Presentazione del Corso

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Transcript della presentazione:

Presentazione del Corso Pedagogia della persona e dei processi formativi di Paolina Mulè

Normative di riferimento Legge n. 59 del 15 marzo 1997, art. 4, comma 3, lett.a Legge n. 142 dell’8 giugno 1990, art. 3

Legge 15 marzo 1997, art. 21 Dpr 275 dell’8 marzo 1999, art Legge 15 marzo 1997, art. 21 Dpr 275 dell’8 marzo 1999, art.3 (POF) art. 4 (Aut. didattica) art. 5 (Aut. Organizzativa) art. 6 (Aut. di ricerca, sperimentazione e sviluppo)

Autonomia scaturita dal disposto costituito dalla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 Legge Moratti, n. 53 del 28 marzo 2003 con i decreti attuativi.

1. il suo rapporto con la problematicità della formazione, intesa come concetto-chiave della pedagogia; 2. l’autonomia come componente ‘strategica’ per realizzare, secondo il princìpio della sussidiarietà verticale ed orizzontale, sinergie tra la scuola e il territorio, un nuovo modello di razionalità pedagogica problematica che tende a riformulare una nuova Bildung, che trova i criteri di legittimazione pedagogica, chiarendo i processi di formazione della persona, del suo contesto di vita. Una tale riflessione muove dalla de-costruzione, avvalendosi, perciò, di una pedagogia critica dell’emancipazione

La formazione è da considerarsi La formazione è da considerarsi il luogo privilegiato della riflessività della pedagogia e delle sue possibili applicazioni. «L’educazione è una ‘famiglia di processi’, legata alla capacità del soggetto di sviluppare questa qualità, ma nel contempo è strettamente connessa alle possibilità di conoscenza delle persone».

Epistemologia genetica di Piaget Concetto di ‘growth’ di Dewey. J. Piaget, è stato un esempio per definire l’espropriazione dell’educazione all’interno della dimensione pedagogica, perché per potere analizzare i processi di apprendimento e di sviluppo è partito dall’indagine dei due processi di ‘assimilazione’ e di ‘accomodamento’ che costituiscono “l’adattamento” stesso dell’organismo con l’ambiente, risalendo così alla centralità dello sviluppo bio-psichico del soggetto in formazione [

J. Dewey, ha analizzato, invece, il concetto di ‘growth’ che consiste nella crescita della persona nella società, in cui la persona ha la capacità di adattarsi, ma anche di costruire una dimensione sociale attraverso gli strumenti culturali e ‘i manufatti tecnologici’ utili per trasformare l’ambiente. La posizione di Dewey si riconduce al princìpio della continuità dell’educazione con la vita sociale e al principio dell’interazione del soggetto

Alla luce del primo principio l’educazione è ‘crescenza’, autocomprensione, adesione agli interessi del soggetto; mentre attraverso il secondo princìpio si evince che nell’esperienza si verifica uno scambio reciproco tra individuo e ambiente. Il percorso formativo deve avere perciò come finalità primaria lo sviluppo delle capacità di autoformazione ovvero la progressiva delineazione da parte del discente di un proprio ‘progetto esistenziale’ e il docente, l’educatore assumono un ruolo di guida per poi scomparire progressivamente.

Formazione come azione noetica Formazione come azione noetica. Basti pensare in filosofia alla ricerca di senso sviluppata dall’atto intenzionale della coscienza di Husserl, il quale si impegnò a comprendere il soggetto, interpretandone i modi di essere in relazione immediata con gli oggetti, in relazione intenzionale con gli altri, con le cose, con la realtà Piero Bertolini, secondo il quale la crescita, lo sviluppo, la cura, la coltivazione, ma soprattutto il tema dell’intenzionalità e dell’intersoggettività comunicativa sono dimensioni educative e pedagogiche implicite e non disvelate chiaramente dal discorso fenomenologico.

