L’assunzione di cibo e acqua

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Transcript della presentazione:

L’assunzione di cibo e acqua

L’aumento dei altri disturbi alimentari, che si è verificato negli ultimi decenni in molti paesi, contrasta fortemente con la comune concezione sulla fame e sull’atto di mangiare. L’incompatibilità del pensiero del valore di riferimento con l’attuale epidemia di disturbi alimentari è un punto essenziale: se avessimo un comportamento alimentare, la cui funzione principale fosse quella di mantenere le risorse di energia a livelli ottimali, allora i disturbi alimentari sarebbero rari. Il fatto che siano, invece, così diffusi fa pensare che la fame e l’alimentazione siano regolati in altri modi.

Con il termine di digestione viene definito il processo gastrointestinale di demolizione e di assorbimento del cibo.

Le sostanze energetiche sono introdotte in tre diverse forme: lipidi (grassi); aminoacidi (i prodotti di scissione delle proteine); glucosio (uno zucchero semplice che deriva dalla scissione di carboidrati complessi, come amidi e zuccheri). L’energia è accumulata in tre diverse forme: grassi, glicogeno e proteine. Il glicogeno, depositato principalmente nel fegato, è subito convertito in energia. Il grasso, e non il glicogeno, è la principale forma di immagazzinamento dell’energia: un grammo di grasso può conservare il doppio dell’energia presente in un grammo di glicogeno. Il glicogeno, diversamente dal grasso, attrae e trattiene una notevole quantità di acqua.

L’insieme delle modificazioni chimiche attraverso cui l’energia è utilizzata dal corpo, include tre fasi distinte: la fase cefalica è la fase preparatoria; riguarda il breve periodo che intercorre fra il vedere, l’odorare o semplicemente pensare al cibo e l’inizio del suo assorbimento nella corrente sanguigna. la fase dell’assorbimento: periodo di tempo durante il quale le sostanze nutritive, assorbite nel torrente ematico, vengono impiegate per far fronte agli immediati bisogni energetici del corpo. la fase di digiuno: tempo durante il quale tutte le calorie introdotte con il pasto precedente sono state utilizzate e il corpo ricava energia dalle sue riserve energetiche; termina con l’inizio della successiva fase cefalica. Il flusso di energia è controllato da due ormoni pancreatici: l’insulina e il glucagone.

L’insulina svolge tre compiti: 1) consente l’utilizzazione del glucosio come principale fonte di energia; 2) favorisce la conversione delle sostanze energetiche del sangue in forme di deposito, cioè del glucosio in glicogeno e grasso e degli aminoacidi in proteine; 3) promuove l’accumulo di glicogeno nel fegato e nei muscoli, di grasso nel tessuto adiposo e di proteine nel muscolo. La fase di digiuno è caratterizzata da elevati livelli ematici di glucagone e da basse concentrazioni di insulina. Mancando l’insulina, il glucosio ha difficoltà a entrare nel citoplasma cellulare e smette di essere utilizzato dalle cellule come fonte principale di energia. Ciò consente al cervello di utilizzare il glucosio, perché la maggior parte delle cellule del sistema nervoso centrale non ha bisogno di insulina per assorbire il glucosio. I bassi livelli di insulina favoriscono anche la trasformazione del glicogeno e delle proteine in glucosio. Questo processo è detto gluconeogenesi.

Tutti i sistemi controllati da un valore di riferimento sono sistemi a feedback negativo: i cambiamenti del sistema in una direzione sono compensati mediante un segnale retroattivo (feedback) da cambiamenti nella direzione opposta. I sistemi a feedback negativo servono a mantenere l’omeostasi, cioè la costanza della composizione chimico-fisica dell’ambiente interno, essenziale per la sopravvivenza. Secondo questo modello (teoria glucostatica), la caduta dei livelli di glucosio al di sotto di un valore di riferimento costituirebbe lo stimolo principale della fame; il ritorno del glucosio ematico al suo valore di riferimento costituirebbe il segnale di sazietà. La teoria lipostatica è un’altra teoria basata sul concetto del valore di riferimento. La quantità di grasso corporeo si mantiene a un livello relativamente costante nella maggior parte degli individui. Secondo questa teoria, ogni individuo ha un valore di riferimento per il grasso corporeo.

