Buco dell'ozono
Cos'è l'ozono L'ozono è una forma allotropica dell'ossigeno; infatti è un gas costituito da tre atomi di ossigeno (O3). Esso è presente in elevate concentrazioni in una fascia della stratosfera detta appunto ozonosfera, posta tra i 20 e i 50 km di quota. Anche se elevata rispetto al resto, la quantità di ozono presente nell’ozonosfera è in realtà bassa e, se portata al livello del suolo (dove la pressione atmosferica è maggiore che alle alte quote), formerebbe solo uno straterello che non riuscirebbe a superare l’altezza delle suole delle scarpe. Il suo peso molecolare è 48. La quantità di ozono su un punto della superficie terrestre è misurato in DOBSON UNITS (DU). Generalmente, vicino ai tropici e nelle zone alte, ci sono circa 260DU, sebbene ci siano grandi oscillazioni di stagione.
L'atmosfera
Cos'è il buco dell'ozono Si definisce comunemente buco dell'ozono la riduzione temporanea dello strato di ozono (ozonosfera) che avviene ciclicamente durante la primavera nelle regioni polari (la diminuzione può arrivare fino al 70% nell'Antartide e al 30% nella zona dell'Artide). Recentemente si è individuato un grave l'assottigliamento dello strato dell'ozono sopra il Polo Sud, divenuto talmente grande da far parlare di buco dell'ozono. Per estensione il termine viene utilizzato per indicare il generico assottigliamento dello strato di ozono che si è riscontrato a partire dai primi anni ottanta (stimata intorno al 5% dal 1979 al 1990). Lo strato di ozono funge da filtro per le radiazioni ultraviolette (raggi UV), trattenendo da solo circa il 99% delle radiazioni.
La formazione dell'ozono Lo strato di ozono intorno all'atmosfera terrestre si è formato in milioni di anni per effetto dell'attività delle alghe verdi-azzurre, a cui si deve anche gran parte dell'ossigeno attualmente presente nell'atmosfera. Lo strato di ozono ha consentito alla vita di lasciare le acque per conquistare le terre emerse senza subire le radiazioni ultraviolette solari ed è dallo strato di ozono che dipende la nostra stessa vita. L’ozono si forma prevalentemente nella stratosfera sopra le aree equatoriali e successivamente viene trasportato dai venti stratosferici verso le aree polari.
Le dinamiche del fenomeno Nella stagione invernale ai poli si crea un vortice d’aria fredda, la cui temperatura gelida porta alla formazione di nubi contenenti cloro. Più il vortice è freddo, maggiore è la formazione di nubi. Alla fine della primavera, il vortice si rompe, determinando un afflusso di aria ricca di ozono dalle zone tropicali. Prima di questo arricchimento di ozono, nella stratosfera antartica la sua quantità è diminuita per l’arrivo di aria proveniente dal basso. Infatti, alla fine di settembre, quando il Sole riappare all’orizzonte, la quantità di ozono nell’alta atmosfera si riduce drasticamente per poi tornare ai livelli normali. L’assottigliamento dello strato di ozono dipende dalla quantità di raggi UV che a primavera raggiungono la stratosfera polare e che scindono le molecole di cloro presenti nelle nubi, rendendole libere di reagire con l'ozono, e dall’intensità e dalle temperature del vortice polare e quindi dalla quantità di cloro che reagisce con l’ozono. Al Polo Sud, dove il vortice è più freddo e più intenso (perché meno disturbato dalle correnti oceaniche o dalla presenza di terre vicine), si hanno assottigliamenti maggiori rispetto al Polo Nord. In Valle d'Aosta e nelle regioni montuose i raggi UV sono più pericolosi che nelle altre zone per l'altitudine media del territorio, dove l'intensità dei raggi UV è maggiore, e perché la neve riflette le radiazioni.
