treaty shopping
Il treaty shopping è una fattispecie elusiva a carattere internazionale ideata dal contribuente per sottrarsi o minimizzare l’obbligo tributario in un certo stato. Tale fenomeno consiste nell’impiego distorto di una Convenzione stipulata tra due stati per l’eliminazione della doppia imposizione internazionale . Per Treaty shopping si intende quella situazione ove un soggetto,non destinatario dei benefici di un trattato,mediante l’inserimento di una struttura economica (conduit company) in uno degli stati stipulanti,possa ottenere benefici di cui altrimenti non avrebbe potuto fruire operando direttamente.
L’operazione è il risultato di un processo logico che si sostanzia nelle seguenti fasi: -identificazione del target (risparmi di imposta da realizzare) -sviluppo di una serie di ipotesi alterative per lo sfruttamento delle norme convenzionali relativi ai flussi di reddito individuati -definizione ella struttura ottimale per il caso specifico(quella che consente di ottenere il maggior risparmio di imposta con il minimo rischio fiscale).
In riferimento alle cosiddette operazioni conduit due sono le strutture più frequentemente utilizzate: -la holding structure -la conduit structure ,suddivisibile nelle configurazioni a) la struttura conduit diretta b) la struttura a scacchiera
La struttura diretta è la più classica e tipica:consiste nello sfruttamento di un trattato stipulato tra due stati membri ad opera di una società residente in un paese terzo che ha in essere una convenzione soltanto con uno dei due. A società nel paese terzo;B e C A ha trattato con B ma non con C B e C hanno trattato A desidera fare investimento in C ma non avendo il trattato è per lei conveniente localizzare un intermediate holding in B
La struttura a scacchiera presuppone un contesto diverso in quanto si fonda sulla circolarità di tre regimi convenzionali esistenti tra quattro paesi diversi A B C D. A ha trattato con D D con B B con C A vuole investire in C;A può costituire una società in D che a sua volta partecipi in un altro soggetto collocato in B ;quest’ultimo farà l’investimento in C.
Queste strutture sono possibili se le società interposte sono residenti effettivamente nei rispettivi stati e le eventuali clausole anti-abuso dei trattati non devono essere applicabili. I comportamenti messi in atto non possono definirsi evasivi in quanto non contrastano ne con norme interne ne con le convenzionali;si configura invece la tipica ipotesi di elusione fiscale internazionale.
Per garantire la tutela delle imprese rispetto agli effetti distorsivi riconducibili a questo fenomeno tre possono essere le misure da adottare: Indiretta attraverso l’esercizio di pressioni politiche e economiche sui Governi degli stati prescelti per la pianificazione fiscale affinché adottino provvedimeni volti a limitare il ricorso alla misura elusiva in esame. Unilaterale introducendo nella legislazione interna un insieme di norme generali e specifiche volte a prevenire l’uso i proprio dei trattati Bilaterale introducendo clausole ad hoc all’interno delle Convenzioni. Esempi di strumenti bilaterali: La “beneficial ownership clause”:consente di ridurre la ritenuta prelevata alla onte su dividendi,interesi e royalties a condizione che il soggetto percettore sia l’effettivo beneficiario. L’”exlusion approach” stabilisce l’esclusione dai benefici convenzionali di alcune categorie che fruiscono di particolari regimi fiscali.
Il “channel approach” prevede il disconoscimento del regime convenzionale a soggetti che percepiscono determinati redditi e ne trasferiscono consistente parte a residenti in stati terzi. Il “bona fide approach” mediante il quale si intende garantire in via esclusiva l’applicazione dei benefici di un trattato alle società costituite secondo il principio di buona fede. Le clausole di “limitation on benefits” LOBC,di matrice statunitense, attraverso le quali gli Usa firmatari di un accordo stabiliscono i principi per un elusione di origine controllata ,cioè oprano un inquadramento di ogni potenziale forma elusiva dei soggetti interessati,applicando i tests previsti dalla stessa clausola.(il soggetto formalmente residente n uno stato contraente deve avere effettivamente un collegamento economico con questo;pertanto deve soddisfare almeno uno dei test volti a definire i requisiti presuntivi per accertare l’esistenza del collegamento con lo stato di cui sono residenti)
L’art 37bis del DPR 600 del 29 settembre 1973 è una norma antielusiva speciale,frutto di un’articolata evoluzione normativa. Nell’ordinamento fiscale italiano per lungo tempo non c’è stata una specifica normativa antielusiva,pertanto per contrastare la diffusione dei fenomeni elusivi si è ricorso a complessi schemi normativi civilistici. L’ attuale normativa elusiva è “speciale” in quanto applicabile solo alle fattispecie di operazioni indicate nel comma3 dell’art37 bis : Trasformazioni,fusioni,scissioni,liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del pn non formate da utili. Conferimenti in società e negozi aventi oggetto il trasferimento o godimento di aziende. Cessione di crediti. Cessioni di eccedenza d’imposta.
