UNE MI ARA THESANS MENRVAS TURMUSC 'Benevolentiam impetro Dianae Minervae et Mercurii'
Italia parola greca usata dallo storico siracusano Antioco nel V secolo a.C. per definire una piccola zona dell’entroterra di Locri, nella punta meridionale dell’odierna Calabria. Questa definizione si estese col tempo tino a comprendere, nel IV secolo, anche la Puglia, la Campania e le aree interne osco-sannitiche. Quando poi il dominio romano raggiunse la pianura padana, passò ad indicare un territorio esteso fino al Po, come emerge dai testi di autori del III-II secolo a.C. (Plauto, Polibio).
Viteliù*** : non è un termine indoeuropeo La denominazione deriva probabilmente dal mitico re Italo, che qui si stabilì con il suo popolo oppure dal termine vitulus, «vitello»: i Greci, intatti, sarebbero rimasti impressionati dall’alto numero di allevamenti bovini rispetto a quello di capre e pecore.
Italia pre-proto-storica Un mosaico di popoli Le prime tracce della presenza umana in Italia risalgono all’età della pietra parti di scheletro rinvenute in provincia di Frosinone e di Forlì risalgono a circa 750.000 anni fa Homo erectus.
Homo sapiens viveva in piccoli gruppi, praticava caccia e pesca e la raccolta di quanto la natura produceva spontaneamente. Con il ritiro dei ghiacciai, circa 12000 anni fa al termine dell’ultima glaciazione, anche le valli alpine cominciarono a essere frequentate da gruppi umani sempre più consistenti.
Es. sito del Riparo Tagliente un anfratto sotto alte pareti rocciose nelle prealpi veronesi sono stati ritrovati manufatti in selce risalenti a oltre 40000 anni fa e pietre incise con raffigurazioni di animali Verona, Museo Civico di Storia Naturale
Il sito archeologico ricostruzione
6000 a.Ch.. la scoperta dell’agricoltura prime comunità di villaggio risiedevano stabilmente in una località, costruivano case di mattoni d’argilla, allevavano bestiame coltivavano in particolare orzo, frumento, farro, legumi. in Puglia risalgono al VII millennio circa perché l’agricoltura si diffonde da oriente
3000 a.Ch. L’età del rame Intorno al V millennio cominciò a diffondersi, a partire dal Vicino Oriente, la fusione del rame. La tecnica è difficile e il metallo raro e presente solo in determinate regioni: in molti casi venne dunque importato. Per questo fu considerato un bene prezioso e la sua presenza nelle tombe contraddistingue personaggi di alto rango
2000 a.Ch. l’età del bronzo gli insediamenti divengono ancora più stabili; in alcuni casi i centri abitati si circondano di cinte di protezione; si sviluppano i primi commerci a lungo raggio per procurarsi lo stagno. Nelle sepolture si coglie la differenza fra i vari strati della popolazione: i membri della classe dominante sono seppelliti con un ricco corredo di armi e oggetti in bronzo; alcune donne con preziosi monili. Si diffonde l’uso di tesaurizzare la ricchezza, accumulando in appositi ripostigli oggetti in bronzo, lingotti o pregiati manufatti, come pugnali e asce. In Italia l’età del bronzo vede l’emergere di culture particolari: delle palafitte in alcune regioni del Nord delle terramare in Emilia dei nuraghi in Sardegna. Appenninica, in varie forma, lungo la dorsale (vedi ad es. Sanniti)
I primi abitanti dell’Italia AUTOCTONI LIGURI (dal Piemonte a parte della Pianura Padana) SARDI (civiltà nuragica) SICANI ed ELIMI (in Sicilia) QUESTE ed altre sono definite Popolazioni pre-indoeuropee
I NURAGHI* Una cultura del tutto particolare si sviluppò in Sardegna dal secondo millennio fino alle invasioni romane. la popolazione era composta da contadini, ma soprattutto da pastori-guerrieri, che abitavano in villaggi di capanne situati per lo più su altopiani. In caso di pericolo essi si rifugiavano, insieme ai loro animali, dentro altissime torri di pietra a tronco di cono, chiamate nuraghi. se ne conservano circa 7000 in tutta la Sardegna
Dedalo l’abile architetto del labirinto di Minosse Il loro nome deriva probabilmente dal sardo nurra nel suo duplice significato di «mucchio» e di «cavità». All’inizio erano edifici isolati a forma di torre circolare, costituiti da grosse pietre squadrate con ampi spazi interni, percorsi da scale «a chiocciola» e con coperture a volta. verso la fine dell’età del Bronzo, a moltissime torri isolate si addossarono altre torri minori producendo schemi architettonici differenti, nei quali le diverse strutture erano unite tra di loro da mura rette o curvilinee. Le forme di questi villaggi che aderivano perfettamente alle asperità del terreno, erano le più diverse: a tre, quattro e anche sei lobi, dove i lobi erano dati dalle torri periferiche.
