Sociologia dei processi culturali Sociologia della cultura

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Sociologia dei processi culturali Sociologia della cultura Orario lezioni. Mercoledì, ore 16.00-18.00, aula AVILA, Corso Italia. Giovedì, ore 18.00-20.00, aula AVILA, Corso Italia. Venerdì, ore 16.00-18.00, aula AVILA, Corso Italia. Sociologia dei processi culturali Sociologia della cultura Prof. Luca Salmieri Lezione 4 ‘Religione, ideologia e senso comune’

La religione e la cultura Le concezioni del mondo si hanno quando credenze, valori, simboli sono integrati in un sistema in cui i vari elementi sono connessi tra loro in modo abbastanza coerente. Quando una concezione del mondo ha a che fare con la natura di esseri sovraumani e con i loro rapporti con il mondo si parala di religione. La religione rappresenta un vero e proprio sistema culturale se: Vi è la struttura di significati che sono espressi tramite dottrine e dogmi, attraverso precetti, divieti e simboli. L’individuo e la realtà sono inseriti in un ordine cosmico e sacro Esiste un carattere pubblico di tali tratti e la religione è acquisita attraverso processi sociali di apprendimento.

La religione e la cultura Max Weber ha distinto le religioni universali (induismo, buddismo, cristianesimo, islamismo, ebraismo) e religioni locali. Inoltre, Weber propone altre due classificazioni, in base all’immagine del mondo e in base al discorso sulla salvezza. L’immagine teocentrica fa riferimento ad una concezione di un Dio personale trascendentale, mentre l’immagine cosmocentrica ad un Dio impersonale e immanente. Weber parla di ascetismo quando l’uomo è considerato uno strumento del volere divino, mentre le religioni che considerano l’essere umano come un vaso, un contenitore pronto ad ospitare l’essenza divina, Weber parla di misticismo. Nel primo caso, le tradizioni religiose tendono a prescrivere un’etica di comportamento precisa, disegnata su una visione del mondo manichea (opposizione tra il bene e il male). Nel secondo caso, invece, le religioni tendono ad offrire i percorsi attraverso cui tendere alla conoscenza delle cose e quindi a strutturare un sistema di carattere cognitivo. Da queste differenze derivano due modi completamente diversi delle religioni medio-orientali (cristianesimo, ebraismo e islam) e orientali (induismo, buddismo, confucianesimo) di essere in rapporto con la cultura intesa in termini ampi. Nel caso delle religioni medio-orientali, l’essere umano è peccatore e soprattutto la vita terrena è improntata ad una personalità attiva, mentre nell’ideale orientale l’atteggiamento di conoscenza e contemplazione produce una personalità più distaccata rispetto all’ordine terreno delle cose.

La religione e le pratiche culturali e sociali A partire dal tipo di organizzazione di una religione è possibile distinguere tra chiesa e setta. Nel primo caso si tratta di una comunità stabilizzata di credenti, con una lunga influenza sul sistema culturale di riferimento, tale che la semplice nascita all’interno della comunità produce nella maggior parte dei casi un’automatica appartenenza alla chiesa. Al contrario la setta non si appartiene per nascita, ma seguito di una libera scelta e di solito l’ostracismo della chiesa e di alcune norme sociali comporta un numero limitato di fedeli. Inoltre, la setta può esprimere convinzioni e credenze che mettono in discussione alcuni o molti valori della cultura dominante. La sociologia si è posta di fronte al fenomeno delle religioni o in termini di cause che hanno portato alla nascita e allo sviluppo di determinate religioni adottando un approccio storico-sociale o in termini di funzioni che la religione esplica in termini sociali e culturali. Ad esempio, l’approccio di Durkheim rientra nel caso delle funzioni che la religione ha nei confronti della società: attraverso i rituali religiosi, la società esprime un cambiamento emotivo nelle pratiche quotidiane e attraverso il simbolismo religioso essa non fa altro che sancire il senso di appartenenza collettiva rinforzando i legami che uniscono l’individuo alla società. Per il sociologo francese la religione è un sistema di comunicazione di idee, sentimenti e norme regolative del sistema sociale. Malinowski, il famoso antropologo che ha dato sviluppo al funzionalismo nello studio della cultura, sottolinea come la religione e la magia rivestano nelle piccole società la funzione di risolvere situazioni di forte tensione emotiva, fornendo rassicurazioni di fronte al rischio del panico, dell’ansia e del disorientamento.

