Arnauld a Cartesio: seconda parte riguardo alle argomentazioni sull’esistenza di Dio
incomincia con il primo argomento della seconda meditazione osserva che di per sé ogni idea, come idea, è vera; sono piuttosto falsi i nostri giudizi. Per questo non si può dire che un’idea sia falsa, come tu dici dell’idea del freddo.
Cartesio risponderà a p. 221 forse non è sbagliato dire, come ho fatto, che ci possono essere idee materialmente false, come quella del freddo o come le idee di Dio che hanno gli idolatri
può essere anche giusta l’osservazione di Arnauld ossia che in quanto pure idee non sono false; ma io intendevo “materialmente false” nel senso che ad esse non corrisponde qualcosa di effettivo
ma la difficoltà è soprattutto nel secondo argomento Arnauld riprende le osservazioni del Caterus riguardo al “per sé”, da intendersi in senso negativo e non in senso positivo, come invece vorrebbe Cartesio
Arnauld riformula il discorso di Cartesio sono d’accordo che io non posso esistere per me stesso in senso positivo
per giungere a questa conclusione basta ricordare che il tempo è discreto se esisto adesso, occorre tuttavia una potenza reale e positiva per esistere l’attimo successivo.
sulla base di tale premessa maggiore, diventa facile il confronto con la premessa minore ma io non posso esistere per me stesso positivamente e come per una causa, quindi deve esistere...
solo che per Arnauld tale premessa minore si fonda sull’evidenza (la luce naturale) che non si limita a dire che la causa non è necessariamente prima dell’effetto, come dice Cartesio, ma dice anche che la causa deve essere distinta dall’effetto.
non possiamo quindi identificare mai la causa e l’effetto tra causa ed effetto c’è un rapporto reciproco, che non può sussistere che tra due cose (ossia tra due sostanze che siano distinte)
può dare l’essere solo chi già ce l’ha (dal meno non può venire il più) anche distinguendo tra creare e conservare nell’essere, dobbiamo dire che nessuno può creare o conservare se stesso
questo vale anche per Dio, che deve essere per sé solo in senso negativo, ossia non per opera d’altri «nessuno può concedersi l’essere, tranne colui che già l’ha; ora, se esso lo ha già, perché mai se lo darebbe?»
qui tuttavia si gioca su un equivoco non possiamo dire che Dio si conserva nell’essere, perché creare e conservare nell’essere sono la stessa cosa, e Dio è al di là del tempo, come disse Agostino.
Dio è attualità piena conservare nell’essere implica invece la distinzione tra potenza ed atto; noi possiamo dire che Dio è per sé in senso positivo, solo a causa dell’imperfezione delle nostre conoscenze
“per sé” non può essere inteso nel senso della propria delimitazione (essenza, causa formale) deve riguardare piuttosto l’esistenza, per la quale ha senso parlare in termini di causa efficiente o finale, tutte cause che vengono invece messe da parte in matematica: il triangolo è triangolo e basta.
Osservazione nel distinguere il “per sé” nel senso della causa formale, Arnauld sembra anticipare la distinzione di Schopenhauer tra i quattro modi di intendere la ragion sufficiente: ratio fiendi, ratio cognoscendi, ratio essendi, ratio volendi
il riferimento però è ad Aristotele ossia alla distinzione tra causa formale (ratio cognoscendi) causa materiale (ratio essendi) causa finale (ratio volendi) causa efficiente o del movimento (ratio fiendi o del divenire)
Arnauld incalza: se ci domandiamo perché Dio esiste, non possiamo ricorrere ad una causa efficiente o quasi efficiente ma dobbiamo dire piuttosto semplicemente “perché è Dio”, cioè un essere infinito
Dio non ha bisogno di una causa efficiente in Dio essenza ed esistenza coincidono solo le realtà in cui si può distinguere l’essenza dall’esistenza, hanno bisogno di una causa
E Arnauld puntualizza anche il discorso della causa prima Cartesio aveva detto che se tutto deve avere una causa diversa da sé, allora anche la causa prima richiederebbe una causa ulteriore e non sarebbe più causa prima.
Arnauld ribatte invece: Solo dicendo che non tutto deve avere una causa, potrò capire cosa significa causa prima, ossia una cosa che a sua volta non ha bisogno di una causa ulteriore
Cartesio risponde (p. 223) anzitutto una questione di tono: forse Arnauld si accanisce di più su questo punto, ma in realtà il disaccordo è molto minore anch’io, dice Cartesio, ho negato che Dio possa essere causa efficiente di se stesso
infatti, ogni volta che ne ho parlato, ho sempre precisato che “in un certo modo” o “quasi” come per una causa: ero anch’io convinto che non era la stessa cosa; inoltre anch’io ho pensato che qualcosa potesse non avere una causa, e me ne domandavo piuttosto il perché
e in modo ancora più chiaro ribatte: “Causa di se stesso” non può indicare una causa efficiente, ma solo che «la potenza inesauribile di Dio è la causa o la ragione per la quale egli non ha bisogno di causa».
se ho detto che tale ragione o causa deve essere intesa come positiva è solo perché la potenza infinita di Dio non può che essere solo positiva di tutte le altre cose si può dire che sono per sé solo in senso negativo, perché non si può trovare nulla nella loro essenza per giustificarle
quanto alla preoccupazione da parte dei teologi su questo punto Cartesio osserva che i teologi latini adoperano la parola principio con riferimento al rapporto tra le persone della santissima Trinità, mentre i Greci adoperano sia àition (causa) sia arché (principio)
ma questo vale per la Trinità, per evitare di sminuire il Figlio rispetto al Padre ma non può suscitare preoccupazione usare la parola causa quando si parla dell’esistenza di Dio dal punto di vista filosofico
per dimostrare l’esistenza di Dio dobbiamo in generale domandarci se una cosa è per sé o per altri; se è per altri, ha bisogno di una causa efficiente; se è per sé, è come parlare in termini di causa formale, in quanto la sua natura è tale da non avere bisogno di una causa efficiente.
