SEGNI DISTINTIVI In un mercato che vede coesistere più imprenditori che producono e distribuiscono beni e servizi identici o similari, ciascun imprenditore deve utilizzare di regola uno o più fattori di individuazione, uno o più segni distintivi che ne consentano l'individuazione sul mercato e rispetto alla concorrenza.
Nozione di “segni distintivi” mezzi di individuazione dell'azienda, dell'impresa o di elementi o di prodotti di essa; dal punto di vista giuridico, sono beni immateriali, la cui titolarità si acquista in virtù dell'uso fattone prima di altri (pre-uso), e che possono essere trasferiti, a seconda dei casi, da soli o insieme all'impresa.
Funzione dei segni distintivi Insieme hanno una funzione comune nell'economia di mercato: favoriscono la formazione ed il mantenimento della clientela in quanto consentono al pubblico ed in particolare ai consumatori di distinguere fra i vari operatori economici e di operare scelte consapevoli. Il loro ruolo si può quindi definire quello di "collettori di clientela".
Fondamento Vi sono grandi interessi perciò sulla funzione e sui vantaggi che possono dare tali segni. Su tutti questi domina però il più ampio e generale interesse a che la competizione si svolga in modo ordinato e leale. A questo tende la regolamentazione giuridica dei segni distintivi dell'imprenditore, che perciò costituisce aspetto e profilo della più generale disciplina della concorrenza.
Libertà nella formazione dei propri segni distintivi Principi comuni Libertà nella formazione dei propri segni distintivi Diritto all'uso esclusivo Diritto di trasferimento
libertà nella formazione dei propri segni distintivi l'imprenditore gode di ampia libertà nella formazione dei propri segni distintivi, evitando inganni e confusione nel rispetto di determinate regole di verità, novità e capacità distintiva.
Diritto di trasferimento L'imprenditore può trasferire ad altri i propri segni distintivi. Ma neppure tale diritto è pieno ed incondizionato poiché il trasferimento è possibile solo se è contestualmente trasferita anche l'azienda (od un ramo di essa). Si vuole, in altri termini, che permanga almeno un collegamento oggettivo con l'apparato materiale utilizzato dall'originario titolare del segno distintivo.
Diritto all'uso esclusivo L'imprenditore ha il diritto all'uso esclusivo dei propri segni distintivi. Si tratta però di un diritto non assoluto ma relativo e strumentale alla realizzazione della funzione distintiva rispetto agli imprenditori concorrenti. Il titolare di un segno distintivo non può perciò impedire che altri adotti il medesimo segno distintivo quando, per la diversità delle attività di impresa o per la diversità dei mercati serviti, non vi è pericolo di confusione e sviamento della clientela.
Disciplina Nel nostro ordinamento ditta, insegna e marchio sono disciplinati separatamente con disposizioni parzialmente diverse e di diversa ampiezza, di per sé indicativa della diversa rilevanza economica dei tre segni distintivi. La ditta è regolata dagli artt. 2563-2567 c.c. L'insegna è regolata dal solo art. 2568. È fuori dubbio, nella moderna economia di mercato, la centralità del ruolo del marchio, la cui disciplina dettata dagli art. 2568-2574 c.c. e dal R.D. 21.06.1942 n° 929 (cosiddetta legge marchi) è stata in più punti modificata nel 1992 in attuazione della prima direttiva CEE di armonizzazione delle legislazioni sui marchi
SEGNI DISTINTIVI DELL’IMPRESA DITTA: contraddistingue la persona dell'imprenditore nell'esercizio dell'attività d'impresa INSEGNA: individua i locali in cui tale attività viene esercitata EMBLEMA: figura simbolica di solito accompagnata da un motto o da una dichiarazione in versi, o anche da un commento in prosa RAGIONE e DENOMINAZIONE SOCIALE: sono per la società ciò che il nome civile è per la persona fisica. MARCHIO: individua e distingue i beni e servizi prodotti
DITTA Il codice vigente non offre una definizione della ditta. La ditta é il nome dell'imprenditore o il nome sotto il quale un soggetto esercita un'impresa, a condizione che non si pensi ad una funzione di identificazione del titolare dell'impresa. La ditta é il segno che contraddistingue un'attività d'impresa, svolta da un certo soggetto con un certo complesso aziendale. Il nome di un'impresa o di un'azienda; per estensione, l'impresa stessa; anche la sede dell'impresa.
Generalità La ditta può essere formata dal solo nome dell'imprenditore (ditta patronimica) o da una denominazione di fantasia, nella quale, però deve essere sempre contenuto almeno il cognome o la sigla dell'imprenditore. Questi ha un diritto all'uso esclusivo della ditta; può impedire l'uso di una ditta che possa confondersi con quella da lui prescelta.
