COMPETENZE delle REGIONI A STATUTO ORDINARIO

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COMPETENZE delle REGIONI A STATUTO ORDINARIO

1) competenza LEGISLATIVA 2) competenza REGOLAMENTARE 3) competenza AMMINISTRATIVA 4) competenza FINANZIARIA 5) altre competenze STABILITE DALLA COSTITUZIONE

Competenza LEGISLATIVA LIMITI DELLA POTESTA’ LEGISLATIVA dello STATO e delle REGIONI -1) rispetto della COSTITUZIONE -2) vincoli dell’ORDINAMENTO dell’UNIONE EUROPEA (esempio: Regolamenti UE, direttive UE) -3) OBBLIGHI INTERNAZIONALI - art. 10 Cost.: Norme di diritto internazionale generalmente riconosciute - art. 11 Cost.: accordi di reciproca limitazione della sovranità - trattati internazionali -4) LIMITI TERRITORIALE (solo per le Regioni)

TIPI DI POTESTA’ LEGISLATIVA DELLO STATO E REGIONI Ai sensi dell’art. 117 Cost., la potestà legislativa può essere: ESCLUSIVA dello STATO (art. 117, comma 2°, Cost.) CONCORRENTE tra STATO E REGIONI (art. 117, comma 3°, Cost.) RESIDUALE della REGIONE (art. 117, comma 4°, Cost.) Criterio di ripartizione: A) per MATERIE: individuando espressamente all’art. 117 Cost. le singole materie rientranti nella competenza ESCLUSIVA DELLO STATO (2° comma) e nella competenza CONCORRENTE tra STATO e REGIONI (3° comma); B) RESIDUALITA’: sono di competenza delle Regioni le MATERIE che non sono tassativamente indicate nei commi 2° e 3° dell’art. 117 Cost.

1.1) POTESTA’ LEGISLATIVA ESCLUSIVA DELLO STATO materie espressamente indicate nelle lettere da a) ad s) dell’art. 117, comma 2°, Cost.. Tra le MATERIE rientrano: Diritto di asilo Ordinamento civile Immigrazione Ordinamento penale Sicurezza dello Stato Livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali Tutela della concorrenza Norme generali sull’istruzione Armonizzazione dei bilanci pubblici Legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane Ordine pubblico e sicurezza Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema Sistema tributario e contabile dello Stato Tutela dei dei beni culturali

materie espressamente indicate nell’art. 117, 3° comma, Cost.: - 1.2) POTESTA’ LEGISLATIVA CONCORRENTE tra STATO E REGIONI materie espressamente indicate nell’art. 117, 3° comma, Cost.: Rapporti internazionali e con UE delle Regioni Governo del territorio Commercio con l’estero Grandi reti di trasporto e navigazione Tutela e sicurezza del lavoro Ordinamento della comunicazione Istruzione, escluse: autonomia delle istituzioni scolastiche istruzione e formazione professionale Previdenza complementare e integrativa Professioni Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia Ricerca scientifica e tecnologica Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario Tutela della salute Valorizzazione dei beni culturali e ambientali Alimentazione Promozione e organizzazione di attività culturali Ordinamento sportivo Casse di risparmio e rurali a carattere regionale Protezione civile Enti di credito agrario a carattere regionale

Nelle materie di competenza CONCORRENTE: spetta alla LEGISLAZIONE DELLO STATO: determinare i PRINCIPI FONDAMENTALI (CD. LEGGI QUADRO o LEGGI CORNICE) spetta alla LEGISLAZIONE DELLE REGIONI: determinare il DETTAGLIO Legge n. 131 del 2003 (cd. Legge La Loggia) Art. 1 Attuazione dell'articolo 117, primo e terzo comma, della Costituzione, in materia di legislazione regionale. comma 3: Nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell'àmbito dei princìpi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti. Art. 3 Testi unici delle disposizioni legislative vigenti non aventi carattere di principio fondamentale nelle materie di legislazione concorrente.

Tra le principali materie: -1.3) POTESTA’ LEGISLATIVA RESIDUALE delle REGIONI Ogni materia non espressamente riservata alla legislazione esclusiva dello Stato o alla legislazione concorrente (art. 117, comma 4°, Cost.) Tra le principali materie: Turismo Istruzione e formazione professionale Commercio (escluso il commercio con l’estero) Fiere e mercati Industria Caccia Artigianato Pesca Miniere Polizia amministrativa locale Cave Servizi sociali

2) COMPETENZA REGOLAMENTARE Art. 117, comma 6°, Cost. : 2.1) spetta allo STATO: 2.1.a) nelle materie di legislazione esclusiva dello Stato 2.2.) spetta alle REGIONI: 2.2.a) in ogni altra materia (competenza legislativa concorrente e residuale) 2.2.b) delega alle REGIONI da parte dello Stato nelle materie di legislazione esclusiva dello Stato 2.3) spetta a Comuni, Province e Città metropolitana: in relazione alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite - Con la Riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 si è superato il principio di parallelismo delle funzioni (tendenziale collegamento tra funzione legislativa e funzione regolamentare). - STATUTO DELLA REGIONE VENETO: art. 19, comma 2: Il Consiglio regionale esercita la potestà regolamentare, salvo i casi in cui la legge regionale ne demandi l’esercizio alla Giunta regionale.