Problemi delle teorie dei valori di riferimento della fame e dell’alimentazione L’attuale epidemia di disturbi alimentari contraddice queste teorie. Queste teorie appaiono incompatibili con l’azione che le spinte evolutive hanno avuto sul sistema dell’alimentazione. 2) Molte delle ipotesi scaturite dalle teorie dei valori di riferimento non sono state confermate. Ad es. i tentativi di ridurre la quantità di cibo assunta in un pasto, facendolo precedere da una bevanda ipercalorica, non hanno avuto grande successo. E’ la convinzione che la bevanda sia ipercalorica a influenzare la quantità di cibo ingerito. 3) Le teorie dei valori di riferimento non tengono conto degli effetti sulla fame e sull’alimentazione di fattori quali gusto, apprendimento e influenze sociali.

Teoria dell’incentivo L’assunto principale della teoria dell’incentivo è che l’uomo e gli altri animali non sono normalmente spinti a mangiare da un deficit energetico interno, ma dall’anticipazione degli effetti piacevoli del cibo, cioè dal suo valore incentivante. Come il comportamento sessuale: regoliamo il nostro comportamento non in base a una carenza interiore, ma perché lo desideriamo. La fame dipenderebbe dall’interazione di tutti i fattori che influenzano il valore incentivante che ha per lui quel cibo in quel dato momento. Possono influire su questo valore: l’anticipazione del sapore del cibo che verrà consumato, la quantità di tempo trascorso dall’ultimo pranzo, la distanza dall’ora dei pasti,la quantità e il tipo di cibo presenti nell’intestino, i livelli ematici di glucosio.

Fattori che determinano che cosa mangiare Preferenze e avversioni individuali Imparare a mangiare vitamine e minerali Fattori che determinano quando mangiare Fame preprandiale Con l’avvicinarsi dell’ora dei pasti, il corpo entra nella fase cefalica e cerca di attenuare l’impatto con il flusso di energia mediante la secrezione di insulina e la conseguente riduzione della concentrazione ematica di glucosio. Ipotesi di Woods: la sensazione di fame che avvertiamo all’ora dei pasti non rappresenta la necessità di cibo ma, al contrario, è il correlato della preparazione dell’organismo a ricevere un pranzo che modificherà l’omeostasi. Fame e condizionamento pavloviano

Fattori che determinano quanto mangiare Segnali della fame: dipendono dalla densità nutritiva, cioè la quantità di calorie per unità di volume. Studio sulla falsa alimentazione: i segnali di sazietà dallo stomaco o dal sangue non sono necessari per terminare un pasto. Effetto aperitivo e sazietà. Influenze sociali sulla sazietà. Sazietà senso-specifica: l’effetto della varietà della dieta sul consumo di cibo e sul peso corporeo contraddice l’idea che la sazietà sia rigidamente controllata da un deficit energetico interno. Il fenomeno della sazietà senso-specifica spinge l’animale a variare la dieta e porta quegli animali, che hanno accesso a una grande varietà di cibi, a mangiarne in maggiore quantità.

Meccanismi fisiologici di fame e sazietà Ruolo del livello di glicemia sulla fame e sulla sazietà Nei ratti, 10 minuti prima dell’inizio del pasto si osservava un improvviso decremento del glucosio ematico. Non si tratta di una dimostrazione a favore della teoria glucostatica della fame: l’aumento potrebbe essere dovuto alla decisione dell’animale di iniziare il pasto, e non al contrario; inoltre se il pasto atteso non è somministrato, i livelli di glucosio tornano ai loro valori normali. Il mito della fame ipotalamica e dei centri della sazietà Ampie lesioni bilaterali delle regioni dell’ipotalamo ventromediale del ratto producono iperfagia e obesità. Il ruolo primario dell’ipotalamo è quello di regolare il metabolismo energetico e non il comportamento alimentare.

