Cronache veneziane. La memoria della città 29 aprile 2013
Fonti cronistiche e narrative nel medioevo italiano La tradizione storiografica La triade degli MGH “Rerum italicarum scriptores” (1 e 2) Storia della storiografia (Fueter) Typologie des sources du Moyen Age Occidental
Fonti cronistiche e narrative Il “primum mobile” identitario: perché si rielabora una memoria consapevole nella crisi tardoantica La motivazione “nazionale” La motivazione “istituzionale” La motivazione “identitaria “ Le narrazioni storiche altomedievali e il concentrarsi delle scritture presso i vertici istituzionali della chiesa
Fonti cronistiche e narrative La crisi tardo-antica della “comunicazione politica” Cronache imperiali di “committenza” statale (attenta ai vertici del potere politico) Fasti municipali e scritture storiche di ambito locale: elenchi di magistrati, narrazione di fondazioni, celebrazioni di culti locali Gabba (Rifessioni sulla storiografia locale antica)
Gli ecclesiastici e le cronache - egemonia delle chiese sulla scrittura: la clericalizzazione della produzione letteraria e narrativa di ambito latino testi narrativi -persistenza dei testi narrativi e commemoriali di tradizione ecclesiastica (eccezione: le "storie nazionali") - le narrazioni storiche di ambito definito nell'alto medioevo sono celebrazioni di vescovi, legati alle città, oppure laudes civitatum (celebrazione encomiastica della sede episcopale). Al di fuori delle città, rari esempi di narrazioni legate a monasteri importanti: Bobbio, Montecassino, Nonantola, Abbadia S. Salvatore.
La crisi dei testi laici Modificazioni della produzione documentaria nella crisi tardo-antica e nell'alto medioevo (sino all'età carolingia) - diminuzione della documentazione ordinaria di carattere pubblico, in particolare della documentazione che interessa ambiti territoriali ben definiti - continua la produzione legislativa (romana e germanica) - si sviluppa la produzione teologica e dottrinale, poetica e letteraria, narrativo-storiografica
Crisi dei testi laici sia a livello del «centro» del potere, che in periferia ma la crisi dello stato esclude dal ricorso alla scrittura la generalità delle persone [mentre nel mondo romano l'attitudine alla scrittura era stata larghissima: vedere CLA, Pompei; valore dell'epigrafia come indizio della diffusione sociale della scrittura ]; La crisi della società e dello stato tardo-antichi significa: decadimento della vita urbana, allentamento o difficoltà delle relazioni fra centri e periferie nell'impero, disinserimento di vasti strati sociali da forme ordinate di carriera pubblica e di amministrazione, crisi delle scuole e progressivo distacco del laicato dalla cultura scritta [e dunque crisi delle scritture storiche di ambito locale: fasti di magistrati, narrazioni di fondazioni, celebrazioni di culti locali ecc.]
, FONTI CRONISTICO-NARRATIVE Influenza delle generali condizioni di alfabetizzazione Alto medioevo come epoca dello specialismo ecclesiastico nella produzione di testi cronistici Svalutazione della storiografia medievale dovuta al pregiudizio secondo cui la cultura medievale non avrebbe attribuito importanza alla conoscenza storica a causa della sua fondamentale ispirazione religiosa, che poneva tutti i valori nella trascendenza e faceva della vita terrena solo un passaggio
Fonti cronistiche e narrative nel medioevo Una nuova concezione della storia: Dalla concezione ciclica alla concezione “lineare” della storia, che ha una fine e un fine (storia e storia della salvezza) Inserire le storie particolari nella storia universale (partire dalla creazione del mondo: un inquadramento cronologico che resta nei testi anche tardi, come testimonianza di un modo di pensare, di un’idea della storia)
Schemi mentali Tripartizione -dalla creazione del mondo -alle vicende dell’epoca vicina all’autore -al futuro escatologico ‘storia universale’ nella quale conta sostanzialmente l’ammaestramento che tutta la storia degli uomini non è altro che l’esplicazione di un progetto divino (Adamo-Cristo-perfezione della redenzione-fine della storia). è una componente presente, ma - insieme con il desiderio di ricordare le tradizioni gloriose dei popoli e dei regni - con le celebrazioni delle gesta di personaggi illustri - con la propaganda politica e ideologica - con il desiderio di serbare memoria di fatti (per ammaestramento morale o per istruzione politica, informazione culturale, meraviglia e diletto) sono funzioni non diverse dalla storiografia antica, ma anche da quella moderna, pur all’interno di una concezione propria della realtà e della verità e con strumenti letterari e retorici peculiari
