Dopo il Mille anche la scultura conosce una rapida e generalizzata rinascila in tutto il territorio europeo. Le ultime esperienze scultoree di un certo.

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Transcript della presentazione:

Dopo il Mille anche la scultura conosce una rapida e generalizzata rinascila in tutto il territorio europeo. Le ultime esperienze scultoree di un certo rilievo risalivano all'età romana imperiale. Come l'architettura, anche la scultura romanica assume caratteristiche diverse in relazione alle varie aree nelle quali si sviluppa e alle tradizioni a cui si riallaccia. All’inizio attinge indirettamente al repertorio tardo-antico e all'arte plebea in particolare, ma poi si adeguerà alle esigenze artistiche della nuova società del tempo. Inizialmente scultura e architettura sono fra loro legate in modo indissolubile. In altre parole la scultura non esiste se non per decorare un'architettura, ragion per cui sono diffusissime le tecniche del bassorilievo e dell'altorilievo, mentre l'utilizzo del tuttotondo risulta molto più raro e limitato quasi esclusivamente alla scultura in legno.

Nelle chiese romaniche, ad esempio, le decorazioni a rilievo o gli inserimenti scultorei si concentrano essenzialmente all'esterno: - nei timpani; - nelle ghiere degli archi; - nelle strombature dei portali; - in alcuni elementi ornamentali delle facciate (marcapiani, cornici, mensole, porte in bronzo); 3

e all'interno: - nei capitelli; - nei fonti battesimali; - negli ambóni (dal greco ambon sporgenza), sorta di pulpiti sopraelevati dai quali venivano lette le Sacre Scritture;

- negli arredi liturgici (acquasantiere, cattedre, balaustre, altari). Queste particolari collocazioni hanno tutte in comune il fattore della visibilità. La decorazione scultorea, infatti, viene sempre collocata proprio lì dove l'occhio dei fedeli spontaneamente si rivolge. 5

In età romanica la scultura torna alla rappresentazione realistica della figura umana cercando di renderne il volume solido e robusto, come nelle statue romane. Gli scultori danno intensità espressiva ai volti, ai gesti e ai movimenti delle figure, la cui sproporzione, soprattutto delle teste e degli arti, ne aumenta la forza comunicativa. Il linguaggio artistico dei Romanico è rivolto in prevalenza al popolo: è perciò fatto di immagini semplici e chiare per «impressionare» i fedeli. Questo nuovo realismo è il riflesso dei mutamento politico‑sociale dell'epoca che, con l'affermazione dei Comuni, ha ridato valore all'uomo e alle sue attività terrene e materiali. I temi scultorei della tradizione romanica sono incredibilmente vari e fantasiosi. Quelli a carattere religioso, per esempio, hanno in genere un'ispirazione biblica (Antico e Nuovo Testamento). Le storie preferite riguardano la Gènesi, la Vita di Cristo e il Giudizio Universale ma frequentissime sono anche le rappresentazioni di singoli santi, angeli e profeti. Tra i temi non religiosi, invece, spiccano quelli dedicati alla semplice vita quotidiana, al succedersi delle stagioni, spesso in rapporto con i dodici segni dello Zodiaco e al lavoro di artigiani e contadini. 6

Ancora molto diffusa, soprattutto nella realizzazione di fregi, architravi, ghiere e capitelli, è la decorazione di tipo floreale e geometrico oppure composizioni astratte come intrecci di ruote, nastri, rosette, per finire con i più vari arabeschi di gusto orientale, sempre realizzati senza mai lasciare spazi vuoti o non ornati (horror vacui). Vi era poi il fantasioso e ricorrente repertorio di animali esotici, diavoli, mostri, dragoni e altre creature infernali, con i quali venivano decorati, oltre ai capitelli, anche molti particolari architettonici esterni. Il popolo, in massima parte analfabeta e superstizioso, doveva quindi rimanere molto turbato (ma nel contempo anche affascinato) da questo tipo di raffigurazioni. Esse, spesso tratte anche dalle narrazioni popolari e dai bestiari davano alla visione cristiana del peccato le forme repellenti dei dèmoni pagani trattato medievale che descrive con scopo allegorico qualità e comportamenti reali o presunti di animali soprattutto esotici, e anche immaginari e mostruosi 7

