Corso di Politica sociale a.a

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Corso di Politica sociale a.a. 2008-09 Lezione 11 marzo 2009 Lezione 24 marzo 2009 A cura di Daniela Teagno Testi di riferimento: D. Rei, Sociologia e welfare, Gruppo Editoriale Esselibri, Napoli, II edizione, 2008 M. Ferrera, Le politiche sociali, Il Mulino, Manuali, Bologna, 2006 M. Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Manuali, Bologna, 2005 (capitoli 8 e 9) G. Zincone (acd), Familismo legale. Come (non) diventare italiani, Laterza, Roma-Bari, 2006 (capitoli 3 e 4)

Lo stato sociale: genesi e varietà (1) Negli stati nazionali europei, quando spariscono le forme tradizionali di aiuto (quelle informali, della carità) e premono nuove domande di protezione, collegate alle mutate condizione di lavoro e di relazioni sociali, il luogo tipico e istituzionale della politica sociale nel XX secolo è il welfare state: un sistema sociale basato sull’assunzione da parte di uno stato politico di responsabilità primarie per il benessere sociale e individuale di ogni cittadino attraverso la legislazione e l’attivazione di specifiche politiche sociali realizzate tramite uffici e agenzie governative, ossia da istituzioni pubbliche. Successione evolutiva della protezione sociale: beneficenza-assistenza-previdenza-sicurezza sociale. Nel 1949 il sociologo inglese Thomas Humphrey Marshall traccia la storia della cittadinanza, intesa come status di coloro che appartengono a pieno diritto alla comunità nazionale e ne condividono il retaggio culturale e sociale moderno. Il diritto di cittadinanza integra 3 tipi di diritti: civili (giuridici e di libertà), politici, sociali (relativi a un minimo di sicurezza economica e alla fruizione di uno standard di vita civile, attraverso l’offerta pubblica generalizzata di servizi, quali l’istruzione, la sanità, l’assistenza).

La “formula di Rose” Indica il processo storico del welfare state:  TWS= HW+MW+SW Il welfare societario totale è la somma del welfare prodotto dalle cerchie informali di vita (household), negli scambi e istituti di mercato (market), e dalla fornitura pubblica (state). Nel corso del XX secolo la componente statale assume una posizione dominante nella realizzazione delle prestazioni di protezione sociale, pertanto: SW=WS

Lo stato sociale: genesi e varietà (2) La genesi degli attuali welfare states EU si colloca tra il 1880 e il 1915: INSTAURAZIONE (con alcune assicurazioni obbligatorie) Fase di ampliamento e CONSOLIDAMENTO fra le due guerre (anni ’20-40): da assicurazioni dei lavoratori ad assicurazione sociale, ovvero una protezione minima in base ai bisogni (più tipi di assicurazione, più assegni familiari, più altre coperture per popolazione inattiva) Fase di massima ESPANSIONE (1945-75: “trentennio glorioso”), con un notevole miglioramento della protezione offerta dallo Stato. Dalla metà anni ‘70 e per tutti gli anni ‘80: CRISI Nel decennio successivo: RIFORME

2 modelli di copertura Nella prima metà del XX secolo è avvenuta una grande biforcazione tra i due modelli di “copertura”, ovvero le regole di accesso e affiliazione ai principali schemi di protezione sociale (pensionistici e sanitari): modello occupazionale orizzontale (bismarckiano), dove gli schemi di protezione sociale sono rivolti ai lavoratori => adottato soprattutto dai paesi europei-continentali modello universalistico o verticale (beveridgiano), in cui gli schemi di protezione sociale coprono tutti i cittadini, al di là dello loro posizione lavorativa => adottato dai paesi anglo scandinavi. Nella fase di massima espansione => ulteriore diversificazione dei percorsi nazionali: universalismo “puro”/ “misto” (Scandinavia/Gran Bretagna); occupazionalismo “puro”/ “misto” (Germania/Italia).

4 aree di welfare (1992) in Europa Area scandinava => prestazioni molto generose, sostegno donne e infanzia Area britannica => incremento fondi pensione e mercati interni al settore pubblico Area continentale => assicurazioni obbligatorie in ambito lavoro e in sanità Area sud-europea = previdenza, pochi servizi per i figli, forte rete informale + una quinta EU sociale dal 2002 con l’entrata dei nuovi Paesi dell’est: 18% del Pil per la spesa sociale rispetto a una media europea del 28%.