Obesità e iperfagia conseguenti alla lesione bilaterale dell’ipotalamo ventromediale (Ivm)

Tratto gastrointestinale e sazietà Cannon e Washburn giunsero alla conclusione che la fame è causata dalle contrazioni di uno stomaco vuoto, mentre la sazietà è avvertita quando lo stomaco è disteso. Questa ipotesi venne rapidamente contraddetta dallo studio di pazienti, ai quali era stato asportato chirurgicamente lo stomaco e connesso l’esofago direttamente al duodeno. Questi pazienti continuavano a riferire sensazioni di fame e di sazietà e mantenevano il loro usuale peso corporeo, mangiando più spesso di prima ma in minore quantità.

L’introduzione di cibo nello stomaco trapiantato (occluso) induceva il ratto a ridurre l’alimentazione, in funzione del volume e dell’apporto calorico del cibo introdotto. Poiché il tratto trapiantato era privo di connessioni nervose, dovevano esistere dei segnali di sazietà provenienti dai segmenti trapiantati, che venivano trasmessi al cervello per via ematica e non per via nervosa.

Peptidi, la fame e la sazietà La somministrazione di Colecistochinina (Cck) in ratti affamati determina una diminuzione dell’assunzione di cibo. I peptidi intestinali circolanti forniscono al cervello informazioni su quantità e natura del cibo presente nel tratto gastrointestinale: ruolo nella soppressione del consumo di cibo e nella sazietà. La Cck, somministrata ai ratti dopo aver mangiato una sostanza non familiare, provoca un’avversione condizionata al gusto. La Cck riduce l’appetito e la conseguente alimentazione a dosi sostanzialmente inferiori di quelle necessarie per provocare un’avversione al gusto nei ratti: definita peptide della sazietà. Sono stati individuati numerosi peptidi della fame, sintetizzati nel cervello, in particolare nell’ipotalamo: il neuropeptide Y, la galanina, l’orexina-A e la grelina.

Ruolo della serotonina nella sensazione di sazietà Le ipotesi dei valori di riferimento sulla regolazione del peso corporeo e del comportamento alimentare: variabilità del peso corporeo valori di riferimento e salute regolazione del grasso corporeo e utilizzazione dell’energia

L’organismo modifica l’efficienza con cui utilizza energia in risposta ai livelli di grasso corporeo: termogenesi alimentare. Es. l’aumento dei livelli di grasso produce un innalzamento della temperatura corporea, che richiede un ulteriore costo energetico per poter essere mantenuta.

Valori di riferimento e di assestamento nel controllo del peso corporeo Secondo il modello di assestamento, il peso corporeo tende a stabilizzarsi intorno a un punto di assestamento – il livello con cui i diversi fattori che influenzano il peso corporeo raggiungono un equilibrio. Quando il livello di grassi aumenta, avvengono dei cambiamenti che tendono a limitare ulteriori aumenti, finché non si raggiunge un equilibrio tra tutti i fattori che incoraggiano l’aumento di peso e quelli che lo scoraggiano. Il fascino del meccanismo dei valori di assestamento è dovuto all’esistenza di un modello a termostato, che costituisce un valido strumento di riflessione. Il modello del barile che perde rappresenta, in modo schematico, la teoria dei valori di assestamento.

Il vantaggio principale del modello dei valori di assestamento rispetto al modello dei valori di riferimento è quello di rendere perfettamente conto di gran parte dei fenomeni descritti nel modo più semplice ed essenziale. Primo fenomeno. Il peso corporeo rimane relativamente costante. Tuttavia un peso corporeo costante non richiede, e neppure implica, un valore prefissato. Modello del barile bucato: appena l’acqua dal rubinetto comincia a riempire il barile, aumenta il peso dell’acqua e, di conseguenza, la quantità di acqua che fuoriesce dal buco; contemporaneamente si riduce la quantità di acqua che entra nel barile, perché aumenta la pressione del barile sul tubo di gomma. Alla fine, questo sistema si assesta su un valore di equilibrio in cui il livello dell’acqua rimane costante, ma non perché questo livello sia predeterminato o attivamente mantenuto: è un valore di assestamento, non un valore di riferimento.

