leva di gestione della complessità

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leva di gestione della complessità Stakeholder management come leva di gestione della complessità (…e formulazione di strategie sostenibili) Milano, 16 giugno 2009

Cresce la turbolenza del “business environment” Bain Turbulence Scorecard Chris Zook, “Unstopping Growth Study”, Harvard Business School Press, 2007) Tra il 1985 e il 2006 la quota di imprese soggette ad aleatorietà elevata di performance o a possibilità di estinzione nel giro dei successivi 10 anni è passata dal 35% al 73% Negli ultimi 30 anni i settori di business caratterizzati da alta turbolenza sono passati dal 20% al 62% del totale Nell’arco di 10 anni meno di 1/3 delle imprese osservate è sopravvissuta conservando il modello di business originario e più di 1/3 ha completamente trasformato il proprio core business Il ciclo di esistenza delle imprese è sceso dai 24 anni dei primi anni ’90 ai 12 attuali Il ciclo di vita di un nuovo prodotto tende a svilupparsi solo per il 20-30% del tempo che impiegava 30 anni fa e i leader tendono a perdere la propria posizione più rapidamente rispetto al passato

Le strategie abituali diventano inadeguate “Unravelling the complexities of executive decision-making” (Economist Intelligence Unit, 2007) Solo il 61% dei 154 manager di tutto il mondo coinvolti nell’indagine ritiene che le decisioni strategiche della propria azienda siano moderatamente o scarsamente efficienti. Il dato sale al 72% nel caso di grandi aziende. La natura dei problemi “maligni”… “Strategy as a wicked problem” – Camillus, Harvard Business Review, 2008) Se un problema coinvolge molti stakeholder con priorità tra loro conflittuali Se le sue origini profonde sono ingarbugliate Se muta ogni volta che si pensa di essere riuscito a definirlo Se non è mai stato affrontato prima Se non c’è nessun modo per valutare se esiste un rimedio in grado di affrontarlo …e gli errori dei top manager (“Unstopping Growth Study” - Bain&Company, 2007) Negare che il cambiamento sia necessario Non riuscire a cogliere l’impatto del cambiamento Mancanza di chiarezza sul da farsi Paura di sconvolgere o cannibalizzare il core business

Sentieri competitivi tradizionali e impatto sulla CSR 1 - Estrazione di valore dagli altri anelli della filiera Gioco dell’efficienza a somma zero Ristrutturazioni e delocalizzazioni; gestione aggressiva del capitale circolante; esternalità ambientali, advertising ingannevole e scorrettezze commerciali vs. consumatori/utenti; riduzione della qualità dei componenti/materie prime utilizzate, ecc. 2 – Attenuazione dell’intensità competitiva Sfruttamento di rendite di posizione Intese limitative della concorrenza, patti parasociali per impedire la contendibilità delle aziende, cartelli di prezzo, concentrazioni, azioni di lobby sul legislatore e sul governo; utilizzo assistenziale di risorse pubbliche, ecc.

COMPLESSITA’ AMBIENTALE CRESCENTE POLITICHE REDISTRIBUTIVE Schema evolutivo dello stakeholder management COMPLESSITA’ AMBIENTALE CRESCENTE STRATEGIE COMPETITIVE POLITICHE REDISTRIBUTIVE POLITICHE GESTIONALI CdA Board of Directors Manufacturing Marketing&Vendite Procurement Finance Human Rsource VALORE GENERATO STAKEHOLDER 1 – CSR reputazionale CSR strumento di conciliazione tra esigenze di profitto e limitazione/riparazione dei danni sociali Stakeholder ricettori finali di una aliquota del valore prodotto dall’azienda STAKEHOLDER STAKEHOLDER 3 – CSR strategica Stakeholder fonte di riformulazione di strategie competitive, innovazioni radicali, modello di business 2 – CSR competitiva Stakeholder partner di iniziative di ottimizzazione socio-ambientale dei processi aziendali in un’ottica di distintività competitiva

L’inefficienza degli attuali approcci all’innovazione “Global Innovation 1000” (Booz Allen Hamilton, 2005, 2006) Non ci sono relazioni statistiche significative tra l’entità degli investimenti in R&D e i principali indicatori di performance (fatturato, profitto, Ebitda, Ebit, capitalizzazione di borsa, dividendi) Meno del 10% delle aziende analizzate può definirsi “innovatore ad alto rendimento”, con un alto rapporto tra profitto e spese in R&D La crescita della spesa in R&D può incrementare il n° di brevetti, ma non c’è alcuna relazione statistica tra quest’ultimo e la performance competitiva dell’impresa Il rapporto tra investimenti in R&D e livello di fatturato evidenzia come la magnitudo di spesa in innovazione ha un trascurabile impatto sulla crescita aziendale I risultati migliori in molti casi dipendono più dalla qualità del modello di innovazione adottato La collaborazione è il fattore chiave: aziende “open” rispetto ad altri attori del proprio contesto sono quelle che riescono a creare un legame diretto tra lo spending in R&D e parametri gestionali positivi

