I REGIMI DI DISEQUILIBRIO MACROECONOMICO

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Transcript della presentazione:

I REGIMI DI DISEQUILIBRIO MACROECONOMICO Capitolo 16 I REGIMI DI DISEQUILIBRIO MACROECONOMICO

Sotto le precise pre-condizioni che definiscono il modello di perfetta concorrenza– se sui mercati di tutti beni c’è equilibrio, allora l’insieme degli equilibri parziali dei mercati, dà luogo ad un equilibrio economico generale, che è Pareto-efficiente. Prendiamo in esame le politiche che cercano di correggere gli squilibri, ossia di intervenire quando i mercati non riescono a raggiungere l’equilibrio. Ricordiamo che –per la legge di Walras– non è possibile che in un sistema di N mercati, siano in equilibrio tutti tranne uno: se vi è disequilibrio sui mercati, allora devono essere in disequilibrio un numero di mercati strettamente maggiore di uno.

Il disequilibrio, pertanto, è un problema che coinvolge in genere l’intero sistema dei mercati, e difficilmente è circoscritto ad un sotto insieme di mercati. Il disequilibrio si configura quindi come un problema “di sistema”, più che di “singoli mercati”. Per affrontare la correzione dei disequilibri “di sistema” occorre quindi un approccio di sistema, o macroeconomico. E’ difficile trovare, nell’ambito della politica economica, chi sostenga che per correggere gli N disequilibri di mercato sia opportuno correggere singolarmente gli N mercati: al contrario, c'è largo consenso sul fatto che sia meglio adottare un approccio di sistema. Quale debba essere “l’approccio di sistema” è invece tema sul quale vi è un radicale conflitto ideologico. La politica macroeconomica è l’insieme delle misure volte a correggere le posizioni di squilibrio sistematico sui mercati, ossia lo squilibrio macroeconomico.

16.2 I quattro disequilibri possibili nel modello macroeconomico 2X2 In questo paragrafo prendiamo in esame un sistema economico nel quale vi siano: due soggetti, o gruppi di soggetti, ossia: (i) le famiglie (o consumatori-lavoratori) e (ii) le imprese; due mercati, ossia: (a) il mercato del lavoro e (b) il mercato del beni; inoltre, ipotizziamo che esista un terzo soggetto, il Governo, che però non svolge alcun comportamento attivo; inoltre ipotizziamo che esista un terzo bene, la moneta, il cui mercato, però, ipotizziamo che sia sempre in equilibrio. Le famiglie domandano beni e offrono lavoro. Le imprese domandano lavoro e offrono beni. Inoltre, la moneta è assunta come bene numerario, ossia come bene rispetto al quale sono espressi tutti i prezzi. Assumiamo anche che le funzioni di domanda e di offerta (dei beni e del lavoro) siano “ben fatte”: la domanda di beni è funzione decrescente di P, l’offerta dei beni è crescente in P; per il lavoro, la sua offerta è crescente in W, mentre la sua domanda è decrescente in W.

Figura 16.1 I quattro regimi di disequilibrio macroeconomico MERCATO DEL LAVORO Eccesso di Offerta Eccesso di Domanda MERCATO DEI BENI I IV II III

Ricordiamo altresì due caratteristiche delle situazioni di disequilibrio di mercato: quando sul mercato non c’è equilibrio fra domanda e offerta, la quantità effettivamente scambiata coincide con la minore fra quella domandata e quella offerta (questa è la cosiddetta “regola del lato corto”); (ii) inoltre, il soggetto che non riesce a realizzare i suoi piani ottimali, si dice “razionato”.

Illustriamo la situazione in ognuno dei quattro casi di disequilibrio teoricamente possibili. Il primo caso di disequilibrio possibile è quello in cui, sia sul mercato del lavoro, sia sul mercato dei beni vi è eccesso di offerta. Questo regime di disequilibrio viene denominato “regime di disoccupazione keynesiana”. (II) Il secondo caso di disequilibrio possibile è quello in cui sul mercato del lavoro vi è eccesso di offerta, mentre sul mercato dei beni vi è eccesso di domanda. Questo regime di disequilibrio viene denominato “regime di disoccupazione classica”. Per risolvere (o attenuare) gli squilibri del regime di disoccupazione classica sarebbe sufficiente un aumento dei prezzi e una diminuzione dei salari.

II Regime: disoccupazione classica - eccesso di offerta nel mercato del lavoro; - eccesso di domanda nel mercato dei beni Mercato dei beni Mercato del lavoro P W Q N Nel mercato la “mano invisibile” darà luogo a P e a W. L’intervento del policy-maker deve essere finalizzato a garantire la flessibilità di P e W rispettivamente nel mercato dei beni e nel mercato del lavoro.