3) COMPETENZA AMMINISTRATIVA Art. 118, primo comma: “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.”; Art. 118, secondo comma: “I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.”.   STATUTO DEL VENETO: Art. 11, comma 4: I Comuni, anche in forma associata, esercitano la generalità delle funzioni amministrative. Art. 11, comma 5: Le Province esercitano le funzioni amministrative che richiedono un esercizio unitario nel territorio provinciale. Art. 11, comma 6: La Regione esercita esclusivamente le funzioni amministrative ad essa espressamente riservate dalla legge (statale o regionale).

4) COMPETENZA FINANZIARIA Stabilita dall’art. 119 Cost.: 4.1) le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. 4.2) le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principî di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. 4.3) le Regioni dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. 4.4) le Regioni hanno un proprio demanio e patrimonio (che produce reddito e deve essere amministrato) Principio di equilibrio di bilancio: la legge 243/2012 «Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione» di attuazione legge costituzionale 1/2012, all’art. 9 prevede che «i bilanci delle Regioni…si considerano in equilibrio quando, sia nella fase di previsione che di rendiconto, registrano: a) un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese finali; b) un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti».

-5) ALTRE COMPETENZE STABILITE DALLA COSTITUZIONE 5.1) art. 75 Cost.: richiesta di referendum abrogativo di una legge da parte di almeno 5 Consigli regionali; 5.2) art. 83 Cost.: nomina di 3 delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale per l’elezione del presidente della Repubblica; 5.3) art. 121 Cost.: proposta di legge alle Camere da parte del Consiglio regionale; 5.4) art. 127 Cost.: promuovere la questione di legittimità costituzionale (cd. ricorso in via principale) avanti alla Corte costituzionale verso una legge o atto avente forza di legge dello Stato o di altra Regione, entro 60 giorni dalla sua pubblicazione 5.5) art. 132 Cost.: i Consigli regionali sono sentiti nel procedimento di fusione o creazione di nuove Regioni o per consentire a Province e Comuni che ne facciano richiesta siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra; 5.6) art. 133, comma 1°, Cost.: la Regione è sentita per il mutamento di circoscrizioni provinciali e per la istituzione di nuove Province nell’ambito della stessa Regione; 5.7) art. 133, comma 2°, Cost.: la Regione con propria legge può, sentite le popolazioni interessate, istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni; 5.8) art. 138 Cost.: sottoporre a referendum le leggi di revisione della Costituzione o altre leggi costituzionali da parte di almeno 5 Consigli regionali.

COMPETENZA LEGISLATIVA ESERCIZIO della COMPETENZA LEGISLATIVA Esposizione del contenuto e dei limiti di alcune MATERIE: in ordine alfabetico, non di importanza: infatti per la Corte cost. “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro». Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona. (sentenza Corte cost. n. 85 del 2013) sulla base delle sentenze della Corte costituzionale

le MATERIE TRASVERSALI i PRINCIPI GENERALI 2 PREMESSE: le MATERIE TRASVERSALI i PRINCIPI GENERALI come limiti all’esercizio discrezionale del potere legislativo

1) le materie trasversali Tra le materie attribuite alla competenza esclusiva statale, ve ne sono alcune di carattere trasversale, che fanno riferimento non ad oggetti precisi, ma a finalità che devono essere perseguite e che pertanto si intrecciano con una pluralità di altri interessi, incidendo in tal modo su ambiti di competenza concorrente o residuale delle regioni (sentenza Corte cost. n. 171/2012). Si parla anche di materie- funzioni o materie-valori. Le principali materie trasversali sono: - tutela della concorrenza¸ materia che l'intendimento del legislatore costituzionale del 2001 ha lo scopo di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell'intero Paese (sentenza Corte cost. n. 14/2004); tale materia “si caratterizza dunque per la natura funzionale […] e vale a legittimare l’intervento del legislatore statale anche su materie, sotto altri profili, di competenza regionale (sentenza Corte cost. n. 345/2004); - tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, con riferimento alla quale la Corte costituzionale afferma che “non si può discutere di materia in senso tecnico, perché la tutela ambientale è da intendere come valore costituzionalmente protetto, che in quanto tale delinea una sorta di «materia trasversale», in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, anche regionali, fermo restando che allo Stato spettano le determinazioni rispondenti ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale” (sentenza Corte cost. n. 171/2012); - determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, non è una materia in senso stretto, ma “una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (sentenza Corte cost. n. 282/2004). Anche alcune delle materie di competenza concorrente presentano un carattere trasversale, che consente alla legislazione statale di incidere, sia pure solo con norme di principio, su materie rimesse alla legislazione residuale delle regioni. In particolare la materia del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario: per la Corte costituzionale costituiscono principi fondamentali della materia le norme che “si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi” (sentenza Corte cost. n. 193/2012).