tempio Struttura di un nuraghe complesso Mereu Tombe a Dolmen
funzione di queste strutture varie sono le ipotesi fatte Fortezze, mausolei, trofei, silos più probabile, una funzione quotidiana e civile di questi edifici. Nelle torri si viveva e ci si rifugiava nei periodi di guerra. a fianco del borgo nuragico, il tempio (uno o anche due) e grandi complessi sepolcrali che per le loro dimensioni furono detti «tombe dei giganti». Dalla distribuzione dei villaggi nuragici si deduce che il territorio doveva essere diviso in tanti piccoli reami-stato.
Ma già prima del 1000 tracce della precolonizzazione micenea Dove, quando, chi? Italia meriodionale Sicilia Sardegna Emilia Toscana Lazio Nord e centro Italia Tutt’Italia 1600 circa a.Ch. 800-700 a.Ch. 900-700 a.Ch. 2000-1500 a.Ch. 600 Civiltà appenniniche palafitticole terremare villanoviani Colonizzazione greca Creazione dei primi empori fenici Poi insediamenti celti Prime migrazioni indoeuropee Ma già prima del 1000 tracce della precolonizzazione micenea
Una ipotesi di diffusione dei ceppi linguistici indoeuropei
2000-1000 circa: migrazioni indoeuropee 2000-1000 circa: migrazioni indoeuropee. Principali popolazioni insediate in Italia latini Lazio siculi Sicilia orientale veneti Veneto-Friuli umbri Italia centrale appenninica sabini Lazio meridionale sanniti Abruzzo, Molise, Campania piceni Marche-Abruzzo iapigi Puglia meridionale
Culture della media età del Bronzo
Palafitte Nella zona che corrisponde al Veneto, al Trentino e in parte alla Lombardia, vivevano, nell’età del bronzo, cacciatori e pescatori in villaggi di case di legno, sostenute da alti pali infissi nell’acqua di fiumi, di laghi o in terreni paludosi. Queste abitazioni, dette palafitte, consentivano di disporre di una costante riserva idrica e, allo stesso tempo, trovavano proprio nell’acqua un’efficace difesa contro l’assalto di nemici e animali selvatici.
Resti dei pali di fondazione dell’area palafitticola di Ledro
terramare In Emilia venivano costruite palafitte anche se il terreno era asciutto (ma molto ricco di umidità); poi gli abitanti le proteggevano scavando tutt’intorno al villaggio un fossato, riempendolo d’acqua. «terramare» da «terra marna», che in dialetto emiliano significa: terra grassa. costituita dalla decomposizione delle palafitte i contadini fino al secolo scorso la usavano come concime naturale, vi trovavano anche oggetti di bronzo.
Esempio di villaggio terramaricolo
Gli abitanti delle terramare coltivavano vari tipi di cereali (grano, orzo e miglio) (…lo sappiamo proprio dai resti dei pasti che gettavano poco elegantemente sotto il pavimento della terramara) allevavano pecore, capre e maiali Lo sappiamo dai resti di ossa e dagli escrementi furono tra i primi ad utilizzare il cavallo per il trasporto e la guerra. Resti di bardature-finimenti Erano abili produttori di ceramica e lavoratori del legno e dei metalli. Resti di cocci
Oggetti ritrovati nella terramara
Il museo all’aperto A Montale di Castelnuovo Rangone, a pochi chilometri da Modena, potete visitare un museo all’aperto dove è stato ricostruito un villaggio delle terremare dell’età del Bronzo. ritrovamenti
Nella prima età del ferro
La cultura villanoviana dal villaggio di Villanova vicino a Bologna Intorno al 1000 a.C. si assiste ad una nuova trasformazione. Nell’Italia centrale gli abitanti non vivevano più in palafitte ma in capanne; lavoravano ancora il bronzo, ma avevano imparato a conoscere il ferro.
