Lo sviluppo capitalistico e le sue fasi

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Lo sviluppo capitalistico e le sue fasi Sistemi Economici Comparati Anno accademico 2014-2015 Prof.sa Renata Targetti Lenti Lo sviluppo capitalistico e le sue fasi Lezione 3 7/10/2014

Letture Volpi Franco, Lezioni di economia dello sviluppo, Franco Angeli, Milano, 2011, Cap.2, pp. 29-44.

Schema della lezione - Le cinque fasi dello sviluppo capitalistico: I fase 1760-1820, II fase 1830- 1910, III fase 1910-1945, IV fase1945-1973, V fase 1973-2000. Teoria degli stadi di Rostow Le caratteristiche delle diverse forme di società (tradizionale, decollo, modernità) Teoria della modernizazzione. Gerschenkron. Teoria della dipendenza.

Capitalismo Il contesto economico attuale nei paesi occidentali è caratterizzato dalla preminenza del sistema capitalistico di produzione. La sua origine va individuata nella rivoluzione industriale inglese ed in quella francese di fine secolo XVIII Il sistema capitalistico è caratterizzato da un processo economico costituito da alcune fasi sequenziali e unidirezionali: finanziamento del processo produttivo grazie all’investimento, accumulazione, produzione e consumo.

Con il termine capitalismo si riferisce in genere a: i) Una tipologia di organizzazione del sistema economico che si diffuse in Europa, tra il XVI e il XIX secolo. In questo sistema individui e gruppi di individui agiscono come "persone giuridiche" (o società) al fine di comprare e vendere beni capitali (compresi la terra e il lavoro) in un libero mercato (libero dal controllo statale). ii) Un insieme di teorie intese a giustificare la proprietà privata del capitale ed a spiegare il funzionamento di tale mercato. iii)Il sistema economico, e per estensione l'intera società, il cui funzionamento si basa sulla possibilità di accumulare e concentrare ricchezza in una forma trasformabile (in denaro) e reinvestibile, in modo che tale concentrazione sia sfruttata come mezzo produttivo. iv)Un’economia di mercato di tipo capitalistico è caratterizzata dall’esistenza dei diritti di proprietà sui diversi fattori di produzione e sul loro utilizzo. La tutela di questi diritti è alla base del funzionamento del sistema economico.

Fasi dello sviluppo capitalistico Lo sviluppo capitalistico può essere descritto distinguendo cinque fasi: Prima Fase. 1760-1820. La fase nascente, del capitalismo in Gran Bretagna e poi Olanda, Belgio, Francia Settentrionale, Germania Nord-Occidentale e Danimarca, che dura fino alla fine dell‘era napoleonica. In questo periodo nasce il capitalismo industriale delle fabbriche e del laissez faire, caratterizzato da lavoro salariato, divisione del lavoro, sfruttamento, disponibilità quasi illimitata di manodopera, urbanizzazione. In questa fase si verificano i grandi cambiamenti sociali, la nascita della classe operaia e del proletariato urbano, la coesistenza di borghesia e proletariato. Gli imprenditori hanno come fine l’ottenimento di un profitto (plusvalore). L’accumulazione del capitale e l’investimento consentono di ampliare i processi produttivi. L’economia e’ un’economia monetaria dove le transazioni e gli scambi passano attraverso il mercato. Questo tipo di transazioni sostituisce il baratto.

La rivoluzione industriale è stato un processo di evoluzione economica che ha trasformato sistemi basati prevalentemente sull’agricoltura e sull’artigianato in sistemi industriali moderni caratterizzati dall'uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica e dall'utilizzo di nuove fonti energetiche (come ad esempio i combustibili fossili). La rivoluzione industriale ha comportato una profonda ed irreversibile trasformazione non solo del sistema produttivo, ma anche dell’intero sistema sociale. L'apparizione della fabbrica e della macchina modifica i rapporti fra gli agenti del sistema economico. Nasce così la classe operaia che riceve, in cambio del proprio lavoro e del tempo messo a disposizione per il lavoro in fabbrica, un salario. Sorge anche il capitalista industriale, imprenditore proprietario della fabbrica e dei mezzi di produzione, che mira ad incrementare il profitto della propria attività. Il profitto generato come surplus viene accumulato e reinvestito per ampliare la produzione.