Formazione come comunicazione linguistica Wittgenstein parte dal presupposto che pensiero e linguaggio si identificano tanto più che nella sua teoria filosofica è chiaro il presupposto empirico che si rinviene specificamente quando estende al pensiero la stessa limitazione valida per il linguaggio, ossia che non è pensabile né comunicabile nulla che non sia un fatto del mondo.Introduce nel rapporto mondo-linguaggio il carattere non necessario, che aveva riconosciuto ai fatti del mondo. Pertanto, se quel rapporto è necessario e anche unico, allora pure unico è il linguaggio; se invece quel rapporto non è necessario, può assumere diverse forme.

Il relativismo linguistico costituisce l’aspetto più importante dell’ultimo Wittgenstein; così come fondamentale è la concezione del linguaggio come strumento imprescindibile per affrontare le situazioni esistenziali. Palo Alto: Il primo elemento significativo che emerge è che l’individuo non può essere studiato isolatamente, ma all’interno del suo sistema di relazioni (famiglia, classe, amici, colleghi) con cui entra in contatto e a cui reagisce e ciò che diventano importanti sono i rapporti che egli stabilisce con il contesto in cui vive ed opera: il suo coesistere con gli altri.

Ne consegue che le comunicazioni assumono significati diversi a seconda del sistema in cui esse sono di volta in volta inserite. In Dewey è significativa l’idea di un processo educativo che, essendo un processo umano naturale, è processo di comunicazione, che dà luogo al reale processo del vivere insieme agli altri. Nella scuola è insita, in particolare, la partecipazione attiva e democratica dei discenti che va guidata e diretta dagli insegnanti nell’ambito delle varie attività educative attraverso un processo comunicativo.

Il che significa che gli uomini esistono, vivono e operano nella comunità possedendo le cose attraverso la comunicazione che contribuisce peraltro a garantire la partecipazione ad un ‘modo comune di intendere’. Ovviamente ciò non è facile perché ogni individuo dovrebbe sapere cosa intende l’altro o, comunque, dovrebbe informare l’altro dei propri scopi e progressi. Occorre conquistare il consenso che «esige la comunicazione».

Il linguaggio deweyano diventa l’attrezzo degli attrezzi (the tool of tools) che consente all’individuo di veicolare i pensieri che si concretizzano con il suo agire (azione e reazione) problematicamente e poieticamente, in quanto il soggetto-persona si muove dentro una realtà sociale e specifica situazione che è l’insieme di teoria e prassi, di pensiero e azione.

Formazione come azione, prassi Secondo Gadamer la formazione esprime il complesso rapporto formativo legato alla crescita, allo sviluppo del soggetto che si pone sempre in rapporto alla continua comprensione dell’evento. Gadamer analizza perciò il rapporto tra persona, evento e azione in chiave ermeneutica. È estremamente importante il rapporto e la diversità tra la teoria e le sue possibili applicazioni.

Gadamer reinterpreta con il metodo ermeneutico la questione della verità come problema storico e la Bildung è intesa come immagine interiore che pone da sé il suo sviluppo, di conseguenza parte dalla descrizione del procedimento presente nella Fenomenologia hegeliana. Formazione come evento, imprevedibilità dell’evento; aspetto questo, poco studiato in pedagogia, ma molto più studiato nell’ambito della psicopedagogia, in cui il concetto di trauma dimostra spesso come la formazione muta in relazione all’evento. Ciascun uomo che è a rischio, che è instabile e incerto, che vive nella precarietà, nell’indigenza, ha bisogno di cura e per lui c’è la possibilità di salvezza e di emancipazione.

