DALLA MENTE MONOCULTURALE … … ALLA MENTE MULTICULTURALE COME DISPOSITIVO PER FAVORIRE L’APPARTENENZA INTERCULTURALE.

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DALLA MENTE MONOCULTURALE … … ALLA MENTE MULTICULTURALE COME DISPOSITIVO PER FAVORIRE L’APPARTENENZA INTERCULTURALE

Oltre il punto di vista “etico” e il punto di vista “emico” sulla cultura: la doppia natura della cultura

Il punto di vista “etico”: la psicologia cross-culturale o psicologia transculturale

La psicologia cross-culturale la cultura come variabile indipendente obiettivo: individuare le differenze fra culture metodo nomotetico.

la possibilità di tradurre le categorie di una Vantaggi la possibilità di tradurre le categorie di una cultura in quelle di un’altra cultura.

Limiti impiego di metodi quantitativi decontestualizzati combinazione additiva natura + cultura reificazione della cultura (cultura come dato, come “realtà superorganica”).

La psicologia culturale la cultura come matrice di significato “nella mente dei soggetti” obiettivo: comprensione di ogni singola cultura nella sua complessità e articolazione - metodo idiografico.

Vantaggi alla spiegazione si sostituisce la comprensione, con la creazione di modelli ermeneutici, interpretativi (costruzione di etnografie).

Limiti - assenza di controllo, e quindi di replicabilità - distorsioni interpretative - produzione di etnografie opache, non confrontabili.

La cultura “dentro” e “fuori” dalle menti: una dicotomia che ha attraversato le scienze umane, e soprattutto la psicologia, fin dalla sua nascita come disciplina scientifica.

Il legame fra mondo interno e mondo esterno oggi è letto in termini di “interdipendenza”, anziché di “interazione”.

La dicotomia fra “mondo esterno” e “mondo interno” non è sostenibile: la cultura è ovunque (concetto di doppia natura della cultura).

Come si realizza l’interdipendenza fra “esterno” e “interno”: - nasciamo e cresciamo in un luogo e in un tempo (un “ambiente”) che non scegliamo ma molto rapidamente ci adattiamo e modifichiamo quell’ambiente sociale, geografico, etc. (concetto di nicchia ecologica) - il nostro assetto cerebrale è modificato dall’esperienza.

La cultura penetra intrinsecamente in ciascuno di noi, e consideriamo “naturale” ciò che naturale non è: - non c’è una natura umana uguale per tutti, c’è senz’altro la specie umana, ma c’è un forte sfrangiamento in funzione delle culture (concetto di epigenetica) - non esiste un punto di vista metaculturale la cultura ci dà la vita, ma è un orizzonte dal quale non si può uscire tutte le culture, essendo dei punti di vista, hanno pari dignità e sono incommensurabili MA sono confrontabili.

La confrontabilità è garantita da: elementi di regolarità (livelli standard che danno prevedibilità e che si mantengono nel tempo) elementi di flessibilità (variazioni e differenze) dei modelli culturali

I modelli culturali I modelli culturali (sindromi) come matrici di significato condivise dai membri di una determinata comunità risiedono nella nostra mente (ma non solo): sono anche pubblici si fondano su script, ossia su schemi che la nostra mente impiega per capire e per definire la realtà sono dominio-specifici, ossia relativi a specifici domini di esperienza orientano la condotta come linee guida, non come moduli automatici.

I modelli culturali includono principalmente, le nostre credenze ma anche stereotipi e conoscenze.

L’apprendimento culturale I modelli culturali sono l’esito degli apprendimenti che facciamo entro la comunità di appartenenza: sono l’apprendimento degli apprendimenti. Apprendimento proposizionale, delle conoscenze, che genera stabilità. Apprendimento individuale e apprendimento sociale (apprendimento sociale attraverso la dinamica esperto/novizio). Tali apprendimenti funzionano come fattori di mediazione tra il soggetto e l’ambiente.

Gli artefatti secondari danno stabilità, gli artefatti terziari L’apprendimento culturale si traduce sempre in prodotti culturali: gli artefatti. Tre livelli di artefatti: primari (cultura materiale) secondari (cultura ideale) terziari (cultura espressiva). Gli artefatti secondari danno stabilità, gli artefatti terziari sono il motore di rinnovamento della cultura.