L’art. 37bis al comma1 richiede che siano rispettati alcuni requisiti : l’operazione elusiva deve comportare un aggiramento patologico di norme tributarie. attraverso l’operazione si realizza un risparmio d’imposta altrimenti indebito (il vantaggio deve essere ottenuto effettivamente,in termini monetari). l’operazione,complessivamente considerata, sia priva di valide ragioni economiche.
Relativamente al requisito delle valide ragioni economiche queste vanno intese come un interesse economico apprezzabile in capo al contribuente. Le ragioni economiche sussistono quando il comportamento sotto esame è motivato da ragioni che si inquadrano nella normalità della prassi economica anche se questa può essere giudicata non positivamente dalla collettività (è il caso della trasformazione d una società che provochi la perdita di posti di lavoro;la logica economica può giustificare la scelta anche se aumenta la disoccupazione).
La norma antielusione CFC contro i paradisi fiscali La disciplina sulle Controlled foreign companies è tesa ad imputare per trasparenza (in proporzione alla quota di partecipazione agli utili)i redditi delle controllate estere residenti in paesi a fiscalità privilegiata direttamente in capo alla controllante al fine di contrastare la delocalizzazione in paradisi fiscali di attività prive di qualsiasi radicamento con detti territori che,pertanto devono essere ricondotte alla società residente.
Se infatti è vero che la delocalizzazione di aziende nazionali può rispondere ad evidenti esigenze tecniche o logistiche,non può tuttavia negarsi che spesso questa pratica viene utilizzata al solo scopo di ottenere significativi risparmi d’imposta mediante la localizzazione in società appositamente costituite in stati a fiscalità privilegiata
Il legislatore ha definito che la disciplina ,in costanza di determinati presupposti ,comporta la presunzione legale atta a recuperare a tassazione in Italia i redditi “esterovestiti” e che l’onere della prova è a carico del contribuente chiamato a fornire la dimostrazione dell’assenza di qualsiasi illegittimo risparmio d’imposta. L’ambito soggettivo della disciplina comprende quindi,i soggetti residenti,sia persone fisiche che enti collettivi,esercenti o meno attività d’impresa,che detengono il controllo o partecipazioni di collegamento in un’ impresa,società o altro ente che abbia la residenza o sia localizzato in un PF.
L’ambito oggettivo invece è rappresentato dai redditi (e non hai costi)conseguiti dal soggetto estero partecipato;tali redditi vengono imputati alla controllante italiana in proporzione alla quota di partecipazione agli utili e sono soggetti a tassazione separata con l’aliquota media applicata sul reddito complessivo del soggetto residente, e comunque non inferiore al 27%.
La disciplina non si applica ogniqualvolta il contribuente dimostri che dalla partecipazione non deriva alcun risparmio d’imposta ovvero che la localizzazione della controllata risponde a precise finalità legate all’attività industriale e commerciale. Il comma 5 dell’art 167 illustra infatti le cause esimenti;afferma che la disciplina sulle CFC può essere disapplicata qualora il contribuente dimostri alternativamente che: la partecipata svolge effettiva attività industriale o commerciale,come sua principale attività,nello stato dove ha sede dalla partecipazione non consegue l’effetto di localizzare i redditi in paesi in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati
Per dimostrare che la controllata svolge in via principale attività industriale o commerciale occorrerà dimostrare che essa possiede in loco una struttura organizzata idonea ,che vi siano pertanto un magazzino per la movimentazione delle merci,presenza nello SP e nel CE di voci comprovanti la compravendita di beni e di costi inerenti all’attività commerciale;contratti di assunzione di dipendenti e oltre l’attività operativa anche quella manageriale e decisionale. (circolare ministeriale del 23 maggio 2003 da elenco dei documenti che si ritengono sufficienti a fornire la prova del collegamento fisico della struttura con il territorio).
In merito a b) sono definite due circostanze in corrispondenza delle quali può legittimamente ritenersi che dalla partecipazione non discenda l’effetto di localizzare i redditi in stati in cui sono sottoposti a regimi privilegiati: i redditi conseguiti dal soggetto siano prodotti in misura non inferiore al 75% in altri stati o territori diversi da quelli della black list e sottoposti in questi stati integralmente a tassazione ordinaria i redditi della SO risultino sottoposti integralmente a tassazione ordinaria nello stato in cui ha sede la partecipata
Al fine di ottenere la disapplicazione della disciplina sulle CFC è necessario inoltrare in via preventiva apposita istanza di interpello, opportunamente documentata, tesa a dimostrare la sussistenza di una delle cause esimenti. L’istanza può essere presentata dal contribuente o dal suo legale rappresentante in generale a decorrere dal momento in cui viene acquisita una partecipazione i un soggetto estero per il quale si rende applicabile la CFC. Decorsi 120 o 180 (se il soggetto ha gia una partecipata in un paese della black list) senza che sia stato emesso un atto da parte dell’Agenzia delle Entrate,la domanda si intende accolta con la conseguenza che alla controllata estera non si applicano le disposizioni dell’art167 del TUIR. L’istanza di interpello è la condizione sine qua non per evitare l’applicazione della disciplina CFC,la quale in caso contrario deve ritenersi operante automaticamente.