Dal punto di vista stilistico la scultura romanica inverte quasi tutte le regole della precedente tradizione bizantina. I corpi degli uomini, dei santi, degli angeli e dello stesso Dio, prima rigidamente stilizzati, riacquistano a poco a poco il proprio volume. - le figure non sono più schematiche rappresentazioni di un simbolo, ma cercano di trasformarsi in forme materiali ben definite. - le figure risultano inserite in una realtà riconoscibile, terrena e non appaiono sospese in una dimensione astratta e immutabile. Ciò non significa che la scultura romanica sia una scultura di per sé realistica, cioè tendente a rappresentare la realtà per come appare veramente: - le proporzioni non ricalcano mai quelle classiche e la capacità espressiva rimane sempre lontana da qualsiasi desiderio ritrattistico; - le posizioni assunte dai personaggi ricorrono secondo schemi quasi sempre ripetitivi e prevedibili. Nonostante questo tali rappresentazioni possiedono una vivacità e un'immediatezza che, al di là della loro possibile goffaggine, le rendono subito comprensibili. Attraverso la scultura vengono trasmessi in modo efficace e diretto messaggi religiosi e morali, altrimenti incomprensibili per la maggioranza dei fedeli. 8

LA FUNZIONE DELL'ARTE La scultura è usata per ornare la cattedrale: la decorazione scultorea e pittorica costituisce un grande libro illustrato che racchiude la sapienza del tempo. Il fedele, analfabeta, può così istruirsi aiutato dalle prediche del sacerdote che si rivolge al popolo in lingua volgare. La decorazione scultorea si concentra in alcuni punti ben determinati, soprattutto nel portale d'ingresso, dove ha la funzione di preparare spiritualmente il fedele attraverso la « lettura» delle Storie Sacre. Il portale di Moissac L'Abbazia cluniacense di Moissac, nella di Moissac Francia sud-occidentale, ce ne offre uno dei primi e più significativi esempi. Sorta intorno al 1047 lungo una delle quattro grandi vie di pellegrinaggio che nel Medioevo conducevano verso il santuario spagnolo di Santiago di Compostela, fu un importante centro di elaborazione artistica e culturale.Dell'antica Chiesa abbaziale di San Pietro, oggi fortemente rimaneggiata, ci resta comunque il portale principale, vero e proprio prodigio della scultura romanica 9

La tentazione di Eva Opera del maestro Gislebertus consiste in due frammenti provenienti dall'architrave di un portale laterale della Cattedrale di Saint-Lazare ad Àutun, in Borgogna, demolito durante alcuni lavori di ristrutturazione quattrocenteschi. La rappresentazione, una delle più celebri e innovative di tutta la scultura romanica, presenta Eva nuda in posizione semidistesa, con il gomito destro e le ginocchia puntati al suolo. Il busto, ruotato frontalmente, è parallelo alla base dell'architrave, mentre una pianta di vite, al centro, copre con le sue foglie parte del ventre e delle cosce. Il braccio destro e le gambe ripiegati, cosi come il braccio sinistro proteso all’indietro per cogliere il frutto proibito suggeriscono un movimento sinuoso e quasi strisciante, in evidente riferimento con il serpente, simbolo del demonio tentatore, che la Bibbia definisce «la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio (Genesi 3,1).

Il sogno dei magi Sempre all'espressivo scalpello di Gislebertus è dovuta anche la parte superiore figurata del capitello con il Sogno dei re Magi. La raffigurazione dei tre Re Magi è di una semplicità e di una immediatezza nuove e sconvolgenti. Essi giacciono addormentati in un letto poggiando le teste su un unico, grande cuscino. L'Arcangelo Gabriele, in piedi dietro al letto, sveglia il primo dei tre Magi (che, infatti, è l'unico con gli occhi aperti) toccandogli la mano con l'indice destro, mentre con quello sinistro addita la stella cometa. La composizione, semplice ed efficace, si basa sulla rapida identificabilità dei personaggi (è per questo che i Re Magi dormono con le corone in testa) e sull'estrema comprensibilità delle azioni e dei gesti che essi compiono.

