Cosa la volontaria deve conoscere: il punto di vista dello psicologo

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Transcript della presentazione:

Cosa la volontaria deve conoscere: il punto di vista dello psicologo Dott.ssa Maria Anna Capozzo Corso di formazione per volontarie ADOS Trieste, 12 Novembre 2009

PARTE PRIMA L’arte di amare Il ruolo del volontario Le motivazioni del volontario La formazione come presupposto alla relazione d’aiuto

L’amare è un arte? “L’amore è un potere attivo dell’uomo; un potere che annulla le pareti che lo separano dai suoi simili, che gli fa superare il senso di isolamento e di separazione, e tuttavia gli permette di essere se stesso e di conservare la propria integrità” (Erich Fromm, 1956)

L’arte di amare “L’amore non è un sentimento al quale ci si possa abbandonare senza aver raggiunto un alto livello di maturità”. “Ogni tentativo d’amare è destinato a fallire se non si cerca di sviluppare più attivamente la propria personalità”. “Senza la capacità di amare il prossimo con umiltà, fede, coraggio, è impossibile amare veramente” (Erich Fromm “L’Arte di Amare”, 1956).

Chi è il volontario? E’ colui che presta gratuitamente e volontariamente la propria opera a favore di persone che hanno bisogno d’aiuto e di assistenza. Il volontario opera per il benessere e la dignità della persona e per il bene comune, sempre nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, non cercando di imporre i propri valori morali. Interviene dove più è utile e quando è necessario, facendo quello che serve e non tanto quello che lo gratifica.

Volontariato e motivazioni I Il volontario non è un medico, né un infermiere né uno psicologo. E’ una presenza che risponde ad un bisogno di relazione e condivisione dell’esperienza di malattia. La principale caratteristica del volontariato è la volontarietà perciò è necessario sempre tener presente quali sono le motivazioni che spingono ad essere volontario. Esistono motivazioni che rispondono più ad una solidarietà vissuta come dovere sociale e motivazioni che riguardano invece elementi personali del volontario.

Volontariato e motivazioni II Espressione di valori: avere la possibilità per esprimere valori altruistici e umanitari Conoscenza: apprendere nuove conoscenze e competenze Sociale: conoscere nuove persone; espressione di solidarietà Accrescimento: Rafforzare l’autostima e l’accettazione, favorendo la crescita e lo sviluppo individuale Protezione dell’IO (Omoto, 1998)

Le vostre motivazioni Quali sono le motivazioni che vi hanno spinto a scegliere di diventare volontarie?

Formazione: perché? La formazione del volontario non si propone l’adattamento delle persone ad un ruolo predefinito, ma la comprensione di sé rispetto al ruolo assunto. In questa accezione la formazione del volontario diventa un importante processo che, attraverso l’acquisizione di competenze e la trasmissione di conoscenze, porta al cambiamento più profondo che è quello dell’Essere.

La formazione per sapere… Conoscere le caratteristiche dell’ADOS, i servizi erogati e le sue modalità organizzative Identificare il proprio ruolo all’interno dell’associazione Conoscere le reazioni psicologiche e i principali bisogni della donna operata al seno Conoscere le modalità di comunicazione verbale e non verbale Sviluppare le proprie competenze relazionali all’interno di una relazione d’aiuto

La formazione per essere… consapevole dell’importanza del proprio ruolo; prendere coscienza dei propri limiti in grado di identificare il personale atteggiamento di fronte alla malattia e valutare l’impatto di questo sulla persona che si aiuta consapevole di evolvere mediante la propria esperienza tollerante verso la frustrazione; empatica ma distaccata presente nella compassione e condivisione anche di fronte all’impotenza

Gli strumenti del volontario Quali strumenti? Comunicazione come strumento per la creazione di relazioni che stanno alla base dei rapporti fra i volontari, tra i volontari e l’associazione, e tra i volontari e i destinatari degli interventi Competenza relazionale quale punto qualificante l’azione volontaria, relativa all’acquisizione di abilità necessarie per intrattenere una positiva relazione d’aiuto

PARTE SECONDA La relazione d’aiuto: introduzione La relazione d’aiuto: definizione Le caratteristiche e i limiti della relazione d’aiuto I parametri della relazione: Rispetto Accettazione Empatia Ascolto

La relazione d’aiuto I Tra i primi a parlare di tale relazione è stato il terapeuta Carl Rogers negli anni 70: la persona che fornisce ad un’altra un qualche tipo di aiuto non deve suggerire un modus operandi per “risolvere il problema”, ma deve essere in grado di attivare il soggetto affinché comprenda la propria situazione e ritrovi in se stesso le risorse per affrontarla e superarla. Una relazione diventa d’aiuto quando il suo scopo è virtuoso, quando cioè riesce a far migliorare le potenzialità di una persona o ne incrementa il grado di benessere dando valore alle risorse che ciascuno possiede.