La distruzione dell’ozono si verifica maggiormente al Polo Sud e non da altre parti, anche se al Polo Nord sussistono condizioni meteorologiche molto simili. Inoltre, nell’emisfero Nord vengono prodotti e liberati nell’atmosfera molti più prodotti inquinanti che nell’emisfero Sud. Gli scienziati, a questo proposito, ritengono che le reazioni che liberano il cloro dai CFC avvengano sulla superficie di corpi solidi i quali gli aghi di ghiaccio che si formano nelle sottilissime nubi della stratosfera sovrastante il Polo Sud e che mancano invece dalle altre parti del globo. Le basse temperature, intorno agli 80 – 90 gradi sotto lo zero che si riscontrano nella stratosfera antartica favoriscono ulteriormente le reazioni che coinvolgono il cloro. Se non ci fossero le nubi stratosferiche e se le temperature fossero un po’ più alte, gli ossidi dell’azoto presenti a quelle quote bloccherebbero il cloro impedendogli di aggredire le molecole di ozono.
Il ciclo dell'ozono La continua costruzione e demolizione di molecole di ozono è regolata dalle REAZIONI di CHAPMAN: O2 + radiazione UV -> O + O 2O + 2O2 -> 2O3 O3 + radiazione UV -> O2 + O O2 + O -> O3 Con una serie di reazioni successive l’ozono viene quindi generato, distrutto e rigenerato, sempre ad opera di radiazioni ultraviolette, fino a quando un atomo di ossigeno non incontra un altro atomo di ossigeno libero col quale formare una molecola di O2 stabile. O + O -> O2 Gli strati di ozono formati nella stratosfera da queste reazioni sono chiamati STRATI di CHAPMAN. L’energia contenuta nei raggi ultravioletti viene utilizzata per spezzare le molecole di ossigeno e quelle di ozono con reazioni che producono calore che si disperde nell’ambiente circostante. L'equilibrio di queste reazioni fotochimiche è facilmente perturbato da molecole che possono interferire, come i composti clorurati, i bromurati e gli ossidi di azoto prodotti dall'attività antropica, ma in particolar modo i clorofluorocarburi o CFC.
Le cause cause naturali: nubi di cloro che si formano nei vortici e eruzioni vulcaniche, che emettono diverse particelle che possono interagire con l’ozono, tra cui acido cloridico, aerosol e cloro; ODS, Ozone Depleting Substances (sostanze che distruggono l’ozono), molto stabili nella troposfera e si degradano per l’intensa azione della luce ultravioletta, rilasciando bromo e cloro monoatomico: CFC(clorofluorocarburi), costituiti da cloro, fluoro e carbonio. Stabili (75-100 anni di vita), non tossici né infiammabili e facili da liquefare per poi farli tornare alla stato gassoso; HCFC (Idroclorofluorocarburi), contenenti cloro, di impatto minore rispetto ai CFC; gas Halon o Bromofluorocarburi, costituiti da bromo (molte volte più efficace nella distruzione della fascia di ozono del cloro), fluoro e carbonio; idrogeno, fortemente sospettato di interagire con l'ozono nella stratosfera. Poco denso e raggiunge quindi più rapidamente dei CFC e HCFC gli strati più alti dell'atmosfera. metilcloroformio e il tetracloruro di carbonio (comuni solventi industriali); composti volatili costituiti da atomi di cloro o bromo.
Per avere un’idea quantitativa degli effetti causati dai composti ODS è stato concepito il potenziale di eliminazione dell’ozono (ODP, Ozone Depleting Potential), un numero che si riferisce all’ammontare della riduzione dell’ozono causata da un composto ODS. L’ODP viene determinato sulla base del numero di atomi di cloro e di bromo presenti nella molecola, dal tempo totale di permanenza nell’atmosfera e dai meccanismi implicati nella sua degradazione. L'ODP è il rapporto tra l’impatto sull’ozono di un composto chimico e l’impatto causato dal CFC-11 avente la stessa massa della sostanza presa in considerazione. Così, l'ODP del CFC-11 è definito pari a 1.
La reazione chimica distruttiva Il meccanismo della reazione è il seguente: CFC + raggi UV → Cl + FC Cl + O3 → ClO + O2 ClO + O3 → ClO2 + O2 ClO2 + raggi UV → Cl + O2 Il monoatomico cloro si rigenera alla fine del ciclo, quindi può ripetere la sequenza di reazioni e reagire con altre molecole di ozono prima di disperdersi. Esso infatti è altamente stabile e si stima che una molecola di cloro possa trasformare in ossigeno 40 000 molecole di ozono.