Mentre i volti sono visti frontalmente, dalla parte dei piedi la visione è laterale, come se il letto si torcesse nello spazio e i personaggi assumessero una forma geometrica triangolare . La coperta, invece, ha una forma perfettamente semicircolare e la sua preziosità è suggerita dalle minute pieghe concentriche e dalle tre fasce ricamate che ne decorano il bordo. 18

WILIGELMO Di origine verosimilmente lombarda, anche se non è escludibile una sua provenienza germanica, egli è attivo in area emiliana tra la fine dell' XI secolo e l'inizio di quello successivo. Grazie a una lapide risalente al 1099, oggi inserita nella facciata della Cattedrale di Modena, sappiamo con certezza che Wiligelmo partecipò alla decorazione scultorea dell'edificio realizzando, tra l'altro, il pulpito, l'altare e il pontile (ossia il parapetto sopraelevato del presbiterio). Di queste tre importanti opere, che sono andate smembrate e disperse nel corso dei secoli, ci sono comunque pervenuti quasi tutti i bassorilievi che le componevano. Nell'attuale facciata, ad esempio, sono stati murati i quattro lastroni provenienti originariamente dal pontile.Essi rappresentano alcuni dei più celebri episodi della Genesi: Creazione di Adamo ed Eva e Peccato originale, Cacciata dal Paradiso Terrestre e Condanna al lavoro della terra, Sacrificio di Abele e Caino e Uccisione di Abele, Morte di Caino, Navigazione e sbarco dall’Arca di Noè e costituiscono senza alcun dubbio la testimonianza più alta dell'elevato livello artistico che Wiligelmo ha saputo raggiungere.

[a] Nel margine superiore si succedono undici arcatelle a tutto sesto (dieci intere e una a metà).

[b] Le scene sono tre: la Creazione di Adamo [1], la Creazione di Eva [2] e il Peccato originale [3].

[c] A sinistra appare Dio Padre, racchiuso in una mandorla sorretta da due angeli inginocchiati.

[d] La rappresentazione prosegue con Dio che modella Adamo a sua immagine e somiglianza.

[e] Al centro viene rappresentata la creazione di Eva.

[f] Nell’ultima scena Adamo sta divorando il frutto proibito ed Eva lo guarda con dolcezza.

Adamo mangia il frutto proibito Creazione di Adamo ed Eva

La cacciata dall’Eden e condanna al lavoro della terra

Sacrificio di abele e Caino L’uccisione di Abele

famiglia di Noè lamech Caino arca prima del diluvio durante il diluvio dopo il diluvio famiglia di Noè 29 lamech Caino arca

Uccisione di Caino trafitto dalla freccia di Lamech Noè esce dall’arca Le sue figure non danno mai l’impressione di essere sospese nel vuoto. Esse, al contrario, appaiono sempre ben piantate al suolo e inserite in una realtà quotidiana, vera e riconoscibile.Sia le figure umane sia quella, umanizzata, del Creatore, però, non sono mai realizzate in modo realistico. Wiligelmo modifica volontariamente i rapporti proporzionali e deforma a proprio piacimento i particolari anatomici.In questo modo egli non tende tanto alla rappresentazione della realtà, quanto, piuttosto, all'espressione del proprio modo di sentirla. Le azioni e i sentimenti risultano pertanto di semplice e immediata comprensione e dietro l'apparente ingenuità delle forme emerge subito una maestosità pacata e solenne.

Pittura romanica Nella pittura il rapporto di dipendenza con i modelli del passato si fa maggiore. Ciò è dovuto anche al fatto che la tradizione pittorica tardo-antica e bizantina aveva continuato a sopravvivere anche durante i secoli delle invasioni barbariche. Come la scultura anche la pittura romanica si diffonde in stretto rapporto con l'architettura. Le pareti interne ed esterne delle chiese e le vele delle crociere, ad esempio, sono alcuni degli spazi più usati per le decorazioni ad affresco del periodo.Alle ornamentazioni in mosaico, invece, sono di solito riservati gli intradossi degli archi, alcune porzioni delle facciate e, soprattutto, le absidi e i catini absidali. La pittura a tempera su tavola, infine, essendo per sua natura svincolata da qualsiasi tipo di supporto architettonico, può essere appesa o appoggiata ove se ne abbia la necessità (di solito sopra gli altari, nelle cappelle o in corrispondenza dell'arco trionfale).