Urna femminile Stele funeraria vasellame elmo
Ricostruzione di capanna villanoviana Askos, vaso rituale Ricostruzione di capanna villanoviana
Struttura della capanna Stele con abitazione
incinerazione. Adottavano anche un diverso rito funerario: deponevano le ceneri dei defunti in piccole urne di terracotta (raramente di bronzo) che riproducevano la forma delle capanne dove vivevano, oppure in urne a doppio cono, chiuse da un elmo per indicare l’uomo, da una ciotola per indicare la donna. La civiltà villanoviana si sviluppò in Emilia, Umbria, Toscana, alto Lazio e parte della Campania; venne gradatamente assorbita da quella etrusca che occupò all’incirca la medesima area geografica. Urna maschile Urna a capanna Urna femminile
I VENETI Illiria una popolazione di origine illirica si stanziarono nella parte orientale della pianura padana e nell’area prealpina (Este e Padova sono i centri principali); la loro cultura è vicina a quella villanoviana, come testimoniano i ritrovamenti nelle necropoli e nei santuari.
I popoli appenninici Lungo la dorsale appenninica vivevano tribù di pastori seminomadi, costretti a seguire pecore e capre nella transumanza Osco-Umbri nell’Italia centrale, nell’entroterra adriatico fino all’alto corso del Tevere. Sette tavole di bronzo ritrovate presso la città di Gubbio (di qui il nome di Tabulae Iguvinae) ci tramandano, in osco-umbro, i nomi delle divinità e alcune pratiche religiose. Sanniti Più a Sud vivevano Lucani e Bruzzi.
popolazioni italiche nel IV secolo a.C. Esempio di civiltà appenninica I sanniti Il territorio abitato dai Sanniti, nella parte centro-meridionale della penisola italiana, era chiamato dai suoi abitanti Safinim i quali designavano se stessi come Safineis. In latino Safinim divenne per assimilazione Samnium, da cui i Romani derivarono il termine Samnites per designare gli abitanti. I Greci li chiamavano Saunitai e la loro terra Saunitis (1). La tradizione antica vuole che popolazioni ataviche fossero immigrate in quelle terre dove precedentemente vivevano gli Opici o Osci (più esatto Oschi) e che ne avrebbero assimilato gradualmente gli usi e la lingua, l'Osco appunto. Si crede che fossero arrivati nel Sannio dalle terre limitrofe dei Sabini, di cui sarebbero stati i discendenti (2) ai quali, secondo Strabone "... si sono forse aggiunti coloni laconici e che per questo sarebbero di stirpe ellenica. Inoltre anche i Pitanati (gli abitanti di uno dei distretti di Sparta, ma anche di Taranto, colonia laconica della Megale Hellas) si sarebbero aggiunti ad essi. Sembra che questa spiegazione sia stata inventata dai Tarentini, che volevano così lusingare i loro vicini a quel tempo assai potenti ed insieme guadagnare la loro amicizia, dal momento che i Sanniti potevano mettere allora facilmente insieme 80.000 soldati di fanteria e 8.000 cavalieri ..." (Geo. VI,12). Le popolazioni osco-umbre, che includevano sia i Sanniti che i Sabini, si erano quindi sviluppate dalla fusione di abitanti del luogo con infiltrazioni indoeuropee ma, in seguito alla colonizzazione greca del sud della penisola italiana, anche mescolanze coloniali elleniche riconducibili agli ultimi periodi dell'Età del Ferro. Nel VII secolo a.C. esistevano ormai popolazioni distinte dalla primitiva radice comune umbra e nel VI secolo a.C., se non prima, il popolo storicamente noto come Sanniti deve essere stato chiaramente identificabile ed aver avuto il controllo incontrastato del Sannio. IL VER SACRUM Le ampie aree pianeggianti dai contorni limitati e modellati dalle pendici delle impervie montagne del Sannio favorirono quindi l'insediamento di queste popolazioni stanziatesi probabilmente a causa di un Ver Sacrum o Primavera Sacra, una manifestazione divinatoria attuata dalle popolazioni antiche e basata su emigrazioni forzate (3). Che vi sia stata all'inizio un'impostazione sacrale di tali riti sarà forse vero ma in seguito questa prassi si rivelò anche un ottimo metodo per diminuire la pressione demografica in talune zone della penisola favorendo la colonizzazione delle altre aree limitrofe. Analizzando le procedure dei riti sacri dedicati alle divinità