nella mia dimostrazione riconosco che non si tratta di una causa efficiente propriamente detta ma affermo che si tratta di una causa positiva, che per analogia può essere riportata alla causa efficiente
quando dico che potrebbe darsi da sé tutte le perfezioni lo dico solo nel senso che appunto deve possederle tutte in forza della sua natura; in fondo mi sono servito dell’analogia della causa efficiente, per spiegare le cose che sono proprie della causa formale.
nella sostanza, al di là delle distinzioni, Cartesio sembra concordare con Arnauld, anche se rintuzza con caparbietà le sue osservazioni. In particolare può essere interessante l’esempio del rapporto tra figure rettilinee e figure circolari
può esser utile spiegare le figure circolari come figure rettilinee di infiniti lati così come può essere utile servirsi del concetto di causa efficiente per spiegare la realtà della causa prima, anche se è chiaro che la causa prima è di ordine diverso rispetto alle cause seconde
Arnauld osserva ancora a proposito dell’evidenza (p. 205) non ci sarà forse un circolo vizioso tra l’evidenza e l’esistenza di Dio? «se sappiamo che Dio è, solo perché lo concepiamo con chiarezza e distinzione, dobbiamo prima sapere che quel che vediamo in modo chiaro e distinto è vero
Cartesio ribatte, ricordando la risposta alle seconde obiezioni c’è una differenza tra quello che attualmente vediamo con chiarezza e quello invece che ricordiamo di aver visto in precedenza con chiarezza e distinzione
una volta che abbiamo dimostrato che Dio esiste, basta che ricordiamo di aver visto in precedenza con chiarezza e distinzione qualcosa per essere sicuri che quella cosa è vera
E ancora: in quanto cosa pensante non ci può essere nulla di cui non sia cosciente? non ci sono forse molte cose di cui la nostra mente non è consapevole? e la mente dei bambini prima della nascita non ha la capacità di pensare anche se non ne ha coscienza?
Cartesio ribatte distinguendo tra lo spirito (mente) e il corpo lo spirito (mente) è infuso fin dall’inizio nel bambino, e pensa; ma per ricordare, occorre che il cervello sia sviluppato, ossia che quel che pensiamo si imprima nella memoria
e così anche per quello di cui attualmente non siamo consapevoli: noi siamo consapevoli dei nostri atti, ma non delle facoltà dalle quali dipendono; per accorgerci di tali facoltà, dobbiamo prima compiere gli atti che ne dipendono.
Arnauld passa quindi ad alcuni dubbi che potrebbero infastidire i teologi riassumiamo a titolo di completezza: 1. Forse era meglio dire che non si metteva veramente tutto in dubbio, ma solo che si vuole per tale strada trovare qualcosa di certo anche per chi volesse dubitare
2. nella quarta meditazione, a proposito dell’errore forse era meglio dire che non si discuteva della scelta tra bene e male ma piuttosto della capacità di distinguere tra vero e falso; altrimenti il discorso si complica inutilmente
3. ancora nella quarta meditazione, era meglio precisare, riguardo al criterio per evitare gli errori, che si trattava di un criterio che riguarda gli argomenti della scienza, non quelli della fede o della vita; Agostino distingueva infatti tra intendere, credere e opinare: cose che vanno ben distinte
4. ma forse la difficoltà maggiore sarà a riguardo dell’Eucaristia: cambia la sostanza ma rimangono gli accidenti Per Cartesio appartengono ai corpi non le qualità sensibili secondarie (colore, odore, sapore, ecc.), ma solo quelle primarie (figura, estensione) che possono non esistere senza una sostanza alla quale inerire.
Cartesio alle prime tre osservazioni si mostra sostanzialmente d’accordo 1) anche per me il dubbio della prima meditazione richiede gente capace di affrontare fino in fondo i problemi e non è adatto per tutti
così come nella quarta meditazione 2) ho lasciato volutamente da parte l’errore che riguarda il bene e il male (il peccato o la colpa morale) 3) così come ho voluto astenermi dall’entrare nel merito delle affermazioni tipiche della fede e della vita di ogni giorno
ma si sofferma sull’ultima critica e cerca puntigliosamente di mostrare come le sue posizioni siano particolarmente utili a spiegare l’Eucaristia, e nient’affatto pericolose come voleva far credere Arnauld con le sue critiche
anche per me vale quel che si insegna da parte della Chiesa vien mutata la sostanza (transustanziazione) ma rimangono le apparenze (specie) del pane; anche per me tali specie non sono altro che la superficie che viene colta dal tatto
ora in questo tutte le qualità sono uguali, ossia dipendono dai sensi: colore, sapore, pensantezza e tutte le altre qualità che toccano i nostri sensi, dipendono per questo aspetto solamente dalla superficie esteriore dei corpi, e non dalla sostanza: non sono “accidenti reali”.
in tal senso la transustanziazione può benissimo essere spiegata: secondo Cartesio, può benissimo essere cambiata la sostanza, senza che gli accidenti esteriori abbiano a cambiare, dato che questi accidenti non sono reali, ma sono solo percepiti dai sensi.