Fonti cronistiche e narrative In lingua latina e greca continua a svilupparsi una storiografia di carattere “generale”, Alcune opere ripercorrono roma antica (Paolo Orosio). Compilazioni Altre imperniano la narrazione su Costantinopoli (Procopio di Cesarea, secolo VI) Sviluppo nuovo: le Storie “nazionali” Goti, Franchi, Longobardi, Angli In genere scritte da ecclesiastici
Fonti cronistiche e narrative Paolo Diacono e la “historia langobardorum” Dalle origini mitiche dei longobardi …. Anche: Fioritura di narrazioni di ambito territoriale definito: Cataloghi di vescovi (cronotassi episcopali) Vite episcopali Rare narrazioni imperniate su alcuni importanti monasteri: Bobbio, Montecassino, Nonatola, Monte Amiata (leggende di fondazione, cataloghi e vite di abati)
Fonti cronistiche e narrative Punto di frattura la clericalizzazione In generale prevale un’ottica locale, di “monastero” o di “episcopio” Annales episcoporum Rari esempio di scritture libere da un ancoraggio locale: Raterio da Verona
Fonti cronistiche e narrative Liber pontificalis della Chiesa romana, sequenza di biografie di papi elaborate in una prima serie nel secolo IV e poi aggiornata per tutto il medioevo, sino al Quattrocento
Fonti cronistiche e narrative La varietà delle forme memoriali e commemorative della tradizione monastica ed episcopale: Le “cronache cartulario” Le “cronache con documenti”, un ibrido tra testo narrativo e “libri iurium” che si rafforzano a vicenda
Fonti cronistiche e narrative: la svolta dell’età comunale L’ETA’ COMUNALE Una identità di lunga durata: sino al Settecento incluso (in Italia) (Historiae rariores) (La tradizione a stampa) Vecchi e nuovi protagonisti: Ecclesiastici che si “convertono” e diventano ideologi della città Vescovi e frati, prima di tutto
Fonti cronistiche e narrative Nuovi protagonisti, i notai e i giudici , e i cancellieri, “intellettuali organici” della città e della città comunale in particolare (abbinano la consuetudine con la scrittura e il ruolo nella gestione della politica cittadina ai vari livelli) Valore civile, anche rituale e simbolico, della cronaca cittadina Rolandino da Padova
Fonti cronistiche e narrative Committenza ufficiale da parte del comune Caffaro e gli “Annali” Prospettiva cittadina In Italia, comparativamente alla ricchezza della tradizione, studi abbastanza tardi e radi NOTAI CRONISTI G. Arnaldi, “Studi sui cronisti della Marca Trevigiana nell’età di Ezzelino da Romano”, Roma 1963 M. Zabbia, I notai e la cronachistica cittadina italiana del Trecento, Roma 1999 (Nuovi studi storici, 49).
Fonti cronistiche e narrative Formation et culture des notaires (XIe-XIVe siècle), in Éducation et cultures en Italie (XIIe-XVe siècles), a cura di I. Heullant-Donat, Paris 2000, pp. 297-324 La tradizione dell’esperienza storica, Introduzione a R. W. Southern, La tradizione della storiografia medievale, a cura di M. Zabbia, Bologna 2002 (Istituto italiano per gli studi storici. Testi storici, filosofici, letterari, 11), pp. 9-33
Fonti cronistiche e narrative L'éloquence politique dans le cités communales (XIIIe siècle), in Cultures italiennes (XIIe-XVe siècles), a cura di I. Heullant-Donat, Paris 2000, pp. 269-296 Boncompagno da Signa, i maestri di retorica e le città comunali nella prima metà del Duecento, in Il pensiero e l'opera di Boncompagno da Signa, a cura di M. Baldini, Signa 2002, pp. 23-36
Fonti cronistiche e narrative Problema di forme espressive, di modelli letterari (un aspetto fortemente trascurato dalla riflessione storica) Dal “modello annalistico” (singoli notamenti per ciascun anno, privi di connessioni, poveri di “retorica”)…. …. alla “scrittura della storia” (opus rethorice maximum)
Fonti cronistiche e narrative Una lunghissima transizione, Una lunga sopravvivenza di forme letterarie e di registri espressivi Latino / volgare Modelli antichi (la biografia, Plutarco e Svetonio; la narrazione storica drammatizzata, Cesare e Livio; ecc.), ripresi tanto in latino quanto in volgare
Fonti cronistiche e narrative La tradizione della letteratura italiane e le fonti storiografiche medievali e moderne Foscolo De Sanctis Dionisotti “Atlante della letteratura italiana”
Fonti cronistiche e narrative B. Smalley, Storici nel Medioevo, Napoli, Liguori, 1979, L. 35.000 O. Capitani, La storiografia medievale, in La Storia. I grandi problemi dal Medioevo all'Età contemporanea, Torino, UTET, 1988, vol. I/1, pp. 757-792 - B. Guenée, Storia e cultura storica nell'Occidente medievale, Bologna, Il Mulino, 1991.