Conseguenze L'assenza dell'ozono fa venire meno il filtro naturale nei confronti dei raggi UV solari, che in piccole dosi ci abbronzano e ci forniscono l’energia necessaria per la sintesi della vitamina D, ma in dosi più elevate provocano gravi danni: danni agli occhi; crescita del rischio di cancro della pelle e mutazioni nel DNA delle cellule epiteliali; inibizione della fotosintesi clorofilliana, con conseguente minore crescita delle piante, diminuzione dei raccolti e minore produzione di fitoplancton oceanico (il primo anello della catena alimentare marina) ; riscaldamento degli oceani al punto da rendere impossibile ogni forma di vita. Si è calcolato che una diminuzione dell’1% dell’ozono nell’atmosfera comporterebbe un aumento medio del 2% dell’intensità delle radiazioni che raggiungono il suolo. Se non ci fosse l’ozonosfera soltanto alcuni insetti con esoscheletro riuscirebbero a resistere ai raggi UV in un mondo desertico e privo di verde.
Risoluzioni Per limitare i danni prodotti dal cloro bisogna innanzitutto eliminare dal mercato i CFC, i principali fornitori di cloro. Per poter fare ciò è necessario prima provvedere alla sua sostituzione con qualche composto simile e meno pericoloso. Perciò sono già stati realizzati dei prodotti sostitutivi dei CFC con meno cloro ma altrettanto efficaci. La sfida tuttavia è anche trasferire nuove tecnologie nei Paesi del terzo mondo. Se ad esempio Indiani e Cinesi portassero a termine i loro piani di costruzione di milioni di frigoriferi utilizzando i CFC, l’immissione di questi prodotti nell’atmosfera si moltiplicherebbe in breve tempo. Naturalmente non si può nemmeno impedire a miliardi di persone di nutrirsi meglio e di raggiungere un maggiore benessere.
Le decisioni in sede internazionale 1985: i rappresentanti dei Paesi industrializzati si riunirono a Vienna e l'anno successivo a Ginevra; 1987: fu firmato il Protocollo di Montreal, che imponeva la riduzione della produzione di CFC della metà entro il 2000. Gli USA erano anche propensi ad un taglio netto della produzione di CFC mentre gli Europei tergiversavano e i Paesi del terzo mondo erano contrari a qualsiasi limitazione della produzione e dell'utilizzazione dei CFC; 1989: 34 Nazioni di tutto il mondo si accordarono per ridurre del 50% i consumi mondiali di CFC entro il 1998 e gli USA e l’UE dichiararono che avrebbero cessato la produzione dei 5 più comuni CFC entro il 2000. La decisione venne poi condivisa a Londra nel 1990 da altri 90 Paesi, grazie anche alla costituzione di un fondo per sostenere la conversione dai CFC ad altri prodotti; 1991: altri Paesi si impegnarono a cessare la produzione di CFC entro il 2010 perché il buco dell’ozono si riduceva velocemente; 1992: accordo di Copenaghen: fu prolungato il controllo della produzione industriale di molti idrocarburi fino al 2030; 1995: accordo di Vienna: i Paesi della comunità europea bloccarono la produzione dei principali CFC, tranne per una quantità limitata per usi essenziali, come spray per medicazione.
