Il poema epico-cavalleresco 1 Le origini medievali del poema epico e del romanzo cavalleresco La fusione dei due temi nei cantari La nascita del poema epico-cavalleresco nel ‘400 L’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto 3 La Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso
Il poema epico Quando nacquero le letterature in lingua romanza, uno dei generi più fortunati era il poema epico, che di ispirava a modelli classici ma introduceva contenuti più “moderni”. Scritto in prose assonanzate, era destinato alla recitazione. Un esempio è la Chanson de Roland (oil) che tratta le imprese di Carlo Magno contro i Mori di Spagna. I temi caratteristici erano: la guerra (santa), l’onore, la lealtà, il coraggio.
I romanzi cortesi I romanzi cortesi sono scritti in lingua d’oil e si ispirano a leggende bretoni (celtiche) di Francia e Inghilterra. Il più famoso è Tristano e Isotta. In questo genere letterario, scritto in prosa e destinato alla lettura silenziosa, l’amore ha un ruolo preponderante: di conseguenza anche i personaggi femminili.
Caratteri del romanzo cortese I Il romanzo è privo di riferimenti storici e tratta materie leggendarie e fiabesche. V. il ciclo di re Artù e dei cavalieri della "tavola rotonda" Lancillotto, Galvano, Ivano, Perceval; Nel romanzo domina l'elemento meraviglioso, fiabesco, fantastico e avventuroso ( leggende celtiche precristiane); Nel romanzo dominano tendenze centrifughe: i cavalieri partono a caso in cerca di avventure per provare a se stessi, il loro valore, la loro forza nell’esercizio delle armi, adoperandosi nella liberazione di giovani donne in pericolo; il romanzo ha una struttura aperta, le avventure si possono susseguire fino all’infinito intrecciandosi tra di loro.
L’opera di fusione dei cantari Al di sotto della storia “nobile” della letteratura anche il mondo medievale conosce una produzione culturale di intrattenimento, sospesa fra l’oralità e la scrittura, affidata a professionisti girovaghi, i cosiddetti canterini o cantimbanchi. Sono loro a girare per le piazze e i castelli d’Italia, recitando testi, approntati da loro stessi o da loro colleghi, che recuperano suggestioni della letteratura epica e amorosa d’origine francese, le mescolano tra loro (creando appunto il filone epico-cavalleresco) e le “condiscono” con spunti più realistici e di materia “plebea”. Questi testi, i Cantari appunto, continuano a circolare dopo l’invenzione della stampa.
Gli sviluppi popolari dei cantari Le storie dei cantari si sono conservate anche nella tradizione orale, come dimostra il teatro dei pupi. Il film “Paisà” di Rossellini, nell’episodio di Napoli (1944) mostra la popolarità di questo genere.
Il Morgante Maggiore Alla lezione dei cantari, soprattutto per quanto riguarda le contaminazioni realistiche e plebee, si rifà il poema Morgante Maggiore di Luigi Pulci, un po’ isolato nel panorama umanistico, ma non del tutto solitario. E’ la storia di un gigante e di un mezzo gigante, che credono nelle cose terrene e sembrano anticipare la figura di Gargantua.
Il Gargantua di Rabelais “Gargantua e Pantagruel” di Francois Rabelais non costituisce un poema, ma un romanzo (del resto quest’ultimo sembra essere la prosecuzione “borghese” o moderna del poema epico). Il protagonista è appunto un gigante che si dedica al culto esagerato del cibo e del corpo. L’autore si maschera dietro al personaggio per demolire attraverso la comicità (“che rider soprattutto è cosa umana”) i dogmatismi e le ipocrisie della società medievale.
Il primo poema epico-cavalleresco Il primo poema epico-cavalleresco colto e aristocratico è quello di Matteo Maria Boiardo, che si rifà alla Chanson de Roland e recupera il personaggio di Orlando, che non è più, tuttavia, l’eroe puro e tutto preso dalla guerra, ma è anche un uomo, che si lascia tentare dalle grazie della bella Angelica, figlia del re del Catai.