dell'Olimpo italico è possibile intuire come venivano a formarsi le singole tribù sabelle. Ciò grazie anche alla tradizione tramandataci dagli scrittori antichi che descrissero come questo rituale religioso, il Ver Sacrum appunto, spingesse i popoli di lingua osca ad inoltrarsi sempre più lungo gli Appennini, discendendo periodica-mente alle pianure su entrambi i versanti. Secondo queste tradizioni il rito arcaico prendeva forma nel momento in cui avversità di carattere fisico come malattie e pestilenze oppure psicologico come il succedersi di avvenimenti negativi, spingessero una determinata tribù a sacrificare i primogeniti nati nel periodo primaverile al dio Mamerte (Marte). In verità il sacrificio consisteva nel rendere, coloro che dovevano essere sacrificati, dei sacrati ovvero persone offerte al dio in una forma però che rispettava sia l'idea del sacrificio sia le esigenze di crescita della tribù stessa. In questo modo tali individui vivevano fino all'età adulta come elementi particolari con un destino già segnato. L'obbligo era di lasciare il proprio gruppo di appartenenza per cercare nuove terre dove insediarsi, muovendosi sotto la guida di un animale sacro alla divinità. L'animale guida poteva essere rappresentato da un toro, un lupo oppure un cervo ed il gruppo emigrante lo seguiva nel suo errare e si stabiliva nel luogo che pensavano l'animale avesse indicato. A compiere questo genere di migrazioni dovettero essere in modo particolare quei guerrieri-pastori tipici di tante etnie mediterranee. Anche l'animale guida ha i suoi equivalenti: la sua esistenza è nota presso altre comunità indoeuropee. L'origine remota di tale pratica si può forse ricercare in qualche cerimonia connessa con la migrazione stagionale delle greggi. E' molto probabile che con il passare del tempo non si facesse più ricorso ad un animale reale ma i Sacrati marciassero sotto un vessillo su cui l'animale era raffigurato. Nelle tradizioni dei popoli oschi, l'inizio dei viaggi sacri cioè il punto geografico da cui partivano i Sacrati per colonizzare altri territori, era da identificarsi in un luogo della Sabinia in cui dimorava un oracolo nei pressi di una zona ricca di acque solfuree, probabilmente l'attuale Paterno tra Città Ducale e Antrodoco. In quelle terre una volta vi era stato un grande lago determinato dall'allargarsi del letto del fiume Velino, in mezzo al quale esisteva una verde isola galleggiante che era stata indicata anticamente da quell'oracolo ai profughi provenienti da Dodona, in Grecia, come il luogo dove fondare la nuova città di Cutilia. Il "laghetto sacro di Cutilia", nell'odierno territorio di Rieti, venerato per la sua isoletta natante e ritenuto dagli antichi come l'ombelico d'Italia (4), fu quindi il luogo da cui, secondo Festo, partirono 7000 Sabini con a capo Comio (o Comino) Castronio, guidati da un bove, l'animale sacro che avrebbe indicato la strada da seguire. Interpretando i segni divini che il bove, influenzato dal dio Mamerte (Marte per i Latini, Mamerte per gli Oschi ed Ares per i Greci) avrebbe manifestato, i Sacrati, dopo un lungo cammino, si fermarono nella terra degli Opici, presso un colle chiamato "Samnium" da quella gente, in un'area pianeggiante molto fertile e ricca d'acqua. Sempre secondo Festo, i Sanniti avrebbero tratto il proprio nome da quel colle. La figura di Comio Castronio che guidò i primi Sanniti nel loro futuro territorio acquisì con il passare del tempo l'aureola della miticità, tanto che l'immagine iconografica del condottiero-sacerdote che veglia il bove a riposo venne raffigurata nel I secolo a.C. come simbolo etnico sulle monete della Guerra Sociale. LE TRIBU' Il popolo sannita propriamente detto era formato dall'unione di quattro tribù, come spesso elencano gli scrittori antichi: i Pentri, i Carricini, i Caudini e gli Irpini. In seguito, forse con la nascita della Lega Sannitica come organismo di coordinamento militare già dal V secolo a.C., altre tribù stanzianti nell'Italia centrale si unirono ad essi. Tra queste i Frentani. La tribù che costituiva il cuore del popolo sannita era quella dei Pentri, che popolava il