La relazione d’aiuto II Relazione in cui almeno uno dei protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità e il raggiungimento di un modo di agire più adeguato ed integrato (C. Rogers, 1970). Per definizione, la relazione d’aiuto è circolare e secondo Balint “produce un’evoluzione personale reciproca”.

La relazione d’aiuto III La relazione d’aiuto è una relazione asimmetrica, che non vede cioè un’uguaglianza di ruoli. Ciò non va inteso come una presunta superiorità di colui che aiuta rispetto a colui che viene aiutato, ma ha a che fare con l’intenzionalità e la responsabilità che il volontario ha, e deve avere, nei confronti della persona alla quale presta aiuto. Il volontario infatti sceglie di instaurare la relazione con l’altro e si assume quindi delle responsabilità nei suoi confronti.

I limiti della relazione Ogni relazione d’aiuto è necessariamente parziale. Esistono dei limiti che circoscrivono la possibilità di intervento: vincoli personali (es. limitatezza del tempo che possiamo dedicare al volontariato) vincoli di contesto (es. risorse economiche) vincoli istituzionali (es. obiettivi e possibilità dell’associazione entro cui si opera) Aver chiaro limiti e potenzialità della relazione d’aiuto permette di non cadere nel senso di impotenza (sensazione di non poter far nulla), o al contrario in quello dell’onnipotenza (idea di volere/dovere cambiare tutto)

Riflettiamo su alcuni parametri della relazione… Cos’è il rispetto? Cos’è l’accettazione? Cos’è l’empatia? Cos’è l’ascolto?

Il rispetto E’ la prima condizione per l’instaurarsi di una relazione umana. Rispettare la persona significa riconoscere la sua dignità, la sua intenzionalità, l’unicità della sua integrazione nel mondo, delle sue scelte di valori e del suo progetto di vita. Il rispetto si basa su tutto questo e si configura come un universo di atteggiamenti interiori e pratici qualificati dal riconoscimento dell’altro come altro e come il soggetto che ha il diritto di realizzare il suo bene nella libera espressione del proprio essere.

L’accettazione Capacità di entrare in relazione senza esprimere giudizi morali e di accettare e mantenere una disposizione positiva verso la persona cui è diretto l’aiuto. Apprezzare e rispettare le persone per la loro individualità implica la sospensione del giudizio: accogliere l’altro come una persona unica, con la sua identità e la sua dignità, non valutandola, non giudicandola e non classificandola in maniera rigida

L’empatia I L’empatia si identifica con la capacità di immergersi nel mondo dell’altro e partecipare alle esperienze, alle emozioni e agli stati d’animo che egli ci comunica, come se fossimo al suo posto, sospendendo ogni azione di giudizio e senza perdere la qualità del come se.

L’empatia…

L’empatia II E’ la focalizzazione sul mondo interiore dell’interlocutore, la capacità di intuire quale valore rivesta un evento per l’altro senza lasciarsi guidare dai propri schemi di attribuzione di significato. Empatia non significa lasciarsi sopraffare dalla sofferenza!

L’ascolto Non è scontato saper ascoltare…

L’ascolto E’ fondamentale nell’ottica di aiuto l’ascolto dell’altro. Non si può pensare di aiutare qualcuno se prima non si conoscono i suoi bisogni. Nella relazione di aiuto, l’ascolto è attivo ed è finalizzato alla comprensione; richiede dunque attenzione e tempo. Il volontario si astiene dall’analizzare e dal fornire direttive e rinuncia a giudicare i comportamenti dell’altro; egli crea in sé uno spazio interiore, per ascoltare l’altro incondizionatamente. La persona può avere l’esigenza di parlare, con o senza le parole, di ciò che gli sta accadendo e la disponibilità all’ascolto permette all’altro di esprimere se stesso, aspetti della propria interiorità, affetti e magari di avere meno paura.

PARTE TERZA Esercitazione di gruppo e discussione sulla relazione d’aiuto

Pensando a quando siamo state aiutate Quali sono state le relazioni che più vi hanno aiutato a crescere o esprimervi nella vostra vita? Che caratteristiche avevano (ruolo delle persone che vi hanno aiutato; aspetti che più hanno aiutato; com’era la comunicazione) Ci sono stati problemi che avete avuto e risolto anche grazie alla relazione con qualcuno?

Pensando a quando possiamo aiutare e a quando abbiamo aiutato Ci sono state occasioni in cui avete sentito davvero di aver valorizzato altre persone e averle aiutate? Come vi siete comportate in quelle situazioni? Ci sono situazioni in cui vorreste attivare una relazione d’aiuto e non sapete come fare? Perché secondo voi?

Pensando al valore della vostra scelta… In ambito oncologico, il supporto sociale viene considerato, da tempo, uno dei fattori di protezione più importanti per la salute e per il benessere psichico del paziente (Biondi, Costantini, Grassi, 1995)

Buon lavoro!!!!! Grazie per l’attenzione