Essendo sempre esaustiva, una cultura tende a diventare autosufficiente, a porsi come la prospettiva unica per vivere la vita. Tre posizioni, e le rispettive implicazioni: l’oggettualismo: c’è una realtà ed è spiegabile indipendentemente dal soggetto conoscente (fondamentalismo) il costruzionismo: la realtà esiste nel momento in cui la conosciamo (relativismo culturale o panculturalismo) il realismo critico: vi è interdipendenza fra il soggetto conoscente e il fenomeno che studio (pluralismo).

Il realismo critico Il soggetto conoscente ha un punto di vista che applica a determinati fenomeni Con l’applicazione del punto di vista produco certe operazioni E le operazioni consentono il confronto Il realismo critico non esclude che esista una realtà e stabilisce una piattaforma di condivisione attraverso le operazioni Le conoscenze sono sempre mediate da operazioni, quello che noi chiamiamo esperienze, psicologiche, fisiche, culturali, che sono sempre azioni.

La cultura come realtà finita e la sfida del gioco interculturale Cultura come punto di vista sulla realtà che, per come è appresa, tende a diventare autosufficiente, e a porsi come la prospettiva unica per vivere la vita. tuttavia, pur essendo una realtà complessa, la cultura è una realtà finita, ossia ha dei confini, e i confini sono delle frontiere, che uniscono e dividono (psicologia della frontiera) Esiste una cultura in quanto ne esistono altre: il principio della relazione fra le culture è quindi il principio della connessione fra culture (tu sei italiano IN QUANTO, in relazione ad altri….) Allora si crea lo spazio interculturale e si apre la sfida della psicologia del confronto e della relazione.

Lo spazio interculturale come crocevia fra culture Lo spazio interculturale è il luogo psicologico in cui le persone con le loro forme culturali specifiche si conoscono, s’incontrano, si scontrano, mescolano e oppongono i loro atteggiamenti e credenze. Lo spazio interculturale è un luogo ricco di sentimenti, di emozioni, di difesa e di offesa, e di calibrazione dei rapporti interpersonali. Ma, soprattutto, è il luogo dove diventa possibile calibrare gli assetti futuri e gli scenari culturali futuri. Rimanda alla cultura come imbroglio e come invenzione: cultura non è un’entità concreta e definita una volta per tutte, ma qualcosa che si fa nel corso delle interazioni e degli scambi fra i soggetti e che consiste nel grado di accordo che essi riescono a trovare tra di loro.

La soluzione dei percorsi di acculturazione Per governare lo spazio interculturale sono stati elaborati diversi percorsi che hanno manifestato vantaggi ma anche limiti importanti: - omologazione/assimilazione entro la comunità dominante (è il caso dell’assimilazionismo francese)(l’omogenità/abolizione delle differenze sul piano pubblico; mantenimento dei modelli culturali della cultura d’origine sul piano privato). - comunitarismo: salvaguardia e conservazione delle diverse comunità culturali (le minoranze rischiano di essere segregate in nome della loro tutela e difesa) (è il caso della Germania, che offre la cosiddetta separazione assistita) - liberalismo tradizionale: sancisce la neutralità dello stato nell’ambito etico: la differenza rischia di trasformarsi in in-differenza (impostazione apparentemente egualitarista che è la premessa per l’apatheid e per il melting pot).

Limiti dei percorsi di acculturazione Entro tali percorsi, lo spazio interculturale è gestito prevedendo che la lente che abbiamo a disposizione per leggere la realtà sia una sola, e debba diventare più o meno rilevante, più o meno ‘potente’ a seconda degli ambiti in cui uno si trova. Tuttavia, il punto di vista di ciascuno di noi è difficilmente ‘estensibile’, come una molla. Non a caso, ci sono esiti (problematici) di marginalizzazione, di distanziamento dalla propria cultura d’origine (da parte della comunità minoritaria), o di negazione delle diversità, di attese più o meno consapevoli di omologazione (da parte della comunità maggioritaria).