centro del Sannio nel territorio compreso tra la catena montuosa delle Mainarde a nord ed il massiccio del Matese a sud. Forti e temibili, erano la spina dorsale della nazione. Nell'ultimo periodo delle guerre contro Roma ressero quasi da soli l'urto degli eserciti consolari che si infrangevano contro le difese occidentali del Sannio. Città pentre erano Aesernia, Allifae, Aquilonia, Aufidena, le due Bovianum, Fagifulae, Saepinum, Terventum e Venafrum. I Carricini erano la tribù situata più a nord, stanziata nei territori meridionali dei monti della Maiella ai confini con i Peligni. Sembra essere stata la meno numerosa. Città carricine erano Cluviae e Juvanum. I Caudini erano i più occidentali e quindi i più esposti all'influsso greco della Campania. Dalla gran quantità di reperti di buona fattura trovati durante gli scavi archeologici si evince la notevole raffinatezza di vita e costumi in un periodo in cui altre popolazioni limitrofe, tra cui i Romani, erano lungi dal possedere lo stesso tenore di vita. Vivevano nel territorio compreso tra le montagne che delimitano la pianura campana, il Monte Taburno e i Monti Trebulani, nella valle del fiume Isclero e lungo il tratto centrale del Volturno. Tra le città caudine ricordiamo Caudium, Caiatia, Cubulteria, Saticula, Telesia e Trebula. Gli Irpini abitavano la parte meridionale del Sannio, nel territorio delimitato dalle vallate dell'Ofanto, del Calore e del Sabbato. Come i Caudini anch'essi usufruirono dell'influenza della vicinora civiltà della Magna Grecia. Gli Irpini erano chiamati uomini-lupo ed il loro nome deriva da hirpus che in osco significa "lupo". Tra le loro città principali ricordiamo Abellinum, Aeclanum, Compsa, Malies o Maloenton (chiamata Malventum dai Romani per le numerose sconfitte subite a causa dei Sanniti e, in seguito alla guerra contro Pirro e ad una memorabile quanto inaspettata vittoria dell'Urbe contro le schiere epirote nel 275 a.C. venne rinominata Beneventum) e Trevicum. I Frentani abitavano le terre di pianura che dalle falde appenniniche del Sannio arrivavano fino al mar Adriatico, tra i territori dei Marrucini a nord ed i Dauni a sud. Erano i territori più orientali sotto il controllo sannita e si estendevano per una fascia di circa 20 chilometri dalla costa verso l'interno. La maggior parte dei Frentani era per lo più dedita alla pastorizia ed all'agricoltura ed erano in prevalenza stanziati verso l'entroterra. Sapevano andar per mare ma non avevano una vera e propria flotta o almeno nulla ci è pervenuto dalle fonti storiche. Eressero centri abitati sulla costa e ne praticavano il controllo applicando dazi e tributi ai naviganti-mercanti che frequentavano i loro approdi. Secondo il geografo greco Strabone (V.4.2), costruivano le loro case adattando ad abitazioni sulla terraferma le carcasse delle navi naufragate. Città frentane erano Anxanum, Geronium (forse l'arcaica Maronea), Sicalenum, Uscosium e Larinum, quest'ultima, in verità, considerata una cittadina di "frontiera" cioè era formata da una cittadinanza mista composta sia da Pentri che da Frentani. Sulla costa, insediamenti frentani erano Buca, Cliternia, Histonium e Hortona. Secondo gli autori classici, erano sicuramente di stirpe sannita anche i Marrucini, i Lucani, ed i Campani. I Marrucini, stanziati a nord dei Frentani, avevano come capitale del Touto l'insediamento di Teate, l'odierna Chieti. I Lucani si insediarono, forse sempre a causa di un "Ver Sacrum", nei territori compresi tra gli Irpini e le colonie della Magna Grecia di Metaponto e Sibari. Occuparono le terre degli Enotri a sud e si spinsero a nord verso la Campania e le colonie greche di Poseidonia (Paestum) e della foce del fiume Sele. La lingua osca era la stessa ed osche erano anche le credenze e la religione. Uno dei più importanti santuari, quello di Rossano di Vaglio vicino l'odierna Potenza, era dedicato alla Mefite, una deità tutta sannitica. Ma con i cugini del nord non vi era molta unità d'intenti. Le vicende storiche tra i Lucani ed i touti dei "Sanniti settentrionali" sono state sempre segnate da alterni periodi di amicizia e di grandi divergenze