Complessità del Sapere pedagogico Problematicità e Imprevedibilità della Formazione

1923 Attualismo gentiliano Atto educativo Autodidattica scuola = luogo di concretizzazione della filosofia gentiliana Ruolo del docente 1923

1945 Attivismo di ispirazione deweyana Relazione educativa tra docente e discente Scuola democratica Paradigma delle scienze dell’educazione ‘Fonti del contenuto scientifico dell’educazione’ fonti= significato pedagogico nell’applicazione 1945

1970 Problema educativo = sociale e politico Educazione : egemonia Educazione = strumento di emancipazione Docente specialista e politico Don Milani Paulo Freire Danilo Dolci

Cognitivismo pedagogico Processi cognitivi del soggetto Docente : tecnico trasmettitore Intelligenze multiple 1980

1990 Logiche della complessità e dell’organizzazione Scuola dell’autonomia Docente = progettista della formazione Orienta le scelte future Analizza la complessità dei processi biopsichici e culturali Crea un giusto equilibrio tra competenze diverse Costruisce una piattaforma di valori Scuola = laboratorio di democrazia

Il dirigente scolastico spetta il compito di:  gestire i cambiamenti dell’autonomia, garantendo la qualità del servizio scolastico, ispirandosi ai criteri della negoziazione e dell’efficacia; - creare un clima inclusivo/positivo per favorire l’apprendimento organizzativo, che deve essere l’approccio di riferimento/la cornice strategica per avviare processi di formazione innovativi sia all’interno che all’esterno della scuola;

- pianificare con il supporto del Collegio dei docenti l’offerta formativa a livello di istituto e progettare/promuovere iniziative autonome; - incentivare il dialogo e la concertazione interistituzionale con i soggetti istituzionali agenti sul territorio  

Molti dirigenti sono ancora legati: ad una visione istituzionale connessa ai tradizionali vincoli della burocrazia; all’incapacità di sviluppare pratiche manageriali e gestionali proprie di una cultura dell’organizzazione come ‘servizio’, la cui efficacia è legata alla costruzione di reti di relazioni esterne; alla mancanza di processi di coordinamento interno e della comunicazione interorganizzativa tra gli uffici e i servizi offerti dal territorio che molto spesso lavorano isolatamente.

alla non accountability, (rendere conto a qualcuno di qualche azione e di esserne responsabile), un termine dai molti significati, nei quali diventa centrale l’aspetto valutativo. E il docente dovrebbe essere capace di misurarsi con la personalizzazione dei percorsi di formazione, ipotesi che negli ultimi anni in particolare, si è affermata nella letteratura pedagogica contemporanea e negli stessi modelli applicativi della scuola italiana.

L’autonomia scolastica degli anni ’90 ha considerato e considera la scuola come luogo ufficiale, in cui si attivano processi d’apprendimento e d’insegnamento, ma anche processi di crescita e di sviluppo della personalità di un soggetto-persona, capace di orientare e progettare la propria vita, oltre che in grado di risolvere problemi e gestire l’imprevedibilità degli eventi che si presentano quotidianamente. La scuola si misura con le emergenze educative di una società complessa e disorientata, in quanto carente di una piattaforma valoriale condivisa dai soggetti-persona.

Un nuovo paradigma Un paradigma pedagogico nuovo, che è critico che costituisce il substrato teorico della pratica scolastica, per cogliere le molteplici dimensioni istituzionali, normative che s’intrecciano e s’invischiano con i modelli culturali e sociali che sottendono le trasformazioni dei sistemi scolastici con tutte quelle risorse umane e connotazioni implicite che la compongono.

Una nuova razionalità pedagogica L’adozione di una razionalità pedagogica specifica e critica, capace di cogliere il polimorfismo dell’oggetto, la sua forte connessione con le contingenze individuali e le determinazioni sociali, la sua variabilità in relazione all’evento e alla possibilità, all’intenzionalità e alla responsabilità. Una tale razionalità riconosce l’esistenza di molte piste di ricerca, della possibilità e modalità di indagine e, pur aprendosi ad una tale pluralità, si autodefinisce come luogo dei significati dell’educazione, come orientatore di senso dei processi della formazione.