2) i Principi generali Tra i principali: Principio di RAGIONEVOLEZZA Nel rispetto dell’art. 28 della legge 11 marzo 1953, n. 87 : “ Il controllo di legittimità della Corte costituzionale su una legge o un atto avente forza di legge esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento”, la Corte costituzionale ha ritenuto che «Uno scrutinio che direttamente investa il merito delle scelte del legislatore, è possibile soltanto ove l’opzione normativa contrasti in modo manifesto con il canone della ragionevolezza, vale a dire si appalesi, in concreto, come espressione di un uso distorto della discrezionalità, che raggiunga una soglia di evidenza tale da atteggiarsi alla stregua di una figura, per così dire, sintomatica di eccesso di potere e, dunque, di sviamento rispetto alle attribuzioni che l’ordinamento assegna alla funzione legislativa”» (sentenza Corte cost. n. 313 del 1995). Principio di UGUAGLIANZA E NON DISCRIMINAZIONE Secondo la Corte costituzionale «La valutazione della rilevanza delle diversità di situazioni in cui si trovano i soggetti dei rapporti da disciplinare non può non essere riservata al potere discrezionale del legislatore, salva l'osservanza dei limiti stabiliti nel primo comma dell‘ art. 3 della Costituzione, ai sensi del quale le distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali non possono essere assunte quali criteri validi per la adozione di una disciplina diversa.» (sentenza Corte cost. n.28/1957) Principio di PROPORZIONALITA’ Principio applicato dai giudici comunitari, secondo il quale nel sindacato giurisdizionale sull’esercizio della competenza da parte del legislatore comunitario chiamato a effettuare valutazioni complesse, il giudice deve limitarsi ad esaminare se esso non sia inficiato da errore manifesto o sviamento di potere o se il legislatore non abbia manifestamente oltrepassato i limiti del suo potere discrezionale. Verifica inoltre che il legislatore abbia fatto ricorso allo strumento che permette di ottenere l’obiettivo prefissato con il minor sacrificio possibile di altri diritti o interessi costituzionalmente protetti.

materia: AMBIENTE art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (competenza legislativa esclusiva dello Stato) Il giudice costituzionale precisa che «la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale “primario” ed “assoluto”, e deve garantire (come prescrive il diritto comunitario) un elevato livello di tutela, come tale inderogabile dalle altre discipline di settore. Si deve sottolineare, tuttavia, che, accanto al bene giuridico ambiente in senso unitario, possono coesistere altri beni giuridici aventi ad oggetto componenti o aspetti del bene ambiente, ma concernenti interessi diversi, giuridicamente tutelati. Si parla, in proposito, dell'ambiente come “materia trasversale”, nel senso che sullo stesso oggetto insistono interessi diversi: quello alla conservazione dell'ambiente e quelli inerenti alle sue utilizzazioni». In tali circostanze, «la disciplina unitaria di tutela del bene complessivo ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, in materia di competenza propria, che riguardano l'utilizzazione dell'ambiente, e, quindi, altri interessi. Ciò comporta che la disciplina statale relativa alla tutela dell'ambiente “viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza”, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevate nell'esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che vengano a contatto con quella dell'ambiente». È evidente che quando ci si riferisce all'ambiente, così come attribuito alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dalla lettera s) del secondo comma dell'art. 117 Cost., le considerazioni attinenti a tale materia si intendono riferite anche a quella, ad essa strettamente correlata, dell'“ecosistema”. Peraltro, anche se i due termini esprimono valori molto vicini, la loro duplice utilizzazione, nella citata disposizione costituzionale, non si risolve in un'endiadi, in quanto col primo termine si vuole, soprattutto, fare riferimento a ciò che riguarda l'habitat degli esseri umani, mentre con il secondo a ciò che riguarda la conservazione della natura come valore in sé. (sentenza Corte cost. n. 12/2009)

continua materia: AMBIENTE La Corte cost. sul tema della “tutela dell'ambiente” pone in evidenza i contenuti più rilevanti e le correlate precisazioni terminologiche. Il primo problema che si pone è quello della individuazione della materia di cui si tratta ed a tal fine per la Corte cost. occorre guardare all'oggetto della disciplina (statale o regionale), nonché alla sua ratio, confrontandola con l'elenco contenuto nell'art. 117 Cost. A proposito della materia “tutela dell'ambiente”, è da osservare che essa ha un contenuto allo stesso tempo oggettivo, in quanto riferito ad un bene, l'ambiente, e finalistico, perché tende alla migliore conservazione del bene stesso. L'individuazione nei termini appena descritti della materia tutela dell'ambiente pone in evidenza un dato di rilevante importanza: sullo stesso bene (l'ambiente) “concorrono” diverse competenze, le quali, tuttavia, restano distinte tra loro, perseguendo autonomamente le loro specifiche finalità attraverso la previsione di diverse discipline. Questo fenomeno evidenzia che, secondo il disegno del legislatore costituzionale, da una parte sono affidate allo Stato la tutela e la conservazione dell'ambiente, mediante la fissazione di livelli «adeguati e non riducibili di tutela» e dall'altra compete alle Regioni, nel rispetto dei livelli di tutela fissati dalla disciplina statale, di esercitare le proprie competenze, dirette essenzialmente a regolare la fruizione dell'ambiente, evitando compromissioni o alterazioni dell'ambiente stesso. In questo senso può dirsi che la competenza statale, quando è espressione della tutela dell'ambiente, costituisce “limite” all'esercizio delle competenze regionali. A questo proposito, è peraltro necessario precisare che, se è vero che le Regioni, nell'esercizio delle loro competenze, non debbono violare i livelli di tutela dell'ambiente posti dallo Stato, è altrettanto vero, che, una volta che questi ultimi siano stati fissati dallo Stato medesimo, le Regioni stesse, purché restino nell'ambito dell'esercizio delle loro competenze, possono pervenire a livelli di tutela più elevati, così incidendo, in modo indiretto sulla tutela dell'ambiente. Strettamente collegata alla tutela dell'ambiente è la tutela della salute, poiché è indubbio che la salubrità dell'ambiente condiziona la salute dell'uomo. È da sottolineare, comunque, che le due competenze hanno oggetti diversi: per l'appunto, l'ambiente e la salute, e che la fissazione, da parte delle Regioni, di livelli più elevati di tutela ambientale ai fini della tutela della salute umana solo indirettamente produce effetti sull'ambiente, che è già adeguatamente tutelato dalle norme statali. Tale possibilità è, peraltro, esclusa nei casi in cui la legge statale debba ritenersi inderogabile, essendo frutto di un bilanciamento tra più interessi eventualmente tra loro in contrasto. (sentenza Corte cost. n. 225/2009)