La religione e le pratiche culturali e sociali Robert Merton, un sociologo americano che introduce nelle teorie funzionaliste di Parsons il tema del cambiamento e della devianza, adotta l’importante distinzione tra funzione latente e funzione manifesta, scegliendo proprio il campo della religione per sviluppare tale distinzione. Come Durkheim e Parsons, anche Merton è interessato alla verifica del livello di integrazione delle strutture culturali e sociali. Per quale motivo le società persistono? Quali sono le funzioni che facilitano l'adattamento di un dato sistema sociale? Le conseguenze delle azioni di parti della società possono avere anche una direzione diversa o accessoria da quella voluta: molte strutture parziali del sistema sociale hanno conseguenze dirette su altre strutture parziali, su altri sottosistemi. Esistono cioè funzioni (o disfunzioni) indirette, oltre che dirette. Ma esistono anche funzioni (e disfunzioni) manifeste e funzioni latenti: le prime sono quelle volute, riconosciute e esplicitate, le seconde sono le funzioni non riconosciute né volute. Le pratiche religiose possono avere funzioni manifeste - ad esempio, un tipo di preghiera collettiva può essere volutamente tesa a scongiurare un cattivo raccolto - e funzioni latenti - ad esempio, quello stesso tipo di preghiera può avere la funzione di dare fiducia al gruppo di praticanti rispetto a diversi altri pericoli sociali.

La religione e le pratiche culturali e sociali Secondo Niklas Luhmann, uno dei maggiori esponenti della sociologia tedesca del XX secolo, la religione è un sotto-sistema sociale, di carattere simbolico che ha la funzione di offrire una visione del mondo sintetica e ridurre così la complessità sociale e quindi anche elementi a prima vista inspiegabili. Luhmann applicò alla società la teoria dei sistemi sociali, distinta dalla teoria dei sistemi sociali di Talcott Parsons. Luhmann parte dalla premessa, che gli elementi primari ed unici di un qualsiasi sistema sociale non siano gli agenti principali, ovvero gli uomini, ma gli effetti della comunicazione, ovvero comunicazioni che producono altra comunicazione. Senza comunicazione non esiste nessuna forma di sistema sociale, anzi la chiusura operativa del sistema sociale è operata proprio sul concetto di comunicazione. Si può facilmente notare come le diverse teorie che spiegano il ruolo della religione rispetto ai sistemi sociali e culturali utilizzando il paradigma della funzione peccano del limite di trascurare gli aspetti conflittuali e di protesta che a volte sono insiti nella storia della genesi e dell’affermazione dei movimenti religiosi. Chi ha invece saputo offrire un’interpretazione sociologica attenta a questi aspetti è Max Weber. Egli ha offerto una lettura delle religioni tesa anche a sottolineare il carattere rivoluzionario delle culture sacre soprattutto nel momento in cui ancora non appaiono sotto forma di chiese stabilite e istituzionalizzate. Spesso, tuttavia, come sottolinea Weber, le religioni universali tendono anche a giustificare le disuguaglianze sociali nella vita terrena. In sintesi se da un lato la storia di una religione può presentare agli inizi un carattere di anti-tradizionalismo culturale, dall’altro l’assetto istituzionalizzato di una religione tende a mantenere inalterato il sistema strutturale di una società.

La religione e le pratiche culturali e sociali Tra le spiegazioni causaliste della religione vi è soprattutto la visione materialista di Marx. Secondo Marx, le religioni si sviluppano come false visioni della realtà attraverso cui la struttura delle disuguaglianze materiali tra le classi sociali viene riprodotta. Si tratta di sovrastrutture - cioè di idee, credenze, visioni che non hanno a che fare con la realtà strutturale dei rapporti sociali - nate dall’esigenza di spostare le possibilità di cambiamento fuori dall’ordine reale delle cose. Questa tesi è coerente al processo intellettuale dello sviluppo del razionalismo nelle società moderne: se nelle società tradizionali o in quelle piccole la religione rappresenta il sistema culturale per eccellenza - nel senso che la religione corrisponde alla concezione del mondo valida per l’intera comunità - in quelle moderne, industriali, urbanizzate e basate sulla scienza come sistema di conoscenza e concezione del mondo, la religione perde la predominanza culturale e si ritrova circoscritta ad ambiti ristretti della vita sociale. Da questo punto di vista, la ricostruzione storica e sociologica di questo processo di perdita del dominio culturale è stata compiuta soprattutto da Max Weber e in parte da Durkheim. Quest’ultimo aveva rilevato soprattutto la progressiva autonomizzazione della religione rispetto ad altre sfere sociali, cioè rispetto all’economia, alla politica, alla vita quotidiana. Tale autonomizzazione produce anche conflitto tra la sfera religiosa e le altre sfere sociali e il conflitto a sua volta produce autonomizzazione.