Secondo fenomeno. In molti animali adulti si verificano prolungate variazioni di peso. I sistemi basati sul valore di riferimento sono volti al mantenimento della costanza dei valori interni, nonostante le variazioni dell’ambiente esterno. Il fatto che molti animali vadano incontro a modificazioni a lungo termine del peso corporeo è contro le teorie dei valori di riferimento. Al contrario, il modello dei valori di assestamento prevede che al verificarsi di cambiamenti prolungati dei parametri che influenzano il peso, per esempio un aumento del valore incentivante del cibo, il peso corporeo si assesti su un nuovo valore.

Terzo fenomeno. Se viene ridotta l’assunzione di cibo di un soggetto, sopravvengono dei cambiamenti metabolici che limitano la perdita di peso. L’opposto avviene quando un soggetto mangia troppo. Questo fenomeno è spesso citato come prova a favore della teoria dei valori di riferimento. Tuttavia, poiché i cambiamenti metabolici impediscono ulteriori diminuzioni di peso ma non eliminano quelle già avvenute, essi appaiono più compatibili con il modello dei valori di assestamento. Quando si riduce l’afflusso di acqua nel barile che perde, il livello dell’acqua comincia a scendere; questa discesa è limitata dalla simultanea riduzione della quantità che cola dal barile in seguito alla riduzione della pressione dell’acqua nel barile. Alla fine viene raggiunto un nuovo livello di assestamento, ma la riduzione nel livello dell’acqua non è tanto grande quanto ci si poteva aspettare, a causa dei cambiamenti che tendono a limitare le perdite.

Quarto fenomeno. Dopo che un individuo ha perso una sostanziale quantità di peso, con una dieta, con l’esercizio fisico o addirittura con la liposuzione, c’è una tendenza a recuperare il peso originario appena il soggetto riprende il normale stile alimentare e di attività. Anche la teoria dei valori di assestamento è in grado di spiegare facilmente questi eventi. Riducendo il livello dell’acqua nel modello del barile che perde, sia tramite una temporanea riduzione dell’afflusso di acqua (dieta), sia tramite un temporaneo aumento dell’efflusso (esercizio), sia prelevando direttamente dell’acqua (liposuzione), si produce come risultato un temporaneo abbassamento del valore di assestamento che, inesorabilmente, ritorna ai valori soliti appena sono ripristinate le condizioni iniziali.

Domande aperte Perché c’è un’epidemia di obesità Domande aperte Perché c’è un’epidemia di obesità? Perché solo alcune persone diventano obese e altre non? Perché i programmi di perdita di peso di solito si rivelano inefficaci? Leptina: 1) si è scoperto che livelli di leptina nel sangue sono correlati in modo positivo con il deposito di grasso negli esseri umani e negli animali 2) si è dimostrato che iniezioni di leptina a dosi insufficienti per dimostrarsi avversive riducono l’assunzione di cibo e il grasso corporeo nei topi ob/ob 3) sono stati individuati nel cervello recettori per la leptina

Insulina: un altro segnale del grasso a feedback negativo L’ipotesi che l’insulina servisse come segnale del grasso a feedback negativo fu considerata con molto scetticismo. Risultò che l’insulina non penetrava subito nella barriera emato-encefalica e i suoi livelli nel cervello rimanevano relativamente stabili. A differenza dei soggetti con carenze di leptina, i soggetti con carenze di insulina non sono obesi: malgrado la loro estrema iperfagia, rimangono magri perché senza insulina non riescono a trasformare il cibo in grasso. Gli agonisti della serotonina nei pazienti obesi riducono il bisogno di mangiare cibi ad alto potere calorico, il consumo di grassi, l’intensità soggettiva della fame, le dimensione dei pasti, il numero di spuntini tra i pasti e gli eccessi alimentari.