Fonti cronistiche e narrative Altri soggetti politici: Le corti e la storiografia di corte Il “modello di corte” nella storiografia europea medievale: la tradizione regia francese e inglese V.H. Galbraith, Kings and Chroniclers, Hambledon, London, 1982 La cultura aristocratica francese e la sua “importazione” in Italia
Fonti cronistiche e narrative - L. De Lachenal, Spolia. Uso e reimpiego dell'antico dal III al XIV secolo, Milano, Longanesi, 1995. - C. Frugoni, L'antichita': dai "Mirabilia" alla propaganda politica; M. Miglio, Roma dopo Avignone. La rinascita politica dell'antico; M. Greenhalgh, "Ipsa ruina docet": l'uso dell'antico nel medioevo, in Memoria dell'antico nell'arte italiana. I. L'uso dei classici, a cura di S. Settis, Torino, Einaudi, 1984 (rispettivamente pp. 3-72; pp. 73-111; pp. 113-167). - C.H. Haskins, La rinascita del XII secolo, Bologna, Il Mulino, 1972. - R. Krautheimer, Roma: profilo di una citta', 312-1308, Roma, Edizioni dell'Elefante, 1981. - E. Panofsky, Rinascimento e rinascenze nell'arte medievale, Milano, Feltrinelli, 1971.
Un’altra svolta Un nuovo clima culturale La storiografia umanistica Il passaggio dalla concezione provvidenzialistica della historia salutis medievale a quella progressiva ed evoluzionistica delle filosofie della storia dei secoli XVIII e XIX
Fonti cronistiche e narrative E. Cochrane, Historians and Historiography in the Italian Renaissance, Chicago and London 1981 N.S. Struever, The language of history in the Renaissance. Rhetoric and historical Consciousness in Florentine Humanism, Princeton 1970 R. Landfester, Historia magistra vitae. Untersuchungen zur Humanistischen Geschichtstheorie des 14. bis 16. Jahrhunderts, Genève 1972
Fonti cronistiche e narrative C. Vasoli, Il modello teorico, in “La storiografia umanistica”, Atti del convegno, Messina 1992 Coluccio Salutati rerum gestarum scientia monet principes, docet populos et instruit singulos quid domi quidque foris, quid secum, quid cum familia, quid cum civibus et amicis, quidque privatim vel publice sit agendum (valore etico degli exempla)
Fonti cronistiche e narrative La storiografia laica con l’Umanesimo recupera , perfeziona e continua riproporre il canone storiografico antico, fino alla rivoluzione scientifica del secolo XVII e XVIII e al declino del “mito delle origini” Storiografia dello stato
Fonti cronistiche e narrative La storiografia ecclesiastica deve adattare il modello provvidenzialistico medievale ai problemi posti dalla rottura dell’unità religiosa, dalle controversie dottrinali tra Chiesa cattolica e Chiese protestanti, dalla confessionalizzazione dello Stato moderno
Fonti cronistiche e narrative Un altro aspetto: le fonti «private». La nascita dell’individualismo (Petrarca, il Secretum): il diario Ragioni familiari per lo scrivere. Il libro di famiglia tra privato e pubblico
Fonti cronistiche e narrative I libri di famiglia sono una forma di scrittura documentaria finalizzata alla registrazione, diffusa tra XIV e XVI secolo. Di origine extraletteraria, questo genere testuale va distinto dalla storiografia «minore», dalla memorialistica, dall'autobiografia. Angelo Cicchetti e Raul Mordenti (La scrittura dei libri di famiglia, in Letteratura italiana diretta da A. Asor Rosa, vol. III, Le forme del testo, t. Il, La prosa, pp. 1117-59) collocano i libri di famiglia nell'ambito dei testi di registrazione (che comprendono tanto i protocolli notarili quanto i libri dei conti dei mercanti), riconosce ad essi alcune qualità proprie della scrittura diaristica,
Fonti cronistiche e narrative registrazione la presenza in apertura di un'invocazione alla divinità e l'utilizzazione di un formulario fisso con lo scopo di conferire alla scrittura veridicità, autorevolezza, sacralità; destinatario lontano nel tempo; la disposizione della scrittura nel libro, distribuita per partizioni collegate a determinate operazioni di registrazione. Aspetto codicologico-paleografico conferma questa parentela, specialmente con i libri di conti mercantili: in comune con essi i libri di famiglia hanno infatti l'utilizzo della medesima scrittura corsiva (la mercantesca), l'autografia, l'assenza di correzioni (benché siano presenti glosse), le caratteristiche di unicità e irriproducibilità (si tratta di testimoni unici conservati), il formato, la rilegatura, la quantità di pagine, le materie e gli strumenti scrittori tipici dei libri di utilità.