Il nuovo modello di innovazione di Procter&Gamble I risultati Dal 15% del 2000 oggi il 45% di nuovi prodotti di P&G derivano da processi di open innovation Lanciati 100 nuovi prodotti derivati da innovazione condivisa Tasso di successo dei nuovi prodotti cresciuto del 60% Rapporto tra spese per R&D e fatturato è sceso dal 4,8% del 2000 al 3,4% del 2005 Il corso del titolo è raddoppiato rispetto al valore del 2000 e in portafoglio P&G ha marchi per 22 mld. $ La fase critica Dal 2000 i processi di innovazione interna in P&G non riuscivano più a garantire il tasso di crescita dei decenni precedenti Solo il 35% dei prodotti innovativi era profittevole Il titolo era sceso da 118 a 52 $ per azione La rifocalizzazione La maggior parte delle innovazioni veniva realizzata da medie imprese in tutto il mondo Crescente importanza di centri di ricerca governativi, università, ma anche knowledge workers Internet aveva dato visibilità a migliaia di innovatori e talenti scientifici in tutto il mondo Per ogni ricercatore P&G c’erano 200 scienziati o ingegneri e 1,5 milioni di talenti che potevano diventare risorse per l’innovazione Il modello “Connect & Develop” Nasce un modello di generazione dell’innovazione “a rete”: da esso dovrà derivare il 50% dei nuovi prodotti I 7.500 ricercatori si trasformano in “technology entrapreneurs” in connessione con l’esterno attraverso network virtuali Filiera parallela costruita su reti proprietarie con le strutture di R&D dei 15 principali fornitori (team virtuale di 50.000 ricercatori)

Il modello “Corporate Open Innovation” Il paradigma chiuso Ispirato a economia a bassa intensità competitiva Crescita guidata da R&D interna e know-how proprietario Acquisizione esterna di “talenti” per la ricerca Sviluppo in collaborazione con marketing&vendite Innovation success rate in forte diminuzione dal 2000 Incremento insostenibile dei budget di R&D Il paradigma aperto Ispirato a scenari complessi e economia competitiva Crescita guidata R&D interna-esterna Sviluppo di partnership con Università, knowlegde workers, fornitori, imprese, centri di ricerca, ecc. Sviluppo interno ed esterno attraverso spin-off Innalzamento dell’innovation success rate Minore incidenza del budget di R&D sul fatturato Stakeholder Aziende come Toyota, Cisco, Philips, Apple, IBM stanno adottando il modello “Open Innovation”

Efficacia degli investimenti in marketing in recessione Gli studi che sostengono il marketing aggressivo American Business Press: le aziende che adottarono politiche di marketing aggressive uscirono dalla recessione del 1970 in condizioni migliori della media; risultati simili nella crisi del 1974-75. McGraw-Hill: 600 imprese del settore B2B che avevano aumentato gli investimenti nel periodo 1981-82, sono cresciute in modo significativamente maggiore dei concorrenti che non avevano investito altrettanto. Cahners e Strategic Planning Institute: nella recessione 1981-82 le imprese che investirono di più in marketing resistettero meglio dei concorrenti alle crisi. BMW ha conquistato quote di mercato dopo la recessione del 2001, grazie agli investimenti aggressivi in marketing, sostenendo di “aver cambiato il mercato prima che il mercato ci costringesse a cambiare”

L’efficienza degli investimenti in marketing “The momentum effect” (J.C. Larreche, 2008) Prime 1000 aziende Fortune studiate per 20 anni (1985-2004) Individua 3 tipologie di aziende: pusher, plodder e pioneer Le pusher sono il 25% del totale e investono in marketing in maniera crescente Le plodder sono il 50% del totale e investono in marketing in maniera costante Le pioneer sono il 25% del totale e investono in marketing in maniera decrescente (in media -7% rispetto alle pusher) In termini di capitalizzazione di mercato, le plodder ottengono risultati al di sotto della media del mercato, le pusher ottengono risultati in linea con il mercato, le pioneer ottengono risultati superiori alla media del mercato (+80% rispetto alle pusher, +93% rispetto alle plodders) Il segreto delle pioneers è nella capacità di mixare investimenti di marketing con attenta lettura e interpretazione dello scenario, focalizzazione sulle aspettative dei consumatori, partnership con fornitori, innovazione concertata Il motivo della bassa performance delle pusher è la tendenza a focalizzarsi sul solo marketing di comunicazione e promozione

La riformulazione strategica centrata sugli stakeholder Progettualità condivisa La risposta alla complessità necessità di strategie basate sulla condivisione di conoscenza Ha sempre meno senso che la strategia scaturisca da una pianificazione di vertice che per sua natura è autoreferenziale L’approccio capace di metabolizzare la complessità e le incertezze è basato su una continua riformulazione delle strategie attraverso brainstorming, condivisione di scenari, opinioni, conoscenze e una continua analisi dell’ambiente circostante Il modello qui raffigurato è stato adottato da PGG Industries, azienda nata circa 1 secolo fa, per affrontare i propri “wicked problems”

Tassonomia dello Stakeholder Management CAPITALE IMMATERIALE DRIVER DI VALORE STAKEHOLDER APPROACH Trasparenza Licenza di operare Capitale Reputazionale Compliance Accountability Immagine distintiva Committment Capitale Competitivo Efficienza operativa Segmentazione dell’offerta Ascolto Capitale Imprenditoriale Engagement Innovazione radicale Rendimenti di scala crescenti Governance condivisa Ridefinizione core business