L’ideologia e il rapporto con la cultura Il termine ideologia ha molte accezioni. In termini storici Toynbee sottolinea come i sistemi di idee religiose entrano in competizione con altri sistemi di idee, non religiose, come l’individualismo liberale, il comunismo, il nazionalismo. Quali sono gli elementi che ci consentono di parlare di ideologia quando siamo di fronte ad un fenomeno culturale? 1. Sistema di idee e di pensieri relativa ad una visione del mondo con un elevato livello di coerenza interna 2. La genesi di questo sistema di idee avviene nel ceto intellettuale ma si diffonde a livello delle masse che quindi legittimano l’efficacia di tali idee. 3. Giustificazione dei rapporti di potere esistenti o quelli che si intende imporre attraverso il cambiamento 4. Richiami e prove di validità che si pretendono scientifiche, ma che spesso sono solo pseudo-scientifiche. Niklas Luhmann parla di legittimazione ponderata quando un’ideologia stabilisce una graduatoria tra valori quando questi sono contradditori e riduce la complessità della situazione valoriale per non bloccare l’azione razionale. In questo caso l’aspetto più importante dell’ideologia non è la sua coerenza interna, ma la capacità di costituire una pragmatica di orientamento di fronte a divergenze tra criteri di scelta contraddittori.

Difetto della ragione, falsa coscienza, razionalizzazione, concezione del mondo prevalente in un epoca. Ben prima che il termine ideologia apparisse la prima volta con il filosofo francese Antoine Destutt de Tracy che voleva con questa parola indicare la scienza delle origini delle idee, già verso la fine del 1600 il filosofo Bacone aveva sviluppato la teoria degli idola, con cui indicava gli elementi che intralciano il raggiungimento della vera conoscenza. Marx non dedica un’opera sistematica allo studio dell’ideologia, tuttavia vi dedica uno scritto intero - L’ideologia tedesca del 1845 - in cui critica duramente l’impostazione hegeliana e dei seguaci di Hegel secondo cui la storia è il frutto del cambiamento che riguarda le filosofie e i sistemi di idee. Secondo Marx l’idealismo inverte e capovolge i rapporti reali. Le idee secondo Marx non hanno una storia e uno sviluppo autonomo, ma sono la diretta emanazione dei rapporti reali, cioè dei rapporti sociali prevalenti in un determinato momento storico. Lo sviluppo della divisione del lavoro ha prodotto una disgiunzione tra lavoro materiale e lavoro intellettuale. Nell’ambito del lavoro intellettuale che produce appunto idee e concetti, questi si staccherebbero dalla realtà che è in un’ultima istanza frutto dei rapporti materiali che rappresentano il vero motore della storia e del cambiamento.

Difetto della ragione, falsa coscienza, razionalizzazione, concezione del mondo prevalente in un epoca. Marx inoltre descrive con cura l’operare dell’ideologia nel sistema capitalistico: oggettivando e naturalizzando i rapporti tra le persone, li presenta come rapporti tra le cose. Gli oggetti e in particolare le merci vengono presentati come se fossero dotati di qualità proprie, quando invece in realtà secondo Marx sono sempre il frutto della produzione umana. Il feticismo delle merci è quel processo attraverso cui gli individui della società capitalista tendono a reificare le merci, considerandole dotate di qualità proprie e a dimenticare che il valore delle merci dipende dal lavoro necessario per produrle. Se l’ideologia costituisce dunque una forma di falsificazione della realtà dei rapporti sociali, tanto che Marx parla di falsa coscienza, le rappresentazioni del mondo prodotte dalla classe dominante sono ideologiche, cioè non vere, perché tendono a produrre una distorsione della realtà e a giustificare le disuguaglianze come frutto naturale delle cose. Le classi dominate non hanno consapevolezza della falsità delle rappresentazioni offerte dalla classe dominante, mentre quest’ultima approfitta del suo dominio oggettivo per produrre una visione del mondo che giustifica i rapporti di forza. L’ideologia borghese oscura la reale relazione tra le classi e contribuisce a rappresentare gli interessi della casse borghese come interessi universali.

Difetto della ragione, falsa coscienza, razionalizzazione, concezione del mondo prevalente in un epoca. Vilfredo Pareto (1848-1923) considera l’uomo un animale ideologico. Il sociologo ed economista italiano ritiene che gli esseri tendano a presentare i propri istinti e impulsi, soprattutto quelli meno più inconfessabili, sottoforma di costrutti logici e ragionevoli in modo da ottenere consenso e giustificazione. La visione di Pareto è capace di definire le ideologie come forme di razionalizzazioni a posteriori (ex-post). Da questo punto di vista il meccanismo è simile a quello del funzionamento dell’ideologia secondo Marx. Tuttavia, Pareto situa la spiegazione a livello psichico e non sociale. Egli ritiene che le ideologie possano essere analizzate a 3 livelli: a) oggettivo: al fine di stabilire quanto l’ideologia sia basata su una logica. b) soggettivo: al fine di comprendere la forza di persuasione che un’ideologia ha su determinati individui. c) di utilità sociale: malgrado Pareto, come Marx, ritenga che le ideologie mascherino interessi diversi da quelli che postulano, suggerisce di prendere in considerazione il livello di utilità sociale, in quanto possono esservi ideologie che mostrano di avere elevati livelli di persuasione e quindi anche una certa utilità sociale.