I 3 regimi di welfare secondo Esping Andersen (1) La differenziazione dei welfare state europei ha portato a un articolato dibattito tra studiosi. Esping Andersen sostiene che nel periodo di espansione si sono consolidati 3 “regimi di welfare”: liberale, conservatore corporativo, socialdemocratico. l’autore si riferisce non solo al contenuto delle politiche sociali, ma all’intero sistema di relazioni fra queste e il mercato del lavoro da un lato, e la famiglia dall’altro lato. E si chiede quali sono gli outcomes, ovvero gli esiti di un regime di welfare sul piano delle effettive condizioni di vita dei cittadini.

I 3 regimi di welfare secondo Esping Andersen (2) La differenziazione tra regimi corre lungo 2 dimensioni: La DEMERCIFICAZIONE: il grado in cui gli individui possono, all’interno da un dato regime di welfare, liberamente astenersi dalla prestazione lavorativa, senza rischiare il posto, perdite significative di reddito o in generale di benessere. La DESTRATIFICAZIONE: il grado in cui la conformazione delle prestazioni sociali di un dato regime di welfare attutisce (fino, al limite, ad annullare) i differenziali di status occupazionale o di classe sociale.

Il welfare in Italia Il modello di welfare italiano può essere definito in vari modi: da un punto di vista costituzionale è LAVORISTA (artt. 1, 4 Cost.), SOLIDARISTA (art.2 Cost.) e OCCUPAZIONALE (art. 38 Cost.). Meglio sarebbe dire “OCCUPAZIONALE MISTO A TRATTI DI UNIVERSALISMO”, perché il S.S.N. dal 1978 garantisce pari prestazioni sanitarie a tutti i cittadini; da un punto di vista politico PARTICOLARISTA e CLIENTELARE (Paci, Ascoli, Ferrera); in base alle caratteristiche tipiche del welfare dell’Europa mediterranea, è FAMILISTA (Ferrera).  

La doppia distorsione del welfare state italiano distorsione funzionale distorsione distributiva Vecchiaia e superstiti Altri rischi Garantiti ++++ +++ Semigarantiti ++ + Non garantiti - L’Italia spende circa un quarto del PIL per la protezione sociale, come gli altri paesi europei. La sua peculiarità sta nella composizione interna della sua spesa: l’iperprotezione sia del rischio vecchiaia e superstiti (distorsione funzionale) sia di alcune categorie occupazionali, alimentando la giustapposizione tra inclusi ed esclusi, insiders e outsiders.

Cause e conseguenze della distorsione Le peculiarità italiana si può collegare alla “logica politica” della Prima Repubblica (1948-1992) che ha fatto del welfare state un nuovo sistema di potere, consolidatosi intorno a una vera e propria partitocrazia distributiva, che per catturare il consenso ha utilizzato modalità particolaristico-clientelari. Tra le conseguenze: - i problemi di efficacia/efficienza, nonché di equità, non solo all’interno delle generazioni ma anche tra le diverse generazioni; - il rafforzamento dello status quo e l’ostilità verso il cambiamento istituzionale; - l’impatto più violento, rispetto agli altri paesi europei, della crisi iniziata negli anni Settanta. A partire dal 1992, inizia una nuova fase di “ricalibratura” del welfare state italiano, caratterizzata da importanti riforme in quasi tutti i comparti di spesa. A che cosa è dovuto questo cambiamento di rotta? A due importanti mutamenti del quadro istituzionale: uno di origine interna che ha riguardato gli assetti, i soggetti e gli equilibri politici della prima repubblica (Tangentopoli, Mani pulite delegittimarono il regime di partitocrazia distributiva) traghettando il paese verso la seconda repubblica (prime elezioni con sistema maggioritario nella primavera del 1994=> primo governo Berlusconi), ed uno esterno che sollecitava la transizione verso l’UEM ( a tal fine i vari governi Amato, Ciampi, Dini, Prodi dovettero fare scelte anche impopolari; le stesse parti sociali convennero sulla necessità delle riforme, che permisero all’Italia di essere ammessa nel 1998 a partecipare all’unione economica monetaria europea assieme ad altri 10 paesi membri). -Tangentopoli, Mani Pulite => 2ª Repubblica -Transizione verso l’UEM europea Perché?