continua materia: AMBIENTE ALCUNI ESEMPI: 1) Secondo la giurisprudenza costituzionale, la disciplina della valutazione di incidenza ambientale (VINCA) sulle aree protette ai sensi di «Natura 2000», contenuta nell’art. 5 del regolamento di cui al d.P.R. n. 357 del 1997, deve ritenersi ricompresa nella «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», rientrante nella competenza esclusiva statale, e si impone a pieno titolo, anche nei suoi decreti attuativi, nei confronti delle Regioni ordinarie. In base al principio per cui le Regioni «non possono reclamare un loro coinvolgimento nell’esercizio della potestà legislativa dello Stato in materia di tutela ambientale, trattandosi di una competenza statale esclusiva» (sentenza n. 104 del 2008), la Corte ha affermato che nemmeno l’obiettivo di preservare rigorosamente aree di eccezionale valore ambientale sia sufficiente a legittimare l’intervento del legislatore regionale in materia di VINCA, «neppure con l’argomento dell’assicurazione per il suo tramite, in via transitoria o definitiva, di una più elevata tutela dell’ambiente» (sentenza n. 67 del 2011). Alla luce di tali orientamenti giurisprudenziali deve, a maggior ragione, escludersi che il legislatore regionale possa legittimamente adottare una disposizione che esenta alcune tipologie di interventi dalla valutazione di incidenza ambientale, con conseguente affievolimento della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. (sentenza Corte cost. n. 38/2015) 2) Secondo la giurisprudenza costituzionale, la disciplina dei rifiuti «si colloca nell’àmbito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., anche se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale (sentenza Corte cost. n. 269/2014) 3) La Corte costituzionale afferma, in due recenti decisioni (sentenze n. 70 del 2014 e n. 300 del 2013), che la disciplina delle procedure per lo smaltimento delle rocce e terre da scavo attiene al trattamento dei residui di produzione ed è perciò da ascriversi alla «tutela dell’ambiente», affidata in via esclusiva alle competenze dello Stato, affinché siano garantiti livelli di tutela uniformi su tutto il territorio nazionale. Nelle medesime decisioni, la Corte ha altresì chiarito che in materia di smaltimento delle rocce e terre da scavo non residua alcuna competenza – neppure di carattere suppletivo e cedevole – in capo alle Regioni e alle Province autonome in vista della semplificazione delle procedure da applicarsi ai cantieri di piccole dimensioni. (sentenza Corte cost. n. 232/2014)

continua materia: AMBIENTE 4) La Corte ha precisato che la disciplina degli scarichi in fognatura attiene alla materia dell’ambiente, di competenza esclusiva statale (ex plurimis, sentenze n. 187 e n. 44 del 2011). Di conseguenza, alle Regioni non è consentito intervenire in tale ambito, specie se l’effetto è la diminuzione dei livelli di tutela stabiliti dallo Stato (ex plurimis, sentenza n. 225 del 2009). La Corte ha inoltre precisato che la previsione del silenzio-assenso dell’amministrazione alla scadenza di un termine più breve, rispetto a quello stabilito dalla legislazione statale, per la decisione su istanze di autorizzazione, determina livelli inferiori di tutela in materia ambientale (ex plurimis, sentenza n. 315 del 2009), con conseguente illegittimità delle relative disposizioni regionali. (sentenza Corte cost. n. 209/2014).

