CINEMA E STORIAA cura di Vita Maria Nicolosi
IL FILM
La storia de La Rosa Bianca e dei fratelli Scholl non è nuova al cinema tedesco, il regista Marc Rothemund è stato preceduto negli anni Ottanta da due connazionali, Percy Adlon e Michael Verhoeven. Questa volta però la storia prende avvio ed è favorita dal ritrovamento di documenti inediti conservati per decenni negli archivi della Germania Est e resi pubblici soltanto nel 1990: i verbali originali degli interrogatori e le numerose testimonianze, come quella della compagna di cella di Sophie, Else Gebel. Nelle opere precedenti Sophie finiva per perdersi e confondersi nel gruppo. Qui, al contrario, ogni movimento della macchina da presa, ogni piano è per lei.
Nel 1982 il regista Michael Verhoeven si era occupato della storia di questo movimento. Il suo film La Rosa Bianca era stato ostacolato in ogni modo e aveva ricevuto violente critiche alla sua uscita. Secondo voci attendibili, Marc Rothemund avrebbe chiesto a Verhoeven il permesso di parlare di nuovo della Rosa Bianca, ma questa volta dal punto di vista di Sophie Scholl, l'unica donna del gruppo, ed il membro più giovane.
Verhoeven avrebbe risposto entusiasticamente, sottolineando come sia importante l'apporto delle generazioni più giovani (Rothemund è del 1968) per tenere viva la memoria di questo gruppo e di chi ne ha fatto parte.
Il film trasmette allo spettatore la tensione della realtà: parla di verità e lo si percepisce con un’emozione che dura per tutta la durata della proiezione e si trasforma in brivido nella sequenza finale. Il regista ci trasporta in uno dei periodi più bui dell'umanità senza scene di guerra o di parate, quasi senza uniformi, senza mostrare le atrocità che, tuttavia, si avvertono benissimo. Tranne poche scene, all'Università di Monaco, nell'appartamento degli Scholl, nei trasbordi dalla prigione al tribunale, tutto avviene tra le quattro mura di una cella, della stanza degli interrogatori, dell'aula del tribunale, della stanza della ghigliottina. Proprio tale 'chiusura‘ di tipo teatrale riesce ad evidenziare suggestivamente la solennità, l'estrema dignità e la speranza, che travalicano qualsiasi muraglia.
Rothemund racconta, in maniera nello stesso tempo artistica e fedele ai dati storici, gli ultimi cinque giorni di Sophie Scholl, ricostruendo la sua vicenda processuale e mostrando il coraggio di una giovane donna di fronte alla barbarie del totalitarismo nazista. Si tratta di un film di parole piuttosto che di immagini, e la parte più intensa è data sicuramente dal rapporto tra Sophie Scholl ed il suo inquisitore Robert Mohr che prova sentimenti contrastanti per la giovane: dalla rabbia all'incredulità fino alla compassione e all'ammirazione.
Sophie, suo fratello Hans ed alcuni amici dell’università di Monaco cercarono di sensibilizzare gli altri studenti e la popolazione contro le aberrazioni del regime nazista. Produssero in tutto 6 volantini e un’ottantina di scritte murali in varie città della Germania. La Rosa Bianca organizzò una campagna di propaganda con un difficile lavoro notturno di ciclostilati e di lettere, distribuiti agli studenti o inviati per posta in varie città della Germania, più un'ottantina di scritte murali. Di ciò lo spettatore ha solo degli accenni: il film si concentra sugli ultimi sei giorni di vita di Sophie. La storia del gruppo non è in primo piano, mentre lo è la personalità e lo spirito civico ed etico della protagonista.
Il 17 febbraio del 1943, quando il governo tedesco dichiarò caduta e perduta Stalingrado, il gruppo si convinse che la fine della guerra fosse ormai prossima. Otto mesi di bombardamenti continuati e le numerose perdite di soldati sul fronte orientale accrebbero l’ottimismo del movimento di resistenza studentesco La Rosa Bianca. Quella mattina di febbraio centinaia di volantini di denuncia contro i crimini nazisti vennero disseminati lungo i corridoi degli atenei e una parte di essi fu lanciata dalla tromba delle scale. Un gesto azzardato: sorpresi da un sorvegliante, furono denunciati.
Mio fratello dice sempre "Uno spirito forte, un cuore tenero".
Vennero arrestati insieme a Probst. Separata dal fratello, Sophie, trovò conforto nella compagna di cella, Else Gebel e trascorse i suoi ultimi giorni rispondendo al funzionario della Gestapo Robert Mohr . Giunse perfino a convincerlo dell'innocenza sua e del fratello. Solo quando si rese conto di essere comunque perduta e di non poterlo più proteggere, decise di esporree con grande coraggio il suo pensiero a Mohr che rimase turbato dalla forza delle convinzioni della giovane, pur nell'incapacità di comprenderle. Sophie, Hans e Christoph subirono un processo sommario per alto tradimento, ad opera del cosiddetto Tribunale del popolo, presieduto dal famigerato Roland Freisler.
L'aberrazione degli interrogatori di Sophie colpisce lo spettatore come un nonsenso: il nazismo aveva pretese di legalità e di 'giustificazione' storica e l'orrore è documentato con un grande rigore, senza indulgere in elementi emotivi di facile impatto. Da un inizio in cui pare timorosa, preoccupata per la sorte del fratello e ancora concentrata sul 'privato', si passa a una graduale presa di coscienza, alla maturità della sua scelta – la necessità della ribellione a qualunque costo – per l’affermazione della libertà e del diritto di potersi definire ancora esseri umani.
Tre, dunque, i momenti significativi in questo percorso 'di crescita‘: il rapporto con il fratello maggiore, improntato alla tenerezza e alla condivisione degli ideali tramandati dai genitori; il lungo interrogatorio con Mohr, in cui acquista una forza sempre maggiore e in cui l'uomo, dapprima mero burocrate, cede al dubbio, colpito, forse turbato, essendo padre di un ragazzo coetaneo di lei (in una scena, quasi novello Pilato, si 'lava le mani'); la totale impossibilità comunicativa tra Sophie e il giudice, tra la rassegnazione fiera della ragazza, cerca di esporre le sue ragioni, e la violenza delle urla del giudice
L’amore per la vita è fortissimo, malgrado tutto: toccanti sono le scene in cui dalle finestre della cella scruta il cielo, conscia che forse è per l'ultima volta. Poco prima di essere ghigliottinata, nei pochi minuti dell'ultima sigaretta tra lei, Hans e Christoph, alle 17 del 22 febbraio, pronuncia un’ultima una frase di speranza: "Guardate, c'è ancora il sole!". Rimane, nella mente degli spettatori, la prima scena del film, quando con un'amica canticchia una canzone alla radio. E, infine, il regista ci presenta nei titoli di coda la vera Sophie, nei momenti più spensierati.
La Rosa Bianca, in concorso al Festival di Berlino ha vinto l'orso d'argento come miglior film e Julia Jentsch ha vinto lo stesso premio come migliore attrice protagonista. Ma, oltre a questi premi prestigiosi, il film ha riscosso un grande successo di pubblico nel suo paese di origine, e Marc Rothemund ha sottolineato con soddisfazione come il film sia stato visto soprattutto da giovani. Segno che in Germania esiste la forte esigenza di fare i conti con il proprio passato recente, non dimenticando chi è morto nella speranza di assicurare un futuro di pace al proprio paese.