Anoressia nervosa In contrasto con l’obesità, l’anoressia nervosa è un disturbo caratterizzato da un consumo di cibo estremamente ridotto. Nonostante la loro apparenza emaciata e grottesca, gli anoressici spesso si percepiscono grassi. Circa il 50% degli anoressici va incontro periodicamente a fasi di frenetico consumo di cibo, di solito seguite da purghe con alte dosi di lassativi o da vomito autoindotto. Il disturbo caratterizzato da cicli di digiuno, iperalimentazione e vomito autoindotto si chiama bulimia nervosa. Tutti i pazienti con disturbi alimentari hanno una storia di dieta molto rigida prima dell’insorgere dei disturbi. La teoria dell’incentivo nell’alimentazione suggerisce che la progressiva rinuncia al cibo che caratterizza l’anoressia nervosa è una conseguenza di una corrispettiva assenza di incentivi positivi associati al cibo.

Perché il grande aumento adattativo del valore incentivante del cibo, che si verifica in coloro che soffrono la fame, non avviene negli anoressici, che anch’essi soffrono la fame? Il valore incentivante del cibo normalmente aumenta a livelli così alti in condizioni di digiuno, che è difficile immaginare qualcuno che ha fame – non importa che sia controllato, rigido, ossessivo e motivato – che si trattenga davanti a un cibo appetitoso. All’inizio di un pasto, ci si trova di solito in un ragionevole equilibrio omeostatico e tale equilibrio è spezzato dall’improvvisa somministrazione di calorie. Reazioni al cibo delle vittime dei campi di concentramento della II Guerra Mondiale: molti stavano male e altri addirittura morivano per il cibo abbondante fornito loro dai liberatori.

Il sodio costituisce il principale soluto dei liquidi corporei Il sodio costituisce il principale soluto dei liquidi corporei. Le regolazioni dell’acqua e del sodio sono intimamente connesse e relativamente semplici. Normalmente ingeriamo molta più acqua e sodio delle nostre reali necessità. I reni svolgono il compito di estrarre dal sangue le quantità di acqua e sodio in eccesso ed eliminarle con l’urina. Il sangue entra nei reni attraverso le arterie renali e vi fuoriesce attraverso le vene renali. L’urina lascia i reni attraverso gli ureteri.

La sete Quando le risorse di acqua dell’organismo si riducono in modo significativo, il corpo reagisce in due modi: cerca di conservare la ridotta quantità d’acqua e stimola la sete. Due diversi sistemi fisiologici mediano l’assunzione di liquidi indotta dalla deprivazione: un sistema sensibile alle riduzioni del volume del liquido intracellulare (cioè alla disidratazione cellulare), e uno sensibile alle riduzioni del volume ematico (cioè alla ipovolemia).

Diversa perdita di acqua a seconda dell’attività

La sete indotta dai cibi salati è causata dalla disidratazione cellulare. Il sale si accumula nei liquidi extracellulari rendendoli ipertonici e determina uno spostamento di acqua dall’interno della cellula verso i fluidi interstiziali. Il consumo di sale non modifica in modo sostanziale il volume ematico. La disidratazione cellulare viene indotta sperimentalmente negli animali tramite iniezioni di soluzioni ipertoniche di sale o di altri soluti, che non attraversano le membrane cellulari. Diversi dati suggeriscono che gli osmocettori cerebrali sono situati nell’area preottica laterale dell’ipotalamo. Due meccanismi attraverso cui gli osmocettori provocano la sete: - il meccanismo diretto è di tipo nervoso; - il meccanismo indiretto è di tipo ormonale: gli osmocettori determinano il rilascio dell’ormone antidiuretico (Adh o vasopressina) da parte dell’ipofisi posteriore.

Oltre a indurre la disidratazione cellulare, la deprivazione d’acqua è causa della riduzione del volume ematico o ipovolemia. L’ipovolemia è un importante stimolo per la sete. L’ipovolemia viene rilevata dai barocettori (recettori di pressione) situati nelle pareti del cuore e da recettori di flusso (recettori che misurano il volume del flusso sanguigno).