Si sviluppa la pittura a tempera realizzata su un supporto in legno (dì solito pioppo, ma anche quercia e noce] costituito da assi ben stagionate, unite insieme per mezzo di colla e cavicchi* cioè perni di legno conficcati a forza negli spessori delle assi da congiungere. Le forme più ricorrenti sono quella rettangolare la più semplice; quella centinata, con terminazione superiore semicircolare; quella cuspidata, con terminazione superiore a punta e quella cruciforme cioè a forma di croce, che è anche la più complessa Dal punto di visti tecnico la pittura su tavola può essere realizzata direttamente sul supporto ligneo o anche su tela o pergamena incollate successivamente alla tavola definitiva. Nel primo caso la superficie del legno, dopo essere stata adeguatamente pulita e levigata, veniva sottoposta alla cosiddetta imprimitura cioè a un trattamento che prevedeva la stesura di una o più mani di gesso fino, in modo da otturare tutti i pori e le eventuali irregolarità del legno. Una volta ben essiccata, l’imprimitura veniva lisciata fino a ottenere una superficie perfettamente compatta e lievemente assorbente. I colori, infine, fatti a base minerale e, in parte, anche vegetale, venivano temperati, ossia sciolti in acqua con l’aggiunta, quale agglutinante, di colla vegetale o di tuorlo d'uovo. Determinate rifiniture, poi, potevano essere realizzate in foglia d'oro, in piano o a rilievo, dopo adeguata preparazione del sottofondo mediante il bolo, una sostanza argillosa dal caratteristico colore rossastro che veniva impastata con semplice colla animale.

La miniatura Nota fin dall'epoca bizantina, veniva praticata quasi esclusivamente dai monaci e consisteva nel decorare in modo molto minuto i principali codici (per lo più testi sacri, ma anche filosofici, scientifici e letterari) conservati nelle biblioteche dei conventi.All'interno di ogni grande monastero, infatti, venivano allestiti degli scriptòrìa, luoghi ove decine di abilissimi monaci si dedicavano, con pazienza e perizia, alla difficile arte del miniare. Gli scriptoria, ai quali potevano accedere solo i miniatori e i loro superiori, erano solitamente disposti accanto al calefactòrium che, nei monasteri cistercensi, era l'unico locale riscaldato. Ciò al duplice scopo di consentire una più adeguata preparazione dei colori, che il freddo eccessivo avrebbe fatto raggrumare, e di fornire a chi vi lavorava per lunghe ore un ambiente il più confortevole possibile, a conferma del grande riguardo che veniva attribuito alla loro opera. qui sono rappresentati due miniatori (uno dei quali con il saio da monaco) curvi sui propri scrittoi, all'interno di un'architettura di fantasia che allude alla grandiosità del monastero che li accoglie

La tecnica più usata era quella del guazzo (dal francese gouache) cioè di una particolare tempera nella quale i pigmenti colorati venivano stemperati in soluzioni acquose di vario tipo, solitamente a base di albume, miele o gomma arabica e quindi stesi impiegando pennelli dalla punta finissima. I temi delle miniature non sono necessariamente attinenti al contenuto dei manoscritti che decorano né vi sono regole precise sul rapporto tra parte scritta e parte dipinta tanto che queste vengono quasi sempre realizzate da artefici diversi. Si va pertanto dal fregio geometrico o floreale a quello zoomorfo, fino alla grottésca. A seconda dei casi l'ornamentazione può essere limitata attorno ai soli capilettera (cosi si chiamano le grandi lettere iniziali di ciascuna pagina di testo) ma può estendersi anche lungo i margini o, addirittura, occupare l'intera pagina con narrazioni figurative autonome. 34

Nella miniatura su pergamena con l’Abate Desiderio in atto di donare simbolicamente a San Benedetto i Patrimoni dell’ Abbazia di Motttecassino oggi conservata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, si evidenzia la grande maestria raggiunta dagli illustratori benedettini, capaci di unire l'estrema nitidezza del segno con la forte capacità di espressione. San Benedetto, vestito del lungo saio monacale, è rappresentato seduto in trono sulla destra, in atteggiamento di grande compostezza e dignità. Egli si rivolge con atto benedicente all'Abate Desiderio, in piedi, che con deferenza gli offre un libro. Altri preziosi codici miniati sono accatastati per terra, mentre tutt'intorno si dispongono le architetture monastiche e gli altri beni immobili che l’abate offre al Santo. Da notare la differenziazione delle aureole, che, secondo una tradizione diffusasi in Occidente sono quadrangolari per i viventi e circolari per i defunti.