Seconda Fase. La seconda rivoluzione industriale viene fatta convenzionalmente partire dal 1830, con l'introduzione dell'elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio. Questa è la fase del consolidamento che si protrae fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Questa fase fu caratterizzata dall‘affermarsi degli Stati Uniti come fornitore di materie prime e potenziale potenza industriale. Questa fase è stata caratterizzata dalla colonizzazione dell’Africa e Gravi crisi finanziarie e del credito ed una un'instabilità profonda del sistema capitalistico portarono a credere che il capitalismo aveva in sè i germi della sua distruzione e della inevitabile fine. (Karl Marx). Il sistema bancario e del credito cambiò profondamente. Alla fine di questa fase  si affermò il capitalismo dei grandi monopoli e oligopoli. Questo periodo fu denominato anche età dell'oro. Negli Stati Uniti il capitalismo monopolistico fu caratterizzato anche dalla nascita della legislazione anti-trust.

Terza Fase. La terza fase corrisponde alla grande depressione (1910-1945). Essa durò fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. La politica del libero scambio fu gradualmente sostituita da politiche protezionistiche, alimentate anche da crescenti sentimenti nazionalistici. Questi condussero alla Prima Guerra Mondiale e successivamente all'affermarsi di regimi fascisti in vari paesi europei. Con la grande crisi e la grande depressione del 1929, si avviò la fase del New Deal di Roosevelt. Si rafforzò l'intervento pubblico in economia con la creazione di reti di tutela e di protezione sociale.

Quarta Fase. Questa fase dello sviluppo (1945-1973) corrisponde al periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale. La nuova età dell'oro del capitalismo, dell'espansione e della piena occupazione, viene collocata negli anni 50 e 60. In questo periodo prevale il fordismo. Esso si fonda, dal lato della produzione, su una specifica forma di organizzazione di fabbrica e del lavoro basata principalmente: a) sull'utilizzo della tecnologia della catena di montaggio al fine di incrementare la produttività (taylorismo) e b) dal conflitto tra capitale e lavoro per la distribuzione dei guadagni di produttività. A partire dall’inizio degli anni 70 inizia una fase di instabilità monetaria a livello internazionale come conseguenza della fine degli accordi di Bretton Wood e del passaggio dai cambi fissi ai cambi flessibili.

Quinta Fase. Questa fase (dal 1973 ad oggi) è caratterizzata da crisi ricorrenti, da inflazione, da profonde ristrutturazioni industriali, dall'accumulazione del debito pubblico, dalla fine delle politiche keynesiane, dall’affermarsi delle politiche liberiste (Reagan, Thatcher, gli anni '80 delle privatizzazioni, deregulation e liberalizzazioni). Nel 1989 si giunge alla fine del blocco sovietico e delle economie centralizzate. Si afferma il nuovo capitalismo della globalizzazione. Un fattore importante è costituito dalla liberalizzazione dei movimenti di capitale. Si consolida il capitalismo finanziario. Questo tipo di capitalismo è stato definito «patrimoniale» da Piketty. Nella prima metà degli anni Settanta anche il fordismo entra in crisi. Ritornano in auge le teorie dell’equilibrio economico generale e del laissez faire e critiche nei confronti del ruolo di intervento discrezionale dello Stato. Ci si riferisce poi agli effetti dell'introduzione massiccia dell'elettronica e dell'informatica nell'industria come alla terza rivoluzione industriale. Questa viene fatta partire dal 1970.

Teoria della modernizzazione come sviluppo (1) La teoria della modernizzazione nasce e si sviluppa negli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale per studiare i problemi e le difficoltà delle società più arretrate e proporre quindi strategie di crescita economica e stabilità politica. Lo sviluppo della teoria è influenzato da due avvenimenti storici fondamentali e di grande portata: la decolonizzazione e la guerra fredda tra le due superpotenze Stati Uniti e Unione Sovietica, le quali cercavano entrambe di attirare nella propria sfera di influenza gli stati che erano diventati indipendenti. La modernizzazione è un processo di trasformazione. Le società tradizionali e quelle moderne sono separate da una netta dicotomia e presentano caratteri contrapposti.

Per modernizzazione, sotto il profilo più strettamente economico, si intende un sistema di produzione industriale che applica tecnologie moderne, sostituisce progressivamente il lavoro umano e animale con energia meccanica, sviluppa una complessa divisione del lavoro che esprime una gerarchia di competenze specialistiche acquisite in processi formali di istruzione, e comporta un esteso consumo e commercializzazione dei beni e servizi in un mercato tendenzialmente globale (mondiale). Si sviluppa rispetto al passato la divisione del lavoro in una pluralità di ruoli occupazionali e professionali differenziati, che richiedono capacità, competenze e addestramento specifici. Il lavoro agricolo, assolutamente prevalente nelle società tradizionali, diminuisce progressivamente all’aumentare nell’industria e del settore terziario, ciò comporta una gamma sempre più ampia di ruoli professionali che richiedono competenze e conoscenze in continua evoluzione.