I Regime: disoccupazione keynesiana - eccesso di offerta nel mercato del lavoro; - eccesso di offerta nel mercato dei beni Mercato dei beni Mercato del lavoro P W Q N Per Keynes se W C D Strumento D (anche grazie a G) Se w (come propone la teoria neoclassica) il danno si aggrava! (vedi crisi anni ‘30)

III Regime: inflazione repressa - eccesso di domanda nel mercato del lavoro; - eccesso di domanda nel mercato dei beni Mercato dei beni Mercato del lavoro P W Q N Basterebbe P e W (situazione tipica delle economie pianificate)

(III) Il terzo caso di disequilibrio presenta un eccesso di domanda sul mercato dei beni e un eccesso di domanda sul mercato del lavoro. Questo regime viene denominato “regime di inflazione repressa”. Questa situazione descrive bene ciò che succedeva nei Paesi con economie pianificate, ed in particolare nei Paesi dell’Europa dell’Est sotto l’influenza sovietica, fra il 1945 e il 1990. (IV) Il quarto caso presenta un eccesso di offerta sul mercato dei beni e un eccesso di domanda sul mercato del lavoro. In questo caso, si trovano ad essere razionate le imprese su entrambi i mercati: infatti esse non riescono a realizzare i loro desideri di offerta sul mercato dei beni, né i loro desideri di domanda sul mercato del lavoro. Questo regime viene denominato “quarto regime”. Si ritiene che il quarto regime rappresenti una curiosità teorica, ma ad esso non possa corrispondere mai una situazione reale.

16.3 Ancora su disoccupazione classica e disoccupazione keynesiana Posto che, in un dato e specifico contesto, la politica economica voglia ridurre la disoccupazione, la ricetta appropriata da mettere in atto, dipende dalla situazione che si accompagna alla disoccupazione. Non solo: attuare la ricetta “sbagliata” rispetto al contesto, non solo non porta a risolvere efficacemente il problema, ma anzi aggrava gli squilibri. Ad esempio, per risolvere (o attenuare) gli squilibri del regime di disoccupazione keynesiana, la riduzione dei salari (ricetta neoclassica) non solo è inefficace, ma è addirittura dannosa: una contrazione dei redditi delle famiglie, infatti, si tradurrebbe in un decremento della domanda di beni, con ciò aggravando lo squilibrio presente sul mercato dei beni, già afflitto da eccesso di offerta. Si noti che –così come attuare la ricetta neoclassica risulta dannoso in situazioni di disoccupazione keynesiana– simmetricamente, la ricetta keynesiana sarebbe dannosa in situazioni di disoccupazione neoclassica.

In alcuni periodi storici, la disoccupazione è stata sicuramente associata a regimi di disoccupazione keynesiana: è il caso della crisi degli Anni Trenta. In altri periodi, la causa della disoccupazione è stata quella classica: ad esempio, è largamente condivisa l’interpretazione che un eccessivo livello dei salari reali sia alla base dell’incremento di disoccupazione registrato all’inizio degli Anni Settanta nei Paesi dell’Europa occidentale, compresa l’Italia. E’ anche possibile che entrambe le motivazioni di disoccupazione, classica e keynesiana, coesistano.

16.4 Il disequilibrio keynesiano come equilibrio stabile di sottoccupazione: una precisazione terminologica. Nella tassonomia che abbiamo presentato, la disoccupazione keynesiana è stata definita come quel regime dove sul mercato del lavoro vi è eccesso di offerta, e sul mercato dei beni vi è pure eccesso di offerta. Tuttavia, trattando di questa situazione (che sarebbe poi stata definita di disoccupazione keynesiana), Keynes stesso parlò, in riferimento al mercato dei beni, anziché di eccesso di offerta (sul mercato dei beni), di “equilibrio stabile di sottoccupazione”.

La situazione è di disequilibrio, rispetto ai piani ottimali “walrasiani”, che non riescono a essere realizzati e pertanto i soggetti si trovano ad essere razionati, ossia in una condizione nella quale non riescono a realizzare le loro decisioni. Però, una volta che gli scambi sui mercati si realizzano (secondo la regola del lato corto), può succedere –e in questa situazione di fatto succede– che gli agenti ritengano che –dati i vincoli sulle quantità- le decisioni che hanno prese siano ottimali e quindi non vi è motivo per cambiarle; in altre parole, gli agenti si trovano ad essere in equilibrio. La situazione di equilibrio di sottoccupazione keynesiana (o regime di disequilibrio keynesiano) richiama da vicino la situazione di equilibrio di Nash Pareto-inefficiente, che si viene a stabilire in situazioni tipo “gioco del dilemma del prigioniero”. L’intuizione geniale di Keynes fu quella di suggerire che i soggetti, presi singolarmente, non avevano la possibilità di arrivare ad un accordo di questo tipo, e pertanto era necessario un intervento esterno, e nella fattispecie un incremento della domanda generato dal policy maker.

