Depressione e Ansia: basi neurofunzionali
Basi neurali depressione *Iperattività quando l’attivazione è corretta per la riduzione del volume (Drevets, 2008)
Interazione dorsale/ventrale L’associazione tra un’iperattività del sistema ventrale (strutture indicate in grigio scuro) ed una ipoattività del sistema dorsale (strutture indicate in grigio chiaro) rappresenterebbe il meccanismo neuro-funzionale all’origine della depressione. (Phillips et al., 2003)
Interazione dorsale/ventrale: sintesi dei dati neurofunzionali La corteccia prefrontale ventromediale (vmPFC) è iperattiva a riposo e riduce la propria attività con la remissione dei sintomi che si ottinene con diverse forme di terapia. Al contrario, la corteccia prefrontale dorsolaterale (dlPFC) è ipoattiva a riposo ed incrementa la propria attività durante la remissione dei sintomi. vmPFC dlPFC (Koenigs e Grafman, 2009)
Interazione dorsale/ventrale: dati neuropsicologici Confronto tra pazienti con lesione alla vmPFC oppure alla dlPFC Se la depressione è associata ad un’iperattivazione della vmPFC, allora una sua lesione dovrebbe ridurre la probabilità di sviluppare la patologia. Al contrario, se la depressione è associata ad una ipoattività della dlPFC, allora una sua lesione dovrebbe aumentare la probabilità di sviluppare la patologia. (Koenigs et al., 2008)
Interazione dorsale/ventrale: dati neuropsicologici I risultati hanno confermato la presenza di depressione (misurata con scale self-report) significativamente minore nel gruppo dei pazienti con lesione alla vmPFC rispetto ai pazienti con lesione alla dlPFC. Inoltre, una paziente con lesione bilaterale alla vmPFC (figura a sinistra) successiva ad un tentativo di suicidio, mostrava una marcata riduzione della sintomatologia depressiva dopo la lesione cerebrale. (Koenigs et al., 2008)
Interazione dorsale/ventrale: dati di stimolazione cerebrale profonda (I) Stimolazione cerebrale profonda mediante elettrodi localizzati nella regione prefrontale ventromediale in corrispondenza del cingolo subgenuale. (Mayberg et al., 2005)
Interazione dorsale/ventrale: dati di stimolazione cerebrale profonda (II) Risultati alla Scala di Hamilton pre- e post-trattamento. Si evidenzia una riduzione della sintomatologia depressiva che si mantiene anche a distanza di 6 mesi. (Mayberg et al., 2005)
Interazione dorsale/ventrale: dati di stimolazione cerebrale profonda (III) Una misurazione metabolica cerebrale mediante PET mostra lo sbilanciamento ventrale/dorsale pre-trattamento ed il ribilanciamento del rapporto tra i due circuiti dopo il trattamento. (Mayberg et al., 2005)
Basi neurali dell’ansia (I) Meta-analisi degli studi di attivazione nelle tre popolazioni cliniche Iperattivazione in amigdala ed insula comune al DPTS, ansia sociale fobie specifiche e risposta di paura in soggetti normali durante un paradigma di condizionamento.Tuttavia, il DPTS presenta anche delle ipoattivazioni (Etkin e Wager, 2007)
Basi neurali dell’ansia (II) Specifiche ipoattivaizoni delle strutture della linea mediana nel DPTS ma non nelle altre condizioni cliniche e nei soggetti normali. (Etkin e Wager, 2007)
Rapporto tra iper- ed ipo-attivazione nel DPTS durante l’osservazione passiva di volti epressivi Iperattivazione dell’amigdala (fearful vs. happy) Ipoattivazoine del cingolo anteriore (fearful vs. happy) (Shin et al., 2005)
Basi neurali dell’ansia (III) Iperattività dell’amigdala: esagerata rilevazione di stimoli potenzialmente minacciosi. Nel caso del DPTS la porzione ventrale dell’amigdala è iperattiva così come nelle altre condizioni cliniche, mentre la porzione dorsale è inibita. Dal momento che la porzione dorsale contiene le efferenze verso le strutture troncoencefaliche che controllano le risposte autonomiche, questa inibizione è possibilmente associata all’appiattimento affettivo caratteristico della sindrome. Le differenze del DPTS rispetto alle altre due condizioni cliniche indicano una maggiore complessità del DPTS che si configura come un’alterazione complessa dell’elaborazione emozionale in cui sono rilevanti i deficit di elaborazione cognitiva dello stato emotivo (inibizione delle strutture mediali). (Etkin e Wager, 2007)
Interazione tra vmPFC e amigdala nel DPTS (I) Confronto della prevalenza del DPTS in soggetti con lesioni diverse Lesioni della vmPFC Koenigs et al. (2008)
Interazione tra vmPFC e amigdala nel DPTS (II) Confronto della prevalenza del DPTS in soggetti con lesioni all’amigdala e soggetti con lesioni temporali che non coinvolgono l’amigdala I pazienti con lesione temporale (terza riga) mostrano PTSD con una incidenza significativamente maggiore rispetto ai pazienti con danno all’amigdala (seconda riga), mentre non differiscono dai pazienti con lesioni che non coinvolgono la vmPFC o soggetti non cerebrolesi. Dunque, il danno temporale in generale non spiega la scarsa incidenza del PTSD nei pazienti con danno all’amigdala. Koenigs et al. (2008)