In Italia l'influenza greco-bizantina si avvertì più che altrove e fu più difficile liberarsi degli astratti schematismi imposti da quella tradizione. Se però la forma rimane ancora sostanzialmente bizantina i contenuti iniziano progressivamente a cambiare. Un esempio può essere la Basilica benedettina di San Michele Arcangelo a Sant'Angelo in Formis, presso Capua. Rappresentazione di San Michele Arcangelo nella lunetta del portale di ingresso della chiesa. La composizione con le grandi ali stilizzate che seguono la curvatura della lunetta,rimanda all’arte bizantina per la perfetta frontalità della figura e nelle preziose geometrie ornamentali dell'abito.

Discorso a parte, invece, merita l'interno della basilica, affrescato con il maggior ciclo di affreschi campano dell’XI secolo e, in assoluto, uno dei più significativi e unitari di tutta l'arte romanica. Esso presenta, lungo i due lati della navata maggiore, scene con episodi dalla vita di Cristo, parabole evangeliche e figure di Profeti, mentre le navate e le absidi minori recano immagini del Vecchio Testamento e rappresentazioni di Maria e di vari Santi. Nel catino dell'abside maggiore, su uno sfondo d'azzurro intenso, giganteggia un Cristo in Maestà circondato dai simboli dei quattro evangelisti e sormontato dalla colomba dello Spirito Santo. Gesù è raffigurato seduto su un ricco trono intarsiato e gemmato, con la gamba destra leggermente divaricata rispetto all'altra, in atto di benedire e di reggere, con la mano sinistra, un libro aperto sul quale si leggono le parole dell’Apocalisse «ego sum alfa e omega primus et novissimus. l’affresco si allontana, in parte, dal rigido formalismo della tradizione greca. Soprattutto nel volto del Redentore sono presenti i primi caratteri di una scuola regionale, vicina alla pittura romana.

Le croci dipinte Rappresentano Cristo in croce ma, a differenza delle precedenti raffigurazioni bizantine e paleocristiane, l'evento è isolato dal contesto della Crocifissione. L'introduzione di questo nuovo tipo di dipinto su tavola è di straordinaria importanza in quanto, nel giro di pochi decenni, so diffonderà in tutta Europa e tutta la cultura occidentale assumerà il crocifisso come simbolo universale del martirio di Cristo e come emblema stesso del cristianesimo. E’ interessante notare che per la prima volta il Cristo compare nudo con un semplice panno (detto perizoma dal greco perì intorno e zònnymi circondare) che gli cinge i fianchi. Si tratta di una novità significativa in quanto fino ad allora era sempre stato rappresentato con addosso il colobio, la lunga tunica senza maniche usata tradizionalmente dai primi monaci cristiani.

Il supporto delle croci dipinte viene realizzato unendo insieme diverse tavole di legno. Questo presenta alcuni allargamenti che consentono l'introduzione di motivi decorativi accessori e di figure o rappresentazioni inerenti alla Passione e all'Ascensione di Cristo. Tali allargamenti assumono diversi nomi in fruizione delle loro caratteristiche:- il tabellone è la parte verticale della croce sulla quale poggia il corpo di Cristo;- gli scomparti sono i due allargamenti laterali del tabellone. Negli esempi più antichi ospitano la Vergine Maria (a sinistra) e San Giovanni Evangelista (a destra);- i terminali sono i due allargamenti laterali dei bracci orizzontali della croce pi. In essi possono essere rappresentate le figure intere o a mezzo busto della Vergine Maria e di San Giovanni Evangelista;- il piedicroce è l'allargamento posto all'estremo inferiore. Esso può essere chiamato anche calvario in quanto può ospitare alcuni riferimenti figurativi al luogo del supplizio di Gesù; - la cimasa è l'allargamento posto all'estremo superiore e reca spesso la scritta INRI, che rappresenta l'abbreviazione di Jesus Nazarènus Rex ludeòrum (Gesù Nazareno Re dei Giudei).

