PROGRAMMA DEL CORSO DI DIDATTICA E PEDAGOGIA SPECIALE (M-PED/03) Prof

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Transcript della presentazione:

PROGRAMMA DEL CORSO DI DIDATTICA E PEDAGOGIA SPECIALE (M-PED/03) Prof PROGRAMMA DEL CORSO DI DIDATTICA E PEDAGOGIA SPECIALE (M-PED/03) Prof. Lascioli Angelo A.a. 2004-2005 AMBITO: MACROAREA 7A - PROMOZIONE E PROGETTAZIONE DELLE ATTIVITÀ MOTORIE, EDUCATIVE, RICREATIVE E SPORTIVE ADATTATE PER PERSONE CON DISABILITÀ.

Finalità del corso: fare acquisire competenze di promozione e divulgazione delle attività motorie adattate nel contesto delle iniziative sociali di assistenza e servizio rivolte alle persone con disabilità. Programma dell’insegnamento: Analisi dei problemi connessi alla disabilità, con particolare riferimento ai documenti internazionali (ICF, Trattato di Salamanca) in materia di disabilità e integrazione sociale; Handicap indotti e società; Analisi del concetto di “qualità della vita” della persona con disabilità; Analisi critica del sistema dei servizi sociali a favore delle persone con disabilità; La multifattorialità del processo di integrazione; Analisi del significato di “promozione” e “progettazione” in relazione ai problemi delle persone con disabilità; Pro-muovere attività motorie educative, ricreative e sportive adattate: la costruzione delle reti sociali, il lavoro di comunità; Pro-gettare attività motorie educative, ricreative e sportive adattate: dall’analisi dei bisogni alle azioni educative. La funzione educativa speciale delle attività motorie adattate.

Modalità didattiche: lezioni frontali, incontri/testimonianze con persone che operano nel campo della promozione e progettazione delle attività motorie, educative, ricreative e sportive adattate per persone con disabilità, discussioni di approfondimento. Bibliografia consigliata: - Lascioli, A., Elementi introduttivi alla Pedagogia Speciale, Libreria Editrice Universitaria, Verona 2001; - Larocca F., Pedagogia speciale, Erickson, Trento, 2000; - Fiocco, P., Martinati, M. (a cura di), Qualità sociale dei servizi sociali con un'applicazione alla vita quotidiana del disabile, FrancoAngeli, Milano 2002.

Dalla definizione di deficit… Danno alle strutture o alle funzioni (ICF)

A quella di handicap… Resistenza alla riduzione di asimmetria tra l’essere e il dover/poter essere (Larocca)

Dal concetto di disabilità Limitazione o perdita (conseguente a menomazione) della capacità di compiere una attività nel modo e nell’ampiezza considerati normali (ICDH)

A quello di diversabilità (diversamente abile) Diversabile è un termine propositivo e positivo, che ci suona bene perché mette in evidenza l’essere diversamente abili di molte persone con deficit. Nel cammino della cultura dell’handicap riteniamo che il termine diversabile provenga da un’idea storicamente necessaria. Siamo convinti che iniziare ad usarlo possa aiutare a vedere le persone con deficit in una prospettiva nuova, meno immediata nella constatazione del deficit, meno medica, più attenta ad una storia, ad un cammino acquisitivo di abilità. Giustamente si potrà obiettare che noi tutti siamo diversabili (basta vedere il modo di camminare di ognuno): certamente, chi ha un deficit lo è di più. Il termine diversabile contiene imprecisioni, almeno quanto il termine disabile. Queste imprecisioni però hanno il grande pregio di infondere un po’ di ottimismo in più, senza per questo cadere nell’errore di dimenticarsi del deficit e dell’handicap (Claudio Imprudente).

Non solo una rivoluzione di termini ma di cultura A partire dalla seconda metà del secolo scorso l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha elaborato differenti strumenti di classificazione inerenti l’osservazione e l’analisi delle patologie organiche, psichiche e comportamentali delle popolazioni, al fine di migliorare la qualità della diagnosi di tali patologie.

Non solo una rivoluzione di termini ma di cultura La prima classificazione elaborata dall’OMS, “La Classificazione Internazionale delle malattie” (ICD, 1970: in Italia si fa riferimento alla versione 10 del 1992) ) risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche.

Non solo una rivoluzione di termini ma di cultura L’ICD rivela ben presto vari limiti di applicazione e ciò induce l’OMS ad elaborare un nuovo manuale di classificazione, in grado di focalizzare l’attenzione non solo sulla causa delle patologie, ma anche sulle loro conseguenze: “la Classificazione Internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap” (ICIDH, 1980).

Non solo una rivoluzione di termini ma di cultura La presenza di limiti concettuali insiti nella classificazione ICIDH ha portato l’OMS ad elaborare un’ulteriore strumento, “La Classificazione Internazionale del funzionamento e delle disabilità (ICIDH-2, 1999), che rappresenta l’embrione del modello concettuale che sarà sviluppato nell’ultima classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: “La Classificazione Internazionale del funzionamento, disabilità e salute (ICF, 2001).

Cos’è l’ICF? L’ICF si delinea come una classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo) al fine di cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità. Tramite l’ICF si vuole quindi descrivere non le persone, ma le loro situazioni di vita quotidiana in relazione al loro contesto ambientale e sottolineare l’individuo non solo come persona avente malattie o disabilità, ma soprattutto evidenziarne l’unicità e la globalità.

Quali novità? L’ICF vuole fornire un’ampia analisi dello stato di salute degli individui ponendo la correlazione fra salute e ambiente, arrivando alla definizione di disabilità, intesa come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole. L’analisi delle varie dimensioni esistenziali dell’individuo porta a evidenziare non solo come le persone convivono con la loro patologia, ma anche cosa è possibile fare per migliorare la qualità della loro vita.

Quali novità? l’ICF si pone come classificatore della salute, prendendo in considerazione gli aspetti sociali della disabilità: se, ad esempio, una persona ha difficoltà in ambito lavorativo, ha poca importanza se la causa del suo disagio è di natura fisica, psichica o sensoriale. Ciò che importa è intervenire sul contesto sociale costruendo reti di servizi significative in grado di ridurre le condizioni di svantaggio.

I suoi scopi principali sono: Fornire una base scientifica per la comprensione e lo studio della salute, delle condizioni, conseguenze e cause determinanti ad essa correlate; Stabilire un linguaggio standard ed univoco per la descrizione della salute delle popolazioni allo scopo di migliorare la comunicazione fra i diversi utlizzatori, tra cui operatori sanitari, ricercatori, esponenti politici e la popolazione, incluse le persone con disabilità; Rendere possibile il confronto fra i dati relativi allo stato di salute delle popolazioni raccolti in Paesi diversi in momenti differenti; Fornire uno schema di codifica sistematico per i sistemi informativi sanitari.