materia: CONCORRENZA (TUTELA DELLA) - art. 117, secondo comma, lett. E), Cost. «TUTELA DELLA CONCORRENZA», (competenza legislativa esclusiva dello Stato) La giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare che la nozione di concorrenza di cui al secondo comma, lettera e), dell’art. 117 Cost. riflette quella operante in ambito comunitario e comprende: a) sia gli interventi regolatori che a titolo principale incidono sulla concorrenza, quali: le misure legislative di tutela in senso proprio, che contrastano gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati e che ne disciplinano le modalità di controllo, eventualmente anche di sanzione; b) sia le misure legislative di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese, rimuovendo, cioè, in generale, i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche (ex multis, sentenze n. 270 e n. 45 del 2010, n. 160 del 2009, n. 430 e n. 401 del 2007). In questa seconda accezione, attraverso la «tutela della concorrenza», vengono perseguite finalità di ampliamento dell’area di libera scelta dei cittadini e delle imprese, queste ultime anche quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi (sentenza n. 401 del 2007). Come questa Corte ha più volte osservato, «Si tratta dell’aspetto più precisamente di promozione della concorrenza, che costituisce una delle leve della politica economica statale e, pertanto, non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell’accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali» (sentenze n. 80 del 2006, n. 242 e n. 175 del 2005, n. 272 e n. 14 del 2004). Si è già precisato che la materia «tutela della concorrenza», dato il suo carattere «finalistico», non è una «materia di estensione certa» o delimitata, ma è configurabile come «trasversale», corrispondente ai mercati di riferimento delle attività economiche incise dall’intervento e in grado di influire anche su materie attribuite alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle regioni (sentenze n. 80 del 2006, n. 175 del 2005, n. 272 e n. 14 del 2004). Pertanto, in questa accezione «dinamica» della materia «tutela della concorrenza», – ricomprendente le misure dirette a promuovere l’apertura di mercati o ad instaurare assetti concorrenziali, mediante la riduzione o l’eliminazione dei vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e alle modalità di esercizio delle attività economiche –, è consentito al legislatore statale intervenire anche nella disciplina degli orari degli esercizi commerciali che, per ciò che riguarda la configurazione «statica», rientra nella materia commercio attribuita alla competenza legislativa residuale delle Regioni (sentenza della Corte cost. n. 299/2012)

materia: CULTURA - art. 117, secondo comma, lett. s), Cost. «TUTELA DEI BENI CULTURALI», (competenza legislativa esclusiva dello Stato) - art. 117, terzo comma, Cost.«VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI E AMBIENTALI E PROMOZIONE E ORGANIZZAZIONE DI ATTIVITA’ CULTURALI», (competenza legislativa concorrente Stato-Regioni) La tutela dei beni culturali, inclusa nel secondo comma dell'art. 117 Cost. sotto la lettera s) tra quelle di competenze legislativa esclusiva dello Stato, è materia che condivide con altre alcune peculiarità. Essa ha un proprio ambito materiale, ma nel contempo contiene l'indicazione di una finalità da perseguire in ogni campo in cui possano venire in rilievo beni culturali. Essa costituisce anche una materia-attività, condividendo alcune caratteristiche con la tutela dell'ambiente, non a caso ricompresa sotto la stessa lettera s) del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione. In entrambe assume rilievo il profilo teleologico della disciplina. Ai fini del discrimine delle competenze, ma anche del loro intreccio nella disciplina dei beni culturali, elementi di valutazione si traggono dalle norme del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e paesaggistici). Tale testo legislativo ribadisce l'esigenza dell'esercizio unitario delle funzioni di tutela dei beni culturali (art. 4, comma 1) e, nel contempo, stabilisce, però, che siano non soltanto lo Stato, ma anche le Regioni, le città metropolitane, le province e i comuni ad assicurare e sostenere la conservazione del patrimonio culturale e a favorirne la pubblica fruizione e la valorizzazione (art. 1, comma 3). (sentenza Corte cost. n. 232/2005).

continua materia: CULTURA Per la Corte cost., la materia concernente la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali”, affidata alla legislazione concorrente di Stato e Regioni, ricomprende senza dubbio nella sua seconda parte, nell'ambito delle più ampie attività culturali, anche le azioni di sostegno degli spettacoli. Nell'attuale sistema costituzionale l'art. 117, comma terzo, Cost., contempla la materia della “promozione ed organizzazione di attività culturali” senza esclusione alcuna, salvi i soli limiti che possono indirettamente derivare dalle materie di competenza esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma dell'art. 117 Cost. (come, ad esempio, dalla competenza in tema di “norme generali sull'istruzione” o di “tutela dei beni culturali”). Ciò comporta che ora le attività culturali di cui al terzo comma dell'art. 117 della Costituzione riguardano tutte le attività riconducibili alla elaborazione e diffusione della cultura, senza che vi possa essere spazio per ritagliarne singole partizioni come lo spettacolo. Questo riparto di materie evidentemente accresce molto le responsabilità delle Regioni, dato che incide non solo sugli importanti e differenziati settori produttivi riconducibili alla cosiddetta industria culturale, ma anche su antiche e consolidate istituzioni culturali pubbliche o private operanti nel settore (come, ad esempio e limitandosi al solo settore dello spettacolo, gli enti lirici o i teatri stabili); con la conseguenza, inoltre, di un forte impatto sugli stessi strumenti di elaborazione e diffusione della cultura (cui la Costituzione, non a caso all'interno dei “principi fondamentali”, dedica un significativo riferimento all'art. 9). (sentenza n. 255/2004)

