L’organizzazione agricola: L’ordinamento curtense

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L’organizzazione agricola: L’ordinamento curtense

La curtis Nell’alto medioevo la vita e l’economia delle campagne ruotano attorno a grandi aziende dette curtes o villae, caratterizzate da un regime di conduzione delle terre misto: in parte diretta, da parte del signore (un potente laico o un ente ecclesiastico), attraverso i suoi servi; in parte indiretta, attraverso coloni liberi o servi.

Parte padronale Detta dominicum, comprende: Residenza del dominus e abitazione dei servi Terre coltivate dai servi domestici (o “prebendari” ai quali il dominus assicurava vitto e alloggio). Boschi, pascoli e terreni incolti. Officine, laboratori artigianali e magazzini (forno, frantoio, fucina, fornace, stalle, granaio, ecc.)

Parte affidata ai coloni Detta massaricium, suddivisa in mansi (poderi) concessi in uso a contadini di condizione libera o servile, in cambio di: canone in natura (ossia una parte dei prodotti del manso); prestazioni d’opera (corvées): giornate di lavoro sul dominicum, conduzione di una sua parte, attività occasionali.

Origini della curtis In età romana, le grandi proprietà (latifunda) erano coltivate solo da schiavi e prevalentemente a cereali. Ma, in seguito: con la fine delle guerre di conquista vengono a mancare gli schiavi e si ricorre a liberi. Con la crisi dei commerci (a seguito della fine dell’impero) occorre produrre tutto in loco: gli schiavi non bastano più.

Equivoci da evitare I domini delle curtes non vanno confusi con i domini vassallatici: i coloni non sono vassalli dei proprietari terrieri. Nel mondo medioevale non esistevano solo signori e coloni. Alcuni contadini erano proprietari delle loro terre, dette allodi. L’economia curtense è “chiusa” ma non esclude l’esistenza di commerci locali.

Servi e schiavi Che differenza c’è tra la schiavitù antica e il servaggio medioevale? Le parole alimentano l’equivoco: schiavo, che per noi indica una condizione peggiore di quella di servo, è di origine medievale (“sclavus” sta per “slavo”). I Latini chiamavano servi, gli esseri, considerati “strumenti parlanti”, sui quali i padroni avevano potere di vita e di morte.

Servitù e cristianesimo La diffusione del cristianesimo non comporta l’immediata scomparsa della schiavitù. Il cristianesimo non produce una rivoluzione sociale, ma cambia il modo che gli uomini hanno di rapportarsi. Padroni e schiavi restano tali, ma il padrone non può negare la dignità umana del suo sottoposto.

San Paolo Afferma (Gal.3,28): “ Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.” Tuttavia rimanda al suo padrone cristiano, Filemone, lo schiavo fuggitivo Onesimo da lui convertito, raccomandandogli di accoglierlo “come un fratello” (Cf. Lettera a Filemone)

La servitù medioevale Il servo delle curtis: Però: è legato alla terra; non ha diritti civili (non può testimoniare, fare testamento, prestare servizio militare). Non può sposarsi senza autorizzazione. Però: è una persona, non è “una cosa”, il padrone non dispone della sua vita; può possedere beni e persino riscattare la sua libertà.

Evoluzione della servitù La libertà dei servi “casati” (ossia dotati di manso) è maggiore di quella di coloro che vivono nella riserva padronale. Col tempo la differenza tra coloni servi e coloni liberi finì con lo scomparire (entrambi erano legati alla terra). In Occidente la servitù fu ufficialmente abolita nel XIII secolo.

Vedendo dunque Dio che tutto il mondo era miseramente perito, mandò il Figlio suo Unigenito, dalla Vergine Madre, con l’opera della grazia dello Spirito Santo, affinché a gloria della sua dignità, spezzate le catene della schiavitù dalle quali eravamo tenuti prigionieri, ci restituisse la primitiva libertà, e perciò molto utilmente si agisce, se gli uomini che all’inizio la natura generò e creò liberi e pose sotto il giogo del diritto delle genti siano restituiti col beneficio dell’emancipazione coloro che erano nati in quella libertà. In considerazione della qual cosa, la città di Bologna, che ha sempre combattuto per la libertà, ricordando gli impegni passati e pensando ai futuri in onore del nostro Redentore e Signore Gesù Cristo, con una somma in denaro riscatta tutti quelli che nella città e diocesi di Bologna trova stretti dalla condizione servile, e decreta che siano liberi, dopo un’accurata indagine stabilendo che nessuno, costretto da qualche forma di servitù osi dimorare nella città e diocesi di Bologna, affinché la massa che è stata riacquistata alla naturale libertà da un tale prezzo, possa essere corrotta da un qualche fermento di servitù, poiché un piccolo fermento può corrompere tutta la massa e la compagnia di un cattivo conduce molti sulla via disonesta. Prologo del cosiddetto Liber Paradisus che elenca tutti gli schiavi liberati per decreto del comune di Bologna nel 1256.