Difetto della ragione, falsa coscienza, razionalizzazione, concezione del mondo prevalente in un epoca. Karl Manheim rientra nella tradizione sociologica tedesca. Infatti, è un sociologo molto attento a collocare lo studio della società nell’ambito delle dinamiche storiche, convinto dell’importanza di cogliere lo spirito di un tempo, di un epoca per potere interpretare le caratteristiche specifiche di una data società. Nel 1929, proprio in periodo particolare per lo sviluppo e la presa delle ideologie di massa e in particolare dell’idea e dell’utopia della nazione,, Manheim pubblica Ideologia e utopia. La proposta di Manheim è quella di considerare e studiare le ideologie non dal punto di vista del rapporto che avrebbero con la realtà e le sue distorsioni, manipolazioni e falsità, ma da un punto di vista di concezioni totali: si tratta di analizzare la struttura mentale, gli stili di pensiero, il modo di pensare, rappresentare e interpretare la realtà - da cui deriva anche il modo di agire su di essa ed entro essa - relativamente ad un’intera epoca storica o gruppo sociale. L’ideologia assomiglia così ad una complessiva concezione del mondo (weltanshauung), un ampio insieme di tratti che corrispondono alla quasi totalità di una cultura.

Difetto della ragione, falsa coscienza, razionalizzazione, concezione del mondo prevalente in un epoca. Il senso comune è il sapere implicito, cioè un’insieme di quadri di pensiero, rappresentazioni, schemi di conoscenza e di percezione che le persone impiegano a livello implicito. È un sapere incorporato nelle pratiche che si succedono nella vita quotidiana così come nella storia di una cultura. Boudon ha recentemente parlato di vere e proprie disposizioni, forme di conoscenza e di agire che a noi sembrano autoevidenti e scontate, ma che in realtà sono il frutto di un consolidamento storico. In parte il senso comune si basa anche su microrituali che l’etnometodologia (Garfinkel) ha messo in rilievo. Anche gli stereotipi nascono dal e fanno parte del senso comune. Appartengono al senso comune non solo le 1) categorie, 2) le nozioni generali, ma anche la maniera di 3) rappresentarsi gli altri e 4) l’ambiente circostante. Gli stereotipi sono modalità attraverso cui ci rappresentiamo gli altri e l’ambiente sociale senza possedere le conoscenze dettagliate e precise. rituali e la pratiche contribuiscono a sviluppare e mantenere il senso comune. Il senso comune è stato affrontato dalla sociologia principalmente attraverso due filoni interpretativi differenti: le teorie di ispirazione durkheimiana e la fusione tra pragmatismo americano e fenomenologia.

Difetto della ragione, falsa coscienza, razionalizzazione, concezione del mondo prevalente in un epoca. Nell’ambito dell’impostazione basata sulle opere e sul pensiero di Durkheim, si assegna una centralità esplicativa alle categorie fondamentali del pensiero e alle forme classificatorie, intese come rappresentazioni collettive, cioè come prodotti della vivere collettivo e sociale. Esse dipenderebbero dal modo in cui il gruppo sociale è organizzato. Il fatto che categorie del pensiero e forme di classificazione dipendono dalle rappresentazioni collettive, fa sì che diventino vere e proprie istituzioni sociali, frutto dell’interazione sociale e capaci di influire sul comportamento del singolo. Durkheim sostiene la visione della natura collettiva delle categorie e delle forme di classificazione in quanto critica sia l’empirismo (la mente umana e dunque la psiche è al centro di un processo di immagazzinamento), sia il kantismo (tali categorie e forme di classificazioni esistono a priori). Durkheim e Mauss nei loro scritti giustificano l’idea che genere e specie, tempo e spazio siano sistemi classificatori e categorie del pensiero che variano da società a società in funzione del tipo di organizzazione sociale e del tipo di conformismo logico in esse presenti. Norbert Elias svilupperà ulteriormente l’importante concezione di Durkheim del tempo come come categoria sociale, cioè come una istituzione sociale che è diversa dal tempo individuale. In particolare Elias traccia l’evoluzione storica che ha portato le società occidentali industrializzate a giungere ad una dimensione scientifica, astratta e razionale di tempo : il tempo esatto.