materia: FORMAZIONE PROFESSIONALE - art. 117, quarto comma, Cost., (competenza legislativa residuale delle Regioni) Con l’entrata in vigore della revisione costituzionale dell’art. 117 Cost., la formazione professionale è divenuta oggetto di potestà legislativa residuale delle Regioni (sentenza n. 50 del 2005; in seguito, tra le altre, sentenze n. 269 del 2010, n. 250 del 2009, n. 213 del 2009, n. 328 del 2006). Il nucleo di tale competenza, che in linea di principio non può venire sottratto al legislatore regionale, perciò – al di fuori del sistema scolastico secondario superiore, universitario e post-universitario – cade sull’addestramento teorico e pratico offerto o prescritto obbligatoriamente (sentenza n. 372 del 1989) al lavoratore o comunque a chi aspiri al lavoro: in tal modo, la sfera di attribuzione legislativa regionale di carattere residuale viene a distinguersi sia dalla competenza concorrente in materia di istruzione (sentenza n. 309 del 2010), sia da quella, anch’essa ripartita, in materia di professioni (art. 117, terzo comma, Cost.), nel quadro della esclusiva potestà statale di dettare le norme generali sull’istruzione (art. 117, secondo comma, lettera n, Cost.). L’attività di «addestramento del lavoratore, per iniziativa di un soggetto pubblico e fuori dall’ordinamento universitario, finalizzato precipuamente all’acquisizione delle cognizioni necessarie all’esercizio di una particolare attività lavorativa» (sentenza n. 250 del 2009), inerisce tradizionalmente alle competenze delle autonomie territoriali, ed è stata oggetto di legislazione regionale finanche anteriormente alla revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione. Già la legge 21 dicembre 1978, n. 845 (Legge-quadro in materia di formazione professionale) aveva accolto, anche a tal fine, una nozione estremamente ampia di formazione professionale, intesa come l’insieme degli interventi «finalizzati alla diffusione delle conoscenze teoriche e pratiche necessarie per svolgere ruoli professionali e rivolti al primo inserimento, alla qualificazione, alla riqualificazione, alla specializzazione, all’aggiornamento ed al perfezionamento dei lavoratori, in un quadro di formazione permanente» (art. 2, comma 1). In seguito, l’art. 141 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59), al fine di ripartire le funzioni amministrative in materia di formazione professionale tra livelli di governo, ha ulteriormente ampliato la definizione della materia, affermando che «agli effetti del presente decreto legislativo, per “formazione professionale” si intende il complesso degli interventi volti al primo inserimento, compresa la formazione tecnico professionale superiore, al perfezionamento, alla riqualificazione e all’orientamento professionali, ossia con una valenza prevalentemente operativa, per qualsiasi attività di lavoro e per qualsiasi finalità, compresa la formazione impartita dagli istituti professionali, nel cui ambito non funzionano corsi di studio di durata quinquennale per il conseguimento del diploma di istruzione secondaria superiore, la formazione continua, permanente e ricorrente e quella conseguente a riconversione di attività produttive. Detti interventi riguardano tutte le attività formative volte al conseguimento di una qualifica, di un diploma di qualifica superiore o di un credito formativo, anche in situazioni di alternanza formazione-lavoro. Tali interventi non consentono il conseguimento di un titolo di studio o di diploma di istruzione secondaria superiore, universitaria o post-universitaria se non nei casi e con i presupposti previsti dalla legislazione dello Stato o comunitaria, ma sono comunque certificabili ai fini del conseguimento di tali titoli». (sentenza Corte cost. n. 108/2012)

materia: ISTRUZIONE - art. 117, secondo comma, lett. n), Cost. «NORME GENERALI SULL’ISTRUZIONE», (competenza legislativa esclusiva dello Stato) - art. 117, terzo comma, Cost.«ISTRUZIONE, SALVA L’AUTONOMIA DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE E CON ESCLUSIONE DELLA ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE», (competenza legislativa concorrente Stato-Regioni) Nella materia dell'istruzione si intrecciano «norme generali, princípi fondamentali, leggi regionali», oltre che «determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche». In tale contesto assume particolare importanza la individuazione di una precisa linea di demarcazione tra le “norme generali sull'istruzione” e i “princípi fondamentali” di tale materia, atteso che le prime sono espressive di competenza legislativa esclusiva dello Stato e i secondi di competenza, pure statale, ma nel quadro di una competenza di tipo concorrente con quella regionale. Al riguardo, prendendo le mosse dal complesso di disposizioni costituzionali e legislative qualificate espressamente quali norme generali sull'istruzione, alla luce dei principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte cost., può ritenersi che appartengono a tale categoria quelle disposizioni statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell'istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), nonché la libertà di istituire scuole e la parità tra le scuole statali e non statali in possesso dei requisiti richiesti dalla legge. In questo ambito si colloca anche la disciplina relativa alla «autonomia delle istituzioni scolastiche», facenti parte del sistema nazionale di istruzione, autonomia cui fa espresso riferimento il terzo comma dell'art. 117 della Costituzione. Le norme sin qui richiamate - che, dettando discipline che non necessitano di ulteriori svolgimenti normativi a livello di legislazione regionale, delineano le basi del sistema nazionale di istruzione - sono funzionali, anche nei lori profili di rilevanza organizzativa, ad assicurare, mediante la previsione di una offerta formativa sostanzialmente uniforme sull'intero territorio nazionale, l'identità culturale del Paese, nel rispetto della libertà di insegnamento di cui all'art. 33, primo comma, Cost. (sentenza Corte cost. n. 200/2009)