createsi per problemi territoriali ed economici. I nascosti interessi romani verso gli sbocchi commerciali dell'Adriatico e dello Ionio, supportati da interventi militari celati sotto sembianze pacificatorie, divelsero totalmente qualsiasi rapporto tra Touti riuscendo ad aizzare l'uno contro l'altro i diversi gruppi territoriali, distruggendo così le antiche fratellanze. Questo inserirsi tra dispute "familiari" allo scopo di trarne vantaggio, portato avanti abitualmente e senza scrupolo dai Romani, riuscì persino con il popolo dei Campani, considerato una "costola" dei Sanniti ed affine ai diversi popoli oschi. Quando nel V secolo a.C. la Lega Sannitica si spinse verso i territori che dalle falde dei monti del Matese si aprivano fin verso le coste tirreniche controllate dalle colonie degli Etruschi e dei Greci, riuscirono a trasformare le sparse popolazioni indigene di quelle terre in una unità tribale. Elevarono la cittadina etrusca di Capua, da fortezza-granaio difesa da un popolo colonizzatore, alla capitale dei Campani, cacciando l'etnia etrusca a vantaggio delle popolazioni natie. I rapporti commerciali e di amicizia tra i touti stanziati e confinanti in quell'area vennero ad incrinarsi quando iniziarono a farsi pressanti gli interventi romani per la salvaguardia dei propri interessi economico-espansionistici verso il sud dell'Italia, con la nota tattica del "dividi et impera". LA SOCIETA' I Sanniti non hanno lasciato, o almeno non ci sono pervenuti, documenti o codici o semplici scritti che possono oggi aiutarci a descrivere il loro assetto sociale, politico ed economico. Solo le fonti classiche ci permettono, congiuntamente alle attività archeologiche, di ricostruire per grandi linee quella che poteva essere la vita quotidiana di questo antico popolo. Il Sannio, al pari di altre regioni, ebbe un processo di sviluppo alquanto lento fino al periodo delle guerre contro Roma. Il contatto con i Romani, o meglio lo scontro con i Romani, sviluppò e rafforzò molto la loro concezione politica di Stato e, di conseguenza, si ebbe una repentina rinascita della loro organizzazione sociale, come il contatto con gli Etruschi della Campania migliorò l'attività commerciale e lo sviluppo culturale, e la civiltà greca influenzò le convinzioni religiose. Nella società sannita non esistevano ricchezze concentrate nelle mani di pochi personaggi che calamitavano le attività produttive a discapito del resto della popolazione. Vi erano nuclei familiari particolarmente agiati che emergevano sulla massa contadina e dedita alla pastorizia e che spesso caratterizzavano determinati territori del Sannio, ma la loro agiatezza veniva ripartita con il resto della popolazione, quasi a sottolineare l'importanza che i legami di gruppo avevano nella mentalità politica sannita a discapito dei personalismi e delle sopraffazioni. Infatti non esistevano latifondisti o proprietari di grandi appezzamenti terrieri per il semplice fatto che i territori compresi nei "pagi" erano sfruttabili da tutti coloro che possedevano animali da far pascolare nelle enormi distese verdi degli altopiani appenninici, pagando all'amministratore statale dei luoghi il giusto compenso. Il declino dello "Stato Federale del Sannio" avvenuto in conseguenza delle guerre contro Roma, favorì l'adozione di un atteggiamento consono alla mentalità dei "nuovi amministratori" che propendevano verso un tipo di economia basata più sull'iniziativa individuale che su quella collettiva. Per Roma era più facile tassare un latifondista che una moltitudine di pastori. I Sanniti dovettero così adeguarsi per continuare a vivere in un mondo dove le antiche regole degli avi erano state abrogate. La schiavitù non dovette essere una pratica molto seguita proprio per il metodo in cui la società sannita era organizzata. Tutti avevano la massima libertà di affermare le proprie opinioni, tanto da criticare apertamente nelle assemblee i propri magistrati. Per questa ragione, i Sanniti ebbero una evoluzione sociale diversa rispetto alle altre popolazioni della penisola, un'evoluzione che portò queste genti a cognizioni politiche che rispettavano "in