Difetto della ragione, falsa coscienza, razionalizzazione, concezione del mondo prevalente in un epoca. Anche la categoria di ‘persona’ ha subito un particolare processo di cambiamento nelle società occidentali. Soprattutto, così come le altre categorie fondamentali del pensiero umano, mostra un’ampia variabilità nell’ambito delle diverse società e culture osservate dalla sociologia e dall’antropologia di ispirazione durkheimiana. Marcel Mauss, ad esempio, ha mostrato come nelle società tribali il concetto di persona si esaurisca nei ruoli sociali svolti da quella persona. Successivi studi comparativi realizzati sulla base dell’influenza della sociologia di Durkheim e dell’antropologia di Mauss, non solo hanno confermato questa impostazione, ma hanno anche allargato lo spettro delle variabilità, spingendo il dibattito sulle forme di classificazione, sul linguaggio e sulle categorie verso posizioni relativiste. Sempre nell’ambito dell’influenza esercitata dalla sociologia di Durkheim, Halbwachs ha introdotto il concetto di memoria collettiva che è qualcosa che le società costruiscono sull’insieme dei quadri di pensiero, delle rappresentazioni dello spazio e del tempo, dei modi di classificare il mondo. Anche e persino la memoria individuale dipende da quella collettiva, cioè da categorie sociali pre-esistenti, da quadri che hanno un’origine sociale e che quindi portano la memoria individuale a dipendere dall’appartenenza a un gruppo e al fatto di condividere con altri la medesima esperienza. La memoria dunque opera non tanto in base alla conservazione, ma grazie a processi di ricostruzione e selezione del passato in funzione del presente. La memoria dunque è un insieme dinamico, la cui coerenza è solo parziale e viene ricostruita di volta in volta.

Difetto della ragione, falsa coscienza, razionalizzazione, concezione del mondo prevalente in un epoca. Tipizzazioni e routine: l’approccio del pragmatismo americano e della fenomenologia. Durkheim non soltanto aveva considerato le categorie e le classificazioni come rappresentazioni collettive, ma aveva anche legato tali rappresentazioni ai rituali perché questi costituiscono un forte momento di associazione e interazione in cui gli individui sperimentano sentimenti e stati emotivi comuni che servono anche a rinsaldare la trasmissione dell’eredità sociale. Anche il pragmatismo americano - Peirce, Dewey, Cooley, Mead - considera il comportamento quotidiano come basato sulla ripetizione di soluzioni per problemi comuni. Sia l’approccio di Durkheim che quello del pragmatismo americano condividono la simile avversione a considerare le azioni degli individui come sempre dettate dalla logica della scelta razionale. In sintesi, il pragmatismo americano riprende la matrice di Alfred Schütz secondo cui al centro del comportamento c’è il senso comune che opera come un sistema di significati e di definizioni della realtà che collocandosi ad un livello diverso dalle ideologie, dal sapere scientifico o dalle dottrine filosofiche riguarda un livello pre-teorico.

Difetto della ragione, falsa coscienza, razionalizzazione, concezione del mondo prevalente in un epoca. Alfred Schütz (1899–1959), filosofo e sociologo austriaco, è considerato come il fondatore dell'idea di una sociologia fenomenologica. È influenzato dalla sociologia di Max Weber, dalle tesi sulla scelta e sulla temporalità di Henri Bergson e, soprattutto, dalla fenomenologia di Edmund Husserl. Dall’individualismo metodologico weberiano Schütz mutua la preminenza data all’azione dell’individuo e al significato dell’azione, ma a differenza di Weber manca in Schütz ogni ambizione a tracciare comparazioni fra lunghi archi spaziali o temporali, cosicché l’analisi rimane sempre centrata sulle strutture dell’esperire individuale nel mondo sociale e nella vita quotidiana. A partire dall’opera di Schutz è possibile individuare 5 componenti importanti che caratterizzano il concetto sociologico di senso comune. Oggettività: le persone nella vita quotidiana tendono generalmente a percepire la realtà come ordinata, oggettivata e dotata di senso. Il linguaggio costituisce l’elemento in cui è maggiormente riscontrabile il senso di oggettivazione da parte del singolo individuo che si ritrova vocaboli, regole grammaticali ed espressioni come qualcosa di già definito e presente, pronto all’uso nella realtà quotidiana. Intersoggettività e interscambiabilità: la realtà è condivisa sempre con gli altri. Si ritiene che vi sia una corrispondenza tra i propri significati e quelli degli altri o quanto meno che ci possa essere. Il linguaggio e la comunicazione servono, tra le altre cose, proprio a favorire questo continuo confronto per mettere alla prova la validità dei significati del senso comune. Auto-evidenza: il senso comune è quel sapere-agire, quelle disposizioni-dispositivi che diamo per scontati come evidenti, per i quali non c’è bisogno di interrogarsi. Nei loro confronti vi è una sospensione del dubbio. Tipizzazioni: le relazioni sociali ordinarie sono modellate e percepite in base a schemi di tipizzazione. Si tratta di scorciatoie interpretative di azione, pronte all’uso che regolano la nostra azione. Gli schemi di tipizzazione consentono di prevedere il comportamento degli altri e forniscono una base per valutare quale possa essere il proprio comportamento più adatto alla situazione. Essi forniscono a loro volta schemi di aspettative. Più ci si allontana da una situazione faccia a faccia, più gli schemi di tipizzazione e gli schemi di aspettative tendono a farsi anonimi e astratti. Fondo di conoscenza comune: esiste un fondo minimo di conoscenza comune fatto di simboli, vocaboli, modelli di comportamento, tratti culturali, schemi che data la loro ripetuta validità ed efficacia di fronte a situazioni ricorrenti, sono ormai dati per scontati e in quanto tali fanno ormai parte del senso comune. La loro conoscenza non è totalmente omogenea, ma è socialmente distribuita e relativamente coerente.