continua materia: ISTRUZIONE Appartengono, invece, alla categoria delle disposizioni espressive di princípi fondamentali della materia dell'istruzione, anch'esse di competenza statale, quelle norme che, nel fissare criteri, obiettivi, direttive o discipline, pur tese ad assicurare la esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale in ordine alle modalità di fruizione del servizio dell'istruzione, da un lato, non sono riconducibili a quella struttura essenziale del sistema d'istruzione che caratterizza le norme generali sull'istruzione, dall'altro, necessitano, per la loro attuazione (e non già per la loro semplice esecuzione) dell'intervento del legislatore regionale il quale deve conformare la sua azione all'osservanza dei principi fondamentali stessi. In particolare, lo svolgimento attuativo dei predetti principi è necessario quando si tratta di disciplinare situazioni legate a valutazioni coinvolgenti le specifiche realtà territoriali delle Regioni, anche sotto il profilo socio-economico. In questa prospettiva viene in rilievo sia il settore della programmazione scolastica regionale sia quello inerente al dimensionamento sul territorio della rete scolastica. In altri termini, la funzione dei principi fondamentali è quella di costituire un punto di riferimento in grado di orientare l'esercizio del potere legislativo regionale. La legislazione delle Regioni è adottata nell'ambito di scelte che, legate a valutazioni coinvolgenti le specifiche realtà territoriali delle Regioni, anche sotto il profilo socio-economico, operino nel quadro di una discrezionalità volta a garantire la diretta presenza delle Regioni medesime nella disciplina del servizio scolastico sul territorio, nel rispetto dei princípi fondamentali fissati dal legislatore statale, nonché, ovviamente, delle “norme generali sull'istruzione”. In questa prospettiva, dunque, la legislazione di principio svolge una funzione di coordinamento e collegamento tra il sistema scolastico nazionale, nella sua essenza strutturale, e gli ambiti di disciplina, connessi alle specificità territoriali, demandati alla competenza delle Regioni (sentenza Corte cost. n. 200/2009)

materia: PROFESSIONI art. 117, terzo comma, Cost. (competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni) Per quanto riguarda la materia “professioni”, la giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare che “compete allo Stato l'individuazione dei profili professionali e dei requisiti necessari per il relativo esercizio” (ex multis sentenza n. 271 del 2009) e che “l'attribuzione della materia delle “professioni” alla competenza dello Stato […] prescinde dal settore nel quale l'attività professionale si esplica e corrisponde all'esigenza di una disciplina uniforme sul piano nazionale che sia coerente anche con i principi dell'ordinamento comunitario“. Per la Corte cost. in particolare, non spetta alla legge regionale né creare nuove professioni, né introdurre diversificazioni in seno all’unica figura professionale disciplinata dalla legge dello Stato (sentenza n. 328 del 2009), né, infine, assegnare tali compiti all’amministrazione regionale, e in particolare alla Giunta (sentenze n. 93 del 2008, n. 449 del 2006). Infatti, la potestà legislativa regionale si esercita sulle professioni individuate e definite dalla normativa statale (art. 1, comma 3, del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30, recante norme in tema di ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell’articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131).” Per il giudice costituzionale “la potestà legislativa delle regioni in materia di «professioni» deve rispettare il principio secondo cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, e l'istituzione di nuovi albi è riservata allo Stato. Tale principio, al di là della particolare attuazione che recano i singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale (sentenza n. 230 del 2011)”.

continua materia: PROFESSIONI ESEMPI: La legge della Regione Veneto n. 19/2006 «INTERVENTI PER LA FORMAZIONE DEGLI OPERATORI DI DISCIPLINE BIO-NATURALI» era stata impugnata dal Governo innanzi alla Corte costituzionale per violazione dell’articolo 117, comma 3°, Cost. per non conformità al principio fondamentale affermato dalla giurisprudenza costituzionale e recepito dalla normativa statale di riferimento (decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30), secondo il quale l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e ordinamenti didattici, è riservata allo Stato. Con sentenza n. 300/2007 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’intera legge in quanto contrastante con i limiti che la potestà legislativa regionale deve rispettare nella materia concorrente delle professioni. La Corte ha ritenuto, infatti, che attraverso tali norme sia stata individuata una nuova figura professionale, in contrasto con il principio affermato dalla giurisprudenza costituzionale secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale. Quanto ai fisioterapisti, non è consentito alla legge regionale, a fronte di un profilo compiutamente descritto dal decreto ministeriale 14 settembre 1994, n. 741 (Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del fisioterapista), sulla base dell’art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), conferire una particolare specificità al fisioterapista sportivo, giungendo a richiedere a tal fine il conseguimento di un titolo rilasciato da enti pubblici o istituzioni sportive abilitate, in potenziale contrasto con le competenze attribuite sul punto al Ministro dell’università e della ricerca scientifica (art. 6, comma 3, del d. lgs. n. 502 del 1992). (sentenza Corte cost. n. 230/2011)

materia: SALUTE (TUTELA DELLA) art. 117, terzo comma, Cost. (competenza concorrente Stato-Regioni) Il “nuovo quadro costituzionale”, delineato dalla legge di riforma del titolo V della parte II della Costituzione, recepisce (…) una nozione della materia ‘tutela della salute’ “assai più ampia rispetto alla precedente materia ‘assistenza sanitaria e ospedaliera’” Rileva, in tale prospettiva, “la stretta inerenza che le norme presentano con l’organizzazione del servizio sanitario regionale e, in definitiva, con le condizioni per la fruizione delle prestazioni rese all’utenza (sentenza Corte cost. n. 54/2015) Esempi: - 1) La Corte cost. ha ribadito più volte che le disposizioni concernenti l’attività sanitaria intramuraria debbono essere ricondotte alla materia della «tutela della salute» (sentenza Corte cost. n. 54/2015). -2) Secondo la Corte cost., la competenza regionale in materia di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie private debba senz’altro essere inquadrata nella più generale potestà legislativa concorrente in materia di tutela della salute, che vincola le Regioni al rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato (sentenza Corte cost. n. 292/2012).