primis" la famiglia ed il territorio. Erano questi i fondamenti dell'ideologia politica sannita, e dalla famiglia con il suo territorio si giungeva all'idea di unità popolare e quindi di Stato. Sia il clima che la diffusione della pastorizia imponevano ai Sanniti l'uso di indumenti di lana che veniva lavorata dalle donne con il fuso per poi essere colorata e venduta. Gli ornamenti erano solitamente di bronzo, qualche volta d'argento o d'oro. La donna portava anelli, collane girocollo con pendenti e bracciali, come quelli con terminali riproducenti cerchi e spirali (chatelaine) ritrovati in molte sepolture sannite. L'uomo indossava bracciali bronzei con raffigurazioni varie, come animali e forme geometriche ed essendo particolarmente attento all'aspetto ed alla prestanza fisica, usava indossare candide tuniche strette alla vita con un cinturone metallico o di cuoio duro, portato in modo da permettere tutti i movimenti. Proprio il cinturone era l'emblema dell'uomo sannita, era il segno distintivo della raggiunta maggiore età. Aveva valenza sia civile che militare ed era formato da una lunga striscia metallica, cesellata e borchiata, chiusa con fermagli raffiguranti soggetti vari, anche mitologici. L'interno era foderato ed imbottito con cuoio o tessuto, fermato al metallo con ribattini e graffe. Numerosi sono i cinturoni ritovati nei corredi delle sepolture in tutto il Sannio. Erano ottimi guerrieri e usavano dimostrare la propria baldanza fisica con giochi di combattimento che avvenivano durante feste e banchetti ma anche in occasioni di manifestazioni funebri per la commemorazione di importanti personaggi. Di solito la lotta finiva con la messa a terra dell'avversario. A volte questi giochi servivano anche a scegliere i giovani migliori per maritare fanciulle di particolare bellezza, in modo da evitare contese sfocianti in modi molto più tragici. I Sanniti erano monogami ed alla moglie era affidato il compito di educare i figli e governare la casa. Era una società di tipo patriarcale. popolazioni italiche nel IV secolo a.C. Leggi le note
Il loro territorio I tratturi Ver Sacrum Le terre riconducibili alla permanenza sannitica costituivano una vasta area del territorio peninsulare, all'epoca delimitata a nord dalle pendici meridionali dei monti della Maiella e dalle terre dei Marsi e dei Peligni, al sud dai territori degli Iapigi e delle colonie greche, ad est dal Tavoliere delle Puglie e dalle coste adriatiche e ad ovest dalla Pianura Campana e dalle terre degli Aurunci, Sidicini e Latini. In effetti, essa è costituita da un territorio morfologicamente vario composto da pianure, altopiani e dorsali appenniniche, quest'ultime pur non essendo certo invalicabili, sicuramente rappresentarono un ostacolo al transito di gente e merci. Proprio questa particolare morfologia, che faceva del territorio sannitico una roccaforte difficile da insidiare, permise per molto tempo al popolo che l'abitava di controllare una gran porzione dell'Italia meridionale. Le ampie aree pianeggianti dai contorni limitati e modellati dalle pendici delle boscose montagne del Sannio favorirono anticamente l'insediamento di popolazioni stanziatesi a causa del Ver Sacrum, una manifestazione divinatoria attuata da tempi remoti da molte popolazioni italiche e basata su migrazioni forzate. A compiere questo genere di migrazioni dovettero essere in modo particolare quei guerrieri-pastori tipici di tante etnie mediterranee. I TRATTURI L'origine remota del Ver Sacrum va forse ricercata nelle cerimonie etniche connesse con la migrazione stagionale delle greggi. Coloro che partecipavano a queste migrazioni rituali erano considerati sacri alle divinità e per questo motivo chiamati "sacrati". Nel Sannio preesisteva allo stanziamento antropico, una rete di percorsi naturali tracciati dal continuo spostamento stagionale degli animali allo stato brado in cerca di pascoli. In effetti appare chiaro quanto questi arcaici percorsi degli animali abbiano potuto influire sulla scelta dei nuovi siti da parte dei sacrati. Con il tempo queste vie d'erba dovettero raggiungere una importanza tale per l'economia