Le problematiche del rapporto cultura-società. Le strutture sociali influenzano la cultura e questa viene considerata una variabile dipendente che ciò risulta sempre come risultato del variare di altri fenomeni di carattere sociale. Le forme e i tratti culturali influenzano l’azione sociale e lo sviluppo delle strutture e dei fenomeni sociali. In questo caso la cultura è vista come una variabile indipendente, cioè come l’elemento che è capace di spiegare i fenomeni più strettamente sociali. Vi è poi una terza posizione che si interroga sulle modalità sociali attraverso cui la cultura viene trasmessa ed entra a far parte dell’universo soggettivo delle persone. Quasi nessuna teoria o autore rientra automaticamente soltanto in una delle prime due visioni, nel senso che determinismo culturale o determinismo sociale rappresentano posizioni estreme che difficilmente vengono sposate nelle ricerche e nelle teorizzazioni sociologiche. Semmai è possibile di volta in volta notare a quale delle due posizioni si è più vicini. Ai nostri giorni soprattutto si è ormai d’accordo sul fatto che esista una influenza reciproca tra tratti culturali e strutture sociali. Vi è inoltre anche una quarta posizione estrema che sancisce la totale autonomia di società e cultura. Anche questa posizione è sostenuta molto raramente nel campo delle scienze sociali. Influenza reciproca Determinismo culturale Determinismo sociale Autonomia

I paradigmi di interpretazione: 5 modelli. Modelli funzionalisti: esistono diversi tipi di funzionalismo nell’ambito della sociologia. La nascita del funzionalismo è databile agli anni ‘30, quando Bronislaw Malinowski dette vita alla visione funzionalista dei bisogni umani e Reginald Radcliffe-Brown allo struttural-funzionalismo. Malinowski estende il vocabolario delle scienze umane a quello dell’antropologia e analizza la funzione che la cultura riveste nel mantenere in equilibrio il sistema sociale, inteso come un organismo. Egli riprende l'interpretazione tyloriana della cultura come insieme complesso, ma ne accentua l'aspetto organicistico trasformandola in un “tutto integrato” in cui ogni singola parte contribuisce al funzionamento dell'insieme. Ogni cultura è costituita dall'insieme di risposte che la società dà ai bisogni universali degli esseri umani. Vi sono i bisogni umani universali (basic needs) - mangiare, dormire, riprodursi e a cui ogni cultura fornisce proprie peculiari risposte; la soddisfazione dei bisogni primari crea bisogni secondari o derivati come l'organizzazione politica ed economica che nascono dalla necessità di ogni società di mantenere la propria coesione interna. C'è infine un terzo tipo di bisogni, bisogni di carattere culturale, come le credenze, le tradizioni, il linguaggio. Nel 1922 Radcliffe-Brown pubblicò ‘Gli isolani delle Andamane’, lo stesso anno in cui uscì ‘Argonauti del Pacifico occidentale’ di Malinowski. Nella sua opera fu influenzato da Émile Durkheim, cercando di definire la funzione sociale dei fenomeni mitico-religiosi. La tesi centrale è che i simboli, sia sottoforma di elemento basilare per la comunicazione di idee e sentimenti, sia intesi come strumenti di regolazione sociale, funzionano come principale sistema di mantenimento dell’ordine sociale. Lo struttural-funzionalismo di Radcliffe-Brown deve essere considerato come qualcosa di diverso dalla teoria del sistema sociale elaborata gradualmente da Talcott Parsons nel corso degli decenni successivi. Quello di Parsons è infatti un vero e proprio approccio sistemico in cui molto spesso determinati tratti culturali, anziché rappresentare una funzione che in generale serve a mantenere l’ordine sociale, esistono a garantire una congruenza tra il sistema dei valori e la struttura sociale, in altre parole può essere che la funzione sia quella di creare soluzioni a squilibri nel rapporto cultura-società.