Fonti cronistiche e narrative Libri di famiglia e ricordanze economiche hanno una comune origine mercantile dovuta all'«attitutidine borghese a registrare del/nel tempo» (ivi, p. 1123). L'attività mercantile si intreccia infatti con gli eventi della vita familiare e pubblica: dalla mera registrazione dei conti si passa cosí ad annotare fatti di interesse familiare oltre che meramente economico (ad esempio eredità, dotazioni, controversie, tutela di orfani e, conseguentemente, i fatti che hanno generato questi eventi: nascite, morti, matrimoni, ecc.) e situazioni in cui gli affari privati intersecano la sfera pubblica. La diffusione di questa forma di scrittura si estende comunque al di là della classe mercantile da cui origina, poiché risponde ad una radicata esigenza di sopravvivenza della memoria.
Fonti cronistiche e narrative L'altro tipo di scrittura a cui i libri di famiglia si possono apparentare è quella diaristica tempo della scrittura (discontinuo nel racconto e immediato nella registrazione) e la narrazione rivolta dal presente verso il futuro. Si tratta però di scrittura diaristica di tipo plurale: la memoria tramandata non è individuale bensí familiare, collettiva perché frutto della successione diacronica di diversi scriventi.
Fonti cronistiche e narrative ibrido, a metà tra il libro-archivio e il libro-zibaldone» (p. 1138), ma costante nell'autorappresentazione familiare, caratterizzata da elementi di continuità a livello di contenuto pur nella discontinuità e nell'eterogeneità della scrittura.
L'autorappresentazione familiare si articola infatti generalmente su due poli: l'identità del gruppo familiare e il suo operare economico. funzioni pratiche di anagrafe e di archivio familiare Sul piano dell'aspetto economico, oltre alle registrazioni contabili, i libri di famiglia raccolgono esperienze di vita dando origine ad un sistema di informazione familiare.
Fonti cronistiche e narrative Ricordi di Giovanni di Pagolo Morelli, a cura di V. Branca Talvolta la scrittura, sollecitata dagli eventi, supera i confini dell'enunciazione scivolando nel gusto del racconto.
Fonti cronistiche e narrative A partire dal XVII secolo la scrittura dei libri di famiglia entra in crisi, poiché alcune delle funzioni da essi svolte passano dalla dimensione privata alla sfera pubblica oppure vanno soggette a specializzazione e professionalizzazione: la registrazione anagrafica viene svolta dai registri parrocchiali d'istituzione post-tridentina; si consolidano alcuni sistemi di informazione pubblica (come gli almanacchi) che soppiantano quella familiare; con le storie genealogiche si afferma un nuovo tipo di scrittura familiare, mentre la sfera eminentemente privata viene assorbita dalla scrittura diaristica.
, Parte seconda La storia e le cronache di Venezia
I fatti (e le opinioni….) La storia di Venezia bizantina inizia al tempo della guerra gotica, il lungo conflitto con il quale Giustiniano I riconquistò Italia. La Venetia et Histria – dove i Bizantini comparvero nel 539 – fu un fronte secondario, ma non di meno ebbe a risentire le conseguenze devastanti della guerra, che portò con sé distruzioni, violenze, carestie ed epidemie ricorrenti. Verso il 540 fu sottomessa dagli imperiali; poi durante la controffensiva ostrogota degli anni Quaranta venne spartita fra questi, i Goti e i Franchi per tornare infine sotto l’impero verso il 556 quando il generalissimo Narsete riuscì a riportare il confine alle Alpi.