Evoluzione storica del welfare italiano Sequenza politico-istituzionale:  1861-1919 MONARCHIA secondo lo Statuto Albertino  1919-1922 Crisi REGIME LIBERALE/Avvento FASCISMO  1922-1943 FASCISMO e MONARCHIA  1943-1948 Avvento PRIMA REPUBBLICA Andamenti dell’amministrazione della protezione sociale:  1861-1920 A+L ossia accentramento e laissez-faire  1920-1975 A+I ossia accentramento e interventismo  1975-2000 D+I ossia decentramento e interventismo Accentramento = tendenza alla concentrazione dei poteri e delle funzioni nel Governo centrale Laissez-faire = non interventismo, che è un principio proprio del liberismo economico, favorevole al non intervento dello Stato nelle attività economiche private, alla libertà economica e all'abolizione di dazi e protezioni. Lo Stato non finanzia le risorse che riguardano la protezione sociale.

Entrate/uscite per la protezione sociale (%) 2/32 previdenza sanità assistenza Stato 21,9 55,8 74,7 Regioni/enti locali ---- 39.4 18,3 Enti previdenziali 1,7 6,8 Imprese 51,9 2,2 Lavoratori dipendenti 14,2 Lavoratori autonomi 8,4 Famiglie 0,5 0,2 Uscite: + 2/3 Previdenza il 25% Sanità il 7% Assistenza (di cui il 5,2% per prestazioni in denaro) Sul totale spesa: 74% trasferimenti; 26% beni e servizi Rei, 2008 (dati 2003)

L’assistenza: dal Piemonte preunitario agli anni ‘50  1859: obbligo di istituire in tutti i comuni italiani le Congregazioni di carità, ovvero i comitati locali di beneficenza pubblica  Legge 753/1862: ribadisce precedente decreto; disciplina gli istituti assistenziali, tra cui le Opere pie, riconoscendone le funzioni di pubblica utilità con finalità di beneficenza (e autonomia) LEGGE CRISPI n. 6972/1890: riordina il sistema della beneficienza, secondo il principio di obbligo e controllo per il soggetto pubblico e di autonomia vigilata verso i soggetti privati. I comuni devono assistere gli indigenti che vi hanno residenza (domicilio di soccorso). Opere pie e altri enti morali, religiosi e laici confluiscono nelle Istituzioni pubbliche di beneficenza (IPB). Vengono istituiti (1904) a livello provinciale i COMITATI PREFETTIZI di assistenza e beneficenza e alla provincia passano competenze più ampie per il trattamento di “disgrazie rare”, ovvero disabili, minori illegittimi, malati mentali ONMI (1925) + istituti provinciali per l’infanzia e la maternità IPB diventano IPAB (1926) ECA (1937) Art. 38 della Costituzione: assistenza sociale a ogni cittadino inabile al lavoro e povero. Alle regioni la “beneficenza pubblica”. Vecchi e nuovi enti

Anni ’60…verso i servizi sociali  Servizi sociali aperti a tutti su base territoriale: Unità locale dei servizi DIVORZIO, NUOVO DIRITTO DI FAMIGLIA, CONSULTORI FAMILIARI, ASILI NIDO COMUNALI, ADOZIONE E AFFIDO,ORGANI COLLEGIALI NELLA SCUOLA, SER.T Anni ‘70: nascono le Regioni a statuto ordinario Dpr 616/1977: primo decentramento Soppressione enti assistenziali nazionali ed ECA CULTURA DEI SS: globalità della persona, prevenzione dei rischi, decentramento, partecipazione sociale alla gestione dei servizi

La previdenza: dal XIX secolo a oggi  1898: prima assicurazione sociale obbligatoria contro infortuni  1910: introduzione indennità di maternità x lavoratrici dipendenti 1919: assicurazione sociale obbligatoria sulla vecchiaia La Cassa nazionale delle assicurazioni sociali diventa all’inizio degli anni ’30 Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale, poi INPS con l’avvento della Repubblica. 1969: riforma dell’INPS (L. 153), dalla capitalizzazione alla ripartizione; metodo retributivo di calcolo 1970: Statuto dei diritti dei lavoratori (L. 300) 1981: L. 155 distingue prestazioni previdenziali e assistenziali 1989: GIAS (gestione interventi assistenziali) dell’INPS, finanziati attraverso la fiscalità generale 1995: “riforma Dini” (L. 335)  Dal primo al secondo e terzo pilastro