dell'epoca da spingere i Sanniti ad utilizzarle come assi principali della loro rete stradale, anche se non raggiungevano certo la larghezza (111 metri) che, a partire dal periodo medievale, ha contribuito a costituire un segno peculiare nel paesaggio abruzzese e molisano. L'analisi dell'inurbamento evidenzia, lungo i tracciati tratturali, l'accentrazione di numerose entità abitative a carattere stanziale, ma anche militare e diverse aree di culto. Questi centri anche di piccola entità favorivano il controllo delle attività e dei transiti che si svolgevano attraverso queste antiche vie della transumanza. Tramite questo capillare controllo dei traffici economici era possibile riscuotere le relative tasse che venivano versate periodicamente nell'erario del "Touto". Un tragitto in particolare sembra essere stato di fondamentale importanza per i Sanniti, antico fin oltre la loro formazione etnica, quello che dall'attuale Pescasseroli, ai confini tra l'Abruzzo ed il Molise, conduce a Candela nelle Puglie. L'importanza di questo tracciato naturale viene ad evidenziarsi considerando alcuni segni permanenti riscontrabili per la maggior parte solo su questo tratturo: attraversava la maggior parte delle zone dove sono ubicate le sorgenti di alcuni dei maggiori fiumi del Sannio e dove erano presenti importanti insediamenti anche a carattere religioso. Questo antico tratturo iniziava il suo tracciato dove un'enorme pianura, il Piano delle Cinque Miglia, fungeva da collettore di percorsi naturali minori appenninici. Nell'area è localizzata la sorgente del fiume Sangro e, ad occidente, la zona del tempio della Mefite nell'attuale area di Santa Maria di Canneto, nel cuore dei monti delle Mainarde. Dopo aver attraversato il territorio di Aufidena il tragitto proseguiva verso meridione dove, all'altezza del ponte della Zittola sul fiume Sangro, dava inizio ad un altro importante tratturo, quello di "Castel di Sangro-Lucera". I tratturi Ver Sacrum
Lingue dell’Italia antica VIII sec . circa
Celti, Fenici e Greci Tre popoli provenienti dall’esterno ebbero un ruolo importante nella storia dei popoli italici, a partire dal IX-VIII secolo a.C. Nell’Italia meridionale vennero fondate le prime colonie greche nello stesso periodo si affermava, nel bacino occidentale del Mediterraneo, la potenza fenicia attraverso la sua colonia Cartagine. I Cartaginesi stabilirono solide basi in Sicilia e Sardegna e trovarono l’alleanza degli Etruschi, a quel tempo la più potente delle popolazioni italiche. Venuti presto in urto con i Greci, che minacciavano il loro monopolio sulle rotte commerciali dell’Ovest, i Fenici ne bloccarono l’ulteriore espansione. Verso il 600 a.C. infine, un altro popolo, meno civile ed estremamente bellicoso, si affacciò dalle Alpi, portando saccheggio e devastazione fino alle porte di Roma: i Celti.
I Celti I contatti commerciali fra i Celti e le popolazioni italiche erano già avviati da tempo quando, verso il 600 a.C., i primi gruppi di Celti passarono i valichi alpini per stabilirsi nella nostra penisola. Nei secoli successivi, bande di Celti, desiderose di prede e di ricchezze, puntarono sui ricchi centri della valle del Po, che all’epoca si trovavano sotto l’influenza etrusca. Rappresentavano invasori temibili per la loro abilità e ferocia in battaglia (infatti erano ricercatissimi come mercenari). La loro organizzazione sociale era molto primitiva: funzioni giudiziarie e religiose erano affidate alla casta sacerdotale dei Druidi
toponimi Numerosi toponimi (nomi di luogo) ricordano una fondazione celtica, perlopiù attraverso la mediazione del latino. Milano (Mediolanum, semplificato da Medioplanum) deriverebbe dal celtico mid-ianda, «in mezzo alla pianura». Belluno, da bhel, splendente e dunum, fortezza. Bergamo, da bergh, monte e hem, casa. Brescia, da briga, colle. Bologna, da bona, castello, attraverso il latino Bononia. Ravenna, da rava, frana.
I primi celti in Italia Culture di Golasecca leponti insubri orobi
Le grandi invasioni del VI secolo a.Ch. Cenomani Brescia Boi, Senoni, Lingoni Bologna, Senigallia Nel 390 a.Ch. saccheggiano Chiusi e giungono a minacciare Roma