Disciplina La normativa in tema di ditta é formata da solo quattro articoli del codice civile vigente (artt. 2563/2566). Alla povertà del suo corredo sanzionatorio (che si limita all'obbligo di differenziazione da ditte preesistenti confondibili fissato dall'art. 2564 c.c.) si ovvia applicando le sanzioni previste contro gli atti di concorrenza sleale (artt. 2599-2600 c.c.), in quanto la violazione del diritto alla ditta costituisce sicuramente un atto di confusione, represso dall'art. 2598, n° 1, c.c. Le lacune della parte sostanziale della disciplina della ditta vengono colmate ricorrendo alla disciplina dei marchi, che viene considerata suscettibile di applicazione analogica alla ditta pur in assenza di un preciso rinvio del legislatore.
TITOLARITÀ E CONTENUTO DEL DIRITTO ALLA DITTA L'art. 2563 c.c. prevede che titolare della ditta possa essere solo un imprenditore (sia agricolo che commerciale), quali che siano le dimensioni dell'impresa. Può essere titolare di una ditta anche l'imprenditore "in fieri", che sia già in fase organizzativa e che già, nei rapporti con i terzi, spende il nome commerciale. Oggi si assume correntemente che un imprenditore possa essere titolare di più ditte, individuando con ciascuna di esse le diverse attività d'impresa di cui sia titolare.
Segue Il diritto é regolato dalla stesso principio di relatività che regola il diritto di marchio, e quindi l'ambito dell'esclusiva é limitato all'attività d'impresa effettivamente svolta ad alle attività affini. Si é discusso se la ditta sia un segno distintivo obbligatorio o facoltativo. La risposta é nel primo senso, in quanto chi svolge attività d'impresa senza adottare alcun particolare segno viene inteso dall'ordinamento vigente come operante l'attività sotto il proprio nome. Il nome civile e la denominazione o ragione sociale costituiscono "naturalmente" la ditta della persona fisica e, rispettivamente, della società , che gestiscono un'impresa senza aver adottato per contraddistinguerla alcun segno particolare.
Caratteri Principio della verità: la ditta deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore medesimo (art. 2563 c.c.) Principio della novità: la ditta deve essere in grado di caratterizzare l’impresa, differenziandola da altre “similari” (art. 2564 c.c.)
VERITÀ, OBBLIGO DI INSERIMENTO DEL NOME NELLA DITTA Il principio di verità vieta anzitutto che si inseriscano nel segno indicazioni non veritiere sull'attività, o comunque capaci di trarre in inganno il pubblico Si ritiene che l'obbligo di includere nella ditta individuale il cognome o la sigla dell'imprenditore abbia lo scopo di assicurare l'identificazione di questo ultimo, e quindi di tutelare gli interessi dei terzi creditori. E' comunque indubbio che la norma abbia grande utilità a tale scopo. Nella prassi, chiunque voglia seriamente individuare il titolare di un'impresa, ed il socio personalmente responsabile, non potrà in alcun modo basarsi sulla ditta, ma dovrà sempre effettuare accertamenti presso la Camera di Commercio o attraverso altri sistemi di pubblicità .
FATTO COSTITUTIVO DEL DIRITTO ALLA DITTA Fatto costitutivo del diritto alla ditta é l'uso. Uso della ditta é la spendita del segno nei rapporti d'affari. La ditta compare infatti come intestazione dei fogli di corrispondenza e nei vari moduli utilizzati dall'imprenditore nell'esercizio della propria attività , e viene riprodotta a fianco della sottoscrizione dell'imprenditore. Questi, di solito, firma "per" la sua ditta così come il legale rappresentante di un ente firma "per" l'ente: in entrambi i casi sussiste, oltre la ditta o la denominazione dell'ente, trascritta a mano o tramite timbro o a stampa, una firma autografa della persona fisica.
REQUISITI DI VALIDITÀ DELLA DITTA I requisiti di validità della ditta sono la liceità, la verità, la novità e la capacità distintiva. L'assenza di ciascun requisito dà luogo ad una nullità assoluta, rilevabile da qualunque interessato senza limiti di tempo (come in tema di marchi). Il controllo della sussistenza di tali requisiti viene effettuato dal giudice ordinario. Non esistendo un sistema di registrazione, la ditta non é assistita da alcuna presunzione legale di validità. Il titolare che agisca per la violazione del segno dovrà quindi provare la validità del segno per cui chiede tutela. D'altra parte, l'invalidità del segno non comporta, di regola, divieto di uso dello stesso, ma solo impossibilità di vantare l'esclusiva, un divieto di uso si avrà soltanto nel caso in cui l'invalidità deriva dal conflitto con diritti altrui.
