Giacomo Leopardi Dalle Operette ai Canti “pisano-recanatesi”
1822-1823, tra Recanati e Roma Nel novembre 1822, Leopardi lascia Recanati, il “natìo borgo selvaggio”e arriva a Roma. A Roma non troverà alcuno dei piaceri che aveva vagheggiato e, nell’aprile del 1823, farà ritorno a Recanati, con uno stato d’animo di delusione rassegnata: la sensazione di aver scoperto, a Roma, la propria infinita solitudine. “Io sono naturalmente inclinato alla vita solitaria. (…) nella solitudine io rodo e divoro me stesso. (…) qualunque soggiorno m’è indifferentissimo.” (Lettera a Monaldo del 16 aprile 1823).
1824: Verso il pessimismo cosmico Un anno dedicato alla prosa. La Natura, matrigna crudele, ha dato un’intelligenza e una consapevolezza agli uomini che li spingono a disperare. La ragione è ostacolo alla felicità, poiché uccide le illusioni. Dal pessimismo storico al pessimismo cosmico a me la vita è male (…) è funesto a chi nasce il dì natale. La ragione unico strumento per vincere la disperazione.
Struttura e stile delle Operette La vena ironica e sarcastica La struttura dialogica La riflessione ontologica 24 dialoghi Tre edizioni: 1827, 1832, 1835 Linguaggio essenziale Ogni dialogo -> un nucleo di certezza cui l’uomo può pervenire con la ragione.
1928: Il ritorno alla poesia Lettera del 2 maggio 1828 alla sorella Paolina: “e dopo due anni, ho fatto dei versi quest'Aprile, ma versi veramente all'antica, e con quel mio cuore d'una volta". 1828-1830 I Grandi Idilli: la totale disillusione dell’uomo, ma un nostalgico affetto per la “ricordanza”. Nel Ciclo di Aspasia (1831-35): la totale disillusione La ginestra e Il tramonto della luna (1836-37): una “umana confederazione” come forma estrema di resistenza umana alla natura.