Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Facoltà di Giurisprudenza

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Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Facoltà di Giurisprudenza Economia delle Aziende, Pubbliche e Non Profit Evoluzione normativa e forme giuridico - organizzative del non profit Lezione del 23 aprile 2012 Prof. Luciano Hinna

Una sola espressione per tante realtà diverse Associazioni Fondazioni Comitati codice civile Società di mutuo soccorso (L. 3818/1886) IPAB (L. 6972/1890, L. 328/2000) Organizzazioni di volontariato (L. 266/1991) Cooperative sociali (L. 381/1991) ONG (L.47/1987) Associazioni di promozione sociale (L. 383/2000) Imprese sociali (D.Lgs 155/2006) Fondazioni di diritto speciale (familiari, bancarie, scolastiche, di culto, liriche, militari) NON PROFIT legislazione speciale Onlus (D.Lgs 460/1997) legislazione fiscale

Le origini Il non profit in Italia ha una tradizione antica, talvolta plurisecolare, molto spesso di gran lunga preesistente al costituirsi dello stato moderno Sin da epoca medioevale la grande tradizione cristiana e la dottrina canonica diedero l’impulso e fornirono la base teorica e giuridica per la costituzione di numerosissime associazioni, fondazioni, opere, sia religiose sia laiche

Prima dell’unificazione Le leggi piemontesi prescrivevano l'assoluto divieto di accumulare patrimoni nelle mani di organizzazioni private non profit, introducendo l’obbligo di richiedere l’autorizzazione statale per qualsiasi acquisto immobiliare, accettazione di lasciti o donazioni da parte degli enti morali

Dopo l’unificazione Il Parlamento promulgò la c.d. “Grande Legge sulle Opere Pie” (L. 753/1862), precedenti storici delle attuali IPAB (Istituti Pubblici di Assistenza e Beneficenza) Questa rappresenta una prima vera e propria disciplina completa in materia di organizzazioni non profit Sanciva una grande liberta di azione per le Opere Pie: principio di indipendenza degli istituti di beneficenza da ogni ingerenza e controllo statale

Legge 6972/1890 Negli anni successivi all’entrata in vigore della legge sulle Opere Pie si registrò un cambiamento del clima politico e prevalse la tesi di chi sosteneva il primato dell’intervento dello Stato La Legge 6972/1890, infatti, sancì la trasformazione delle Opere Pie da istituzioni private ad istituzioni pubbliche Nella stessa legge, vengono disciplinati gli ECA (Enti di Carità e Assistenza), sancendo la nascita della beneficenza pubblica statale Sancisce, inoltre, la soppressione di oltre la metà delle Opere Pie: passaggio del controllo del patrimonio dalla Chiesa allo Stato

Riforma del Codice Civile del 1865 Nei primi decenni del Novecento viene avviata la procedura di revisione dei codici risalenti al secolo precedente. In particolare la riforma del Codice Civile del 1865 porta alla formazione di un regime generale sulle associazioni e le fondazioni che viene tradotta nel Codice Civile del 1942.

La Costituzione: 1948 La Carta Costituzionale riconosce la dignità e la necessità delle formazioni sociali per la libera espressione della personalità umana (art. 2 Cost.) Le organizzazioni non profit ed in particolare le associazioni non riconosciute divengono il fulcro di numerose attività

Anni Settanta Viene avviato un processo di “depubblicizzazione” D.P.R. 616/1977: dispone la privatizzazione degli enti di assistenza integrativa, la soppressione degli enti pubblici senza funzioni residue, il mantenimento e la privatizzazione degli enti con struttura a base associativa e la cessazione di ogni pubblica contribuzione o sovvenzione per tutti gli enti privati operanti in materie regionali sentenza della Corte Costituzionale n. 396 del 1988: afferma la piena legittimità di istituzioni private che svolgono attività di interesse pubblico

Anni Ottanta e Novanta Si caratterizzano per il recupero del ruolo produttivo da parte delle aziende non profit aumenta il numero di le aziende non profit impegnate nella produzione diretta di servizi socio-assistenziali Si assiste ad una crisi del sistema pubblico di welfare, sempre più incapace di soddisfare una domanda di servizi crescente ed eterogenea, che porta allo sviluppo di associazioni non riconosciute e poi al proliferare delle cooperative (poco adatte all’attività di produzione di servizi sociali). Necessità di un riordino legislativo: Legge 266/91: legge quadro sul volontariato Legge 381/91: legge sulle Cooperative Sociali

Anni Ottanta e Novanta L’affermarsi dei diversi ruoli delle aziende non profit Ruolo di advocacy: tutela dei diritti delle fasce deboli di popolazione Ruolo di ri-allocazione di risorse Ruolo produttivo

Dal welfare state alla welfare society Stato Produzione Servizi pubblici Imposte contributi Sussidi defiscalizzazione Donazioni volontariato organizzazioni non profit produzione, riallocazione advocacy

La welfare society Nella welfare society la produzione e l'offerta di servizi sociali e sanitari è incentrata sulla pluralità dei soggetti Tale pluralità che non è solo numerosità ma anche varietà di tipologie organizzative, molteplicità dei contributi offerti