L’Orlando Furioso L’opera di Boiardo era rimasta incompiuta. Ludovico Ariosto ne completa la storia trrasformando ulteriormente la figura di Orlando. Se con Boiardo era innamorato – atteggiamento di per sé trasgressivo- ora diventa addirittura “furioso”, cioè pazzo per amore e gelosia. Tuttavia la società rinascimentale ama l’ordine e il rispetto delle regole: pertanto alla pazzia segue il rinsavimento, grazie ad Astolfo che vola sulla Luna e recupera il senno di Orlando.
Ludovico Ariosto L’autore dell’O.F. è un tipico intellettuale cortigiano, nel senso che lega la sua vita e la sua fortuna con i destini della signoria estense di Ferrara, per la quale ricopre i ruoli di funzionario e di poeta.
L’autonomia di Ariosto Infatti, a differenza di altri intellettuali che furono cortigiani a tutti gli effetti, Ariosto seppe opporre un rifiuto ad un incarico prestigioso offertogli dal cardinale Ippolito d’Este, di cui era segretario, e preferì ritirarsi nella sua casa “parva sed apta mihi”.
L’ambiente della corte Il fatto di scrivere per gli Este e per la corte era comunque condizionante: si trattava di un ambiente laico, con presenza femminile, proteso allo svago e alla distrazione rispetto ao tristi pensieri che le guerre in corso in Italia dovevano evocare.
Il fantastico Per queste ragioni l’opera di Ariosto si collaca nel filone fantastico della letteratura rinascimentale, in antitesi al filone realistico, che troverà la sua massima espressione con il Principe di Machiavelli. Tuttavia ciò non significa superficialità per l’A., anzi nella sua opera compaiono diversi spunti di amara riflessione sulla vita: chi cerca non trova, chi non cerca è trovato e tutti “errano” nella selva, metafora dei labirinti dell’esistenza.
I tre filoni principali e la varietà Tre sono i filoni principali dell’O.F. Ariosto trascorre dall’uno all’altro con grande capacità affabulatoria e con ricorso alla tecnica dell’entrelecement, che mantiene viva la curiosità del pubblico della corte: La guerra di Carlo Magno contro i saraceni (motivo epico, assunto però con molta leggerezza e tolleranza verso “il nemico”: l’opera è in realtà un poema multietnico) L’amore (non corrisposto) di Orlando per Angelica, che gli preferirà il giovane saraceno Medoro (motivo cavalleresco) L’amore tra Ruggero e Bradamante, dalla cui unione discenderanno gli Estensi (motivo encomiastico)
La mestizia di Torquato Tasso Mentre Ariosto esprime in pieno gli umori della società rinascimentale, Torquato Tasso, che subentrerà al suo posto presso la corte estense (al di là delle numerose traversie della sua vita) sarà tormentato dai dubbi, gli scrupoli e le3 contraddizioni (come Petrarca, a suo tempo): da un lato il modello laico rinascimentale lo suggestiona e lo attrae, dall’altro lo spirito della controriforma lo irrigidisce e lo porta al desiderio di allinearsi ai nuovi modelli e al nuovo slancio del cattolicesimo.
L’epica in chiave religiosa Uno dei temi principali della sua opera, la Gerusalemme liberata, come suggerisce lo stesso titolo, è quello della guerra “santa”, ossia delle crociate intraprese per rendere libero l’accesso dei pellegrini a Gerusalemme, in mano turca. Il motivo religioso è prevaricante rispetto a quello della guerra: il questa immagine un cavaliere cristiano, Rinaldo, è “punito” con la lebbra, invocata dal vescovo, per essersi “distratto” dai compiti della guerra santa
L’amore represso Mentre nell’O. F. l’amore, uno dei temi principali, si risolve per lo più felicemente, a parte il caso del protagonista, nella G. L. l’amore è quasi sempre tragico e infelice, destinato a non trovare corrispondenza. Il caso più noto è drammatico è quello di Tancredi, guerriero cristiano, che colpisce a morte un saraceno, per scoprire alla fine di aver ucciso una donna, Clorinda, di cui era innamorato.