16.5 Una semplice modellizzazione del sistema macroeconomico, come un sistema di tre mercati Consideriamo un altro bene (e il corrispondente mercato): il bene di investimento. Consideriamo un sistema in cui vi sia: il mercato dei beni di consumo (dove le imprese costituiscono il lato dell’offerta e le famiglie quello della domanda); (b) il mercato del lavoro (dove le famiglie esprimono l’offerta e le imprese la domanda); (c) il mercato dei beni di investimento (dove le imprese sono nel ruolo di domandanti e le famiglie in quello di offerenti; per la precisione, le famiglie offrono le risorse per finanziare gli investimenti); rimane vero, inoltre, che esiste un altro mercato, sempre in equilibrio, che è il mercato del bene numerario, ossia la moneta.

Nella visione neoclassica, il raggiungimento dell’equilibrio sul mercato degli investimenti (come, peraltro, sul mercato di tutti gli altri beni) è legato alla flessibilità del prezzo di tale bene. Il prezzo del bene di investimento è denominato tasso d’interesse. Più nello specifico, la domanda di beni di investimento, da parte delle imprese, è una funzione decrescente del tasso d’interesse; in simboli, I=I(r), dove I indica la domanda d’investimento e vale . Circa il lato dell’offerta nel mercato dell’investimento, esso è rappresentato dall’offerta di risorse per finanziare gli investimenti, e questa altro non è che l’offerta di risparmio, effettuata dalle famiglie. L’offerta di risparmio (o offerta di risorse per gli investimenti) è assunta essere una funzione crescente del tasso d’interesse. In simboli: S=S(r), dove S indica il risparmio delle famiglie ed inoltre vale

Il meccanismo di aggiustamento walrasiano assicura –secondo i neoclassici– che questo mercato degli investimenti (come qualsiasi altro mercato) raggiunga la posizione di equilibrio. Pertanto nella visione neoclassica, il tasso d’interesse altro non è che il prezzo degli investimenti e la flessibilità di questa variabile assicura il raggiungimento di equilibrio su questo mercato, così come sul mercato degli altri beni.

La visione keynesiana contesta che l’eguaglianza tra investimenti domandati dalle imprese, da un lato, e risorse di risparmio offerte dalle famiglie, dall’altro lato, possa realizzarsi grazie agli appropriati aggiustamenti (walrasiani) del tasso d’interesse. Infatti, la visione keynesiana ritiene che sia corretto ipotizzare che la domanda di investimenti dipenda anche dal tasso d’interesse (oltre che da altri elementi, e segnatamente dalle aspettative delle imprese). Più nello specifico, il risparmio offerto dalle famiglie altro non è che la differenza fra redditi e consumi; i consumi, nel modello keynesiano, sono ipotizzati essere funzione del reddito (e non del tasso d’interesse), per cui il risparmio viene ad essere esso stesso funzione (crescente) del reddito. Pertanto, le funzioni di domanda di investimenti e di offerta di risparmio, nel modello base keynesiano, possono essere scritte nel modo seguente: I=I(r,ASP), S=S(Y), dove ASP indica le aspettative e dove i risparmi sono legati al reddito (e non al tasso d’interesse).

Data questa modellizzazione, non vi è più alcun meccanismo di tipo walrasiano che possa mettere in equilibrio il mercato degli investimenti. Non esiste più una variabile che possa svolgere il ruolo walrasiano del prezzo: domanda e offerta, infatti, non rispondono ad una comune variabile, il cui movimento è in grado di influenzare appropriatamente entrambe, ma rispondono a variabili differenti. Il radicale conflitto tra la visione neoclassica e la visione keynesiana sta nel fatto che, secondo i neoclassici, la flessibilità del tasso d’interesse è efficace per assicurare l’equilibrio del mercato degli investimenti, così come la flessibilità del salario è efficace per assicurare l’equilibrio del mercato del lavoro. Di contro, nella visione keynesiana, non vi è alcun meccanismo di aggiustamento basato sui prezzi che possa assicurare l’eguaglianza tra gli investimenti ottimali domandati dalle imprese e le risorse risparmiate dalle famiglie. Pertanto, non è la flessibilità dei prezzi a garantire il raggiungimento dell’equilibrio macroeconomico. Naturalmente, dalle diverse visioni descrittive derivano diverse implicazioni normative, circa le misure di politica economica da adottare per perseguire l’obiettivo dell’equilibrio macroeconomico.