Tutela L’imprenditore può pretendere da chi abbia posteriormente adottato una ditta uguale o simile alla sua, che questi la differenzi, mediante modifiche o integrazioni, tali da evitare confusione (azione di usurpazione e contraffazione) L’imprenditore può pretendere il risarcimento dei danni se da parte dell’altro imprenditore ci sia stato dolo o colpa nell’uso della propria ditta
Azione di contraffazione e usurpazione Azione di contraffazione: Mira ad ottenere una sentenza che inibisca l’ulteriore sfruttamento abusivo, nonché la rimozione o la distruzione dei mezzi usati per la contraffazione e dei prodotti contraffati Azione di usurpazione: Mira ad ottenere una sentenza che ordini la cessazione del fatto lesivi
LA CONFONDIBILITÀ FRA SEGNI: Ditte omonime Il diritto alla ditta é regolato dal principio di specialità: il titolare ha diritto esclusivo all'uso del segno per il tipo di attività che si svolge ed all'interno dell'ambito territoriale entro il quale lui stesso opera. Il titolare della ditta, cioè, non ha una protezione assoluta del segno contro il rischio di omonimie; ditte omonime possono coesistere, se riferite ad imprese che svolgono attività diverse e/o operano in ambiti territoriali diversi. Perché si abbia contraffazione di ditta non basta che si abbia identità o affinità o confondibilità tra i segni; occorre anche che si abbia identità o affinità tra le sue attività, e che l'ambito territoriale delle due attività coincida, almeno in parte. Così dispone l'art. 2564, primo comma, c.c.
DITTA UFFICIALE (REGISTRATA) E DITTA UFFICIOSA (DI FATTO) Spesso una ditta viene usata in una forma più o meno diversa da quella "ufficiale", cioè da quella che risulta nei registri della Camera di Commercio e del Tribunale, negli atti notarili ecc. L'uso può riguardare, ad esempio, il modo in cui la ditta é denominata nella pratica commerciale, o in cui figura negli stampati dell'impresa e nella pubblicità. Una ditta può essere usata nella forma abbreviata, e o solo la parte di fantasia, senza i nomi e i cognomi che eventualmente figurino nei registri ufficiali. In questo caso si parla di ditta ufficiosa, o di fatto. E' pacifico, in giurisprudenza, che la ditta ufficiosa abbia quanto meno la stessa rilevanza di quella ufficiale. Ciò significa che il titolare della ditta ufficiosa ha tutto il diritto di impedirne l'imitazione.
LA CONCORRENZA IN SENSO TERRITORIALE E MERCEOLOGICO FRA DITTE Ai fini dell'individuazione della presenza di un rapporto di concorrenza tra due imprese in senso territoriale, per luogo di esercizio dell'attività di impresa deve intendersi non solo l'intera zona raggiunta dall'impresa nelle sue operazioni di produzione, di vendita, di approvvigionamento, ma anche in termini più ampi, l'intera zona potenzialmente raggiungibile.
Confondibilità: stesso cognome La confondibilità fra due ditte può derivare dallo stesso cognome. D'altra parte in certi casi é la stessa legge ad imporre che il cognome dell'imprenditore o del socio figuri all'interno della ditta. Tale regola é prescritta in materia di imprese individuali (art. 2563), di società in nome collettivo (art. 2292), di società in accomandita semplice e per azioni (artt. 2314 e 2463).
Segue: apparente contraddizione Questa apparente contraddizione é stata varie volte considerata dalla giurisprudenza. Al riguardo é stato osservato che le norme ora richiamate non hanno lo scopo di garantire l'inconfondibilità fra le ditte, ma quello di tutelare l'interesse dei terzi alla conoscibilità delle persone fisiche responsabili per le obbligazioni dell'impresa.
Segue: Soluzione Con questa premessa é stato chiarito che, quando l'indicazione del cognome é obbligatoria, esso non deve essere eliminato. Tuttavia la parte tenuta a differenziare la propria ditta deve modificarla in modo tale che il cognome assuma una funzione diversa da quella distintiva in senso proprio. Ciò é realizzabile affiancando il nome patronimico ad una ditta di fantasia. E' opportuno osservare che l'aggiunta al cognome del semplice prenome, anziché di una parola puramente fantastica, é comunemente ritenuta inidonea ad impedire la confondibilità. Va in ogni caso sottolineato che il problema ora visto ha ragione di porsi solo quando l'indicazione del cognome é specificatamente prescritta da una norma di legge. Quando invece essa non é obbligatoria nulla osta a che il cognome confusorio venga totalmente cancellato dalla ditta.