Teoria della modernizzazione come teoria degli stadi (2) La teoria della modernizzazione è una teoria basata sull’ipotesi che lo sviluppo possa essere realizzato ripercorrendo gli stessi processi che hanno caratterizzato i paesi attualmente sviluppati. Samuel Huntington, uno dei principali studiosi di questo fenomeno, considerava lo sviluppo come un processo lineare attraverso cui ogni paese deve passare. Lo Stato viene considerato come l’attore centrale nel processo di modernizzazione di società “arretrate” o “sottosviluppate”. Teoria del cosiddetto “developmental State”.

Teoria degli stadi di Rostow Studiosi quali Rostow, in particolare, hanno individuato i diversi stadi del processo di sviluppo che ogni paese deve attraversare. La teoria degli stadi postula che la modernizzazione economica avvenga passando attraverso cinque stadi, di durata variabile: La società tradizionale, arcaica e primitiva La preparazione delle condizioni per il decollo Il decollo (take off) L’evoluzione verso la maturità L’età del consumo e della produzione di massa

Rostow sostiene che nei vari paesi oggi avanzati il passaggio da un stadio all’altro, ovvero la transizione da un tipo di organizzazione ad un’altra, sia generalmente avvenuto in modo sostanzialmente lineare. Sono definite anche le condizioni per favorire il processo di accumulazione. Naturalmente, non tutte le condizioni si verificano con certezza in ogni stadio, ma è comunque vero che anche se gli stadi e i periodi di transizione tra uno stadio e l’altro variano (in durata) da paese a paese, vi sono regolarità che fanno pensare ad una sequenza lineare e determinata. Nel suo  Le fasi di sviluppo economico: Un Manifesto non comunista (1960), Rostow sottolinea comunque che “gli stadi di crescita sono un modo arbitrario e limitato di guardare alla sequenza storica moderna, un modo per enfatizzare non solo le uniformità della successione di eventi che ha portato alla modernizzazione ma anche, e nello stesso modo, l’unicità dell’esperienza di ciascun paese”.

La società tradizionale (1) Le società tradizionali sono definite come caratterizzate dal prevalere di tecnologie arretrate. La società ‘tradizionale’ è caratterizzata dalla conoscenza prescientifica ed empirica. Le norme che caratterizzano un’economia capitalistica, le procedure che regolano le transazioni sono completamente assenti. Nello stadio della società tradizionale non si hanno scambi di mercato né tanto meno produzione per il mercato. Le figure prevalenti sono quelle dell’artigiano e del commerciante

Precondizioni per il decollo (2) Le pre-condizioni del decollo sono, per Rostow, che la società cominci ad investire in un sistema di istruzione, a darsi delle regole e delle leggi, delle istituzioni, un sistema di transazioni per lo scambio dei beni prodotti e dei servizi, la mobilitazione di capitali, un sistema bancario o del credito, una moneta, cui faranno poi seguito lo sviluppo di attività d’impresa, lo sviluppo della manifattura e dell’industria, in pochi e limitati settori. Il passaggio dalla società tradizionale — dove lo scambio è assente — allo stadio in cui maturano le condizioni del decollo può essere molto lungo, ma anche relativamente ‘breve’. Una volta che lo stadio viene a maturazione si può arrivare al vero e proprio decollo economico. Questo decollo, tuttavia, potrebbe essere ostacolato dalla inadeguatezza delle tecnologie disponibili.

Decollo (3) Il decollo avviene quando la crescita dell’economia guidata da alcuni settori si estende a tutti gli altri settori. Nella società i valori prevalenti sono quelli dello sviluppo economico che sostituiscono quelli tradizionali. Nel discutere il decollo, Rostow sottolinea con forza l’uso del termine tradizione per enfatizzare che il decollo marca il passaggio definitivo da una società tradizionale, nel senso più ampio, ad una economia moderna. In seguito al decollo, un paese può impiegare anche dai cinquanta ai cento anni per avvicinarsi alla fase della maturità.