. Significativa è una lettera di Flavio Aurelio Cassiodoro, il senatore romano che fu ministro dei re ostrogoti, a cui si deve una descrizione della laguna in una sua lettera del 537-538 con la quale ordinava il trasporto per nave di rifornimenti alimentari dall’Istria a Ravenna. Questi dovevano passare attraverso la rotta interna (i cosiddetti “Septem Maria” da Ravenna ad Altino e, di qui, ad Aquileia) sotto il controllo dei “tribuni marittimi” delle Venezie e la circostanza offre a Cassiodoro lo spunto per descrivere l’ambiente lagunare in cui si poteva navigare anche quando le condizioni del tempo non consentivano di avventurarsi in mare.
- Scrive un cronista del tempo che dopo la fine della guerra l’Italia era “tornata all’antica felicità” ma, se mai questa vi fu, durò molto poco. Nel 568, guidati dal loro re Alboino, i Longobardi provenienti dalla Pannonia invasero infatti l’Italia superando le Alpi Giulie e dilagando nella pianura. Nell’arco di quattro anni quasi tutta l’Italia a nord del Po fu conquistata e l’invasione mise fine all’unità territoriale della regione veneta dove, nella parte orientale, restarono ai Bizantini soltanto Padova con il vicino castello di Monselice, Oderzo, Altino e Concordia.
Fu anche la causa dell’inizio di un progressivo spostamento delle popolazioni della terraferma: di fronte ai nuovi venuti, la cui ferocia era proverbiale, le lagune offrivano un rifugio sicuro a causa della loro incapacità di condurre operazioni che richiedessero l’uso delle flotte. Le autorità ecclesiastiche temevano inoltre queste genti, ancora in gran parte pagane o al massimo di fede ariana, e il primo a dare l’esempio fu il patriarca di Aquileia, Paolino, che con il tesoro della chiesa si spostò in laguna nel vicino castello di Grado.
I fuggiaschi pensavano sicuramente a un rifugio temporaneo, così come doveva essere accaduto in altre circostanze, ma questa volta gli avvenimenti presero un corso diverso che andava al di là delle aspettative dei protagonisti. I Longobardi si insediarono stabilmente in Italia e la loro progressiva espansione territoriale finì per accentuare gli spostamenti verso la costa delle popolazioni non intenzionate a restare sotto il loro dominio. Si trattò in ultima analisi di un avvenimento epocale, destinato cioè a cambiare il corso della storia: da un lato causò la frammentazione politica del territorio italiano, durata poi per secoli, dall’altro fu la causa determinante dell’origine di Venezia, che forse in condizioni diverse mai sarebbe esistita.
. La tradizione vuole che il primo doge, Paulicio o Paulucio Anafesto fosse eletto nel 697 dai Venetici tuttavia la nascita del ducato è da inquadrarsi nella riforma delle province italiche di Bisanzio promossa dall'imperatore Maurizio di Bisanzio, con la nomina a capo di queste di duces (dux o dukas, δούκας in greco-bizantino), cioè comandanti militari (di nomina imperiale per tramite dell'esarca ravennate), nel tentativo di arginare l'invasione longobarda. La figura del dux bizantino, divenuto nei secoli doge, conquistò quindi una sempre maggiore autonomia, attuando una politica via via sempre più indipendente. La capitale del nuovo ducato venne originariamente posta nella città di Eracliana.
. Nel 726 l'estensione all'Italia dei provvedimenti iconoclasti dell'imperatore Leone III provoca la reazione del Papa e il diffondersi di rivolte in tutti i territori bizantini d'occidente (come del resto in quelli d'oriente): nella Venezia il popolo e il clero in rivolta vanno contro il diritto imperiale alla nomina del Dux. Tuttavia, nonostante la ribellione, la Venezia interviene a sostegno dell'Esarcato contro i Longobardi. Tra il 737 e il 741 i Bizantini riportano il governo della provincia nelle mani di magistrati elettivi annuali, i Magistri Militum, fino a che nel 742 l'imperatore concesse al popolo la nomina del Dux[1]. Nello stesso anno la capitale venne traslata a Metamauco.
I Bizantini tentarono inutilmente di cacciare i Longobardi, ma loro avanzata proseguì inesorabile nel corso degli anni, anche se con fasi di remissione e occasionali controffensive imperiali, fino ad arrivare nel 751 alla definitiva caduta di Ravenna, dove già nel VI secolo si era insediato l’esarco che per conto di Costantinopoli governava il territorio italiano, portando così alla fine del dominio di Bisanzio al centro e al nord della penisola. Il destino della terraferma veneta si compì nella prima metà del VII secolo.