Trasferimento Il trasferimento della ditta é regolato dell'art. 2565 c.c. che collega la circolazione del segno alla circolazione dell'azienda. La ditta rimane immodificata, salvo l’uso diffusosi nella prassi, di stampigliare sotto il nome della ditta trasferita, anche quello del successivo imprenditore, in applicazione del principio della verità
LE SANZIONI A TUTELA DELLA DITTA A tutela della ditta si applicano le sanzioni dettate in materia di concorrenza sleale: inibitoria, rimozione degli effetti, risarcimento del danno e pubblicazione della sentenza. Si applica la presunzione di colpa di cui all'art. 2600, terzo comma c.c. Sul piano della tutela cautelare si farà ricorso all'art. 700 c.p.c.
INSEGNA È il segno distintivo dei locali nei quali si svolge l’attività dell’imprenditore in genere, qualsiasi segno o contrassegno visibile, che sia distintivo di una determinata condizione o serva ad altri di guida. Quando l'insegna è uguale o simile a quella usata da altro imprenditore e può creare confusione per l'oggetto dell'impresa e per il luogo in cui questa è esercitata, deve essere integrata o modificata con indicazioni idonee a differenziarla. L'insegna è tutelata, al pari della ditta o della sigla, quantunque non ne sia prescritta la registrazione.
Tutela Solo quando l’insegna non è generica, ma ha capacità distintiva, sono applicabili le stesse norme previste per la tutela della ditta (art. 2568 c.c.).
Conflitti tra insegne Per espressa disposizione dell'art. 2568 c.c., i conflitti fra insegne simili dono disciplinati allo stesso modo di quelli fra ditte. Anche per la insegna la giurisprudenza ha rilevato la necessità di non intendere il suo ambito territoriale di protezione in modo eccessivamente restrittivo. In sostanza, l'imprenditore avrebbe diritto all'esclusiva della sua insegna non solo nella zona dove attualmente eserciti la sua attività ma anche nel territorio raggiungibile dagli "sviluppi potenziali della stessa sulla base di atti o fatti concreti". In altri termini, la tutela riguarderebbe tutta la sua zona di attività potenziale
LA CIRCOLAZIONE DELL'INSEGNA Nel sistema di franchising, di cui l’insegna é elemento caratteristico, si ingenera nel consumatore il convincimento di acquistare da un distributore dipendente dal produttore anziché da un distributore autonomo. Viene generalmente ammessa la circolazione dell'insegna.
Segue Due gli orientamenti prevalenti: - Secondo il primo si ritiene il segno cedibile liberamente, e cioè senza vincoli di sorta. Questa soluzione viene sostenuta anche sulla base dell'asserita limitata funzione propria dell'insegna: distinguere il solo locale ad esercizio dell'impresa. Pertanto in quest'ottica se ne deduce che il trasferimento isolato non comporterebbe seri pericoli per i consumatori. (FERRARA 1992, VERCELLONE 1983, MANGINI 1982).
Segue: secondo orientamento - L'opinione prevalente ritiene invece che come la ditta anche l'insegna possa essere trasferita solo in connessione con l'azienda. Sotto questo profilo si richiama l'applicazione analogica dell'art. 2565 c.c. sulla base del riscontro di similitudine se non di corrispondenza di funzione svolta in concreto tra i due segni distintivi (ASCARELLI 1960, AUTERI 1973, CASANOVA 1955, DI CATALDO 1983, RAVÀ 1986).
Segue: giurisprudenza Anche per la giurisprudenza l'insegna può essere trasferita solo in connessione con l'azienda. Tuttavia il parallelismo con la ditta, e il conseguente richiamo del 2565 c.c., avvengono in prevalenza per subordinare la cessione dell'insegna ad un'espressa manifestazione di consenso da parte dell'alienante, in mancanza della quale ditta e l'insegna si ritengono possano continuare ad essere utilizzate dall'imprenditore cedente.
EMBLEMA L'emblema é un segno distintivo menzionato più volte dal legislatore (art. 2569 c.c. etc.) ma non definito né disciplinato. Nella pratica la parola emblema contraddistingue un segno costituito esclusivamente o prevalentemente da una figura ed utilizzato per contraddistinguere un'attività d'impresa, con un funzione, quindi, uguale a quella di una ditta puramente figurativa o di un marchio generale (es. biscione Alfa Romeo), o anche se utilizzato per contrassegnare i locali dell'azienda, di un'insegna.