Le riforme più recenti Legge 328/2000: sistema integrato di interventi e servizi sociali Legge 118/2005: impresa sociale

Le principali forme organizzative del non profit

Premessa FORMA ORGANIZZATIVA ≠ FORMA GIURIDICA Forma organizzativa: ha a che fare con le modalità con le quali i singoli fattori della produzione sono posti in relazione di interdipendenza all’interno dell’azienda Forma giuridica: dipende da come la legge ha disciplinato un determinato fenomeno La nostra attenzione si concentrerà soprattutto sulle forme organizzative

Principali forme organizzative del settore non profit italiano VOLONTARIATO ORGANIZZATO (Legge 266/91) COOPERAZIONE SOCIALE (Legge 381/91) ASSOCIAZIONISMO PRO-SOCIALE (Legge 383/2000) IMPRESA SOCIALE (Legge 118/2005) FONDAZIONI (Legge 218/90)

Volontariato organizzato Le caratteristiche del volontariato organizzato in Italia si desumono dalla Legge n. 266 del 11 agosto 1991: Per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà (art. 2). Pertanto, esso si distingue dalle altre forme organizzative non profit per la centralità dell’orientamento all’altruismo e alla reciprocità, che si concretizza in un impegno gratuito e volontario volto a perseguire il valore della solidarietà.

Volontariato organizzato La legge istitutiva individua tre elementi centrali: Gratuità: in nessun modo il volontario può essere retribuito. Vi può essere personale non volontario retribuito qualora necessario, ma in misura non prevalente Solidarietà: in realtà sono previsti una molteplicità di settori di intervento che copre ogni iniziativa privata e fini non di lucro Organizzazione: la legge fa riferimento a strutture stabili ed organizzate, privilegiando l’azione organizzata a quella individuale e sporadica

Volontariato organizzato Le leggi regionali d’attuazione prevedono un catalogo di settori assai esteso per le attività di volontariato. Le organizzazioni non sono vincolate a una particolare forma giuridica, salvo il limite di compatibilità con lo scopo solidaristico. La legge sembrerebbe indirizzare verso forme di volontariato organizzato a discapito delle attività di volontariato svolte in forma individuale (ad es. molti dei benefici concessi dal legislatore presuppongono per struttura stessa l’esistenza di un’organizzazione). Per beneficiare dello speciale regime previsto dalla legge per il volontariato, le organizzazioni devono essere iscritte in appositi registri generali delle organizzazioni di volontariato predisposti dalle Regioni.

Cooperazione sociale Le caratteristiche della cooperazione sociale si desumono dalla Legge n. 381/1991: Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso: la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi (cooperative di tipo A); lo svolgimento di attività diverse finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate (cooperative di tipo B).

Cooperazione sociale Nella Cooperativa Sociale si “conciliano” una serie di fattori: Mutualità Imprenditorialità Economicità Solidarietà Partecipazione attiva dell’utente nella determinazione del servizio

Cooperazione sociale Definizione di persone svantaggiate, a condizione che il loro stato risulti da documentazione rilasciata da un’amministrazione pubblica: invalidi fisici, psichici, sensoriali; ex degenti di istituti psichiatrici; soggetti in trattamento psichiatrico; tossicodipendenti; alcolisti; minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare; condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione; soggetti indicati con apposito decreto dal Presidente del Consiglio dei Ministri.

Cooperazione sociale Nelle cooperative sociali di tipo A possono essere soci: soci ordinari che svolgono il servizio con retribuzione; soci fruitori o utenti dei servizi; soci volontari, il cui numero non può superare la metà del numero complessivo dei soci. Non è richiesto l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate né è esclusa la presenza di dipendenti che non siano soci

Non è comunque esclusa la presenza di dipendenti che non siano soci Cooperazione sociale Nelle cooperative sociali di tipo B possono essere soci: soci ordinari che svolgono un’attività retribuita; soci volontari, in numero non superiore alla metà del numero complessivo dei soci; soci lavoratori ossia “persone svantaggiate”, che devono essere socie della cooperativa, compatibilmente con il loro stato soggettivo, e che devono costituire almeno il 30% dei lavoratori (soci o non soci) della cooperativa. Non è comunque esclusa la presenza di dipendenti che non siano soci

L’associazionismo pro-sociale La legge 383/2000 introduce le “associazioni di promozione sociale”, che l’art. 2 definisce come quelle associazioni, riconosciute e non, i movimenti e i gruppi a condizione che siano costituiti per lo svolgimento di attività senza fine di lucro a favore di associati o di terzi (esclusi i partiti, sindacati e, in generale, le associazione che pongono limiti e discriminazioni all’ammissione degli associati). La legge sulle associazioni di promozione sociale individua nella forma associativa l’unica veste giuridica assumibile Inoltre, devono costituirsi con un atto scritto e avere necessariamente una denominazione, un oggetto sociale e una rappresentanza legale. Non possano avere fini di lucro e sono obbligate a reinvestire gli eventuali guadagni (art. 3).