. Nel 601 il re longobardo Agilulfo in guerra con Bisanzio si impossessò di Padova distruggendola e, poco più tardi, di Monselice. La presenza imperiale si riduceva così ai soli capisaldi di Concordia, Altino e Oderzo, ugualmente però destinati a cadere. Nel 616 Concordia era longobarda e verso il 639, quando il re Rotari condusse un attacco a fondo contro l’esarcato, fu la volta di Altino e di Oderzo. Buona parte delle popolazioni prese quindi la via delle lagune e, seguendo gli itinerari fluviali che in epoca più antica avevano segnato i loro rapporti con il mare, si insediarono in un’ampia fascia costiera che andava dai lidi di Grado fino a quelli di Chioggia.
. Non siamo in grado di avere idee chiare su questi spostamenti, su cui le fonti veneziane sono piuttosto confuse, ma possiamo affermare che il più importante riguardò il trasferimento dei quadri amministrativi da Oderzo verso la nuova città di Eraclea o Eracliana, fondata in quegli anni al margine della terraferma per volontà dell’imperatore Eraclio al fine di dare un nuovo centro a ciò che restava della provincia veneta. Finiva in questo modo per la Venezia di terraferma il processo storico iniziato con l’invasione longobarda e si concludeva con la nascita di una nuova realtà lagunare, costituita da un’amministrazione bizantina al governo di una specie di federazione di isole destinate a dar vita alla futura città di Venezia.
, La nuova realtà politica formatasi nelle lagune veneziane continuò a essere parte integrante della storia dell’impero di Bisanzio per ancora un paio di secoli. Verso il 715 (o secondo un’altra cronologia nel 697) le isole lagunari ebbero un proprio duca che diede inizio alla lunga serie dei “dogi” veneziani. Secondo la tradizione locale, il primo ad essere promosso alla carica fu un cittadino di Eraclea, di nome Paulicio, seguito da un secondo duca Marcello e da un terzo di nome Orso, ma la critica moderna è piuttosto diffidente su questa interpretazione e tende piuttosto a considerare Orso il primo vero duca veneziano, collocando la sua elezione verso il 726, nel momento in cui parte delle popolazioni italiane (e fra questi i Venetici) si ribellarono ai decreti iconoclasti dell’imperatore Leone III.
. Si tratterebbe in altre parole di un governatore locale eletto in contrapposizione a Bisanzio quando – come si legge nella Vita di papa Gregorio II – i sudditi in rivolta “senza tenere conto dell’ordinazione dell’esarco, in ogni parte di Italia elessero propri duchi” ma, anche se questa ribellione vi fu, ebbe breve durata e già nel 727 in un documento ufficiale Leone III e Costantino V si riferivano a Venezia come “la nostra provincia da Dio conservata”. Poco più tardi, inoltre, l’esarco in fuga da Ravenna temporaneamente occupata dai Longobardi trovò rifugio nelle lagune e poté riconquistare la sua città con l’aiuto della flotta venetica.
La definitiva perdita bizantina di Ravenna, nel 751, e la conquista del regno longobardo da parte dei Franchi di Carlo Magno nel 774, con ma un blocco navale bizantino lo convinse ben presto a rinnovare la propria fedeltà all'imperatore d'Oriente, trasformando il ducato in una base per le azioni militari bizantine in Italia.
La situazione territoriale in terraferma si era infatti profondamente modificata: Carlo Magno nel 774 aveva messo fine al regno dei Longobardi conquistando dopo qualche tempo anche l’Istria bizantina. Nell’800 si era inoltre fatto proclamare imperatore, contrapponendo così a Costantinopoli una nuova potenza con una decisa volontà di supremazia in Occidente.