Il fine dell’educazione Brezinka ha evidenziato tre caratteristiche specifiche sostenendo che: 1) di un fine si può parlare soltanto se c’è qualcuno che lo ha posto o che lo persegue; 2) il fine educativo è una norma con cui si descrive uno stato della personalità di un educando, stato che ci si prospetta e che va realizzato tramite l’educazione; 3) il fine educativo descrive il ‘dover essere’ della personalità dell’educando, caratterizzato da due aspetti: uno descrittivo, di natura psicologica; l’altro valutativo, di natura etica.

Le finalità educative valgono come ‘ideali’ per gli educandi e come ‘norma professionale’ per gli educatori, proprio perché l’educazione è un atto di responsabilità, è un’azione etica nelle sue intenzioni, nella sua realizzazione e nelle sue conseguenze.

Discorso sulla formazione, mira alla definizione: oggetto polimorfo e variabile, mira alla definizione: della formazione della persona del senso della dignità umana di una nuova cittadinanza della democrazia - ideale regolativo di un nuovo individualismo di una nuova teoria della piccola comunità XXI secolo

Una pedagogia critica, che riguarda un modo di fare pedagogia che ne accoglie la complessità discorsiva, le tensioni interne, l’articolazione dei livelli e li interpreta e li organizza attraverso un’attività cognitiva riflessiva. Una pedagogia critica restituisce il senso della complessità dei processi della formazione, anche e soprattutto quelli in cui si evidenziano la perdita e lo scacco, e impone metodologie interpretative che diano conto del progetto di intervento in termini di attivazione di modelli capaci di governare la complessità.

Una pedagogia critica dell’emancipazione può diventare un paradigma fondamentale nell’autonomia/e delle scuole, grazie all’organizzazione e alla progettualità formativa. Se l’organizzazione è regolamentata dall’art. 4 del Dpr 275/99, Parte I., la progettualità formativa è regolamentata dall’art. 3 del Dpr 275/99 e dalle Direttive Ministeriali 68/2007 e 139/2007.

La sfida posta da teorico francese Crozier, che è stato il precursore dell’apprendimento organizzativo, consiste nel fatto che il cambiamento può realizzarsi attraverso la capacità delle diverse componenti scolastiche e, quindi, particolarmente dei docenti, i quali hanno il compito di riconsiderare il proprio percorso formativo in ordine alla proposizione di strategie differenziate a seconda dei diversi contesti di apprendimento dei soggetti-persona in formazione.

La scuola quindi è un luogo di apprendimento, di empowerment (potenziamento) in cui tutti i componenti che ve ne fanno parte dirigono e controllano il loro apprendimento, con lo scopo di determinare costantemente una trasformazione educativa. A questo modello va riconosciuto il merito delle opportunità esistenti nel consolidamento delle capacità autoriflessive di un gruppo sociale.

Ed è perciò dalle riflessioni sulle modalità per migliorare il comportamento erroneo che si innesca un apprendimento significativo. Il modello dell’apprendimento organizzativo si fonda sulle ‘teoria dell’azione’, di cui la scuola è completamente invasa: la gestione dei turni del personale di custodia, la progettazione della didattica, l’organizzazione dei tempi e modalità delle prove d’esame, la partecipazione ad iniziative pubbliche.

- creare collegialità nelle decisioni; Il dirigente scolastico deve essere un manager e un leader educativo, con la cultura della qualità (intesa come processi che migliorano continuamente) e che sia in grado di: - valorizzare le competenze professionali e la creatività ad ogni livello professionale; - creare collegialità nelle decisioni; - analizzare le criticità in gruppi di lavoro eterogenei; - essere non solo un produttore di regole, ma soprattutto di guidare e stimolare le competenze professionali.

Occorre incentivare perciò le best practices di formazione nel corso di un’attività di classe e, precisamente, veicolare sempre di più informazioni e ‘metodologie’ del tipo ‘per scoperta’, metodologie incentrate su stimoli aperti e sulla valorizzazione del contributo di ricerca di ogni ‘attore’ coinvolto.