L’associazionismo pro-sociale Le risorse economiche possono provenire da molteplici fonti: quote e contributi degli associati; eredita e donazioni, contributi statali e locali, finanziamenti dell’UE ed organismi internazionali; prestazioni di servizi convenzionati, ecc… Le associazioni di promozione sociale di livello nazionale (che operano in almeno 5 Regioni e 20 Province), devono registrarsi presso un registro nazionale, istituito presso il Dipartimento degli Affari sociali della Presidenza del Consiglio al fine di usufruire dei benefici previsti dalla Legge (art. 8).

L’impresa sociale Si tratta di una nuova tipologia di impresa non profit nata dall’introduzione della Legge 118/2005 e dai suoi decreti attuativi, in particolare il D.lgs. 155/2006 (Disciplina dell’impresa sociale); La legge 118 del 2005 definisce le imprese sociali come “organizzazioni private senza scopo di lucro che esercitano in via stabile e principale un’attività di scambio di beni e di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale”.

L’impresa sociale Le caratteristiche principali: 1. l’assenza di scopo di lucro (art. 3), ossia il divieto di redistribuire gli utili ai soci e, quindi, l’obbligo di reinvestirli nell’attività statutaria o nella destinazione per l’incremento del capitale sociale; 2. la realizzazione di attività di “utilità sociale”, come l’assistenza sociale, sanitaria, educazione, istruzione e formazione, tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, valorizzazione del patrimonio culturale, turismo sociale, ecc.; 3. la realizzazione di “finalità di interesse generale”, ossia il perseguimento di obiettivi e la realizzazione di attività ad alto impatto sociale.

Chi può acquisire lo status di imprese sociali? L’impresa sociale Chi può acquisire lo status di imprese sociali? 1. Gli enti descritti nel libro I del Codice Civile, e quindi le associazioni riconosciute (e non) e le fondazioni; 2. Gli enti rientranti nel settore non profit e che risultano regolati da leggi speciali, ossia le organizzazioni di volontariato, le organizzazioni non governative, le cooperative sociali, le associazioni di promozione sociale e le ONLUS; 3. Le società (incluse le cooperative) rientranti nel libro V del Codice Civile “che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale”.

L’impresa sociale Chi voglia acquisire lo status di “impresa sociale” deve registrarsi presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione e stabilita la sede legale e deve obbligatoriamente utilizzare, nella denominazione, la locuzione “impresa sociale”. Un elemento di grande novità riguarda l’obbligo di forme di partecipazione dei lavoratori e dei destinatari delle attività nell’impresa. Il lavoro nelle imprese sociali: deve essere corrisposto un trattamento economico almeno pari (e comunque non inferiore) a quello previsto dai contratti e accordi collettivi applicabili, ammettendo anche attività di volontariato, nei limiti del 50 per cento dei lavoratori impiegati nell’impresa.

Classificazione tradizionale La fondazione La caratteristica fondamentale della fondazione e costituita dalla centralità dell’elemento patrimoniale rispetto a quello associativo. Classificazione tradizionale Fondazioni di erogazione (grant-making): gestiscono e devolvono le rendite del patrimonio a vantaggio di determinati soggetti o enti; Fondazioni operative: svolgono direttamente attività e programmi al fine di realizzare gli scopi statutari.

La fondazione La fondazione è un’organizzazione dotata di personalità giuridica che, per volontà di un fondatore, amministra un patrimonio destinato a scopi socialmente rilevanti, e da ciò deriva il carattere di divieto di distribuzione degli utili che la caratterizza. È caratterizzata dalla coesistenza dell’elemento patrimoniale e dell’elemento organizzativo. L’atto costitutivo della fondazione è frutto della dichiarazione di volontà di uno o più fondatori di spogliarsi in modo definitivo della proprietà di un patrimonio per destinarlo a scopi di pubblica utilità, determinando la struttura organizzativa attraverso la quale si dovranno perseguire gli scopi istituzionali.

La fondazione Con la costituzione della fondazione si determina il “distacco” dell’ente dal fondatore, il quale non può più modificare lo scopo che in origine ha stabilito. La fondazione si costituisce attraverso un atto inter vivos (dichiarazione di volontà di uno o più soggetti) o mediante un atto mortis causa (disposizione testamentaria). La vita e l’organizzazione della fondazione sono regolate dallo statuto.

La tra diverse tipologie di fondazione, inoltre, esistono: La fondazione La tra diverse tipologie di fondazione, inoltre, esistono: Fondazioni di partecipazione: modello di fondazione che assomma alle prerogative della fondazione quelle dell’associazione e che potrebbe essere idoneo per consentire la collaborazione tra i settori pubblico e privato. Fondazioni di diritto speciale: si caratterizzano per delle particolarità rispetto alla disciplina civilistica soprattutto in materia di controlli e autorità vigilanti. Le principali fondazioni di diritto speciale sono: le “fondazioni di famiglia”, le “fondazioni assistenziali”, le “fondazioni di istruzione agraria”, le “fondazioni scolastiche”, le “fondazioni universitarie”, ecc.