Muta definitivamente il contesto circondante il Ducato di Venezia Muta definitivamente il contesto circondante il Ducato di Venezia. Franchi e Bizantini se ne contesero il dominio all'interno ci si divise tra il partito filofranco, capeggiato dalla città di Equilio, e quello filobizantino, con roccaforte ad Eracliana: nell'805 l'aperto conflitto esploso tra i due centri spinse il doge Obelerio Antenoreo a raderli al suolo e deportarne la popolazione a Metamauco. Messa così a tacere ogni opposizione il doge si risolse nell'806 a porre il ducato sotto la protezione di Carlo Magno,
In questo modo Venezia passava di fatto nell’orbita carolingia senza un’apparente reazione da parte di Bisanzio, ma quando nell’806 Carlo Magno assegnò Venezia, l’Istria e la Dalmazia al figlio Pipino, nella sua qualità di re d’Italia, l’imperatore Niceforo I, per riaffermare i diritti di Bisanzio, inviò una flotta che andò a gettare le ancore nella laguna veneta
, . Ne seguì una guerra bizantino-franco-venetica, con l’arrivo di un’altra flotta bizantina a Venezia,
, Nell'809, in risposta alle aggressioni condotte dai Bizantini su Comacchio, l'esercito franco comandato da Pipino invase la Venetia, assediando Metamauco e costringendo il Dux a rifugiarsi nelle isole interne della laguna, presso la città di Rivoalto. Il conflitto ebbe termine nell'810, quando la flotta veneziana riuscì a intrappolare e distruggere quella franca nelle secche tra Metamauco e Popilia. La vittoria portò al potere il partito filobizantino, che approfittò immediatamente dell'occasione per sbarazzarsi dell'odiato Antenoreo e a sostituirlo con il nobile eracleense Angelo Partecipazio, il quale, nell'812 trasferì definitivamente la capitale a Rivoalto, decretando così l'effettiva nascita di Venezia.
L’inviato imperiale che aveva trattato con Carlo Magno, lo spatario Arsafio, nell’811 a nome del suo signore dichiarò deposti il doge filofranco Obelerio e i due suoi fratelli associati al trono sostituendoli con il duca lealista Agnello Partecipazio, riportando così decisamente il governo cittadino sotto l’influenza di Costantinopoli.
. Questi avvenimenti segnarono l’ultimo intervento diretto di Bisanzio nella vita veneziana. Il ducato, anche se formalmente soggetto a Bisanzio, si avviò in realtà verso una progressiva indipendenza, pur mantenendo per secoli un forte legame con l’impero. Difficile dire quando Venezia sia divenuta indipendente, tenendo conto che il fatto avvenne senza scosse violente, ma soltanto come un processo naturale di evoluzione.
La dottrina storica ha avanzato molte ipotesi in proposito, collocando in momenti diversi l’effettiva indipendenza fra IX e XI secolo e si può dire soltanto che già nel corso della prima metà del IX secolo vennero fatti passi notevoli in questa direzione: Agnello Partecipazio trasferì la capitale a Rialto, dando così una nuova fisionomia al ducato, e nell’828 sotto il suo successore Giustiniano il corpo di San Marco venne portato da Alessandria a Venezia dove costituì il simbolo della nuova città, sostituendo il culto bizantino di San Teodoro.
Al sicuro nella nuova città il ducato veneziano rimane un'isola bizantina nel mare del Medioevo feudale d'occidente. Tuttavia nei due secoli successivi le istituzioni e la politica veneziane si distaccheranno progressivamente sempre più dalle vicende di un impero sempre più lontano, la cui sovranità si farà sempre più meramente formale
È in questo periodo che, a fianco dei tentativi di costituire un sistema politico su modello imperiale bizantino (con il tentativo di rendere ereditaria la carica ducale tramite l'adozione del sistema di associazione al trono di un erede "co-Dux"), si viene sviluppando un sistema di famiglie patrizie in concorrenza per il potere (segno ne sono le frequenti rivolte e deposizioni dei "Dogi", tonsurati, accecati ed esiliati), nucleo della futura oligarchia mercantile a capo dello Stato.
. Alcuni anni più tardi, i Veneziani conclusero un trattato con i Franchi (il Pactum Lotharii dell’840) con cui si comportavano né più né meno come uno stato autonomo. Ciò non significava l’indipendenza da Bisanzio, almeno come siamo soliti intenderla nei nostri schemi storici: da parte bizantina si seguitava a guardare a Venezia come una lontana provincia e da parte veneziana, non si sa se più per comodità che per convinzione, si continuò a lungo ad accettare una supremazia ideale di Bisanzio.
