della tradizione, che anticipa gli esiti del secondo dopoguerra (in particolare l’arte di Alberto Burri). L’architettura futurista è legata al nome del comasco Antonio S. Elia, che nel 1914 pubblica sulla rivista Lacerba il Manifesto dell’Architettura futurista. Egli rifiuta la tradizione e la decorazione, in favore di una nuova atchitettura fondata sui nuovi materiali industriali. Muore giovanissimo sul fronte austriaco e lascia solo progetti, in parte utopistici e provocatori. Enrico Prampolini, Benguinage (Becchinaggio), 1914 Collage su legno, cm 18x22 Antonio S. Elia, La città nuova, 1914 Acquerello su carta, cm 45x35