Disciplina La disciplina va quindi cercata nell'estensione delle regole della ditta; l'art. 2569 c.c. concede espressamente la possibilità di registrazione come marchio, che dà al segno una protezione più forte; rimane in ogni caso fruibile la protezione fornita dal divieto di atti di concorrenza sleale per confusione (art. 2598 c.c.).
RAGIONE SOCIALE la denominazione data a una società commerciale per contraddistinguerla da altre (sinonimo di ditta); è formata dal nome di un socio o di più soci nelle società in nome collettivo o in accomandita, oppure dalla denominazione dell'oggetto sociale, da una sigla o da un nome di fantasia nelle società per azioni.
Generalità Il codice vigente chiama ragione sociale il nome delle società con soci illimitatamente responsabili, e cioè della società in nome collettivo (art. 2292) e in accomandita semplice (art. 2314 c.c.); chiama invece denominazione sociale il nome della società in cui tutti i soci godono della responsabilità limitata, e cioè della società per azioni (art. 2326 c.c.) e della società a responsabilità limitata (art. 2473 c.c.); anche per la società in accomandita per azioni l'art. 2463 c.c. parla di denominazione sociale. Denominazione e ragione sociale sono segni necessari.
Principio di verità La formazione del nome è vincolata al principio di verità, nel senso che la ragione sociale della società in accomandita semplice (e la regola ricompare per la denominazione sociale della società in accomandita per azioni) deve contenere il nome di un socio illimitatamente responsabile e l'indicazione del tipo di società; per la società in nome collettivo, il codice esige la presenza del nome di un socio, ma richiede solo l'indicazione del rapporto sociale e non richiede che si indichi il tipo di società. Le denominazioni sociali della S.p.A. e della S.r.l. devono indicare il tipo di società, ma per il resto possono essere formate in assoluta libertà, con elementi fantastici o patronimici (es. "Eden S.p.A.").
Principi di liceità e novità sicuro che valga il principio di liceità, vietando indicazioni contrarie alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume; vale anche il principio di novità (secondo il dettato dell'art. 2564 c.c. che è richiamato dall'art. 2567 c.c.).
Trasferibilità E' chiaro che della ragione o denominazione sociale, la società titolare non può disporre. Esse pertanto in quanto tali non possono essere oggetto di circolazione. La società , però , in quanto imprenditore (collettivo), che esercita una o più attività di impresa, può disporre della o delle ditte. E in questo modo corrisponde all'imprenditore singolo. Denominazione e ragione sociale possono essere usate in funzione di ditta o ditte e sotto questo profilo non c'é nessuna ragione per negarne la possibilità di circolazione.
MARCHIO È il segno idoneo a distinguere determinati prodotti o servizi dell’impresa, da altri dello stesso genere. Segno che si imprime su un oggetto per distinguerlo e riconoscerlo Contrassegno originale, grafico o figurativo, applicato ai prodotti di un'impresa per distinguerli da prodotti simili di altrui fabbricazione, o anche sugli imballaggi dei prodotti agricoli per garantirne la identificazione o le caratteristiche.
Disciplina Il D.lgs. 480/1992 ha modificato la funzione distintiva del marchio: sia attenuando lo stretto collegamento fra marchio ed azienda, Sia attribuendo al marchio una funzione di garanzia della qualità del prodotto o servizio offerto. L'occasione per questa novellazione è stata offerta dall'adeguamento alla Direttiva Cee del 21 dicembre 1988, n. 89/104, che operava un riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri in materia di marchi d'impresa.
Funzioni La funzione distintiva o di indicazione di provenienza La funzione di garanzia di qualità La funzione attrattiva
la funzione distintiva o di indicazione di provenienza Il marchio collega il prodotto su cui è apposto alla sua fonte di provenienza. Ciò permette ai consumatori l'imputazione della utilità che traggono dal consumo di quel prodotto o servizio ad un determinato imprenditore. La legge del 1942 tutelava tale funzione ed anzi riteneva che la connessione tra marchio e fonte di produzione del prodotto dovesse mantenersi anche in caso di cessione del marchio, per cui vigeva il principio di circolazione vincolata del marchio, cioè questo poteva essere trasferito solo se veniva trasferita congiuntamente anche l'azienda, o ramo di questa, necessaria alla produzione del prodotto su cui tale marchio era apposto.