• Antonio Carile-Giorgio Fedalto, Le origini di Venezia, Bologna, Patron, 1978 • Gherardo Ortalli, I cronisti e la determinazione di Venezia città, in Storia di Venezia, II. L'età del comune, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1995 • Cronache, a cura di Giorgio Fedalto e Luigi Andrea Berto, introduzione generale di Giorgio Fedalto, Roma-Gorizia, Città Nuova editrice, 2003
L’invenzione della tradizione Il concetto di origine: Secondo la storiografia ellenistico-romana, nell’origine di un fenomento storico, ci sono tutte le sue caratteristiche, tutti gli elementi del suo DNA (pregiudizio sostanzialistico) Collingwood contro Mazzarino
Nella storiografia cristiana: Il concetto di origine Nella storiografia cristiana: L’evento in una serie rettilinea universale («la» fine e «il» fine della storia), che si oppone alla concezione circolare (anakyklosis, Plutarco: l’eterno ritorno) della storiografia classica
Origini e condizione giuridica delle persone Il concetto di origine si colora anche di implicazioni giuridiche Varietà delle stirpi in età romana, poi territorialità del diritto e constitutio antoniniana (212 d.C.): tutti sono romani Poi di nuovo la ‘personalità del diritto’ Che cos’è un ‘popolo’, chi sono i ‘veneziani’
L’approccio mentale del cronista veneziano
I condizionamenti inconsci dello storico contemporaneo
Kretschmayr e Cassiodoro
Venezia: una ‘invenzione’ longobarda Venezia: una ‘invenzione’ longobarda? L’importanza del rapporto «originario» con la parte adriatica del ducato bizantino, con l’»Histria», che non è una ‘conquista’ di una Venezia nata in Italia, ma un elemento costitutivo del modo di auto-concepirsi della città, sin dall’inizio
. Le fonti cronachistiche costituiscono uno degli ausili più significativi della ricerca storica. Esse infatti rappresentano un importante strumento non soltanto per conoscere gli eventi passati, ma anche per comprendere la cultura delle epoche che ci hanno preceduto. La molteplicità di informazioni, che possono essere desunte dalle cronache, è direttamente ricollegabile alle caratteristiche di queste stesse testimonianze, frutto della mediazione tra la realtà e la sua rappresentazione operata dallo scrittore.
, Il carattere intenzionale di questo tipo di fonte impone dunque un attento vaglio non solo di quanto in esse riportato, ma soprattutto della prospettiva nella quale i diversi elementi vengono inquadrati all'autore. Ogni cronista interpone tra la realtà, osservata in prima persona o conosciuta attraverso altre attestazioni, un proprio filtro interpretativo, che si esercita sia a livello linguistico che concettuale. Le fonti cronachistiche possono dunque riflettere gli orientamenti culturali, politici, morali dell'autore e, attraverso la rielaborazione da questi operata, quelli di un'intera epoca.
, . Per questo motivo, prima di avvalersi degli elementi desunti dalle cronache, è imprescindibile analizzare le figure dei loro autori, il loro cammino formativo e le loro vicende individuali, in modo da poter poi sceverare nei loro scritti l'interpretazione personale dal dato storico. Solo grazie a questo studio propedeutico anche i silenzi dello scrittore, le sue scelte lessicali e altre modalità espositive potranno essere comprese e valorizzate dallo storico e arricchirne la comprensione dei fenomeni del passato
Tutte dal XI secolo in poi Le cronache veneziane Tutte dal XI secolo in poi La costante, orgogliosa dell’ORIGINARIA indipendenza del ducato: una finzione storiografica significativa sul piano dell’autocoscienza e della consapevolezza civica, di chi è in qualche modo portatore di una visione ‘ufficiale’ (…. Ma esiste una visione ‘ufficiale’? Esiste un concetto di ‘storiografia di regime’?)
Autocoscienza prima delle cronache? Il meccanismo che agisce a Venezia è lo stesso che agisce nelle altre città italiane: Apparizione del vescovato di Olivolo 778 Definitiva dislocazione della sede ducale a Rialto 810…. … solennemente consacrata dalla traslazione delle reliquie di san Marco 828 Simbiosi del centro politico e del centro religioso all’insegna della protezione di un santo patrono
Coscienza bizantina, coscienza veneziana Prima dei primi decenni del secolo IX, non si può parlare…..
Il nome di Venezia Nel preceptum dell’imperatore carolingio Lotario Pietro Tradonico è dux Veneticorum (840) Nel testamento di Orso Particiaco, vescovo di Olivolo, del febbraio 853, si parla di patria Venecia: Volo et testificor ut hec omnia sint in privilegio et libertate patriae Veneciae et numquam extra patria sub defensione Veneciarum persistere debeant perpetuis temporibus Testamento di Giustiniano Particiaco: sottoscrizione del doge signum manus domno excellentissimo Petro, imperialis consolis, propria manu sua cum consensu POPULI Venecie [nasce prima il regalismo dogale, poi il comune!]
La fondazione «urbanistica» di Venezia in un brano della Historia veneticorum di Giovanni Diacono (secolo XI)
Il ducato cristiano e bizantino
http://www.cronachevenezianeravennati.it/home/index.jsp