Pedagogia: Gli anni Ottanta sono stati, per la pedagogia italiana, un periodo di intenso fermento epistemologico, sociale e cognitivo. Sono stati gli anni che hanno visto la pedagogia attraversata da nuove esigenze formative, nuovi orientamenti politici e sociali e anche nuovi soggetti in formazione. Tre sono stati, in particolare, i vettori che hanno innervato il sapere pedagogico: quello del femminismo, il vettore legato all’emergenza ecologica, e quello relativo alle problematiche multiculturali
Dal fermento epistemologico e sociale che ha innervato il sapere pedagogico a partire dagli anni Ottanta, ciò che emerge è una sorta di apertura dei molti paradigmi dell’educazione convergenti, tutti, verso un’unica frontiera, la formazione della persona e l’educazione come elemento chiave per l’emancipazione
La persona di oggi come osserva Umberto Galimberti, deve essere una sorta di “viandante” che non fa del “diritto” il suo punto di riferimento, bensì guarda all’esperienza perché, a differenza dell’uomo moderno che ha le sue certezza nella solidità delle istituzioni e nella legge, il “viandante” vive realizzando quotidianamente e in tutti gli ambiti della vita la diversità dell’esperienza
Nell’ottica galimbertiana la figura del viandante senza meta e senza punti di riferimento precisi, con la sua etica “nomade” che si nutre di relativismo e che esalta le differenze, può diventare il punto di riferimento dell’umanità dell’oggi. Cfr., U. Galimberti, Parole Nomadi, Milano, Feltrinelli, 2006.
Matilde Callari Galli nel suo Lo spazio dell’incontro sottolinea la necessità, per l’individuo che abita la società della Complessità, di abbattere le molte barriere e dicotomie tipiche della cultura occidentale che non fanno altro che ridurre la complessità della vita sociale invece di esaltarne le differenze. E’ necessario, allora, promuovere una cultura dell’incontro, un incontro inteso come spazio etico, sociale e pedagogico che deve farsi promotore di relativismo culturale e differenza Cfr., M. Callari Galli, Lo spazio dell’incontro, Roma, Meltemi, 1996.
Questa visione di “nuova universalità” è possibile grazie all’educazione e alla valorizzazione delle “molte voci della diversità” che andranno a convergere in quell’ideale di uomo, animato da un pensiero critico e complesso, libero da stereotipi e aperto al confronto con l’Altro.
Comunicazione: In termini educativi e pedagogici, questo viaggio alla scoperta del valore della differenza, del pluralismo, dell’apertura all’universo delle possibilità, significa aspirare alla costruzione di quelle dimensioni formative la cui complessa trama è tenuta insieme dai fili della dialettica del confronto, dello scambio, del rifiuto di qualsiasi forma di dogmatismo e di logiche conformatrici
a favore di modelli educativi e formativi che spostino l’attenzione dal soggetto all’intersoggettività, in quanto il soggetto si costruisce e si riconosce nel dialogo, nel confronto e nella comprensione poiché l’individuo come monade diviene solo una astrazione priva di senso.
Il mondo dell’educativo in generale e il sapere pedagogico in particolare, potrebbero attingere nuovi spunti di riflessione proprio da questa sorta di “nuovo pensare” che per essere tale, cioè “nuovo” e attento alle varie, complesse e problematiche dimensioni della persona, deve prendere in considerazione la dimensione pedagogica del soggetto relazionato e dell’educazione alla comunicazione Cfr., E. Ducci, Essere e comunicare, Anicia, Roma 2003.
Una formazione così intesa deve rispecchiarsi in una persona riconsegnata alla vita con le sue ombre, con i suoi vuoti della coscienza, con la sua forma di esistenza mancata, ma per proprio per questo motivo aperta alla possibilità, agli stimoli di un progetto educativo che per sottrarre la persona stessa al rischio dell’alienazione e dell’assurdità dell’esistere, deve spingerla a realizzarsi nel rapporto costruttivo con l’altro da sé, in una dimensione di intersoggettività che tragga sempre nuovi stimoli dalla dinamica della circolarità.
marginalità: quel vasto ambito di esperienze di vita segnato dal disagio, quel contesto esistenziale di forte estraneità rispetto ai processi sociali, culturali e politici delle società organizzate, quegli spazi educativi in cui si riscontrano i conflitti della società, al fine di intervenire con particolari strategie forse diverse dalle tradizionali vie educative, spesso insufficienti a garantire il completo sviluppo delle dimensioni della persona, del suo esistere.
Secondo Franco Basaglia la psichiatria classica, ufficiale, doveva mettersi da parte e riconoscere di aver fallito il suo compito: curare e accogliere i soggetti sofferenti che, invece di cure, erano stati rinchiusi nell’unica dimensione ritenuta adatta alla loro condizione di diversi: l’emarginazione e la segregazione.
La psichiatria ufficiale aveva finito con il sostenere quel processo di esclusione del “malato mentale” imposto da un sistema politico certo di poter negare ed annullare le proprie contraddizioni allontanandole da sé, emarginandole, rifiutandone la dialettica, per potersi distinguere ideologicamente come una società senza contraddizioni.