Maturità (4) La maturità è lo stadio della diversificazione. I settori economici che hanno inizialmente guidato la crescita raggiungono la maturità e cominciano a perdere di peso relativo, mentre altri settori crescono e si diversificano. Tale diversificazione porta generalmente anche alla riduzione dei livelli di povertà e ad un aumento degli standard di vita, che in tutta la fase del decollo sono generalmente bassi per buona parte della popolazione. Emergono nuove Istituzioni e nuove figure professionali come quelle degli imprenditori e dei lavoratori salariati. La crescita del benessere sperimentato da molti paesi occidentali nell’età contemporanea è attribuibile alla produzione ed al consumo di beni durevoli su larga scala. I consumi di base si sviluppano jn parallelo a quelli di lusso.

Dimensione sociale della modernizzazione La dimensione sociale della modernizzazione si manifesta nei fenomeni correlati del cambiamento demografico, dell’urbanizzazione, da vasti processi migratori che consistono nel trasferimento di importanti flussi di individui dalle loro residenze rurali. Ne consegue un concentramento di popolazione in realtà urbane funzionalmente complesse, culturalmente pluralistiche, e socialmente eterogenee. La modernizzazione è anche un fenomeno contraddittorio e problematico, i radicali processi di cambiamento che comporta sono spesso traumatici, suscitano tensioni e conflitti di particolare intensità. Aumenta nei contesti urbani la solitudine, la disoccupazione, e la criminalità diffusa. Questi fenomeni che riguardavano i contesti urbani riguardano ormai anche extraurbani, prima quasi sconosciuti nelle comunità tradizionali.

Critiche alla teoria degli stadi L’ipotesi più forte per la quale Rostow è stato criticato è quella di cercare di far coincidere il progresso economico con un sistema di sviluppo lineare per stadi. Tale critica è appropriata, poiché è vero che vi sono paesi che hanno avuto “false partenze” sulla via del decollo, hanno poi raggiunto un certo grado di sviluppo sulla via della transizione ma sono poi regrediti, come ad esempio è successo nel caso della Russia contemporanea. L’analisi di Rostow enfatizza i casi di successo. Per Rostow, se un paese può iniziare ad investire, predisporre norme per regolare la società ed il sistema politico, e può identificare quei settori nei quali ha un qualche vantaggio comparato, allora potrà entrare nella fase della transizione ed eventualmente raggiungere la fase della modernità. Il venir meno di una di queste condizioni sarebbe una causa di non linearità e quindi di rallentamento nel processo di sviluppo. Un secondo problema nell’approccio di Rostow è che esso riguarda prevalentemente paesi grandi, con una popolazione numerosa (Giappone), dotati di risorse naturali al momento giusto (carbone nei paesi europei del nord), o comunque di grandi dimensioni (Argentina).

Teoria della dipendenza Una teoria antitetica al modello della modernizzazione che si è sviluppata in larga parte in risposta ad esso è la teoria della dipendenza. Essa rappresenta un insieme di contributi teorici delle scienze sociali (concepita da studiosi di vari paesi sviluppati e in via di sviluppo), accomunati da una visione del mondo che suggerisce che i paesi poveri e sottosviluppati della periferia sono sfruttati dai ricchi paesi sviluppati del centro, al fine di sostenere il loro sviluppo economico e mantenersi ricchi. La teoria della dipendenza afferma che il sottosviluppo e la povertà dei paesi nella periferia è il risultato del modo distorto e ingiusto di come essi siano stati “integrati” nel sistema mondiale. Al contrario gli economisti di stampo «liberista» sostengono che questi paesi si stanno pienamente “integrando” e la loro arretratezza non è che uno dei (necessari ma temporanei) risultati di questo processo di integrazione.

Con questa teoria si sostiene che la dipendenza nasce con la rivoluzione industriale e l’espansione degli imperi europei nel mondo (con il “secondo imperialismo”) grazie alla loro conseguente superiore potenza e alla ricchezza accumulata. Lo sfruttamento si sposta dall’interno ai paesi, con i centri economici principali che dominavano il resto del paese, all’esterno verso le colonie. Una volta che le nazioni ricche imperialiste hanno stabilito il controllo formale, esso non ha potuto più essere rimosso facilmente. Tale controllo assicura che i profitti nei paesi meno sviluppati siano inviati alle nazioni sviluppate, impedendo il reinvestimento interno, causando la fuga dei capitali e così ostacolando lo sviluppo. Con il recente sviluppo apparente delle economie dell’Asia Orientale e dell’India, tuttavia, la teoria ha largamente perso consensi.