I paradigmi di interpretazione: 5 modelli. Rispetto a Radcliffe-Brown, la risposta di Parsons è più moderna in quanto collega la nozione di integrazione alla complessità strutturale del sistema sociale moderno attraverso il concetto di ruolo e di ‘aspettativa di ruolo’. Il ruolo è la somma delle aspettative di comportamento da parte degli ‘emittenti di ruolo’. Le aspettative di ruolo esercitano la costrizione fondamentale sugli individui. La nozione di ruolo è il mezzo (teorico) per collegare il volontarismo individuale all’integrazione sistemica. Il sistema sociale è visto come sistema istituzionalizzato di ruoli. Ancora diverso è l’approccio funzionalista di Robert King Merton (pseudonimo di Meyer. Scholnick, 1910-2003), statunitense, ma figlio di immigrati dell'Europa dell'Est. Merton sostiene che l'idea centrale del funzionalismo è interpretare i dati attraverso le loro conseguenze sulle strutture più grandi in cui sono implicati. Come Parsons analizza la società per vedere se le strutture culturali e sociali sono ben integrate oppure no. Ma è interessato a capire per quale motivo le società persistono e cerca le funzioni che facilitano l'adattamento di un dato sistema sociale. L'analisi funzionalista classica viene considerata conservatrice in quanto ricerca i fattori di turbamento delle strutture sociali disfunzionali che possono provocare una modifica nello status quo. Merton si discosta da quest'analisi tradizionale, e dunque anche da Parsons, perché si pone una domanda: "funzionale a chi?". Ammettendo l'esistenza di diversi gruppi di interesse all'interno della società, senza considerarla più come un organismo unitario, introduce un elemento della sociologia del conflitto all'interno della sociologia funzionalista. Inoltre, Merton introduce la distinzione tra funzione manifesta e funzione latente. La funzione latente si ha quando un fenomeno - egli analizza in particolare i rituali - produce conseguenze oggettive, quindi visibili, riscontrabili e non arbitrarie, non intenzionalmente volute o ammesse. In termini generali il funzionalismo è stato importante per lo studio della cultura non tanto per le spiegazioni della cultura tutta in funzione della società, ma piuttosto per la capacità di fornire delle interpretazioni potenti ed efficaci della funzione di specifici tratti e fenomeni culturali rispetto alla società di cui erano parte.

I paradigmi di interpretazione: 5 modelli. Modelli causalisti: mentre i modelli funzionalisti tendono molto ad assomigliarsi, all’interno del gruppo delle teorie definite causaliste, vi sono notevoli varietà. In generale il tratto comune ai paradigmi causalisti risiede è che nello spiegare la cultura vi siano cause che sfuggono alla coscienza degli individui che aderiscono a quella data cultura. Le cause possono essere di natura biologica, psichica, economica o sociale, ma non si rifanno mai ai significati che gli individui possono assegnare ai diversi fenomeni di cui fanno esperienze. Non è una cosa scontata, ma possiamo rinvenire elementi di causalismo in diversi autori che hanno fortemente influenzato la sociologia. Durkheim a volte ha utilizzato modelli di spiegazione causalisti, sostenendo spesso l’esistenza di una relazione causale tra ordine sociale e ordine concettuale: ad esempio, la tesi secondo cui il concetto di spazio di tipo circolare tipico presso alcune popolazioni australi sarebbe il portato dell’organizzazione a cerchio dell’accampamento tribale. Marx e soprattutto il marxismo più scontato, hanno costruito moltissime spiegazioni dell’ordine che noi oggi definiremmo culturale, attraverso il famoso rapporto tra struttura economica e sovrastrutture politiche, normative, religiose e del mondo dell’arte. Anche Vilfredo Pareto è stato criticato per alcune interpretazioni di tipo causalistico: in particolare attribuisce l’origine dei valori e delle credenze a cause psichiche che preesistono alla capacità di interpretazione e di significazione del singolo individuo. In anni più recenti, altri approcci sociologici, anche molto importanti, sembrano assegnare peso a fattori causali di ordine sovra-individuale, offrendo una visione forse automatica e meccanicistica del rapporto tra cultura e società. In particolare, il programma forte di sociologia della conoscenza, ha sostenuto che l’affermarsi di diversi paradigmi nelle scienze sarebbe il frutto di conflitti, giochi di potere, interessi di gruppi scientifici e sociali che rappresentano la particolare situazione socio-politica di un periodo specifico. Pertanto il susseguirsi di paradigmi scientifici sarebbe l’esito di specifici fattori di ordine sociale. Infine, dagli anni ‘70 si è sviluppata negli Usa una corrente di sociologia della cultura fortemente interessata a descrivere l’ambito della produzione culturale: gli aspetti organizzativi e strutturali dell’industria culturale influenzerebbero in modo decisivo la fruizione culturale e la cultura in generale. Questa influenza non avviene in modo univoco e automatico, ovvero che detiene il potere non ha la possibilità di manipolare a suo piacimento la fruizione della cultura - come sosteneva ad esempio la Scuola di Francoforte negli anni ‘50 e ‘60 - tuttavia la cultura emerge come la somma di tanti comportamenti organizzativi e si presenta come un repertorio di elementi scarsamente integrati.