Le soluzioni del multiculturalismo La gestione dello spazio interculturale è al centro anche del multiculturalismo che, con l’elaborazione di diverse prospettive, ha identificato i dispositivi che consentono a un individuo di vivere bene in culture diverse, adattandosi attivamente, di volta in volta, a una singola e specifica cultura: il liberalismo politico: il consenso per intersezione come modus vivendi contingente e instabile (Rawles, 1993); la cittadinanza multiculturale come dispositivo politico per l’attenuazione del rischio di conflitto fra culture: trattamento differenziato in funzione delle diverse culture (Kymlicka, 1995).

Limiti del multiculturalismo Si tratta di soluzioni “dall’alto verso il basso”, che fanno riferimento a una concezione statica e chiusa della cultura, ove la gestione della cittadinanza multiculturale rischia di essere articolata in senso meccanistico (spazio politico di convivenza non è della maggioranza, nè della minoranza, ma è un “terzo spazio” in transizione e in costruzione).

La mente monoculturale come prospettiva “al singolare” Si può ipotizzare che sia i percorsi di acculturazione sia le soluzioni proposte entro il multiculturalismo siano connesse con l’adozione di una prospettiva “al singolare”. Ciascuno di noi è cresciuto in uno specifico habitat culturale di significati e pratiche e possiede una mente allenata a funzionare solo o principalmente secondo i registri della propria cultura. E’ la mente monoculturale. Tale mente, che si è evoluta come strumento insostituibile per assimilare (e al tempo stesso costruire) i modelli culturali della società di appartenenza, rischia di diventare una gabbia che chiude anziché aprire nei confronti degli altri (teoria del mosaico culturale; Hannerz,1996). E oggi non è più sufficiente né in grado di gestire la complessità dei rapporti interculturali che animano la scena mondiale.

Cos’è la mente multiculturale Come nel caso del multiculturalismo, la prospettiva della mente multiculturale (Hong et al., 2000; Anolli, 2006) è centrata NON sull’integrazione fra culture diverse, ma sulla convivenza multiculturale, in un’ottica pluralista. A differenza del multiculturalismo, la prospettiva della mente multiculturale tiene a fuoco i processi e i dispositivi psicologici che consentono agli individui di vivere bene in culture diverse, adattandosi attivamente – di volta in volta – a una specifica cultura. La mente multiculturale quindi non né la somma né l’integrazione di culture differenti, ma è l’appropriazione di modelli culturali situati e distribuiti presso comunità diverse, in funzione dei quali essa sa declinarsi in modo differenziato in riferimento a vari contesti d’uso.

La mente multiculturale è: - una mente che è riuscita ad appropriarsi dei modelli culturali appartenenti a più culture diverse è in grado di impiegare tali modelli in modo flessibile in funzione degli indizi contestuali contingenti - mediante il processo di “spostamento di cornice culturale” (cultural frame switching; prospettiva del situazionismo dinamico, Lau, Lee, & Chiu, 2004).

I vantaggi della mente multiculturale Versatile: in grado di declinarsi efficacemente in riferimento a specifici contesti culturali (molteplici lenti interpretative) Aperta e complessa: capace di far fronte a diversi modelli di vita culturalmente situati (concezione pluralista dell’esistenza) Al plurale: sa interagire efficacemente con persone provenienti da culture diverse sul piano comunicativo (per esempio, come salutarsi, quanto essere espliciti nell’esprimere un disaccordo, come manifestare il proprio affetto), sul piano emotivo (come esprimere le diverse emozioni, dalla gioia, alla tristezza, alla collera, all’orgoglio), sul piano della condivisione delle norme morali, ecc.).

La mente multiculturale: evidenze empiriche Mente multiculturale come esperienza La mente multiculturale non è solo un costrutto teroico, ma anche l’elaborazione di esperienze di ragazzi che hanno vissuto in contesti biculturali: ragazzi cinesi nelle università americane a Hong Kong, adolescenti greci in Olanda, ragazzi messicani negli Stati Uniti (Hong et al., 2000; Verkuyten & Pouliasi, 2002; Padilla, 2006).