Interazione tra vmPFC e amigdala nel DPTS (III) Confronto della prevalenza dei tre gruppi principali di sintomi del DPTS in soggetti con lesioni diverse. I diversi gruppi di soggetti sono stati confrontati: 1. rispetto alle tre categorie principali di sintomi del DPTS in modo da verificare se l’effetto delle lesioni fosse specifico solo per alcuni sintomi . Non ci sono differenze significative tra i tre gruppi di sintomi; 2. rispetto alla incidenza di altri disturbi di ansia (ad es., fobia specifica, ansia generalizzata, etc.). Anche in questo caso, non ci sono differenze significative tra i vari gruppi rispetto alla incidenza di disturbi dell’ansia. Koenigs et al. (2008)
Interazione tra vmPFC e amigdala nel DPTS (IV) Lesioni della vmPFC esercitano un effetto “protettivo” per lo sviluppo del DPTS. Tale protezione è specifica per il DPTS e non per i disturbi di ansia in generale. L’effetto della lesione all’amigdala non è spiegato dal coinvolgimento del lobo temporale o dell’ippocampo. Questi dati non confermano l’idea che il DPTS sia causato da una ridotta inibizione di vmPFC sull’amigdala; in questo caso, infatti, la lesione di vmPFC avrebbe addirittura dovuto incrementare la manifestazione del DPTS. La vmPFC non esercita un ruolo inibitorio sull’amigdala? Koenigs et al. (2008)
Attenzione condivisa Se ad un soggetto è chiesto di indicare la presenza di un asterisco che compare in uno dei lati dello schermo di un computer, questa decisione è più rapida quando l’asterisco è associato ad uno sguardo che indica la stessa direzione (A), rispetto a quando lo sguardo indica la direzione opposta (B). * Che pattern è prevedibile se il volto esprime un’emozione?
Attenzione condivisa, volti emotivi e fobia sociale (I) Fobia sociale: le teorie cognitive sostengono che i pensieri disfunzionali e la paura di essere oggetto di valutazioni negative da parte di altri generano nel fobico sociale un incremento dell’attenzione verso possibili minacce esterne. Un’iperattenzione verso stimoli sociali minacciosi consente al soggetto di cogliere nell’ambiente la presenza di minacce. Tuttavia, una esagerata attivazione emozionale indurrebbe il soggetto ad evitare il contatto diretto con lo stimolo minaccioso. Ciò è coerente con la tendenza dei fobici sociali ad evitare lo sguardo altrui. Infatti, lo sguardo è certamente il segnale sociale potenzialmente più minaccioso. Tale interpretazione conduce a due previsioni apparentemente contrastanti: 1. iperattenzione verso stimoli sociali; 2. evitamento dello sguardo. Tuttavia, l’evitamento dello sguardo può essere interpretato come una strategia difensiva per ridurre l’attivazione che segue alla rilevazione di una minaccia.
Attenzione condivisa, volti emotivi e fobia sociale (II) Horley et al. (2004)
Attenzione condivisa, volti emotivi e fobia sociale (III) I soggetti con fobia sociale mostrano un ridotto numero di fissazioni sugli occhi di volti minacciosi (rabbia, ed in misura minore tristezza) rispetto a volti non minacciosi. Horley et al. (2004)
Attenzione condivisa, volti emotivi ed ansia di tratto (I) Compito di gaze-cueing Fox et al. (2007)
Attenzione condivisa, volti emotivi ed ansia di tratto (II) Facilitazione (congruency effect) per i trial in cui il bersaglio compare nella posizione indicata dallo sguardo. Tale effetto si osserva solo in soggetti con elevata ansia di tratto e specificamente per le espressioni impaurite. Al contrario, le espressioni arrabbiate riducono la facilitazione in soggetti con elevata ansia rispetto a quelli poco ansiosi. *Nei trial con sguardo diritto i soggetti con ansia elevata sono più lenti con le espressioni di rabbia. Fox et al. (2007)
Attenzione condivisa e volti emotivi: differenze tra fobia sociale ed ansia di tratto Gli ansiosi di tratto condividono con i fobici sociali l’ipervigilanza verso l’esterno per coliere segnali di minaccia. Tuttavia, nell’ansia di tratto gli occhi non rappresentano un elemento saliente che indica una minaccia specifica (“giudizio negativo da parte dell’altro”) come invece è considerato dal fobico sociale. In tale contesto si spiega la tendenza per entrambi i gruppi a cogliere i volti negativi, ma mentre i fobici sociali evitano lo sguardo e non presentano un’interazione tra sguardo ed emozione, i soggetti con elevata ansia di tratto mostrano un effetto differenziale delle risposte alla paura ed alla rabbia in funzione della direzione dello sguardo (paura/sguardo lateralizzato; rabbia/sguardo diretto).