Le forme di intersoggettività L’implicito e l’esplicito nelle relazioni interpersonali
Nel corso della mia vita ho compiuto le mie ricerche in una prospettiva psicoanalitica, cercando di rinvenire i principi di base che governano la vita come processo creativo permanente. Tali principi, sono operativi a ogni livello di complessità, dagli organismi unicellulari alla coscienza umana. Col passare del tempo mi sono reso conto che un nucleo integrativo fungeva da sfondo alle mie attività: il mio Sé. E le domande: “Chi sono io?”, “Cosa voglio diventare?”, “Che differenza fa?” sono servite da stimolo a proseguire lungo un percorso che non sapevo dove mi avrebbe portato. LOUIS SANDER ha insegnato alla Boston University e alla University of Colorado. Partendo dalla psicoanalisi, Sander vi ha introdotto il punto di vista dinamico-sistemico, riformulando in veste nuova il punto di vista psicoanalitico.
…io non parto dal singolo individuo ma dai sistemi che si creano fra individuo e ambiente. Ludwig von Bertalanffy (1952) sostiene due suoi basilari, quanto misteriosi, principi: organizzazione e attività primaria. Tali caratteristiche dei sistemi viventi spiegano: come la complessità dei sistemi viventi si organizzi nell’unità, nella totalità integrata, dell’organismo, sia esso una creatura unicellulare o un essere umano; come l’impeto che dà energia al processo organizzativo debba venire dall’interno dell’organismo (e non sia imposto da fuori)
Gli approcci sistemico-relazionali non-lineari assumono che: il soggetto sia un «sistema aperto» in continua interazione con l’ambiente gli aspetti di processo sia primari rispetto a quelli di struttura l’individuo sia dotato di agency, in grado di «auto-organizzarsi», «di auto-regolarsi», di «auto-generare» un proprio mondo interno, un proprio universo di senso. Cfr. Spontaneità del Vero Sé (Winnicott): non c’è neppure bisogno di spiegare la spontaneità in quanto è implicita nel concetto di esperienza emotiva autentica (Meltzer) L’individuo è auto-etero-regolato → si parla di regolazione interattiva/bidirezionale, co-regolazione, regolarzione armoniosa/disarmoniosa ecc.
BAMBINO CAREGIVER
Il fattore a-specifico comune alle relazioni educativa, consulenziale, psicoterapica e, in generale, a ogni autentica relazione, risiede nella capacità di riconoscere, empatizzare e «divertirsi» con il «centro» dell’altro*, con quel nucleo di soggettività che corrisponde del Vero Sé in cui risiede la vitalità del soggetto, sempre «diveniente» e creativo mai definitivamente «divenuto» e creato E. Fromm parlava a tale proposito dell’importanza che in terapia si stabilisca un center-to-center relatedness, piuttosto che una conoscenza «intorno al paziente» (cfr. a tale proposito anche Bion: L/H/K vs –L/-H/-K) *cfr. la psicoterapia come un «giocare assieme» in Winnicott
Quando l’interazione «funziona», c’è senso di: benessere essere in contatto con incontro (cfr. «momenti incontro», Sander, Stern) sentirsi riconosciuto e esistere in quanto persona (Fairbairn) sense of fulfillment (senso di appagamento) (Tronick, 1998) si sperimentano momenti affettivi intensi (Beebe, Lachmann, 1994; Kernberg, 2005) Sander cita il gioco dello scarabocchio di Winnicott dove si raggiunge un «momento inviolabile» in cui il bambino sa di essere conosciuto → questa consapevolezza permette l’emergenza del Sé agente e di una coerenza fra dentro e fuori.
Tale interazione non è di tipo verbale, se non parzialmente, ma piuttosto è una «conoscenza relazionale implicita» (Lyons-Ruth, 1998) che opera «molto prima che sia disponibile il linguaggio e continua a operare implicitamente per tutto il resto della vita» e che non è mai completamente traducibile a livello linguistico. Anche a livello psicoterapico, una grande quantità di interazioni di svolge a livello implicito, preverbale, di interazione sistemica. Fogel parla della psicoterapia come di co-regolazione dei partner a partire da una concezione relazionale (non di input-output → cfr., in parte, processi di proiezioni/introiezione in M. Klein) Conoscenza relazionale implicita/procedurale ↔ conoscenza relazionale esplicita/semantica
Occorre pensare a una comunicazione di tipo musicale, ritmico, fatta di «risonanze» (Sander) e sfumature, sguardi e intese, «accoppiamenti strutturali» (Maturana, Varela): è un giocare assieme, una capacità di stare in contatto empatico.