La funzione di garanzia di qualità Il marchio assicura al consumatore che il prodotto su cui è apposto presenta un determinato livello di qualità, ed anzi assicura che tutti i prodotti con quel marchio presenteranno lo stesso livello qualitativo. Questa funzione ha avuto un riconoscimento ed una tutela espliciti con la nuova legge del 1992, che sancisce, pena la sua decadenza, che il marchio non debba creare inganno al pubblico.
La funzione attrattiva Il marchio può avere valore in sé, poiché a seguito di una pressante campagna pubblicitaria può diventare un pregio del prodotto e quindi differenziarlo da altri prodotti in tutto e per tutto analoghi. Questa funzione non veniva tutelata dalla legge del 1942, che considerava il marchio solo nella sua funzione di indicazione di provenienza. Con la novellazione del 1992 questa funzione è stata riconosciuta e tutelata, poiché ormai evidente nelle moderne economie. In particolare si è prevista una speciale protezione per il marchio cosiddetto rinomato, atta ad evitare fenomeni di parassitismo.
Classificazione del marchio In relazione alla forma In relazione all’oggetto In relazione ai soggetti che li utilizzano
In relazione alla forma Nominativi: Consistono nel nome del produttore Denominativi: Consistono in nomi comuni e di fantasia, nonché nelle più varie combinazioni di parole Figurativi o emblematici: Consistono in figure, riproduzioni di oggetti del mondo reale o disegni fantastici (“S” sui prodotti Standa; il cavallino rampante delle auto della “Ferrari” Misti o composti: risultanti dalla combinazione di elementi emblematici, figurativi o nominativi
In relazione all’oggetto Marchi in senso stretto Marchi di servizio (art. 3 L. 1178/1959): Contraddistinguono l’attività di imprese di trasporti e comunicazioni, pubblicità, costruzioni, assicurazioni e credito, spettacoli, radio e televisione, trattamento di materiali e simili Solo i marchi di trattamento vengono apposti sul prodotto Gli altri sono utilizzati nella pubblicità, o sugli abiti delle persone che svolgono il servizio, o sugli strumenti adoperati per prestarlo, ovvero sulle cose che costituiscono l’oggetto del servizio (nei servizi di noleggio) o nell’elaborato in cui il servizio si manifesta (messaggio pubblicitario, spettacolo televisivo)
In relazione ai soggetti che li utilizzano Di fabbrica: apposto sul prodotto dal fabbricante Di commercio: apposto dal semplice rivenditore (marchio dei grandi magazzini o dei supermercati), il quale non può però sopprimere il marchio del fabbricante Individuale: utilizzato da un singolo imprenditore Collettivo o di categoria (art. 2570 c.c. modif. dal D.Lgs 480/1992)
Marchio collettivo che svolge la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi ed è destinato ad un uso plurimo di tutti coloro che si assoggettano alla osservanza degli standards qualitativi fissati dal titolare ed ai relativi controlli Es: pura lana vergine
Requisiti di validità Originalità (si distinguono in proposito i marchi deboli da quelli forti) Verità Novità Conformità alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume Mancata violazione dei diritti esclusivi dei terzi (d’autore, di proprietà industriale etc.)
Originalità È indispensabile che abbia effettiva efficacia individualizzante del prodotto Non generico (vino, vino moscato sono generici) Marchi forti: dotati di particolare originalità e forza individuante e quindi maggiormente idonei a colpire l’attenzione dei consumatori (il marchio “bonny” è stato ritenuto contraffazione del marchio “buondì” Marchi deboli: improntati ad una terminologia tecnica o di uso comune (frequenti nel campo farmaceutico: “bergamon” non è stato ritenuto confondibile con il marchi “bergasol”
Verità È vietato inserire nel marchio parole, figure o segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti e servizi
Novità Non deve essere già noto come marchio di prodotti o merci dello stesso genere fabbricati o messi in commercio da altri imprenditori
Conformità alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume ORDINE PUBBLICO:Tranquillità pubblica risultante dalla sottomissione alle leggi, dal rispetto dei regolamenti. Delitti contro l'O.p. : sono l'istigazione a delinquere (art. 414 c.p.), l'istigazione a disobbedire alle leggi (art. 415 c.p.), l'associazione per delinquere (art. 416 c.p.), l'assistenza agli associati a delinquere (art. 418 c.p.), la devastazione ed il saccheggio (art. 419 c.p.), la pubblica intimidazione (art. 421 c.p.), anche con il mezzo delle materie esplodenti (art. 420 c.p.). BUON COSTUME: Il complesso delle convinzioni morali (spesso intese quali specificatamente attinenti alla sfera sessuale) che serve da criterio di valutazione dei comportamenti pubblici e privati.