I paradigmi di interpretazione: 5 modelli. Modelli strumentali: questi modelli esplicativi si rifanno direttamente alla teoria della scelta razionale che rappresenta un’importante punto di vista di tutta la sociologia e viene impiegata molto spesso nelle ricerche socio-economiche. Alla base dell’azione sociale, vi è l’insieme delle azioni di ogni singolo individuo che si comporta in modo razionale, perseguendo consapevolmente i propri scopi e calcolando il rapporto costi-benefici. Quest’approccio ha aggiunto ai 3 postulati che si possono trarre dall'opera weberiana, altri 3 postulati. Weber ha fondato un individualismo metodologico grazie a 3 soli postulati: 1) Individualismo: ogni fenomeno sociale collettivo è il risultato della combinazione di azioni individuali; 2) Comprensione: l'elemento essenziale di ogni analisi sociologica consiste nel comprendere il senso che gli attori danno a tali azioni; 3) Razionalità: la causa di azioni e credenze è nel significato, cioè nelle motivazioni che il soggetto adduce per adottarle. I postulati aggiunti sono: 4) Conseguenzialismo: il significato dell'azione, per l'attore, si trova nelle conseguenze dell'azione, e quest'ultima è positiva solo in rapporto al risultato. 5) Egoismo: l'attore tiene conto soltanto delle conseguenze che lo riguardano personalmente. 6) il sesto Massimizzazione: l'azione dell’attore è sempre volta a massimizzare la differenza positiva tra benefici e costi. Le norme emergono come frutto della combinazione-aggregazione delle scelte razionali dei singoli individui: la cultura rappresenta così la combinazione di tante scelte individuali. In tale visione le norme nascono e si consolidano quando la loro efficacia percepita dagli individui è alta e quando è sostenuta da incentivi molto forti. L’approccio della scelta razionale secondo Elster ha 3 versioni differenti: 1) le norme sono razionalizzazioni ex-post del comportamento; 2) la forza delle norme risiede nelle sanzioni; 3) l’adesione alle norme deriva dalla valutazione che esistano conseguenze benefiche.

I paradigmi di interpretazione: 5 modelli. Modelli interazionisti:si basano sull’interazione comunicativa tra i soggetti. Secondo questi approcci le norme e le rappresentazioni culturali in generale emergono dalla ripetizione di soluzioni a problemi ricorrenti di cui esiste esperienza nel passato. Tali problemi e soluzioni hanno a che fare con pratiche e azioni situate a diversi livelli di complessità. Secondo il filosofo ed esperto di semiotica Charles Sanders Peirce, le rappresentazioni simboliche del significato evolvono attraverso l’uso ripetitivo dei segni quando attori interdipendenti puntano a coordinare la loro interazione. Icona: un segno correlato al suo oggetto per similarità, alcuni esempi sono le illustrazioni, i ritratti, e le caricature. Indice: un segno che si riferisce all'oggetto che esso denota, in virtù del fatto che è realmente determinato da quell'oggetto, i segni indicali sono motivati per contiguità fisica, alcuni esempi sono la firma, la fotografia e l'impronta digitale; Simbolo: un segno che si riferisce all'oggetto che denota, in virtù di un'associazione di idee generali, si tratta di un segno non motivato, e quindi arbitrario, alcuni esempi sono il linguaggio. Nei modellli interazionisti è interessante notare che anche se lo sfondo intersoggettivo è già dato all’individuo che vi opera, essi tuttavia ne sono consapevoli, sono in grado di interpretare, di progettare, negoziare i significati. Di particolare rilievo è il recente approccio ‘neodurkheimiano’, portato avanti da Collins, secondo il quale è possibile spiegare i significati riferendosi a particolari azioni e situazioni. Per tale motivo questo approccio si fonda in particolare sullo studio dei rituali come modalità normale di interazione quotidiana.

I paradigmi di interpretazione: 5 modelli. Modelli strutturalisti: derivano dalla linguistica strutturale di Ferdinand de Saussure che per la lingua aveva focalizzato l’analisi sulle strutture basilari del linguaggio, sostenendo che esso è un sistema formale di segni combinati in modo non aleatorio, dando rilievo primario all'asse della sincronia rispetto a quello della diacronia. Rispetto allo studio della cultura, lo strutturalismo prende corpo soprattutto in antropologia grazie all’opera di Claude Levì-Strauss che concentra l’analisi sulla struttura interna delle culture. Secondo Levì-Strauss esistono degli universali culturali. La mente umana ha una predisposizione universale a classificare la realtà in termini di opposizioni binarie. In seguito lo struttralismo di Levì-Strauss ha influenzato tutte le scienze sociale e, nella sociologia della cultura, anche se gli autori hanno abbandonato il tentativo di giungere a modelli universali, hanno continuato ad esaminare diversi tratti culturali in termini strutturalisti. Sullo strutturalismo si è poi innestato negli anni ‘60 un ripensamento dell’analisi del potere di tipo marxista, tra cui i principali autori sono Louis Althusser e Etienne Balibar. Essi sostenevano l’autonomia della cultura rispetto al classico determinismo struttura-sovrastruttura. La riproduzione della cultura è data da apparati ideologici di stato.