Due sono le tipologie delle croci dipinte romaniche. La prima e più antica, risalente agli inizi del XII secolo, è quella del cosiddetto Christus triùmphans (Cristo trionfante) e rappresenta Gesù con il corpo e la testa eretti, gli occhi spalancati e i piedi leggermente divaricati. In lui non si avverte alcuna partecipazione umana al dolore e, riprendendo i modelli della tradizione bizantina colta, si vuole simboleggiare il trionfo di Cristo sulla morte. Maestro Guglielmo, Christus triumphans

Gli occhi sono spalancati, la testa è sollevala e il volto non fa trasparire alcuna emozione. Anche gli arti appaiono perfettamente rilassati, il che conferisce alla figura un senso di astratta irrealtà. Il corpo crocifisso sembra sottrarsi anche alla legge di gravità, e questa caratteristica ne riconferma l'ispirazione bizantina

La seconda tipologia maturata sul finire del XII secolo in area francese è, invece, quella del Chrìstus pàtiens (Cristo sofferente). Ricollegandosi alla tradizione bizantina provinciale il Cristo viene rappresentato morto, con il capo reclinato e gli occhi chiusi. In questo modo si vuole privilegiare l'aspetto dell'umanità di Gesù che soffre e partecipa, come tutti gli uomini, al dolore piuttosto che la sua natura divina, quindi immune da sofferenza e dolore. Grazie al maturare di una fede più vicina alle esigenze della vita quotidiana» l'iconografia del Cristo-uomo ha il sopravvento su quella del Cristo-dio. Christus patiens al Museo Nazionale di San Matteo, a Pisa

Il mosaico Dove l'influsso bizantino non cessa mai di manifestarsi è, come ovvio, nell'arte del mosaico. Essa trova la propria espressione più alta nei grandi cicli veneziani della Basilica di San Marco e nelle straordinarie testimonianze normanne che si conservano in varie cattedrali e chiese della SiciliaSe l'adesione al decorativismo di scuola bizantina è perfettamente comprensibile per Venezia, che - a causa delle sue attività economiche e commerciali - è stata da sempre legata all'Oriente e alla sua cultura, la scelta bizantina dei re normanni ha motivazioni di altro tipo. Nella raffinata e sontuosa maestosità del mosaico, infatti, essi ricercavano quegli ideali di ordine e di equilibrio che erano alla base della loro stessa concezione del potere.

Il catino, infine, presenta, isolata al centro, la maestosa figura a mezzo busto del Cristo Pantocratore. Egli indossa una veste dorata, con sulle spalle un ampio mantello azzurro. Il nimbo è del tipo cruciforme, secondo la tradìzione che, fin dal IV-V secolo, vuole in questo modo differenziarlo dalle aureole di tutti gli altri santi. Di stretta osservanza bizantina è anche la mano benedicente con tre dita sollevate a indicare la trinità e pollice e anulare uniti a simbolizzare la duplice natura umana e divina.Ai lati del volto di Cristo, infine, sono riprodotte le lettere greche del suo nome abbreviato: *I(e)S(us)» (a sinistra) e CH(ri)S(tos)» (a destra) con sopra l'accento circonflesso (tìtulus) simbolo dell'abbreviazione stessa.

La mano sinistra, infine, come di consuetudine nelle rappresentazioni musive dei Pantocratori, regge un libro aperto nelle cui pagine viene riportato, in greco (pagina di sinistra) e in latino (pagina di destra), il passo del Vangelo di Giovanni che, proprio per riprendere la metafora del Cristo dispensatore di luce, recita: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Nonostante siano ancora molti gli elementi di evidente derivazione bizantina (estrema stilizzazione del panneggio, dei capelli, degli orecchi e della mano destra dalle lunghe dita), il volto assume, nel suo complesso, un'espressione nuova e inconsueta. In esso, infatti, contravvenendo ai rigidi canoni dell'iconografia greca, si intravede una velata malinconia, come se per un attimo proprio la natura umana del Cristo avesse avuto il sopravvento su quella divina.