Uso del marchio Ciascun imprenditore ha diritto di avvalersi in modo esclusivo del marchio (art. 2569 c.c.).
Il diritto dell’uso può acquisirsi Con la registrazione presso l’Ufficio Italiano Brevetti e marchi. Il diritto di uso esclusivo dura dieci anni ed è rinnovabile illimitate volte. Con l’uso di fatto che consente a colui che ha fatto uso di un marchio non registrato di continuare ad utilizzarlo nonostante l’altrui registrazione, nei limiti in cui anteriormente se ne è avvalso (art.2571 c.c.).
Titolarità del diritto alla registrazione La nuova legge marchi (art.22 D.LGS.480/92) afferma che chiunque può registrare un marchio e quindi esserne titolare, con il solo limite o della sua effettiva utilizzazione o addirittura del solo proposito di utilizzazione. In particolare la norma prescrive che può diventare titolare di un marchio: l'imprenditore, cioè colui che registra un marchio per contraddistinguere i prodotti o servizi della sua impresa; chi lo utilizzi attraverso imprese da lui controllate, e perciò si configura la possibilità che titolari di un marchio possano essere anche le holding pure; chi lo utilizzi attraverso imprese indipendenti che ne facciano uso con il suo consenso (art.22 D.LGS.480/92, comma secondo). Questa norma legittima appieno i contratti di merchandising, che tanto faticosamente erano stati ammessi con la legge precedente. Anche la P.A.
Marchi non registrati: “marchi di fatto” Può essere titolare di un marchio anche chi non lo abbia registrato. È il caso dei cosiddetti marchi di fatto, cioè marchi effettivamente usati per contrassegnare prodotti o servizi, ma non registrati. L' uso del marchio necessario per ottenerne la titolarità e quindi la protezione può consistere: nell'effettiva presenza sul mercato di prodotti o servizi contrassegnati da quel marchio. Tale presenza verrà valutata quantitativamente rilevante in relazione all'estensione di quel particolare mercato; nella pubblicizzazione del marchio, anche senza un'effettiva sul mercato del prodotto.
Segue: ambito A differenza del marchio registrato, che viene riconosciuto e protetto in tutto il territorio nazionale, il marchio di fatto può avere anche un ambito più ristretto, nel caso in cui il suo uso venga riconosciuto come solamente locale: in questo caso la protezione accordatagli sarà solo locale e perciò lo stesso marchio sarà utilizzabile da altri al di fuori dell' ambito locale.
Effetti della Registrazione Con la registrazione (c.d. marchio registrato), disposta dall’Ufficio italiano brevetti e marchi, istituito presso il Ministero dell’Industria e del Commercio, l’esclusiva decorre fin dalla data di presentazione della relativa domanda ed ha efficacia (anche ai fini della pubblicità) su tutto il territorio nazionale Copre anche i prodotti affini a quelli individuati dal marchio Il diritto dura 10 anni dalla registrazione, ma rinnovabile
Trasferimento del marchio Cessione a titolo definitivo Licenza merchandising
Cessione a titolo definitivo Può aversi indipendentemente dalla cessione di altri elementi dell’azienda Può essere parziale Non deve essere ingannevole nei confronti dei terzi
Licenza È una concessione in godimento temporaneo anche non esclusiva riguardante sia la titolarità sia parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato È riferita all’intero territorio statale ovvero soltanto a parte di esso
Legittimità della licenza non esclusiva La licenza non esclusiva è legittima soltanto qualora il “licenziatario” si obblighi espressamente ad usare il marchio per contraddistinguere prodotti o servizi uguali a quelli corrispondenti mesi in commercio o prestati nel territorio dello Stato con lo stesso marchio dal titolare o da altri licenziatari Non deve derivare inganno nel pubblico in relazione ai caratteri essenziali dei prodotti o servizi
Merchandising È la concessione in uso a terzi di un marchio celebre (es: utilizzazione del marchio “Champagne” per contraddistinguere una schiuma da bagno, ovvero del marchio “Cointreau” nel settore dell’abbigliamento
Fondamento Il marchio celebre, più che identificare i prodotti di un dato imprenditore, tende a diventare il segno che contraddistingue il prestigio, lo stile e la capacità manageriale dell’imprenditore medesimo
Tutela giudiziale del marchio Azione di rivendicazione (anche per il marchio non registrato) Azione di usurpazione e di contraffazione Azione inibitoria: nel corso del giudizio di contraffazione con sentenza provvisoriamente esecutiva Azione di concorrenza sleale Azione di risarcimento del danno
LE DENOMINAZIONI DI ORIGINE CONTROLLATA (D.O.C.) Pur rientrando nell'ampia categoria dei segni di uso comune, si distinguono da questi le denominazioni tipiche, che si riferiscono essenzialmente alle caratteristiche merceologiche del prodotto, derivanti da una produzione artigianale (usi locali e costanti), e le denominazioni di origine che, pur evocando anche le caratteristiche di una produzione tradizionale, si riferiscono in linea di massima alla zona di produzione;
Tipologie in relazione al tipo di controllo esercitato dalla Pubblica Amministrazione (direttamente o tramite Consorzi volontari), si distinguono: denominazioni di origine pura e semplice denominazioni di origine controllata denominazione di origine controllata e garantita. (SENA)
Le denominazioni di origine controllata (e le indicazioni di provenienza non sono marchi; tuttavia vengono di solito inserite all'interno delle trattazioni sui marchi per la loro stretta affinità coi marchi collettivi che garantiscono la provenienza geografica. Le denominazioni di origine controllata sono nomi geografici utilizzati per contraddistinguere prodotti le cui caratteristiche qualitative sono legate alla zona, per l'influsso di fattori ambientali naturali (suolo, clima) o socioeconomici (presenza di tecniche di lavorazione particolare) o per entrambi i motivi (prosciutto di Parma; vino 'Marsala').