Sia gli osmocettori ipotalamici sia i barocettori cardiaci, attivati dalla deprivazione d’acqua, stimolano il rilascio dell’ormone antidiuretico. L’Adh influenza i reni, riducendo il volume di urina prodotta e aumentando il rilascio di renina. Il rilascio di renina è anche indotto dall’aumento dell’attività dei recettori di flusso (renali) stimolati dall’ipovolemia. L’aumento della renina stimola la sintesi nel sangue dell’ormone angiotensina II, che produce un aumento compensatorio della pressione sanguigna, mediante costrizione dei vasi periferici e liberazione di aldosterone da parte della corteccia surrenale. L’aldosterone stimola il rene a riassorbire molto del sodio che altrimenti sarebbe eliminato con le urine. Tanto più alta è la concentrazione del sodio nel sangue, tanta più acqua verrà in esso ritenuta.

Il rene produce un dipsogeno, una sostanza che induce la sete Il rene produce un dipsogeno, una sostanza che induce la sete. Il dipsogeno è l’angiotensina II, sostanza che è sintetizzata nel sangue in risposta alla disidratazione e all’ipovolemia. In molte specie l’infusione endovenosa di angiotensina II determina un aumento della sete selettivo. I siti d’azione nel cervello: l’organo subfornicale (Osf), una struttura mediana sulla superficie dorsale del terzo ventricolo, situata in corrispondenza dell’apertura dei due ventricoli laterali: è uno dei pochi siti cerebrali non protetti dalla barriera emato-encefalica e quindi esposti all’azione dell’angiotensina II. L’angiotensina II è sintetizzata anche direttamente nel cervello.

Esiste una regione cerebrale in cui i sistemi che rilevano la disidratazione intra ed extracellulare convergono nell’indurre sete e assunzione di liquidi? Ampie lesioni bilaterali dell’ipotalamo laterale eliminano la sete sia in risposta alla disidratazione cellulare che in risposta all’ipovolemia  zone di convergenza dei segnali afferenti della sete e per le loro trasformazioni nella motivazione a bere dell’organismo. L’assunzione spontanea di liquidi suggerisce che bere è un comportamento motivato dall’anticipazione degli effetti piacevoli legati all’ingestione di liquidi. Anche i ratti che hanno un facile accesso all’acqua o ad altri liquidi appetibili bevono molto più delle loro reali necessità. Normalmente gli animali bevono per prevenire le carenze d’acqua, non tanto per correggere eventuali deficit.

Secondo la teoria dei valori di riferimento, il segnale che elimina la sete e interrompe il bere è il ritorno delle riserve di liquidi corporei ai loro livelli fisiologici. Quest’ipotesi lascia insoluti tre problemi: 1) l’eliminazione dei deficit idrici non può spiegare l’interruzione del consumo di liquidi che si verifica in assenza di tali deficit; 2) anche quando il consumo di liquidi è stimolato da carenze idriche, generalmente viene interrotto prima che la maggior parte del liquido sia stata assorbita dal tratto gastrointestinale; 3) quando l’acqua o altri liquidi sono facilmente disponibili, gli animali bevono molto più delle loro necessità. Per esempio, nei ratti la ridotta assunzione di acqua è compensata da una ridotta produzione di urina.

La sazietà senso-specifica svolge un importante effetto sulla sete, come è dimostrato da due fenomeni: 1) gli animali preferiscono meno bevande continuamente disponibili che bevande disponibili solo periodicamente; 2) il consumo d’acqua aumenta quando gli animali hanno libero accesso a una grande varietà di bevande. L’eccessivo consumo di acqua viene definito polidipsia. Una delle metodiche per indurre polidipsia è mettere a disposizione dell’animale una varietà di bevande appetibili. La polidipsia può essere indotta anche somministrando piccole quantità di cibo, approssimativamente ogni minuto, ad animali che hanno libero accesso all’acqua. Questo eccessivo consumo d’acqua viene detto polidipsia da programma alimentare.