materia: SERVIZI SOCIALI art. 117, terzo comma, Cost. (competenza concorrente Stato-Regioni) Al fine di pervenire ad una delimitazione della nozione di “servizi sociali” è necessario fare riferimento, innanzi tutto, alla legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), la quale, all'art. 1, comma 1, nel fissare i principi generali e la finalità della legge, ha affermato che «la Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione». Il comma 2 del medesimo articolo dispone, inoltre, che per «interventi e servizi sociali si intendono tutte le attività previste dall'articolo 128 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112» (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59). Il richiamato decreto legislativo n. 112 del 1998, agli artt. da 128 a 134, disciplina le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla materia dei servizi sociali. In particolare, il comma 2 dell'art. 128 dispone che con tale nozione si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno o di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia. (sentenza Corte cost. n. 287/2004)

materia: TRIBUTI Art. 117, comma 2°, lett. e), Cost.: sistema tributario dello Stato = competenza legislativa esclusiva dello Stato Art. 117, comma 3°, Cost. : coordinamento sistema tributario= competenza concorrente La legge n. 42/2009 di delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, all’art. 7, comma 1, lett. b) stabilisce che: per tributi delle regioni si intendono: 1) i tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni; 2) le addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali; 3) i tributi propri istituiti dalle regioni con proprie leggi in relazione ai presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale. Il D.Lgs. n. 68 /2011, relativo a disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario, all’art. 8 stabilisce che: 1. Ferma la facoltà per le regioni di sopprimerli, a decorrere dal 1° gennaio 2013 sono trasformati in tributi propri regionali: la tassa per l'abilitazione all'esercizio professionale; l'imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo; l'imposta regionale sulle concessioni statali per l'occupazione e l'uso dei beni del patrimonio indisponibile; la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche regionali; le tasse sulle concessioni regionali; l'imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili (IRESA); 2. Fermi restando i limiti massimi di manovrabilità previsti dalla legislazione statale, le regioni disciplinano la tassa automobilistica regionale. 3. Alle regioni a statuto ordinario spettano gli altri tributi ad esse riconosciuti dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto. I predetti tributi costituiscono tributi propri derivati.

continua materia: TRIBUTI In base alla costante giurisprudenza della Corte costituzionale, i tributi regionali derivati e le addizionali, in quanto istituiti e regolati dalla legge statale, rientrano nella materia «ordinamento tributario dello Stato», che l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. riserva alla competenza legislativa statale, a nulla rilevando che il gettito sia attribuito alle Regioni. Osservazioni analoghe valgono per i tributi regionali «derivati», istituiti e regolati dalla legge statale ed il cui gettito è attribuito alle Regioni. La disciplina dei tributi «derivati» istituiti con leggi statali è riservata alla legge statale, con la conseguenza che, da un lato, il legislatore statale può introdurre norme non solo di principio, ma anche di dettaglio, e, dall’altro, l’intervento del legislatore regionale può integrare detta disciplina solo entro i limiti stabiliti dalla legislazione statale stessa (sentenza Corte cost. n. 121/2013) Per l’Avvocatura dello Stato, sarebbe erroneo ritenere che la natura di tributo proprio regionale (esempio dell’IRESA) precluda qualsiasi intervento da parte del legislatore statale. Infatti, i tributi regionalizzati previsti dall’art. 8, primo comma, del d.lgs. n. 68 del 2011, non sarebbero completamente assimilabili ai cosiddetti «tributi propri istituiti», previsti solo dalla legge delega sul federalismo fiscale e mai attuati. Mentre, infatti, questi ultimi sono tributi che le Regioni istituiscono direttamente con proprie leggi in relazione a presupposti non assoggettati ad imposizione erariale (art. 7, primo comma, lettera b), numero 3), della legge n. 42 del 2009), i tributi ai quali fa riferimento l’art. 8, sebbene disciplinati dalla normativa regionale, per effetto di una sorta di rinuncia da parte del legislatore statale, sarebbero comunque forme di imposizione introdotte dalla legislazione statale. (vedi sentenza Corte cost. n. 13/2015) Le entrate tributarie delle Regioni ordinarie derivano essenzialmente da addizionali a tributi statali, da quote di partecipazione al gettito di tributi statali e dall’intero gettito di tributi disciplinati dalla legge statale, con la possibilità di determinazione delle aliquote – entro limiti prefissati – da parte della Regione. Non consta, allo stato attuale della normativa regionale, la sussistenza di tributi regionali «propri» (nel senso di tributi istituiti e disciplinati dalla Regione). Le disposizioni regionali sono riferite ai tributi regionali c.d. «derivati», vale a dire istituiti e disciplinati con legge statale, il cui gettito sia attribuito alle Regioni (sentenza Corte cost. n. 32/2012).