Uno stralcio dalla conversazione con un ragazzo biculturale “Quando ero a casa con la mia famiglia l’unica lingua che si parlava era lo spagnolo. Di fatto, era l’unica lingua che loro capivano. Tutto ruotava intorno al Messico, era tutto molto ‘messicano’, anche se i miei genitori volevano che imparassi davvero a parlare bene l’inglese…A scuola, però, era tutto diverso, e soprattutto io ero diverso perché erano tutti americani, me incluso, perché anch’io mi sentivo così. Poi, al pomeriggio, quando tornavo a casa, ritornavo un messicano a tutti gli effetti. Non mi sono mai sentito rotto o diviso, semplicemente stavo bene così. Ora che sono adulto, capisco di avere avuto una grande opportunità e una grande fortuna”.

La mente multiculturale: evidenze empiriche Mente biculturale e fatti cerebrali La mente biculturale si fonda su un cervello biculturale dinamico. Quando un individuo si appropria delle pratiche di una data cultura e agisce in modo conforme, anche il cervello si modifica di conseguenza (Kitayama & Thompson, 2010). Il modo di rappresentarsi il sé come inclusivo degli altri, o separato dagli altri segue, a seconda della sindrome culturale attivata, percorsi cerebrali differenti nel medesimo individuo (Ng, Mao, Han et al., 2010).

Tuttavia, la mente multiculturale non è un dono della natura… Si costruisce attraverso esperienze in cui si dà un senso condiviso ad attività e azioni strutturate che si fanno insieme. Tali esperienze di condivisione debbono essere ripetute e continue nel tempo. L’apprendimento culturale avviene solo in parte attraverso la trasmissione di conoscenze teoriche (concetti, idee) relative a come si comportano, cosa pensano individui di un’altra cultura piuttosto, avviene principalmente attraverso il fare esperienze concrete rispetto a specifici domini in cui sono collocati gli oggetti dell’apprendimento (cosa si fa quando ci si saluta, etc.).

…e richiede esperienze ripetute di condivisione di modelli culturali Tale processo avviene di norma ‘naturalmente’ in funzione degli scambi e delle opportunità di condivisione di senso fra soggetti di gruppi culturali differenti, tale per cui si genera un processo di ibridazione e di contaminazione fra aspetti e forme di vita provenienti da culture diverse, a volte anche molto distanti fra loro. E’ la cosiddetta creolizzazione culturale.

L’invenzione della lingua creola (dal pidgin come lingua franca estremamente semplificata generata dal contatto fra lingue diverse da parte di parlanti ciascuno dei quali non conosce la lingua dell’altro) come emblema del processo di creolizzazione culturale. La lingua creola come lingua nativa di una certa comunità che si arricchisce sul piano sintattico e grammaticale attraverso un processo di ibridazione di forme linguistiche tratte da entrambe le lingue.

La creolizzazione culturale è un processo di innesto culturale che favorisce la germinazione di espressioni nuove e diverse di cultura. Non è la traduzione da una cultura a un’altra alla ricerca di corrispondenze ed equivalenze. Piuttosto, è una mescolanza combinata di forme che in parte mantengono la loro configurazione originaria anche dopo l’azione di fusione e di combinazione; in parte, è un processo di reinvenzione che favorisce l’emergere di nuovi segmenti e propaggini culturali. Il presupposto di questa impostazione è che non esistano culture pure e vergini, incontaminate e ‘protette’, e pertanto non è pensabile un riferimento alla ‘propria’ cultura in senso statico e oggettualistico.

Piuttosto, la creolizzazione costituisce l’essenza dell’evoluzione culturale, in cui la produzione (come invenzione) e la riproduzione (come ripresa di forme standard) di schemi di comportamento e di scambio interculturale si fondono in continuazione. Entro questa prospettiva, quindi, la creolizzazione è condizione di vitalità e di sopravvivenza di una cultura, che si definisce e trova il proprio spazio solo nella gestione dei confini con alre culture. Il limite, tuttavia, della crelizzazione è che si tratta di un processo lento e lungo, pur essendo assai più rapido di quello biologico. Spesso sono necessarie, infatti, più generazioni per poter verificare i cambiamenti generati dagli scambi e dagli innesti culturali.

Entro questo quadro, diventa rilevante facilitare e accelerare l’appropriazione di una mente multiculturale. In che modo?