Se si chiude il buco dell'ozono. Per la scienza è ancora un mistero Quando si chiuderà il buco dell'ozono Se si chiude il buco dell'ozono. Per la scienza è ancora un mistero Le previsioni sostengono che entro pochi decenni dovrebbe tornare a livelli di prima degli anni '70. Con quali effetti? Repubblica — 24 aprile 2009 ROMA - Il buco nell'ozono si va richiudendo. Durante l'inverno australe di 3 anni fa aveva raggiunto il record per dimensioni (circa 9 volte la superficie dell'Italia) e durante l'ultimo inverno era solo di poco più piccolo (25 milioni di km/quadrati contro i 27 del 2006-07). Si prevede ora che in pochi decenni esso dovrebbe tornare a livelli che si registravano prima degli anni '70. Uno degli elementi di cui bisognerà tener conto nel momento in cui il buco dell'ozono dovesse tornare effettivamente a richiudersi è il fatto che, come testimonia una ricerca del British Antarctic Survey e della Nasa, il buco nell'ozono ha una particolare influenza sulla crescita dei ghiacci in alcune aree attorno al continente antartico, dove numerose lingue di ghiaccio marino crescono anziché diminuire, come avviene nel resto del pianeta. "Abbiamo potuto verificare che la minor quantità di ozono degli anni scorsi - dice John Turner, responsabile dello studio - ha alterato la circolazione dei venti che ruotano attorno all'Antartide e questo ha portato alcuni di essi, molto freddi, a creare condizioni di gelo intenso al punto da impedire al ghiaccio che scende dal continente verso il mare di sciogliersi una volta raggiunta la superficie marina". LUIGI BIGNAMI
Il buco dell'ozono non fa più paura Gli esperti: "Si chiuderà nel 2080" Repubblica — 10 maggio 2010 Sembrerà incredibile, ma è vero. A venticinque anni dalla sua scoperta, il buco nell'ozono non fa più paura. Stando a un gruppo di scienziati che ha monitorato e studiato il fenomeno, la catastrofe annunciata si risolverà infatti con un lieto fine. Entro il 2080, grazie soprattutto al bando dei prodotti CFC, lo strato che ci protegge dai raggi ultravioletti si richiuderà completamente. Scoperto nel 1985 al Polo Sud dallo scienziato britannico Jonathan Shanklin, il buco nell'ozono aveva messo subito in allarme il mondo intero, costringendo l'ONU a far firmare il protocollo di Montreal per l'abolizione dei CFC, responsabili dell'assottigliamento della fascia di gas protettiva. Nel giro di 25 anni la situazione però sembra essere radicalmente cambiata e gli esperti, con cauto ottimismo, prevedono un ripristino totale dei buchi d'ozono. "Oggi è ancora presto per parlare di una guarigione - ha precisato ancora Cassardo (insegnante di meteorologia, fisica del clima e dell'atmosfera all'università di Torino)- I gas nocivi restano infatti per parecchi anni nell'atmosfera prima di svanire. Al momento osserviamo una riduzione della velocità di assottigliamento dell'ozono. Credo che ci vorranno altri 25 anni prima che lo strato inizi a crescere di nuovo". Le dimensioni del buco, del resto, dipendono molto dall'andamento delle stagioni e ogni anno cambiano notevolmente. L'allarme, stando ai tecnici, dovrebbe comunque cessare completamente nel 2080, quando lo strato di ozono tornerà ai livelli del 1950, anno in cui ha iniziato a calare di spessore.
Il buco nell'ozono si sta chiudendo ma le temperature aumentano Le conseguenze della chiusura del buco dell'ozono Il buco nell'ozono si sta chiudendo ma le temperature aumentano Repubblica — 26 gennaio 2010 Il buco dell'ozono si sta lentamente chiudendo. Purtroppo, però, ciò sta avendo un risvolto inaspettato che è stato messo in luce da un nuovo rapporto scientifico pubblicato sulla rivista Geophysycal Research Letters. Lo studio si basa sui dati raccolti tra il 1980 e il 2005 dall'European Center for Medium-Range Weather Forecasts i quali dimostrano che il buco nell'ozono generava venti ad elevata velocità che portavano sali del mare nell'alta atmosfera a formare nubi ricche in umidità le quali riflettevano una gran parte dei raggi solari difendendo l'atmosfera sopra l'Antartide dal riscaldamento generalizzato del pianeta. La chiusura del buco sta rallentando fortemente la formazione delle nubi protettrici e ciò accelera il riscaldamento di alcune aree dell'emisfero meridionale, Antartide compreso. Rimane una piccola speranza per l'Antartide. "E' possibile che l'aumento stesso della temperatura terrestre possa creare venti altrettanto forti e quindi dare vita a una situazione simile a quella che si aveva con il buco nell'ozono", ha spiegato Judith Perlwitz, dell'Università del Colorado, anche se la ricercatrice è dubbiosa sul fatto che siano proprio i venti a creare quelle nubi. LUIGI BIGNAMI