Patologia vista come incremento dell’autoregolazione come esito del fallimento della regolazione interattiva Es. nell’esperimento del viso immobile di Tronick (vedi sopra) si assiste a un incremento nel bambino di comportamenti autoregolatori accompagnati da tristezza
rottura/riparazione (Tronick e Cohn, 1989) nel gioco faccia a faccia, madre e bambino passano continuamente da stati coordinati a stati non coordinati. Gli stati non coordinati sono molto più pervasivi e sono presenti per circa i 2/3 del tempo. attraverso ripetute esperienze di rottura e riparazione (normal stressful social engagement), il bambino diventa via via più capace di gestire rotture relazionali (Tronick, 2006) Per Tronick la riparazione è predittiva di un esito positivo dello sviluppo: l’esperienza di disgiunzione dalla madre e della successiva riparazione senza ritorsioni porterebbe allo sviluppo dell’organizzazione del Sé e della sua capacità di resistere allo stress relazionale, accrescendo la fiducia nella possibilità di riparazione e nella solidità del legame.
l’esperienza cronica del fallimento relazionale, di momenti mancati (Sander, 1995), come nel caso di madri depresse, fa sì che il bambino adotti uno stile di regolazione auto-diretta: il bambino si focalizza sul contenimento delle proprie emozioni negative, ritirando l’interesse e il coinvolgimento nei confronti dell’ambiente di cura vissuto come inaffidabile.
Es. la concezione di Fairbairn è sistemica: quando vi sono interazioni «cattive» (in cui cioè il bambino non si sente riconosciuto) quelle «parti» dell’Io del bambino che sono in relazione con l’oggetto cattivo si separano dall’Io centrale e smettono di evolvere. Ecco perché l’inconscio è fatto di «oggetti cattivi» e arcaici, ma anche di idealizzazioni e di desideri altrettanto arcaici (io libidico) che rappresentano pretese irrealistiche e primitive di soddisfacimento rivolte all’oggetto. Ora la domanda è: sono i fallimenti del caregiver ad aver generato la sensazione che l’oggetto è insoddisfacente o è l’eccesso pulsionale e le caratteristiche di sensibilità del soggetto ad averlo percepito tale? Lo spostarsi più sul versante della «sensibilità»/fantasie del soggetto comporta un pensiero più di tipo psicoanalitico.
Siamo delle turbolenze (Meltzer), vortici intensamente dinamici, potenzialmente caotici, ma dotati di «centro», di sostanziale e inalienabile capacità di «ritorno a sé». prospettiva dello sviluppo come di un processo non lineare, né armonico, né prevedibile A livello educativo non è importante correggere e intervenire solamente sulle possibili deviazioni del vortice quanto di assicurare a esso una capacità di ri-centrarsi tramite comunicazioni e rispecchiamenti empatici
La teoria della mente. La teoria della mente è intesa come la capacità di riconoscere gli stati mentali propri e altrui nonché di prevedere il comportamento a questi connesso. La capacità di riflettere sui propri stati mentali si sviluppa attraverso l’esperienza di essere stato compreso a propria volta […] l’incontro con la mente dell’altro significativo, una mente disponibile e accogliente, in grado di tollerare e contenere sentimenti positivi e negativi, si pone come pietra miliare dell’attaccamento di tipo sicuro rendendo il bambino capace di avventurarsi con fiducia nell’esplorazione della propria e altrui soggettività (Liverta Sempio).
Le due dimensioni dell’intersoggettività: “insieme con” e “distinti da”. (cfr. appartenenza vs individuazione) Il bambino gioca e la madre rimane sullo sfondo (cfr. base sicura di Bowlby, casa madre di Mahler ecc.), come quando il bambino sta solo intento a esplorare le proprie mani in presenza della madre impegnata in altre attività (Sander) Cfr. Winnicott/Balint: la madre permette al bambino di funzionare in maniera non integrata, permettendogli di esistere non in quanto in grado di attivare comportamenti «finalizzati», ma semplicemente, senza necessità di fare alcunché.
Beebe individua proprio nell’alternarsi di regolazione e adattamento il modo di formarsi del legame di attaccamento. Esso sarebbe il risultato di un processo co-costruito e non solo l’esito della generica sensibilità del partner nei confronti dell’altro o la riproduzione del modello proto-tipico infantile del legame ai genitori come nei tradizionali studi bowlbiani. Questa ipotesi spiegherebbe per Beebe la scarsa correlazione emersa fra la rappresentazione delle esperienze relazionali precoci, rilevate attraverso l’AAI, e i modelli di attaccamento al partner infatti, sebbene molti aspetti della relazione precoce sia ri-creati nel corso di nuove relazioni, su tale base i due partner co-costruiscono un loro specifico modello relazionale nel corso della relazione condivisa. Beebe vede proprio nella coordinazione vocale ritmica uno dei meccanismi non verbale che contribuiscono alla co-creazione dell’attaccamento e dei modelli di intimità anche nell’età adulta.