La Pala Pesaro nel palazzo Toschi-Mosca a Pesaro
Predella della Pala Pesaro (1471-74) Giovanni Bellini, Predella della Pala Pesaro (1471-74) È il nostro esempio per sottolineare la chiusura dello spazio figurativo, il suo porsi come una scena che non ha relazione con lo spazio reale del mondo.
E tuttavia, avevamo osservato che ogni quadro deve essere descritto avvalendosi di termini che sembrano alludere al luogo dello spettatore. In molti quadri rinascimentali si vede vicino il volto di una persona e lontano sullo sfondo un paesaggio. Si tratta di una vicinanza e di una lontananza che sono interamente determinati dall’immagine e che si declinano per un osservatore ideale. Io li vedo vicini e lontani a seconda di come sono rappresentati, ma non appena mi dispongo in un’attitudine ludica e faccio come se di fronte a me ci fosse ciò che la scena presenta allora sono io che sono vicino e lontano a quei volti e a quei monti. Ghirlandaio Nonno con nipote (1490)
Samuel van Hoogstraten, Autoritratto (1664 ?) Parlo a questo proposito di spazio di risonanza dell’immagine e di risonanza parlo per alludere al fatto che questo spazio che si crea nel gioco con l’immagine e che lega me e il luogo in cui sono alla scena raffigurata è determinato nella sua forma e nel suo senso dalla forma dello spazio figurativo e, in modo particolare, dal modo in cui lo spazio dipinto si connette e si lega allo spazio reale. Questa relazione varia e varia con il mutare delle forme in cui si dispiega la profondità dell’immagine. Il gioco con ciò che è raffigurato dipende dunque anche dalla forma fenomenologica dello spazio figurativo. Samuel van Hoogstraten, Autoritratto (1664 ?)
Ciò che il disegno del Vignola ci mostra è questo: il modo in cui è resa la profondità determina la forma del nostro rapportarci allo spazio figurativo. Possiamo vederlo come una sorta di continuazione dello spazio reale e immaginare così il dipinto quasi come un velo che lascia trasparire ciò che vi è dietro o possiamo invece vederlo come uno spazio altro che accentua la cesura tra il luogo in cui siamo e il luogo in cui “sono” gli oggetti raffigurati. Cesura e continuità ci appaiono così come gli estremi della trasparenza della tela – una trasparenza che è misurata dal modo in cui la profondità dell’immagine si integra con la profondità dello spazio reale. La profondità dell’immagine ci appare così, ancora una volta, come l’asta graduata per ordinare e forme della raffigurazione-
Ambrogio Lorenzetti, Effetti del buon Governo (1338-40)
Pietro Lorenzetti, Nascita di Maria (1342) Ambrogio Lorenzetti, Scene della vita S. Nicola
Velázquez, Las Meninas (1656)
Lo spazio di risonanza di un’immagine può essere caratterizzato, sul piano percettivo, da una marcata continuità ed in questo caso la partecipazione dello spettatore assume più facilmente le forme della condivisione poiché lo spettatore può guardare al mondo che si raffigura di fronte ai suoi occhi come se non fosse separato dalla situazione che gli è propria da un’evidente cesura. Lo spettatore è dunque tendenzialmente coinvolto poiché non può non vedere la scena se non così: come un mondo il cui spazio sembra lambire il suo, disponendolo nel gioco che la tela predispone. Possiamo parlare allora in questo caso dello spazio di risonanza ponendolo sotto l’egida della condivisione.
Perché vi sia immagine deve esservi una profondità apparente, ma la profondità può rendersi percepibile senza rinunciare alla sua diversità dallo spazio reale, proprio come accade nella pittura egizia, nelle icone bizantine o in tanta parte dell’arte contemporanea. In questo caso la partecipazione alla scena raffigurata si declina prevalentemente nella forma della separatezza tra il mondo e l’universo pittorico. Ora lo spazio figurativo si apre davanti ai nostri occhi e noi come spettatori non possiamo fare a meno di coglierlo in relazione al luogo che occupiamo; le parole della comunanza e della condivisione sono tuttavia tacitate da quelle dell’alterità e della separatezza, e l’immagine ci colpisce soprattutto per la sua volontà di sottolineare il discrimine che la separa dal nostro mondo e che tiene discosti noi dal suo. Come spettatori, partecipiamo alla scena raffigurata, ma non possiamo accedere al suo mondo, ne siamo appunto tenuti a distanza ─ qualunque sia il significato specifico che di volta in volta deve essere attribuito a questa cesura
Mantegna, San Marco (1450)
Pietro Lorenzetti, Imago pietatis, 1332 Giovanni Bellini, Pietà di Brera, 1460
Masaccio, Trinità (1428)
Vermeer, Ragazza che legge una lettera (1657)
Tiziano, ritratto di giovane Giorgione, ritratto di giovane
Lo spazio di risonanza può animarsi anche quando vi è un movimento che dalla scena figurativa si dirige verso lo spettatore, come accade in questa Deposizione del Pontormo…
Velázquez, Cena di Emmaus
Un coinvolgimento che avviene nella direzione opposta: dallo spettatore verso la tela Th. Géricault, Le Radeau de la Méduse (1817-1818)
Chagall, io e il villaggio 1911 Qualche esempio in cui la cesura è dominante