Segue: generalità La denominazione di origine non é appropriabile da parte di un singolo imprenditore, ma, dopo la riforma del 1992, può essere oggetto di un marchio collettivo. Di regola, in assenza di un marchio collettivo, é liberamente fruibile da tutti gli imprenditori della zona, e soltanto da essi, all'interno di una disciplina di controllo dell'uso.
Disciplina Le denominazioni di origine controllata trovano una tutela specifica in testi convenzionali, e precisamente nell'art. 10 della Convenzione di Unione di Parigi; nell'Arrangement di Madrid del 14 Aprile 1981, più volte modificato; nell'Arrangement di Lisbona del 3 Ottobre 1958; nonché in altri accordi bilaterali e plurilaterali.
Tutela Si ritiene inoltre che l'uso indebito di una d.o.c. sia un atto di concorrenza sleale per appropriazione di pregi, vietato dall'art. 2598 n. 2 c.c. Esistono profonde affinità tra marchio collettivo e denominazione di origine controllata (ciò spiega perché la maggior parte della disciplina del secondo é presa dai marchi collettivi) entrambe infatti sono figure di segno ad uso plurimo, con funzione di garanzia (di provenienza e/o di qualità); si ritiene pertanto comune la disciplina dell'uso del segno, della contraffazione e delle sanzioni.
Differenza tra marchio collettivo privato e denominazione di origine esiste una netta differenza, per quanto riguarda l'accesso all'uso del segno. Se titolare del marchio collettivo é un soggetto privato, questi autorizza l'uso del segno in piena discrezionalità, e non esiste alcun diritto del singolo imprenditore all'accesso all'uso del segno. La denominazione di origine, invece, non ha un titolare esclusivo, ed é direttamente utilizzabile da tutti gli imprenditori della zona, la cui produzione sia conforme a quanto previsto dal disciplinare di quella; l'atto di autorizzazione all'uso, che il disciplinare affida a certi organismi, non é mai un atto discrezionale, ma é un atto dovuto ogni volta che sussistano gli estremi, ogni volta, cioè , che la produzione dell'imprenditore rispetti le disposizioni del disciplinare.
Controllo Se esiste quindi un diritto di tutti gli imprenditori della zona all'accesso all'uso della denominazione di origine, deve però notarsi che l'uso stesso é soggetto a controllo (si parla appunto, di denominazione di origine controllata: d.o.c.).
Diritto di esclusiva A differenza del diritto dei marchi la disciplina della denominazione di origine controllata prevede una estensione del diritto di esclusiva, ampliato in due direzioni diverse: - divieto dell'uso in funzione descrittiva - irrilevanza della volgarizzazione
Divieto dell'uso in funzione descrittiva viene configurata espressamente come illecita ogni apparizione della denominazione protetta su prodotti di soggetti non autorizzati, anche se accompagnata da espressioni come "tipo“ e affini, e anche se accompagnata dall'indicazione della provenienza effettiva
Irrilevanza della volgarizzazione rimane illecito l'uso della denominazione da parte di un soggetto estraneo alla zona, anche quando la denominazione stessa sia divenuta, nel linguaggio comune, simbolo di un prodotto avente certe caratteristiche merceologiche, quale che ne sia poi la effettiva provenienza geografica. (DI CATALDO)
BUON FINE SETTIMANA